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Autore: Gabx    29/03/2014    1 recensioni
Erin è una ragazza sui vent'anni nella Londra degli anni '50 e di mestiere fa la cameriera al piano. Viene assunta in una prestigiosa villa grazie a delle sue conoscenze. Incontrerà chi le cambierà la vita, una contessa londinese affascinante e misteriosa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Leggere in compagnia
 
2 dicembre 1952
 
Il sole mi aveva regalato una inaspettata bella giornata. Era dicembre per cui ne ero sorpresa. Mi affrettai a pagare la spesa per la famiglia Blake e tornai verso Browning Street con passo sicuro. Era quasi un mese che lavoravo per loro e a parte qualche alto e basso, mi ero ambientata bene. Non andavo molto a genio a Mary, forse perché pensava le avrei rubato il lavoro. Non era mia intenzione e di sicuro non volevo una cosa del genere. Ero una che si faceva abbastanza gli affari propri, a meno che non si trattasse delle persone a cui tenevo.
Louise mi aveva chiesto di non dire a nessuno di quell’episodio con il suo promesso e ovviamente non mi ero potuta rifiutare. Ma da quel giorno mi trattava con più freddezza. Forse aveva paura che l’avrei ricattata per avere più gratifiche con la promessa di non parlare. Se mi considerava una persona così orribile, si sbagliava di grosso. Non sono affatto così.
Scossi la testa e ritornai con i piedi a terra. Devo fare il mio lavoro. Per questo vengo pagata.
Posai tutto sulla grande tavola della cucina e aiutai Patrick a mettere i pacchetti comprati nei loro appositi spazi.
“Come state, signorina Johnson?”mi domandò improvvisamente.
“Ti ho già detto di chiamarmi Erin, Patrick.”
Arrossì. Era veramente un caro ragazzo.
“Allora, come stai, Erin?”provò di nuovo e un sorriso imbarazzato apparse sul suo viso.
“Bene, dai. Tu? Non hai una ragazza carina a cui comprare i fiori?”gli domandai scherzosamente ma lui diventò subito rosso come un pomodoro. Sparì nella dispensa. Avevo detto qualcosa che non andava? Ero stupita. Forse non ne poteva parlare o semplicemente era troppo timido. Un giorno mi avrebbe raccontato. Ora dovevo portare la colazione Louise. Sì, la chiamavo per nome nei miei pensieri, perché non mi riusciva di chiamarla Contessa.
Salii le grandi scale con il cabaret del tè caldo alla vaniglia, i biscotti, il latte e lo zucchero. Posai il tutto su un mobile e bussai alla porta.
“Avanti!”sentii chiaramente e così aprii la porta e mi inoltrai nella stanza. Louise era alla sua scrivania, china su grossi volumi e carte. Si lasciò andare contro la sedia.
“Ah sei tu, Erin. Lascia tutto lì. Berrò il tè quando avrò finito.”sentenziò e riprese la penna a sfera.
“Ma, mia signora, si raffredderà e ..”iniziai a protestare, senza comunque voler mancare di rispetto.
“Ho detto che lo berrò dopo! E ora esci!”
Non mi voleva nemmeno guardare in faccia? Non potevo continuare a essere trattata così. Così le preparai la tazza di tè come piaceva a lei: un po’ di latte e due zuccherini. Presi la tazza e la posai nell’unico spazio libero della scrivania. La vidi irrigidirsi.
Lentamente girò il viso nella mia direzione. I suoi occhi verdi si fissarono sui miei. Vi lesse determinazione e anche sfida. Nei suoi non lessi nulla. Di sicuro era arrabbiata o comunque indignata.
“Ecco il suo tè, signorina. Se volete qualcos’altro, suonate il campanello.”le ricordai e poi feci per congedarmi quando parlò.
“Grazie.”
Mi bloccai sul posto.
“Grazie per non aver detto nulla e per occuparti di me.”continuò. Non mi ero girata.
“Non deve nemmeno dirlo, mia signora.” Mi girai, feci una piccola reverenza e uscii senza essere congedata.  
Sarei stata licenziata. Di sicuro aveva ringraziato tutte le altre subito prima di licenziarle, come l’etichetta diceva di fare.
Perfetto. Che idiota.
 
Ero in cucina ad affettare carote quando Burton entrò e si diresse nella mia direzione con la solita posa delicata ed educata. Non correva mai o alzava mai la voce. Bastava una parola e tutti erano sull’attenti. Ecco che viene a licenziarmi. Lo sapevo.
“Signorina Johnson? Dovrebbe dare una ripulita al gazebo in giardino, la signorina Contessa vuole fare pranzo fuori, vista la bella giornata.”mi informò e il peso che avevo sul petto si dissolse nell’aria.
“Davvero?”chiesi stupidamente.
Lo vidi alzare le sopracciglia, sorpreso.
“Perché non dovrebbe, mi scusi?”espresse retorico.
“Mi scusi, non so cosa dico.”conclusi in fretta.
“Allora, farebbe meglio a restare in silenzio.”
Detto questo tornò alle sue faccende. Non ero stata licenziata. Una buona notizia finalmente.
Il gazebo. Giusto. Devo pulirlo.
Presi la scala, stracci, acqua calda in un secchio e mi diressi in giardino. Era messo maluccio. Lo dovevano aver usato poco da quando era stato costruito. Le erbacce lo avevano avvolto alla base. Era una bella costruzione. La base era circolare con balaustre e un piccolo tetto a cupola e vi si giungeva con una piccola scalinata. Tutto era in legno dipinto in bianco.
 Strappai tutte le piante rampicanti e lavai via i segni che avevano lasciato sul legno. Poi affrontai la parte interna. Ci misi tutta la mattinata ma alla fine sembrava quasi nuovo. All’interno aveva un tavolino circolare e tre sedie in legno di mogano antico. Tutto portava inciso delle bellissime roselline che erano il tema portante per l’intero gazebo.
Avevo appena finito che Patrick mi venne a chiamare. Dovevo preparare la Contessa per il pranzo.
Mi diressi nelle sue stanze.
Mi accolse con un sorriso. Cosa le era preso? Valla a capire.
Le feci indossare un soprabito. Vero che era una bella giornata ma era comunque dicembre e faceva freddo.
“Erin?”mi chiamò, mentre le infilavo e chiudevo la camicetta rosa chiaro.
“Sì, mia signora?”risposi, concentrata in quello che stavo facendo.
“Perché non mi chiami Louise?”
Mi fermai un attimo prima di chiudere l’ultimo bottone, poi risposi.
“Non vorrei crearle imbarazzo, potrebbe sfuggirmi di fronte ad altri se prendessi l’abitudine di chiamarvi con il vostro nome di battesimo.”risposi ancora, con cautela.
“Non mi creeresti imbarazzo. Io ti chiamo con il tuo nome di battesimo.”continuò.
“Ma voi siete una contessa e io una semplice cameriera. Vi prego di scusarmi.” Finii di vestirla e poi chiesi il permesso di congedarmi.
Perché voleva essere chiamata con il suo nome di battesimo? Da me soprattutto. Una cameriera qualsiasi. Non sapevo che dirmi. Era strana forte. La mattina è fredda come il ghiaccio e a pranzo già vorrebbe essere la mia migliore amica.
 
 
Ero al secondo piano e passando distrattamente di fronte a una finestra che dava sul giardino e il gazebo, vidi Louise accasciarsi sulla sua sedia. Come se avesse avuto un malore improvviso.Non c’era nessuno con lei.
Cosa le era successo? Dissi addio alle buone maniere e mi scaraventai giù dalle scale e fuori in giardino. Le arrivai vicinissima.
“Signorina!!Signorina! Si sente male!”E la scossi leggermente. Vidi che stringeva un foglietto.
Se mi chiami per nome, ti risponderò
Cosa??! Era uno scherzo? Eppure non si muoveva. Così tentai ancora.
“Signorina Contessa?”
Nulla.
“Louise?”provai e la vidi sorridere.
 Dio! Era pazza! Tutto quello perché voleva essere chiamata per nome da me!
 Stavo per chiamare i soccorsi.
Aprì gli occhi.
“Era tanto difficile?”domandò come se non fosse successo nulla. I capelli biondi raccolti in una crocchia si erano sfilata dall’acconciatura. L’avevo scossa così forte?
“Mi spiace avervi scossa, signori..”E già stava accasciandosi di nuovo.”Louise!”
“Molto meglio.”  Le aggiustai i capelli e poi riprese il suo pranzo
Sbattei le palpebre stupita. Rimasi accanto a lei mentre mangiava: riso con gamberetti e piselli verdi, insalata di lattuga e una fettina di arrosto con come dessert una fetta di torta alle mele.
“Ne vuoi, Erin?”mi offrì la torta. “Non riesco a finirla, tanto.”
“No, grazie, mia … Louise.”conclusi mentre rifiutavo gentilmente la torta alle mele.
Fece spallucce e poi si pulì la bocca con il tovagliolo.
Fece per alzarsi ma rimase impigliata nel suo stesso vestito. Sarebbe caduta, sbattendo la testa sul tavolo se non fossi intervenuta prontamente. L’afferrai fra le mie braccia e la strinsi.
Quante volte mi voleva far venire un colpo al cuore di oggi?
Sentii che si afferrava a me e mi teneva in una morsa. Il suo respiro affannoso mi solleticava il collo e improvvisamente non volli che si staccasse da me. Ma il decoro lo impediva, così la feci ristabilire sulle sue gambe e l’accompagnai nelle sue stanze. Non diceva nulla.
“Siete sicura di stare bene, Louise?”domandai e la feci cambiare.
“Devo solo riposare. Troppe emozioni in una volta sola.”rispose dopo un po’.
 “Ma certo. Volete qualcosa?”domandai di nuovo. Mi stavo preoccupando davvero per lei.
Ci fu un attimo di silenzio poi parlò.
“Ti andrebbe di leggere per me?”
Sorrisi a quella richiesta. Anche io chiedevo a mia madre di leggere per me quando stavo male da piccola. Una piccola fitta di dolore mi colpì ma scacciai subito via il ricordo.
“Cosa volete vi legga?”E osservai la sua piccola libreria. C’erano molti volumi e dei più disparati.
“Mi andrebbe L’isola del tesoro di ..”
“Stevenson.”conclusi per lei. “Mia madre me lo leggeva sempre da piccola.”
“Anche la mia.”
Sorridemmo come due ebete.
Mi persi nei suoi occhi per un momento poi presi il libro e iniziai a leggere. Lei era sdraiata nel suo letto, sotto le coperte e con un braccio piegato sotto la testa si preparò ad ascoltarmi leggere. Io ero seduta sulla poltrona di pelle. Iniziai a leggere.
“Pregato dal cavalier Trelawney, dal dottor Livesey e dal resto della brigata, di scrivere la storia della nostra avventura all'Isola del Tesoro, con tutti i suoi particolari, nessuno eccettuato, salvo la posizione dell'isola; e ciò …”
Lessi fino a quasi perdere la voce e pian piano la osservai addormentarsi. Chiuse gli occhi e nel sonno aveva una pace assoluta e il viso era più bello che mai.
Ma cosa sto pensando? Mi ripresi. Lentamente posai il libro sul comò e feci per alzarmi quando mi chiamò.
“Erin..”
Mi girai ma era ancora addormentata. Aveva detto il mio nome nel sonno. Non so perché ma mi si sciolse il cuore. Sorrisi mentre le rimboccavo le coperte e poi uscii piano per non svegliarla.
 
  
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