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Autore: Nuel    27/03/2014    8 recensioni
Un sogno ricorrente o, più propriamente, un ricordo di bambina che protende le mani verso un padre inghiottito dalle tenebre del tempo e una promessa, forgiata nella lama di una spada.
♣ Questo racconto si è classificato terzo al contest "La ragazza e... la spada", indetto da Darllenwr, sul forum di EFP.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Guallidurth'
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Memento
 
 C'era un ricordo che Elmara Kestal non riusciva a cancellare e che, dalla sua prima infanzia, aveva preso ad intrufolarsi nelle sue notti, lasciandola inquieta al momento del risveglio.
    Non era un ricordo angoscioso, non era nemmeno spaventevole e, per la verità, lo riteneva un episodio privo di importanza, solo che non riusciva a dimenticarlo: sua madre riposava nel grande letto, con la mano appoggiata morbidamente sulla lama di una spada e suo padre entrava silenziosamente in camera, il passo claudicante per le recenti ferite, si fermava a guardarla per un istante, ma, nel ricordo, Elmara Kestal non riusciva a vederne il volto: i tratti del padre erano persi nella notte dei tempi. Lui si chinava su sua madre, le sfilava la spada da sotto il palmo e se ne andava.
Suo padre le aveva abbandonate.
Ingoiato dal Buio, diceva sua madre, senza lasciare traccia.
Si era chiesta spesso come sua madre non si fosse svegliata, ma non aveva trovato una risposta.
Forse, semplicemente, aveva voluto così il destino.
Quello che la angosciava, però, era altro: lei era nel suo lettino, le serpi sacre della madre giocavano con lei, la proteggevano con le loro spire, avvolgendola senza stringere, solleticandole la gola con le lingue biforcute e, quando suo padre aveva preso la spada e si era fermato a guardarla per un solo attimo, avevano rivolto i loro occhi scuri e vitrei verso di lui ed era successo qualcosa.
"Arrivederci"
Drivilmdril aveva emesso una pallida luce, la lama incantata della spada si era rivolta a lei ed il suo cuore aveva battuto più forte.
Aveva allungato le manine verso la spada, ma suo padre si era girato ed era uscito dalla sua vita.
     Non era stata una fantasticheria da bambina, ma, per molto tempo, aveva tenuto per sé quel ricordo, incapace di esprimerlo nella maniera appropriata, timorosa di suscitare l'ira della madre od anche, solamente, di sembrare sciocca.
Gli anni erano passati senza che ci pensasse più di tanto, era stata presentata alla Santa Madre della sua Casata, erano cominciate le lezioni e le lunghe ore di preghiera al Tempio e, spesso, era stata troppo stanca per spendere le poche forze rimaste in chiacchiere. 
Il suo destino era scritto dal giorno in cui era venuta al mondo: sacerdotessa, come comandavano i dogmi della loro fede.
Avrebbe dovuto imparare ad usare la magia, le armi da botta, la frusta e la balestra.
La spada, secondo la tradizione, non era arma che una sacerdotessa della Dea usasse.
Mentre vibrava colpi all'aria, ripetendo le figure fondamentali del combattimento, le capitava di ragionare che suo padre era stato un maestro d'armi, l'Ul'Saruk, il "Mai Battuto" e che, nelle sue vene, scorreva il sangue di quel guerriero invincibile. Possibile che non le avesse trasmesso la minima capacità combattiva?
Aveva scoperto presto di essere scoordinata, lenta, priva di quel particolare talento che, in battaglia, fa la differenza tra vivere e morire.
C'era una certa ironia nel pensare che era nata nel tempio del Campione della Dea, patrono della guerra, nel giorno in cui suo padre aveva condotto alla vittoria le truppe della città nella più grandiosa battaglia che si ricordasse negli ultimi secoli... e la sua razza aveva buona memoria.
    Quella notte, Drivilmdril aveva brillato di nuovo, nei buio della sua mente assopita e la giovane elfa scura era particolarmente nervosa, continuava a mordicchiarsi il labbro inferiore, tamburellando le dita affusolate sul fianco, dove avrebbe dovuto esserci la mazza ferrata, chiedendosi se non fosse giunto il momento di confidare quello strano tormento alla madre.
La cintura d'arme in dotazione agli allievi, quel giorno, era rimasta nella sua stanza, assieme al giaco di maglia metallica che indossava normalmente durante gli allenamenti: era il giorno successivo alla festa della Dea ed agli allievi era consentito di incontrare, dopo un anno, le proprie madri.
Per lei, che aveva la madre come insegnante, al Tempio, non era poi una data tanto importante, eppure, trattandosi di un incontro formale, non era a proprio agio: la somma Nurlana non era una semplice sacerdotessa e nemmeno una delle tante maestre del Tempio: era una Somma Sacerdotessa ed era una delle Anziane. I secoli non avevano lasciato traccia sulla sua pelle di ossidiana ed i lunghi capelli candidi le scivolavano dietro le spalle come un mantello di seta.
Elmara Kestal sapeva di somigliarle, anche se era più alta e più robusta di lei, ma la sua giovinezza non le consentiva di ostentare la sicurezza ed il fascino della sua augusta genitrice, così, di fronte a lei, finiva sempre per chinare il capo, non tanto perché questo prevedeva la loro rigida gerarchia sociale, ma perché temeva lo sguardo dei suoi occhi viola.

    Il brusio costante, basso e controllato dai silenziatori arcani, riempiva la caverna in cui sorgeva, splendida, la città, insinuando negli abitanti la minacciosa consapevolezza di non essere mai soli. Le luci magiche che avvolgevano pallidamente i castelli delle principali Casate dell’enclave brillavano lontane, oscurate, talvolta, dal passare dei pipistrelli che volteggiavano nei pressi della volta. Il corno suonò, presso il Tempio Centrale e dopo pochi secondi gli rispose il corno del Tempio sull'acrocoro, una precisa sequenza che scandiva il trascorrere del tempo, e che confermava che il delicato status quo tra le principali Casate della città continuava. 
    Non sarebbe scoppiata una guerra a salvarla da quell'incontro.
Elmara Kestal sospirò e rivolse una rapida preghiera alla Dea, prima di raggiungere la madre.
Ricordava i corridoi che conducevano agli alloggi materni, anche se non le era mai capitato di percorrerli con frequenza. Le guardie alla porta non le fecero domande, lasciandola bussare e quando la voce della Somma Nurlana le ordinò di entrare, Elmara Kestal si ritrovò nella stanza della sua infanzia. Solo il suo lettino non c'era più.
«Vi porgo i miei omaggi, venerabile somma sacerdotessa.» La salutò in maniera formale.
Prima di sua madre le risposero le serpi, aggrovigliate alla vita della somma sacerdotessa come lo erano state, quella notte, al suo corpo.
La voce dell’Anziana aveva un timbro basso e mielato che le faceva accapponare la pelle: era abituata agli ordini delle sacerdotesse ed ai modi bruschi dei maestri, ma non sapeva mai come comportarsi davanti alla sua apparente gentilezza.
Sentì lo stomaco chiudersi quando la madre la invitò ad accomodarsi: non avevano realmente nulla di cui parlare poiché la sua salute e la sua istruzione erano quotidianamente sotto il vigile sguardo materno.
Sua madre la precedette, raggiungendo la grande poltrona dallo schienale in ferro che riproduceva le otto zampe di un ragno congiunte in alto e vi si accomodò con movimenti lenti e seducenti ed Elmara Kestal rabbrividì, andando a sederle di fronte, in quella parte della stanza arredata come un piccolo salotto.
«Dobbiamo parlare.» Annunciò Nurlana con una insolita punta di premura.
«Vi ascolto.» La sua voce sembrava sempre esitante quando le rispondeva, troppo infantile per la sua età, a tratti diventava quasi afona come se ancora non fosse ben modulata.
Le serpi sacre lasciarono il ventre materno per allungare le spire nella sua direzione, come in cerca della sua mano, saggiando l'aria con le lingue biforcute, percependo la sua paura ed il suo nervosismo.
«Cosa temi?» Sua madre aveva inclinato il capo di lato e la stava osservando, stava sentendo la sua paura attraverso il legame empatico con le serpi.
Elmara Kestal lo sapeva, lo leggeva nel suo sguardo. «Nulla.»
«La paura è forte come l'acciaio, figlia mia -recitò la prima parte del primo dogma. -Impara a dominare la tua ed a suscitare quella altrui. Un giorno sarai sacerdotessa e dovrai imparare a dosare la paura dei tuoi seguaci, ma anche delle tue consorelle, se vorrai sopravvivere.»
Elmara Kestal annuì; conosceva la lezione sulla paura: non mostrarla per non sembrare debole, incuterla nella misura necessaria a sottomettere. Non eccedere, per non suscitare reazioni disperate. L'ultima parte era insegnamento materno, quasi un segreto sussurrato al suo orecchio, per prepararla a quello che sarebbe stato. 
La madre la osservò per alcuni momenti, in silenzio e finalmente riprese a parlare.
«Sto per partire, Elmara Kestal. Ho ricevuto ordine dal Consiglio di recarmi nella città santa per avviare una trattativa diplomatica e commerciale.»
La giovane la guardò come se non afferrasse il senso delle sue parole.
«Come sai, questa città ha, ormai, più nemici che alleati ed un accordo con Guallidurth potrebbe giovarle notevolmente. Consentirebbe alle Sante Madri di guadagnare qualche decennio di tempo, prima che...» Lasciò cadere la frase, accompagnando le parole con un gesto della mano che pareva voler minimizzare, allontanando il fosco presagio di un futuro di guerra e decadenza, ma Elmara Kestal la conosceva a sufficienza da comprendere i suoi timori.
«Quando tornerete?» Le chiese, incerta che quella fosse la domanda che la madre si aspettava da lei ed infatti Nurlana sbuffò, vagamente divertita.
«Non sono ancora partita e mi chiedi del mio ritorno? -Scrollò il capo.- Se le cose vanno come prevedo, non tornerò, Elmara Kestal, ma farò in modo che tu e tuo fratello mi raggiungiate non appena le condizioni lo permetteranno.»
Elmara Kestal boccheggiò, ma la madre agitò di nuovo la mano, come ad allontanare le sue domande, prima di riprendere a parlare: «Ho disposto affinché la Setta ti protegga come ha sempre protetto me; potrai rivolgerti loro, se avrai bisogno di aiuto: sei nata nel loro Tempio: non ti abbandoneranno. Non potrai contare sul maestro Y'haerrd, invece, perché verrà con me, come mio consigliere e cerca di non coinvolgere troppo tuo fratello nei tuoi problemi: tra poche settimane, alla Dea piacendo, entrerà in servizio attivo come guardia di palazzo e non avrà tempo da perdere con te... -Sua madre parlava, continuando a darle istruzioni, disegnando lo schema degli alleati che le avrebbe sottratto e dei pericoli che avrebbe potuto correre, una volta priva della sua protezione. 
-... se sarò fortunata potrei persino trovare la tua eredità, là fuori!» Dal suo tono, quasi ironico, si intuiva che non lo pensava realmente, tuttavia, la figlia sapeva che la madre non diceva mai nulla senza un motivo. 
«La mia eredità?» Elmara Kestal si accigliò, non capendo a cosa si riferisse, ma sapendo con discreta certezza, questa volta, che era quello che la madre voleva sentirsi chiedere.
Nurlana si alzò, dirigendosi verso una delle feritoie che costituivano le finestre della stanza e guardò fuori, nella notte eterna della caverna. 
Elmara Kestal la seguì con lo sguardo, rendendosi conto che c'era qualcosa di diverso, in lei, qualcosa che non avrebbe saputo descrivere e si sentì stringere il cuore: il loro rapporto non era dissimile di quello degli altri figli coi propri genitori: non c’era amore e non c’era nemmeno affetto, solo uno stretto legame di doveri ed aspettative, tuttavia, in quel momento, ebbe la netta sensazione che quella interdipendenza, tra loro, nascondesse profondità diverse, aspetti che non erano comuni nella loro società. Eppure, un giorno, se fosse vissuta abbastanza da diventare una sacerdotessa potente, sarebbero state potenziali nemiche e questo non sarebbe cambiato per l’embrione di una sorta di comunione che aveva con lei.
    Osservò con attenzione la linea della sue spalle, mentre ancora le dava la schiena: fragile e forte assieme, Nurlana non aveva mai permesso a nessuno di nuocere a quello che le apparteneva, eppure era piccola, non arrivava nemmeno ad un metro e mezzo di altezza ed era esile. 
A suo confronto, Elmara Kestal si sentiva goffa e pesante... e lei le apparteneva.
«Tuo padre aveva una spada -Cominciò dopo un silenzio che era parso eterno, senza guardarla. -Non era una spada incantata qualsiasi. Era una dannata arma con ego! -Elmara Kestal sentì chiaramente il disprezzo nella voce materna. -Il nome che le aveva dato era “Drivilmdrill”, era una spada con personalità femminile.» Sospirò e finalmente tornò a voltarsi verso la figlia ed Elmara Kestal capì l'origine dell'astio della genitrice: era qualcosa legato a quella spada.
Nurlana tornò a sedersi e la guardò direttamente in volto. La sua espressione era tornata imperturbabile, una maschera di perfetta serenità che copriva ogni moto dell'animo, ma alla figlia non sfuggì il modo quasi distratto in cui la sacerdotessa accarezzava l’anello di ferro all’anulare sinistro: l’anello del Padrone. Aveva intuito da tempo che qualcuno, là fuori, nel Buio, doveva avere la sua controparte magica: l’anello dello Schiavo.
«Tuo padre divideva empaticamente ogni conoscenza con quell'arma, affinché, alla sua morte, essa potesse guidare il suo erede, condividendo con lui tutte le tecniche che aveva appreso e le esperienze che aveva vissuto col lui. Sei tu la sua erede, quindi, quella spada appartiene a te, Elmara Kestal. Certo, se mai riusciremo a ritrovarla!»
Elmara Kestal l'ascoltava con gli occhi sgranati: la ricordava come se l'avesse appena vista: le rune incise sulla lama, l'impugnatura decorata, il tenue baluginio della magia e il suo... “tepore”, come se l'avesse tenuta tra le mani.
Non sapeva cosa dire. All’improvviso si ritrovò a chiedersi se le loro esistenze sarebbero state diverse se suo padre fosse rimasto con loro... se sua madre non si fosse sentita... messa da parte per una spada? 
Il ricordo era più vivido che mai: il maestro d’armi entrava e prendeva la sua arma e poi si volgeva verso la figlioletta. 
Aveva guardato la sua compagna? Si era impresso nella mente il suo volto?
Quante volte sua madre doveva esserselo chiesto?
«Drivilmdrill.» Mormorò a mezza voce, riemergendo dal ricordo, incastrando quella nuova conoscenza con quell’“arrivederci” che risuonava così nitidamente al suo orecchio.
Nurlana annuì, appoggiando le spalle allo schienale metallico della poltrona, tenendo gli occhi scuri su di lei, osservando il suo volto come potesse leggerle la mente.
La giovane se ne rese conto e sentì bruciare la punta delle orecchie per l’imbarazzo che quell’esame le suscitava. «Io -iniziò a dire, per stemperare l’imbarazzo, rendendosi conto che non aveva ricevuto alcun permesso di parlare, ma la madre non la stava guardando male: si limitava ad osservarla. -Io ricordo quella spada. -Si umettò le labbra rendendosi conto improvvisamente che erano diventate secche. -Ricordo che era adagiata di fianco a voi... » Si interruppe, rendendosi conto della potenziale pericolosità di quell’argomento.
Nurlana respirò lentamente, a fondo, continuando ad osservarla. Le serpi le si avviticchiarono intorno alle braccia, mollemente adagiate in grembo, come se fossero altre due di loro, stringendone i polsi, quasi a volerne impedire un tremore. «Quel giorno c’era stato un duello... -Chiuse gli occhi, come se le fosse necessario per immergersi meglio negli eventi di tanti anni prima. -Uno sciocco aveva sfidato l’Ul’Saruk, forte di alleati che ignoravamo... -Riaprì gli occhi, sorridendo delicatamente. -Tuo padre aveva più nemici di quelli che immaginava.»
«Molti nemici, molto onore!»
La somma sacerdotessa annuì al motto che aveva sentito sulle labbra di tanti giovani che ancora poco sapevano della vita e di alcuni che erano sopravvissuti a lungo, schiacciando ogni nemico che avevano incontrato sul loro cammino. «Fu uno scontro duro. Alla fine vinse, come sempre, ma a caro prezzo. Le sue ferite erano tanto gravi da far temere per la sua vita. Mentre veniva soccorso, raccolsi la sua spada caduta, per portarla al sicuro. -Fece una pausa ed Elmara Kestal ebbe l’impressione che le costasse aggiungere le ultime parole. -Non avrei permesso a nessun altro di toccarla.»
Lei non faceva mai il nome dell’uomo che le era stato compagno per ultimo e la ragazza ebbe la sensazione che il suo rifiuto, così come l’attenzione per quella spada, tanto importante per lui, avessero un significato più profondo, qualcosa che era meglio non indagare per non aprire vecchie ferite.
«Se non la doveste trovare voi, madre... un giorno la sua ricerca sarà compito mio. Mi spetta. E’ mia e non la lascerò in mani indegne.»
Vide sua madre sorridere appena, soddisfatta dalla sua risposta e forse persino orgogliosa di lei in un modo che non poteva immaginare.
    Prendendo congedo, poco dopo, Elmara Kestal ebbe l’impressione che l’espressione di sua madre fosse cambiata dopo la sua promessa, come se un peso le fosse stato tolto dal cuore.
Avrebbe ritrovato la spada e, quel giorno, avrebbe conosciuto la sorte di suo padre, anche se, forse, non avrebbe mai potuto rivelarla a sua madre.
Al centro del suo cuore sentì qualcosa contrarsi e poi espandersi come un battito più fragoroso e fu certa che, da qualche parte, nel Buio Profondo, la lama di Drivilmdrill si era illuminata in risposta.
   
 
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