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Autore: ValeryJackson    25/03/2014    12 recensioni
Skyler aveva sempre avuto tre certezze nella vita.
La prima: sua madre era morta in un incidente quando lei aveva solo sette anni e suo padre non si era mai fatto vivo.
La seconda: se non vuoi avere problemi con gli altri ragazzi, ignorali. Loro ignoreranno te.
La terza: il fuoco è un elemento pericoloso.
Tre certezze, tutte irrimediabilmente distrutte dall'arrivo di quel ragazzo con gli occhi verdi.
Skyler scopre così di essere una mezzosangue, e viene scortata al Campo. Lì, dopo un inizio burrascoso, si sente sé stessa, protetta, e conosce tre ragazzi, che finiranno per diventare i suoi migliori amici. Ma, si sa, la felicità non dura in eterno. E quando sul Campo incombe una pericolosa malattia, Skyler e i suoi amici sembrano essere gli unici a poterlo salvare.
Una storia d'amore, amicizia, dolore, azione, dove per ottenere ciò che vuoi sei costretto a combattere, a lottare, e ad andare incontro alle tue peggiori paure.
Ma sei davvero disposto a guardare in faccia ciò che più ti spaventa?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Emma ormai era stanca di continuare a cercare, e la consapevolezza di non avere la minima idea di dove stessero andando non serviva certo ad alleviare la tensione che le attanagliava la bocca dello stomaco.
Chissà perché, si sentiva osservata. Come se qualcuno stesse seguendo tutti i loro movimenti da lontano, aspettando solo il momento giusto per attaccare.
Lei e John continuavano a farsi strada nella folta vegetazione, in silenzio. Un silenzio forse un po’ troppo opprimente.
«Cosa credi che abbiano trovato?» chiese Emma, proprio per spezzarlo. «Michael e Skyler, dall’altra parte.»
John aprì la bocca per parlare, le spalle tese e la fronte corrucciata. Poi la richiuse e sospirò. «Non lo so.» Si guardò introno, affranto. «Di sicuro più di quanto abbiamo trovato noi.»
Emma annuì, abbassando lo sguardo. Fine della conversazione, era chiaro ad entrambi.
Non sapevano cosa dirsi in circostanze del genere, e l’assenza d’acqua nelle loro borracce sembrava essere come cartavetro che sfregava contro le loro gole.
Continuarono ad avanzare, silenziosi, finché non sentirono un rumore.
Un ramo che si spezzava.
Emma brandì prontamente il suo coltellino, con i nervi tesi, e John incoccò una freccia di luce. Si guardarono intorno, in cerca della cosa dalla quale difendersi. Ma, intorno a loro, solo alberi.
Un fruscio alla sua destra attirò l’attenzione della bionda.
Emma si voltò, stringendo gli occhi a due fessure e scrutando la vegetazione. Quando vide una, due, dieci ombre avanzare sinuose verso di loro, trattenne il fiato.
«John» bisbigliò, in un misto di meraviglia e preoccupazione.
Il ragazzo non capì cosa fosse successo finché non si voltò. A quel punto, il fiatò si smorzò anche a lui. Di paura, però.
Un branco di pegasi li osservava a circa tre metri di distanza, squadrandoli senza riuscire a capirli veramente.
Erano selvatici, questo era evidente, perché avevano delle lunghe criniere spettinate e dei corpi molto più robusti rispetto a quelli del campo.
John sentì montare il panico. Prima che riuscisse a dominare le proprie emozioni, migliaia di immagini invasero la sua mente, travolgendolo. Erano ricordi.
Un sé di undici anni che cadeva dalla sella.
Due occhi rossi come il sangue che lo osservano indemoniati.
Un crack.
Dolore. Tanto dolore.
Un dolore lanciante, meschino, inguaribile.
Un dolore che aveva già provato.
Per quanto si sforzasse, non riuscì ad impedire a quelle sensazioni di sgorgare, di invaderlo. Cominciò ad ansimare, la mente annebbiata dalla paura e dalla consapevolezza di non poter scappare. Le sue gambe iniziarono a tremare, e da lì tutto il corpo.
«John» mormorò Emma, preoccupata, ma la voce arrivò così ovattata alle sue orecchie che neanche la senti. Prima che lei riuscisse ad allungare una mano per tranquillizzarlo, il figlio di Apollo indietreggiò, terrorizzato. Ma il suo equilibrio era precario, e riuscì a fare solo due passi, prima di inciampare e cadere a terra.
Sentiva il sangue pulsargli nelle vene, i battiti accelerati del suo cuore rimbombargli nella scatola cranica, molesti. E poi una fitta. Una fitta che partì dal coccige e gli attraversò la schiena fino all’atlante.
La cicatrice. La cicatrice bruciava.
Un altro flash-back gli passò davanti agli occhi.
John cacciò un grido di frustrazione, premendosi i palmi sulle palpebre con così tanta forza da temere che le retine sfiorassero il cervello.
La sua fronte era imperlata di sudore, e il fiato corto per via del panico che gli stringeva i polmoni in una morsa d’acciaio.
Altre immagini, di quel giorno cruciale.
I suoi genitori che piangevano, il mostro che si avventava su di lui, l’operazione.
Aveva visto una luce. Non sapeva se fosse dovuta alla presenza del padre nella stanza o alla sua avanzata verso i campi Elisi, ma l’aveva vista. E sapeva di dolore.
Come fare? Come fare a cacciar via dalla mente tutti quei ricordi? Li aveva ignorati per tutti questi anni, sopprimendoli in un angolo remoto della sua mente per evitare che lo distruggessero, eppure ora eccoli lì, che lo stavano divorando.
E lui non poteva farci niente.
Quando Emma si inginocchiò accanto a lui, John non riusciva a smettere di tremare.
«John» lo chiamò la ragazza, afferrandogli con forza il polso per far sì che la guardasse. «John, calmati. Calmati» mormorò, con voce rassicurante. «Non possono farti niente, non sono cattivi.» Ma il ragazzo continuava ad ansimare, terrorizzato. «Guardali, non sono cattivi.»
Il biondo aveva paura di farlo. Lo sapeva, sapeva che non erano cattivi. Ma riportavano a galla troppi ricordi. Era per questo che li temeva così tanto. Era per colpa loro se due piccoli occhi l’avevano reso così vulnerabile.
«John, guardami» ordinò Emma, con tono fermo ma deciso. Gli scostò le mani dagli occhi, schioccandogli due dita davanti al volto e poi indicando le sue iridi argentate. «John, guardami!»
Il ragazzo obbedì. Si sforzava ancora di frenare quella valanga, ma purtroppo senza risultato.
«Respira» sussurrò lei, prendendo un gran respiro e ricacciando fuori l’aria. John la imitò. E così una, due, tre volte. Mentre lui continuava ad ingerire e rigettare aria nella speranza che il suo cuore tornasse ad un battito regolare, lei lo guardò con decisione negli occhi. «Loro non ti faranno niente, mi hai capito?» gli mormorò, tranquillizzandolo con lo sguardo. «Quelli che ti fanno stare male sono solo ricordi. Combatti quei ricordi, John. Non lasciare che ti sopraffacciano.» Lui esitò un attimo, mentre il suo respiro tornava normale.
«Sono innocui» assicurò lei, prima di abbozzare un sorriso. «Sono innocui.»
John distolse lo sguardo solo quando sentì il panico diluirsi, scivolare via come burro al sole. Chiuse gli occhi, riordinando le idee. Non doveva pensarci. Se avesse davvero combattuto contro tutti quei ricordi, allora sarebbe riuscito a domarli.
Deglutì con un po’ di fatica, riportando di nuovo gli occhi sulla ragazza. Poi annuì.
Lei si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, rilassando le spalle. «Stai meglio?» domandò.
«S-sto meglio» balbettò lui, rialzandosi da terra. Il suo equilibrio era ancora un po’ instabile, ma quando Emma cercò di aiutarlo glielo impedì. «Sto meglio.»
Con una mano si asciugò la fronte imperlata di sudore, mentre osservava l’amica lanciare un’occhiata fugace alla sua destra. Non aveva intenzione, però, di seguire la direzione del suo sguardo. Non sapeva se quel branco di pegasi era ancora lì e non voleva saperlo. Doveva smetterla di avere così tanta paura di loro, e il modo migliore per cominciare a farlo non era certo guardarli di nuovo negli occhi.
Fortunatamente, a distrarlo fu un altro suono, che lo fece voltare di scatto.
Lo conosceva fin troppo bene. Forse Emma non l’aveva sentito, ma a lui non era sfuggito. Era il fruscio di una corda che si tende, di una freccia incoccata e pronta per essere lanciata. Ma il suo arco lo stringeva ancora fra le mani.
Assottigliò lo sguardo, corrucciando le sopracciglia.
«John, che c’è?» chiese la bionda, non capendo. Ma lui non rispose. Continuò a fissare nella direzione dalla quale era venuto quel fruscio, le orecchie tese nella speranza di risentirlo di nuovo.
Poi, il sole rifletté un suo raggio su qualcosa di luminoso. John sgranò gli occhi. «Ma che cosa…»
Ma non fece in tempo a finir di porre la domanda, che qualcosa sferzò l’aria accanto a lui, conficcandosi nell’albero alle loro spalle.
Emma sobbalzò, lanciando un grido di sorpresa. «Che cos’era?» domandò, con una mano sul petto per via dello spavento.
John vi si avvicinò, con circospezione. Aveva tutta l’aria di essere una freccia, ma non era una freccia. Era più corta, lunga circa la metà di un dardo normale, ma soprattutto era più ciotta.
John la disincastrò dall’albero, rigirandosela fra le mani. Fu proprio mentre la studiava con attenzione, che notò il piccolo timer che aveva attaccato su un fianco.
Gli mancò il fiato in gola. «Va via!» esclamò, buttandola a terra. Ma era troppo tardi.
La bomba esplose, e con lei tutto ciò che la circondava. Emma andò a sbattere contro un albero, accasciandosi a terra, ma l’impatto peggiore l’ebbe John, che era più vicino. Anzi, troppo vicino.
Il branco di pegasi si imbizzarrì, terrorizzato. Nitrirono, dileguandosi in tutte le direzioni possibili nella speranza di scappare. Intorno a loro, alcuni alberi cominciarono a prendere fuoco.
Emma tossì con forza, inalando però del fumo. Quest’ultimo raggiunse subito i suoi polmoni, incendiandoli. La figlia di Ermes si guardò intorno. «John» chiamò, ma tutto ciò che ne uscì fu un sussurro strozzato. Tossì ancora, tentando di alzare la voce. «John.»
Ma quello che si avvicinò subito dopo a lei non era affatto John. Un uomo l'afferrò con forza per le braccia, strattonandola e tirandola in piedi. Per un attimo, Emma pensò che volesse aiutarla. Ma poi l’uomo le bloccò le braccia dietro la schiena, aiutato da un altro.
La ragazza aveva la vista ancora un po’ offuscata, ma, assottigliando lo sguardo, si sforzò di vedere comunque qualcosa attraverso tutto quel fumo. Intorno a lei, tutto era andato distrutto nell’esplosione, e un albero alla sua destra stava ancora bruciando. Circa sei uomini si guardavano intorno con disappunto, le spade sguainate ed i muscoli tesi, come se stessero cercando qualcuno.
Emma seguì per un secondo ogni loro movimento, finché qualcuno non ostruì il suo campo visivo.
Quando la bionda alzò lo sguardo, il suo cuore mancò un battito.
Il Capitano le sorrise, con un ghigno arcigno. «Ma chi si rivede» cantilenò, avvicinandosi. Emma sostenne il suo sguardo. «Di un po’, ti sono mancato?» La ragazza non rispose, ma l’occhiata piena di rabbia e disgusto che gli rivolse fu palese.
Il Capitano si voltò, rivolgendosi ai suoi uomini. «Dove sono gli altri?» domandò.
«Non ci sono, Capitano» rispose uno da parte di tutti. «Ci sono solo questi due.»
«Lui in che condizioni è?»
Uno di loro si chinò a terra, e solo a quel punto Emma si rese conto del corpo inerme che giaceva a terra. L’uomo gli portò due dita al collo, per poi storcere le labbra. «Sembra morto, signore.»
Il Capitano ghignò. «Molto bene.»
Emma sentì il fiato venir meno, mentre il cuore minacciava di perdere i suoi battiti. La vista le si offuscò di nuovo, e gli occhi bruciavano. «No» gracchiò, con un singhiozzo.
Il Capitano si voltò a guardarla. Le afferrò il mento con una mano, costringendola ad alzare lo sguardo. «A quanto pare» sibilò. «Qui siamo rimasti solo noi due.»
Ridacchiò, mentre lei lo fulminava con lo sguardo. «Dove sono gli altri due?»
Emma non rispose, e dopo circa un minuto di silenzio, l’uomo capì che non aveva intenzione di dirglielo. Digrignò i denti, irrigidendo la mascella. Lasciò andare il suo mento, senza però distogliere lo sguardo. «Portiamola via» ordinò ai suoi uomini. «Da un’altra parte. Nel luogo d’incontro.»
«E lui, signore?» chiese giustamente uno di loro, indicando John con un cenno del capo.
Il Capitano sbuffò. «Lui sicuramente sarà già morto. E se non lo è, lo sarà presto. Sarebbe solo un peso.»
Detto questo, tutti quanti gli rivolsero un saluto militare, quasi fossero d’accordo con le sue decisioni. Prima che quei due strattonassero di nuovo l’esile corpo di Emma per trascinarla chissà dove, il Capitano si chinò su di lei e sussurrò. «Chi è che comanda, adesso?»
 
Ω Ω Ω
 
Mentre tutto, intorno a lui, continuava a bruciare, John sentì le grida di un'Emma che si ribellava allontanarsi.
Quell’uomo aveva detto che era morto, ma lui non lo era affatto. Però lo sarebbe stato presto, se non avesse trovato una soluzione.
Gli faceva male tutto, e sia il fianco che il braccio erano ustionati gravemente. Il suo respiro era irregolare, e le palpebre così pesanti da minacciare di chiudersi. Ma lui non doveva mollare.
Tenne lo sguardo fissò sul cielo, deciso a non cedere al sonno che lo soffocava. Perché altrimenti non si sarebbe svegliato più.
Fece dei grandi respiri, ma fu solo peggio. Il fumo penetrò nei suoi polmoni, raschiandoglieli. John trattenne il fiato, ma non aveva le forze per restare così a lungo.
Un suono di scalpiccio ovattato arrivò al suo orecchio destro. John voltò il capo, lentamente, e con la vista offuscata vide due paia di zoccoli avvicinarsi a lui.
Era troppo impegnato a sopravvivere per andare nel panico.
Per un attimo, pensò che quel pegaso credesse davvero che fosse morto, e che voleva mangiarlo. Ma poi sentì qualcosa di ruvido e umido sfregare contro la sua mano, inzuppandogliela.
Quell’animale lo stava leccando. Non aveva idea del perché lo stesse facendo, ma era piacevole. Lo aiutava a non sentire più il bruciore delle ustioni.
Il pegaso passò la lingua lungo tutto il suo braccio, per poi concentrarsi sul suo fianco. Dopo circa un quarto d’ora, indietreggiò.
John non riusciva a scorgerlo neanche con la coda dell’occhio, ma sentiva la sua presenza incombere su di lui.
Con un po’ di esitazione, provò ad alzarsi. I suoi muscoli erano ancora indolenziti, troppo deboli per sorreggere il suo peso. Ma il fianco non gli faceva più male. Né il fianco, né il braccio. Lanciò un’occhiata alle sue ustioni. Erano sparite. Al loro posto, c’era solo una piccola zona un po’ più rosea della sua pelle, ma per il resto erano sparite.
John si domandò se fosse merito del pegaso, mentre lo cercava con lo sguardo. Forse la sua saliva aveva dei poteri curativi che lui non conosceva. Non si era mai interessato più di tanto a questo genere di informazioni.
Quasi subito, quando si tirò su a sedere e sollevò gli occhi, lo vide osservarlo da lontano. Se ne stava lì, a circa un metro da lui, e sembrava avere paura.
John continuava a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo. Una strana sensazione ormai nota si stava insinuando nel suo petto, e non poté fare a meno di indietreggiare quando il pegaso fece un passo avanti.
Questo, però, sembrò spaventarlo, perché arrestò la sua camminata e tornò dove si trovava prima.
John si diede mentalmente dello stupido. Era solo un cavallo, per la miseria. Un cavallo, solo e assolutamente uguale a tutti gli altri.
Ma forse era proprio quello il problema.
John chiuse un attimo gli occhi, facendo due grandi respiri. Quel pegaso l’aveva aiutato. Avrebbe potuto infischiarsene, e invece era tornato indietro e l’aveva curato. Gli aveva salvato la vita.
Cercò di pensare a questo, mentre riapriva gli occhi e lo guardava. Un immagine tentò di riaffiorare alla sua mente, ma lui la soffocò, deglutendo con fatica. Allungò una mano verso di lui, esitante.
Il pegaso lo squadrò un attimo, indeciso, ma poi si avvicinò con circospezione. Era arrivato a circa mezzo metro di distanza quando John sentì il suo cuore fremere.
Il cavallo annusò con curiosità il palmo teso della sua mano, per poi leccargliela. Riconobbe il sapore della sua saliva, e vi ci poggiò il muso, nitrendo leggermente.
John sfiorò con delicatezza il dorso di quel naso liscio e un po’ sporco.
Lo stava accarezzando. Lui, senza più paura. Stava accarezzando un cavallo. Il pegaso gli leccò di nuovo il palmo, facendogli sfuggire un sorriso.
Quell’animale non era cattivo. E forse non lo era mai stato. Forse non lo era mai stato nessuno di loro.
La verità, è che la cosa di cui lui aveva più paura erano i suoi ricordi, perché facevano troppo male e perchè lui non riusciva a combatterli. Ma adesso aveva seguito il consiglio di Emma. Li aveva domati, e, mentre continuava ad accarezzare quella creatura, non gli facevano più così tanta paura.
Il pegaso gli masticò un po’ i capelli, cacciando via anche quei pochi residui di sangue dovuti a qualche ferita superficiale alla testa.
John cercò di alzarsi in piedi, per poi fare qualche passo un po’ barcollante. Si guardò un intorno, spaesato, e solo quando si rese conto di essere davvero solo con quel cavallo la verità lo colpì come un pugno nello stomaco.
Emma…
Portò le mani a coppa alla bocca e gridò. «Emma!»
Niente.
Si passò una mano fra i capelli, preoccupato.
«Dannazione!» imprecò, dando un calcio ad un albero lì vicino. Il tronco di quest’ultimo si sgretolò un po’, incenerito.
La sua amica era stata rapita, e lui non aveva idea di dove l’avessero portata.
Il pegaso nitrì, ma lui lo ignorò. Cercò di pensare a tutti i possibili posti dove avrebbero potuto segregarla, ma il problema giungeva sempre quando si trattava di come arrivarci.
Il pegaso nitrì di nuovo, cercando di attirare la sua attenzione.
John lo guardò. Il cavallo alato si stava agitando sul posto, e continuava ad indicare con un cenno del muso un punto indefinito.
John corrucciò le sopracciglia, ma poi capì. Sgranò gli occhi. «Tu sai dove l’hanno portata?»
Il pegaso nitrì, alzandosi sulle zampe posteriori in segno d’assenso. John si grattò la fronte. «E come pensi che potrei arrivarci?»
A quel punto, il pegaso rastrellò uno zoccolo a terra, sbuffando con le grosse narici. Spiegò le grandi ali bianche e gli diede la schiena, in attesa.
Il ragazzo ci mise un po’ per capire.
Lo stava invitando a cavalcare. Dopo circa quattro anni, il modo migliore per arrivare in fretta dalla sua amica era saltare sul suo dorso e prendere il volo.
Ma era davvero pronto a farlo? Dopo tutto questo tempo passato ad aver paura dei cavalli, era davvero pronto a montare uno di loro?
Doveva compiere una scelta. Chi avrebbe vinto?
La necessità di salvare Emma?
O le sue paure?
 
Ω Ω Ω
 
Emma cercava di ribellarsi con tutte le sue forze, mentre gli uomini continuavano a strattonarla chissà dove. La tenevano ben salda, e dopo un po’ il sole cocente e la loro stretta di ferro cominciarono a bruciarle sulla pelle.
Passarono circa un paio d’ore, e la figlia di Ermes si rese conto di star scalando una montagna solo quando camminare divenne più faticoso.
In quel momento, smise di ribellarsi, stupita, e si guardò intorno.
Il luogo d’incontro? Chi potevano mai incontrare su una montagna di un’isola disabitata? C’erano altre persone con loro? Avevano forse rapito o attaccato Skyler e Michael?
Per porgersi quelle domande rimase ferma un secondo più del dovuto, tant’è che l’uomo che le stringeva il braccio destro le diede una spinta, costringendola a camminare. 
Faceva caldo, e il sudore le imperlava la fronte appiccicandole i vestiti al corpo.
Gli uomini continuarono ad avanzare, e ad un certo punto si sistemarono in fila indiana, per poter passare su uno stretto pendio roccioso.
Doveva pur esserci una via di fuga, in tutto questo. Era disposta a tutto.
Ma quando si sporse a sinistra, le sue convinzioni vacillarono.
Una forte nausea le invase lo stomaco, mentre la testa cominciava a girarle.
C’era il vuoto. Si trovavano a chissà quanti metri d’altezza, e sotto di loro solo aria.
Le sue gambe cedettero, ed Emma rischiò di accasciarsi fra le braccia degli uomini che la stringevano.
Il Capitano le lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, e l’angolo della sua bocca ebbe un guizzo, probabilmente convinto che la paura della ragazza fosse dovuta a loro.
Emma si sforzò di non pensarci, e, preso un bel respiro, chiuse gli occhi, facendosi guidare dai suoi rapitori.
Dopo un tempo che parve infinito, il Capitano si fermò, e con lui tutti gli altri. Emma alzò lo sguardo. Si trovavano alla fine del pendio, in uno spazio grande ma che sembrava fin troppo stretto.
Il Capitano si voltò a guardarla, con un ghigno soddisfatto. «Lasciatela» ordinò, e i suoi uomini obbedirono.
Emma provò l’impulso di sfregarsi le braccia non appena la lasciarono, ma sarebbe stato un segno di debolezza, e l’ultima cosa che voleva era dimostrare a quell’uomo di avere paura.
Uno dei due le diede uno spintone, facendola barcollare in avanti. Il Capitano continuava a puntarle gli occhi addosso, e per un po’ la figlia di Ermes provò a sostenere con astio il suo sguardo.
L’uomo le girò introno, portandosi alle sue spalle. Emma si voltò a guardarlo, per tenerlo d’occhio, e quando lui fece un passo avanti, lei ne fece uno indietro.
Lui provò di nuovo ad avanzare verso di lei, ma la ragazza indietreggiò, finché i suoi talloni non trovarono un precipizio. Emma chiuse gli occhi, sforzandosi di non tremare.
«Dove ci troviamo?» chiese, cercando di non tradire il tremitio della sua voce.
Il Capitano sorrise. «Ho pensato di parlarti, prima di condurti dal Generale» annunciò, giocherellando con un bottone della sua camicia.
Emma deglutì. «Il Generale è qui?»
L’uomo sembrò rabbuiarsi, ma annuì. «Ci ha ordinato» cominciò, ma poi ci ripensò. «Ci ha chiesto di cercarvi. Sai, non gli è piaciuto per niente quello scherzetto sulla nave. Né tanto meno a me.»
Emma soffocò una risata sarcastica. «Come se ce ne importasse qualcosa.»
Il Capitano digrignò i denti, e si irrigidì. «Ad ogni modo, lui ha intenzione di uccidervi tutti» riprese. Poi la guardò con un ghigno arcigno. «Ma io sono qui per proporti un accordo.»
Emma inarcò un sopracciglio, in ascolto. Per precauzione, fece qualche passo avanti, pur di allontanarsi da quel precipizio. «Che genere di accordo?»
Gli occhi del Capitano si illuminarono, come se non aspettasse altro che quella domanda. «Come ben sai, per voi ci sono davvero pochissime speranze di sopravvivenza» cominciò. «Vi porteremo tutti sul Cuore del Drago. Vedi? Quella montagna laggiù» disse, indicandogliela con un cenno. Emma seguì con lo sguardo la direzione del suo braccio, mentre lui continuava a parlare. «E lì, beh… sappiamo entrambi che cosa potrebbe succedervi.»
La bionda lo guardò, con un misto di odio e preoccupazione. Lui ghignò. «Ma tu potresti salvarti.»
Emma aggrottò la fronte, non capendo. «Che cosa vuoi da me?» ringhiò.
Lui rise, quasi la stesse prendendo in giro. «Voglio solo la tua collaborazione. Io voglio trovare i tuoi amici e tu vuoi salvarti la pelle, giusto? Perché non aiutarci a vicenda, allora.»
Emma sembrò indignata. «Tu mi stai…»
«Oh, andiamo, non fare la difficile!» la interruppe lui, zittendola con un gesto della mano. «Sappiamo entrambi che se non accetti per te finirà male. Ti sto offrendo la mia protezione, non ti pare?» Sorrise, avvicinandosi di un passo. Ma stavolta, Emma non indietreggiò. «Per loro non c’è comunque storia, non riusciresti lo stesso a salvarti. E poi, guardati intorno» esclamò, allargando le braccia. «Loro non stanno cercando di salvare te.»
Emma strinse i pugni, conficcandosi le unghie nella carne con così tanta forza da procurarsi dei piccoli segni a forma di mezzaluna sui palmi. «E che cosa speri di ottenere?»
«Beh, tu, intanto, ne ottieni la vita. Ed io…» Fece un sorriso sghembo. «Sai, mi sei sempre piaciuta, figlia di Ermes.»
Emma inarcò le sopracciglia, incrociando le braccia al petto. «Oh, davvero?» disse, scettica.
Lui alzò le mani in segno di resa, ridacchiando. «Lo so, lo so. Non sembrerebbe. Ma, ehi, cerca di capirmi. Mi avete distrutto la nave, dovevo pur vendicarmi. Ma ho sempre ritenuto che fossi tu la più intelligente.» La guardò negli occhi, inclinando leggermente la testa di lato. «E sono convinto che tu sappia riconoscere una buona offerta quando la vedi.» La bionda esitò, e questo gli diede un motivo in più per continuare. «Ciò che ti chiedo io è semplice. Tu ti allei con noi, e nessuno ti farà più del male.»
«E con allearmi con voi intendi tradire i miei amici?»
Lui arricciò il naso. «Intendo aiutarci a capire le loro debolezze, si.»
Emma fece un breve sospiro, irrigidendosi. «Fammi capire bene» cominciò, stringendo gli occhi a due fessure. «Tu vuoi che io vi aiuti a distruggere i miei amici. Che vi dica il modo più crudele per sconfiggerli, e che li tradisca così, di punto in bianco. E tutto questo in cambio della vita.»
Lui annuì, compiaciuto. «L’ho detto, io, che eri intelligente.»
Emma distolse lo sguardo, facendo credere che ci stesse pensando. Dopo un po’, gli diede le spalle e con esitazione si avvicinò al precipizio.
Il suo cuore sfarfallò non appena un forte vento le scompigliò i biondi capelli, ma, stringendo i denti, si impose di guardare giù.
Perse un battito, mentre una crudele nausea le assaliva lo stomaco. Si trovavano a circa venti metri di altezza, e la vertigine le faceva girare vorticosamente la testa.
Era sempre la stessa storia. Era per questo che non riusciva mai a scalare più di un metro del muro al campo. Era per questo che ogni volta che i suoi fratelli si sfidavano a chi raggiungesse prima la cima dell’albero lei scappava via. Era per questo che non aveva mai viaggiato su un aereo, che non era mai salita su un tetto, che non si era mai arrampicata su un cornicione, che adesso faticava a guardare in basso.
Lei aveva paura. Era strano, da dire, ma era così. Lei aveva paura come non ne aveva mia avuta in vita sua. I denti le battevano per un riflesso incontrollato, aveva la pelle d’oca e giurò che se non si fosse allontanata immediatamente da lì avrebbe rischiato di vomitare. Cominciò ad ansimare, ma fortunatamente il Capitano era troppo lontano perché potesse sentirla. Emma irrigidì la mascella, serrando gli occhi e imponendosi di calmarsi.
Ma non ci riusciva. Ora capiva come doveva sentirsi Skyler quando vedeva il fuoco, o Michael quando scorgeva l’acqua, o John quando vedeva un cavallo o un pegaso fissarlo con astio.
Per anni, lei aveva sempre ignorato la sua paura. Ci aveva sempre girato intorno, senza mai affrontarla realmente. Ma, lo stava imparando a sue spese, prima o poi la vita ti ci pone davanti, e sta a te scegliere se farti sopraffare o se affrontarla di petto.
Si voltò verso il Capitano, guardandolo negli occhi. Lentamente, andò verso di lui, finché non si trovarono a circa un metro di distanza.
Lui sorrise. «Allora, hai deciso?» domandò. «Ci aiuterai?»
Emma ghignò, avvicinandosi ancora di più. Si sporse verso di lui, sussurrando in modo che fosse l’unico a poterla sentire. Lui trattenne il fiato, eccitato, ma ciò che gli disse lo spiazzò.
«Preferisco morire.»
Il Capitano non ebbe neanche il tempo di metabolizzare quelle parole, che Emma si era già voltata e aveva cominciato a correre verso il precipizio.
La ragazza non riuscì a pensare. Vi andò incontro, senza esitare, e quando la terra sotto i suoi piedi stava per finire, saltò.
L’aria le fischiò nelle orecchie, così forte da impedirle qualunque pensiero.
Il terreno si sollevava verso di lei, pronto a raggiungerla. O era lei ad andare verso di lui? Era impossibile dirlo, in quello stato.
Stava morendo. Il cuore le batteva così forte nel petto da farle male, e ogni muscolo del suo corpo era in tensione mentre la sensazione della caduta le afferrava lo stomaco.  
Era consapevole di ciò che aveva fatto, e non se ne pentiva. Ma quando chiuse gli occhi, pronta ad affogare fra le braccia di Gea, qualcosa la afferrò al volo, arrestando la sua caduta.
Emma sbarrò gli occhi, scioccata, e non capì cosa fosse successo finché non incontrò le iridi verdi di John.
«Emma!» esclamò lui, con un sorriso. «Sei viva!»
«Già…» cercò di sussurrare lei, ma la sua voce spezzata si perse nel vento. Alzò lo sguardo, osservando il punto dal quale si era lanciata, e un nodo le si strinse in gola per la paura. Ansimava. «Avete visto tutti?» urlò, con occhi spiritati. «Perché col Tartato che lo rifaccio!»
John rise, sollevato. Se la strinse al petto, poi la guardò sorpreso. «Erano più di venti metri!»
Emma deglutì, rabbrividendo. «Ti prego, non ricordarmelo.»
Solo in quel momento, mentre si guardava intorno, si rese conto che in realtà stavano volando. Stupita, guardò sotto di se, e vide un bellissimo pegaso portarli in salvo controvento.
«John!» esultò, mentre un sorriso si faceva largo sul suo viso. Lo guardò. «Ma questo è un pegaso!»
Il ragazzo forzò una risata a fior di labbra, visibilmente teso. «Ti prego, non ricordarmelo» mormorò, a denti stretti. Emma rise, divertita.
Il pegaso sembrò nitrire preoccupato, e a quel punto John si rabbuiò. «Dobbiamo trovare Skyler e Michael» disse, con tono determinato. «Temo che gli sia successo qualcosa.»
Emma annuì, cupa ma decisa. «Li hanno presi. Il Generale li ha portati su quella montagna.» Si voltò a guardarlo, pronta a dargli coraggio, ma quando incrociò i suoi occhi capì che non ce n’era bisogno.
«Muoviamoci» lo incitò.
E, dopo che il pegaso si fu leggermente impennato, volarono più veloce che poterono verso quella che sembrava essere la vera e propria battaglia.

Angolo Scrittrice.
Okey ragazzuoli, eccomi qui. Scusate se non sono riusicta a pubblicare prima, ma oggi è stata una giornata un po' così, quindi sorvoliamo...
Alors, che ve ne pare? Vi è piaciuto il capitolo? Spero tanto di si...
Molti di voi mi avevano chiesto che fine avessero fatto Emma e John, e, beh, questa è la risposta. Sono stati costretti anche loro ad affrontare le loro peggiori paure. Abbiamo capito più a fondo quella di John (che ora non sembra più tanto stupida come all'inizio, lo ammetto xD) e abbiamo visto Emma sconfiggere la sua pur di salvare i suoi amici. Che ragazza dal cuore d'oro, lei :3
Bien bien, è molto tardi e domani c'è scuola, quindi passo direttamente ai ringraziamenti. Un grazie infinito a:
kiara00, Fred Halliwell, heartbeat_F_, FoxFace00, chakira, DormitePayne, Ema_Joey e Greg Heffley. Siete fantastici, Angeli <3
Oookey, ora è arrivato davvero il momento di andare. Un bacio enorme e grazie ancora.
Sempre vostra,
ValeryJackson


 
  
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