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Autore: Gabx    29/03/2014    5 recensioni
Erin è una ragazza sui vent'anni nella Londra degli anni '50 e di mestiere fa la cameriera al piano. Viene assunta in una prestigiosa villa grazie a delle sue conoscenze. Incontrerà chi le cambierà la vita, una contessa londinese affascinante e misteriosa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Ricordi dal passato
 
“Nonna! Nonna!”gridò Michelle, la mia nipotina, correndo a perdifiato verso di me. Indossava un bellissimo vestito bianco con delle stelline color oro sulla piccola gonna. Aveva sette anni ma era sveglia per la sua età. Mi saltò in braccio. Feci un po’ di fatica a tenerla, non ero più una giovincella.
“Oh tesoro, fai sedere la tua nonna! Non sono giovane come te!!”dissi ridendo e lei si fece posare in terra.
“Ma come mai questo bellissimo vestito? Non sarà che oggi è un giorno importante..?” finsi di non ricordarmi che era il suo compleanno. Ed eccola che rideva.
“Nonnaaaaaa ma è il mio compleanno!!”ridacchiò.
“Oh giusto!! Come ho fatto a dimenticarmene? .. Ma cos’è questo?” Tirai fuori un pacchettino rosa. La vidi sgranare gli occhi per la sorpresa. “Lo vuoi tu? Non so cosa sia.”
Glielo porsi e lei lo prese con cura, non voleva rovinarlo. Poi lo scartò e vi trovò una piccola collanina in argento con un portafoto come ciondolo.
“Puoi metterci la foto della persona a cui tieni di più al mondo, sai?”la informai e le scompigliai i capelli biondi che a boccoli le incorniciavano il viso. Le infilai il ciondolo al collo. Le stava molto bene.
“Anche tu hai la foto della persona a cui tieni di più nel tuo ciondolo, nonna?”mi chiese innocentemente, il sorriso che le illuminava il volto.
“Ma certo!”E mi portai la mano al petto dove avevo il ciondolo. Lo strinsi come ad assicurarmi fosse ancora lì.
“Posso vedere chi è?”mi domandò ancora, gli occhi che brillavano di intelligenza e sorpresa.
“E’ una lunga storia e te la racconterò un giorno. Ora non hai una festa a cui andare?”le ricordai.
Si ricordò improvvisamente e mi saltò addosso per darmi un bacio sulla guancia e abbracciarmi.
“A presto, nonna!”mi salutò e io strinsi la sua mano piano e la lasciai andare a casa sua dove l’aspettava una bellissima festa con i suoi amici.
Mi fermai e mi sedetti sotto la vecchia quercia. C’erano un piccolo tavolo in pietra e due sedie a dondolo. Mi lasciai cullare e ritornai indietro nel tempo.
 
 12 novembre 1952
 
Sono in ritardo. Male. Molto male. Primo giorno di lavoro e già sono in ritardo. Sono finita. Edward mi avrebbe ucciso. Era l’ennesimo impiego che mandavo al diavolo e mi aveva avvertita che se non era per mio padre non mi avrebbe dato così tante possibilità. Mi infilai alla meglio la divisa da cameriera e mi precipitai a prendere il tram. Scesi alla fermata che mi aveva indicato e mi ritrovai di fronte al n ° 33 di Browning Street.
Non ci credevo. Era una villa.
Una vera villa, di quelle che si trovano solo nei quartieri ricchi di Londra.
Mi portai di fronte al cancello principale. La facciata era bianca con ampie finestre e un balcone principale in pietra antica. Alla villa si accedeva attraverso un giardino, ora spento poiché autunno inoltrato, e un vialetto di ghiaia. Era un posto da sogno, soprattutto per una cameriera squattrinata come me. Non potevo certo entrare dall’ingresso principale, quindi dove poteva essere l’entrata sul retro per la servitù?
Stavo per suonare il campanello quando alle mie spalle ci fu un rumore improvviso. Un’ auto era arrivata di corsa. Inchiodò e poi le porte si spalancarono. Due uomini scesero e si affrettarono a tirare fuori dall’abitacolo una ragazza che era in un evidente stato di incoscienza. Mi allarmai. Cosa povevo fare? I capelli biondi le coprivano il volto e i vestiti alla moda erano sgualciti. Il più alto, vestito in giacca e cravatta, la prese in braccio. Aveva i capelli castano chiaro e occhi scuri, magnetici; lo sguardo imperioso sotto le sopracciglia arcuate. Doveva essere un giovane della aristocrazia inglese. L’altro, l’autista, si affrettò ad aprire il cancello perché i due potessero entrare. L’uomo vestito elegantemente e la ragazza sparirono all’interno della villa. L’autista rimase lì a fissare la porta spalancata della casa.
Si girò e fu solo in quel momento che mi vide. Gli occhi color nocciola si spalancarono per la sorpresa. Mi prese la mano e vi posò  un bacio leggero.
“Buongiorno, signorina. Siete voi la nuova cameriera di Vossignoria?”mi chiese gentilmente. Ero ancora abbastanza sorpresa dal saluto che mi aveva riservato. Annuii impercettibilmente.
“Oh che maleducato! Non mi sono presentato. Mi chiamo Marcus Smith, sono l’autista della famiglia Blake. Voi siete?” mi domandò ancora dopo essersi presentato.
 “Erin Johnson, piacere di conoscervi.”
“Piacere tutto mio.”
Detto questo risalì in auto, si scusò per dovermi abbandonare ma doveva andare a prendere il dottore e sparì dalla mia vista. Ero abbastanza frastornata da quanto era appena successo. Scossi la testa. Ero già abbastanza in ritardo, così mi diressi verso la casa.
Entrai e fui circondata dal caos che l’aveva invasa. Due cameriere correvano per andare a rifornirsi di bende e medicinali. Dovetti attendere quasi un’ora prima che si accorgessero di me.
 Fu il maggiordomo a venirmi incontro. Era anziano. Aveva i capelli bianchi e gli occhi azzurri che mi scrutarono da capo a piedi, quando mi vide. Indossava la livrea da maggiordomo.
Mi fece un inchino e io mi lo salutai con una piccola reverenza.
“Sono il maggiordomo della famiglia Blake, Burton James e sareste voi, la signorina Johnson? Vi rendete conto che siete in ritardo di due ore?” Mi fissò con disapprovazione.
“Sono io. Sono stata trattenuta ma non accadrà più.”dissi velocemente, già in ansia. Sarei stata buttata fuori già il primo giorno.
“Sarà meglio. Seguitemi, vi mostrerò dove alloggerete quando sarete stata approvata dalla Contessa. Per ora posate le  vostre cose nella cucina e fatevi trovare  qui fra dieci minuti.”
Non me lo feci ripetere e seguite le istruzioni per raggiungere la cucina, vi arrivai e posai il mio cappotto e la borsa su una sedia. C’erano una vecchia signora, appesantita dagli anni e un ragazzo molto giovane. I due erano presi da una discussione su delle carote che mancavano e  il ragazzo se la stava passando male. Non si accorsero di me, così ritornai dove mi aveva detto il signor Burton.
Mi accompagnò per le varie sale, mi disse che dovevo svolgere i lavori insieme alle altre cameriere e in più assistere la Contessa.
“Quando incontrerò la Contessa?”chiesi al signor Burton.
“Per ora, no. Ha avuto un malessere e deve riposare.”rispose caricando la voce con profondità.
Era preoccupato. Quindi la ragazza che avevo visto prima era la Contessa? Era malata?
“Cosa ha avuto?”mi informai.
“Un mancamento. Dovrai occuparti di lei come prima mansione. Il Conte ritiene importantissima la sua unica figlia.”
“ Capisco.”
Poi rimasi in silenzio. Parlai solo quando mi furono presentate le altre due cameriere: Mary, una donna sulla trentina che aveva già i capelli grigi, e Samantha, una ragazza dai capelli lisci ramati tagliati corti con qualche anno in più di me. Le avrei aiutate nel loro lavoro e mi accolsero con un caloroso sorriso, almeno Samantha. Poi Burton mi fece incontrare la cuoca, Maxime, e il suo aiutante, Patrick. Il suo sguardo timido mi fece sorridere. Era molto giovane.
La giornata passò senza altri intoppi. Burton mi disse di presentarmi puntuale il giorno dopo.
 
 13 Novembre 1952
 
Così feci.
Alle sette del mattino ero all’entrata secondaria alla villa che Burton mi aveva mostrato.
Avevo stirato la mia divisa e mi ero pettinata. I capelli castani erano raccolti in uno chignon e gli occhi azzurri non mostravano la stanchezza del corpo.
Burton mi salutò con più gentilezza. Era sorpreso di vedermi puntuale. Dovevo comportarmi al meglio e mi sarei tenuta un bel posto. Dovevo pur campare.
“La Contessa è nelle sue stanze. Questa mattina ha un incontro con il signor Dixon e vuole essere preparata e condotta all’auto in tempo. Confido sarai capace di assolvere a questo compito.”
Annuii.
Salii al piano superiore e mi diressi verso la porta della camera della Contessa. Bussai.
Nessuna risposta.
Bussai di nuovo.
E se le fosse successo qualcosa?
Mi prese l’ansia. Non potevo lasciarla morire mentre era sotto la mia responsabilità.
Aprii leggermente la porta. La stanza era immersa quasi nella totalità dell’oscurità. Così mi avvicinai alla finestra e spalancai le imposte. La luce non era accecante anzi per nulla ma almeno filtrava qualcosa. Al centro della stanza c’era un grande letto a baldacchino. Vi dormiva con una semplice vestaglia una ragazza dai capelli biondi. La Contessa. Doveva avere la mia età.
Mi portai vicino a lei. Dovevo svegliarla. Ma come?
“Contessa? Si deve svegliare. Contessa? Mi sente?” la chiamai.
 Si girò nella mia direzione. Le vidi finalmente il viso. Aveva lineamenti delicati. Le labbra erano carnose e ben definite, socchiuse nel sonno; il naso era piccolo e delicato e le sopracciglia bionde erano leggermente più scure rispetto al biondo dei capelli. Era bellissima.
La chiamai ancora e solo dopo averla scossa leggermente, la vidi aprire gli occhi. Quei pozzi verdi mi colmarono immediatamente. Era veramente bellissima.
“Lasciami dormire ..”borbottò. Sorrisi impercettibilmente. Si comportava come una bambina.
“Signorina Contessa, devo ricordarle che ha un importante appuntamento.”le dissi con voce ferma.
“Ma .. cosa? Devo solo incontrare Terry.”
Doveva essere il signor Dixon. Erano così intimi?
Si tirò su a sedere lentamente.
“Tu chi sei?”mi chiese improvvisamente.”Non ti ho mai vista.”
“Sono la nuova cameriera.”
“E hai un nome?”mi domandò di nuovo, scontrosa. La vestaglia da notte rosa pallido le ricadeva piano sul corpo. Le spalle erano quasi nude. Arrossii.
“Erin Johnson, Contessa.”
“Non chiamarmi Contessa, almeno non di fronte ad altri. Puoi chiamarmi Louise.”
Mi fece l’occhiolino e poi sempre con movimenti delicati scese dal letto. Non sembrava così debole. Forse era stato un calo di pressione. La vestii per l’uscita, le portai la colazione. Non si sbilanciò troppo. Non voleva di sicuro un rapporto più personale con una cameriera. Forse il fatto di chiamarla Louise era solo un modo per mettermi in fallo. Dovevo stare attenta.  
Le porsi i miei saluti quando uscì.
Nell’attesa aiutai Samantha a pulire i vecchi armadi della soffitta. Era una ragazza simpatica e con lei il tempo passava in fretta. Mi raccontò dei suoi amici di Camberley, la città da dove veniva, e del suo ragazzo che lavorava come spazzacamino, qui a Londra.
Udii distintamente l’auto di Marcus. Dalla finestra della soffitta vidi Louise e l’uomo elegante di quel giorno che si dirigevano verso l’entrata della villa.
 Dovevo occuparmi di lei così mi precipitai, ma senza correre, all’ingresso.
Non si poteva correre, non era buona educazione.
 Aprii la porta e li feci accomodare. Sul viso di Louise era dipinta un’espressione di furia.
 Mi gettò il cappotto addosso e lo stesso fece lui. Poi lei salì di fretta le scale  e ancora lui la seguì. Non mi piaceva affatto quel tipo. Ma potevano rimanere soli insieme?  Se ne sarebbe occupato Burton, non di certo io.
Appesi i cappotti e mi diressi in cucina. C’erano Maxime, Patrick e Sam che mi sorrise cordiale.
“Scusate ma sapete chi è quel signore giovane che è venuto con la Contessa?”chiesi con nonchalance e fu Maxime a rispondere.
“E’ il signor Michael Darrens, il suo promesso sposo.”
Non era il suo tipo e di sicuro lei non era felice in sua compagnia.  Forse avrei fatto meglio a controllarli. Non volevo che dicessero che la Contessa si fosse compromessa prima delle nozze.
“Vado a controllare la Contessa.”
Salii le scale e sentite delle grida dalla sua camera, mi precipitai di fronte alla porta e la spalancai. Michael aveva spinto Louise sul suo letto e le era addosso.
 Senza pensarci due volte, lo afferrai per le spalle e lo spostai via da lei. Lo feci cadere in malo modo sul pavimento dove  si ferì la spalla sinistra. Louise mi si gettò addosso. Senza accorgermene la strinsi a me.
“Non finisce qui.”ringhiò Michael  e sparì stringendosi la spalla con l’altra mano.
“Sì, invece.”gli disse in risposta Louise.
Rimaste sole nella camera, mi afferrò la mano.
“Sei stata molto gentile a difendermi e ti ringrazio ma vorrei non facessi parola con nessuno di quello che è accaduto. Lo faresti?”
Mi fissò con quei suoi occhi magnifici e non potei che annuire.
 
 
“Signorina Johnson! A quanto pare è stata confermata! Raramente le cameriere che si presentano alla Contessa vengono accettate. Si ritenga fortunata e continui a essere in orario. Può trasferirsi nell’ala delle cameriere ora.”mi informò Burton prima di sparire nel suo ufficio. 
Avevo un lavoro fisso. Ma la cosa che mi preoccupava di più era la discussione fra Michael e Louise. Chissà perché avevano litigato. Scossi la testa e tornai a spolverare la libreria. 
  
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