È passato quasi un mese
da quando Gale è tornato al 12.
Insieme a lui a poco a poco sono tornata alla vita, ho imparato ad
apprezzarne il valore e a gioire di nuovo delle piccole cose.
Non credevo fosse possibile dopo tutto quello che è
successo, dopo tutto ciò che ho perso, ma come ha detto
Gale devo impacchettare tutti i momenti brutti e metterli da parte,
ricordando solo quelli in cui ero felice.
È così che riesce a tranquillizzarmi quando mi
sveglio di notte terrorizzata dagli incubi; mi stringe forte e con la
sua voce calda e rassicurante mi parla delle nostre giornate nei
boschi, di Prim, dei suoi fratelli. Scaccia il dolore con la gioia.
Ed è così che decido di scrivere un libro in cui
riportare tutto ciò che non si può affidare alla
sola memoria: ogni pagina sarà dedicata a una persona, a
quei particolari che devono rimanere per sempre con noi.
Lady che lecca la guancia di Prim.
La contagiosa risata di mio padre.
Gli occhi verde-mare di Finnick.
Il sorriso enigmatico di Cinna.
Rue in equilibrio sulle punte dei piedi, le braccia un po’
allargate, come un uccello sul punto di prendere il volo.
La dolcezza di Mags.
Il riflesso del sole sui capelli dorati di Madge.
Non ci fermiamo più. Ogni pagina è sigillata
dalle nostre lacrime e dalla promessa di continuare a vivere proprio
per
dare un valore alla loro morte.
Col tempo le aggiunte si riducono. Un vecchio ricordo che ritorna. Una
primula tardiva conservata tra le pagine. Curiosi brandelli di
felicità, come la foto del figlio appena nato di Finnick e
Annie.
— Potremmo aggiungere una foto della persona a cui la pagina
è dedicata, sarebbe più... — osserva
Gale, sfogliando con delicatezza le pagine colme di attimi di
felicità perduta.
— Indelebile — concludo io sospirando.
— Non sarà facile ma cercherò di
procurarmele —
— Magari… — Gale si interrompe,
un’espressione combattuta sul viso — Magari se non
le trovi potresti chiedere a Peeta di fare
degli schizzi. So che disegna molto bene —
Lo guardo ma non rispondo. Non capisco perché si ostini a
sollevare l’argomento Peeta. Non ho idea di dove possa
essere e sinceramente, non credo di volerlo sapere. Non se il Peeta
che conoscevo è scomparso per sempre.
Gale interrompe i miei pensieri porgendomi l’arco e la giacca
di mio padre.
— Forza, andiamo —
Metto l’arco e la faretra in spalla ed esco sul patio, ma
Gale resta dentro.
— Gale? Non vieni? —
— Si, va avanti tu, devo fare una telefonata. Ti raggiungo al
solito posto —
— Come vuoi — gli lancio un ultimo sguardo
interrogativo e poi mi incammino nel Distretto.
È tutto diverso. Le miniere sono state chiuse ma in
compenso si ara la terra mescolandola alle ceneri e si coltivano
piante commestibili, si costruiscono nuove case, più solide
e sicure. Dove prima c’era il Forno, è in
costruzione una fabbrica dove produrremo farmaci. È cambiato
tutto, e in meglio.
Penso a Gale: anche lui è cambiato molto soprattutto dalla
fine della guerra ad ora. È sempre il ragazzo leale,
protettivo e attento che è stato la mia ancora per anni, ma
ora è meno schivo e chiuso, ancora più
sensibile di quanto già non fosse.
Il fuoco che brucia nei suoi occhi non è più
alimentato da odio e rabbia ma da gioia e passione, dalla voglia di
vivere ogni momento al massimo. Ed è un fuoco contagioso.
Gale mi raggiunge e iniziamo a cacciare, tornando a casa solo quando ci
riteniamo soddisfatti da ciò che abbiamo preso. Mi rendo
conto subito di quanto lui sia agitato: non hai il suo solito passo
felpato, gli tremano le mani mentre piazza le trappole, a cena resta a
lungo sovrappensiero, scuotendo all'improvviso la testa, come per
scacciar via pensieri che non dovrebbero essere lì.
Più volte provo a chiedergli se stia bene, e lui si limita
ad annuire, così non insisto e mi comporto il più
normalmente possibile.
Durante la notte è ancora più nervoso: si gira e
rigira nel letto, va in cucina, torna su, si agita. Quando alla fine si
addormenta, cade in un sonno popolato da incubi.
Per fortuna stavolta riesco subito a svegliarlo, appena sente il suono
della mia voce apre gli occhi e mi guarda, dolore e paura fusi sul suo
bel viso.
— Ti va di parlarne? — gli chiedo, preoccupata.
Gale scuote la testa e deglutisce, si passa una mano sugli occhi e
sospira.
— Non andartene mai, Catnip — dice
all’improvviso.
— Cosa ti fa pensare che lo farei? —
Gale scrolla le spalle e sorride tristemente.
— Non lo so. Buonanotte, Catnip —
— Buonanotte, Gale — gli faccio eco, e mentre lo
osservo addormentarsi capisco cosa ha sognato di così
orribile. Perdere me.
Quando mi sveglio, Gale è già in cucina che
armeggia con la colazione.
— Già in piedi? — gli chiedo, aiutandolo
con le tazze.
— Si —
— Taciturno stamattina — dico, alzando un
sopracciglio.
— Un po’. Mi passi il caffè? —
risponde lui facendomi capire che il discorso è chiuso.
Finiamo la colazione in silenzio interrotti solo dal tintinnio delle
tazze contro i piattini o del cucchiaino che Gale fa più
volte cadere a terra.
— Devo uscire un attimo a fare un servizio,
tornerò tra una mezz’ora credo — mi
dice con lo sguardo basso mentre riordiniamo la cucina.
— D’accordo, ti aspetto al solito posto —
— Forse è meglio se mi aspetti qui —
— Va bene. Tutto ok, Gale? —
— Si — dice e cerca di rassicurarmi sorridendo, ma
i suoi occhi sono tristi e..impauriti?
Non faccio in tempo a fargli un’altra domanda che ha
già preso la giacca ed è andato via.
Per quanto cerchi di non pensare al comportamento di Gale in questi
ultimi due giorni, la mia mente va sempre lì.
Perché è così nervoso e tormentato? Ho
detto o fatto qualcosa di sbagliato? Glielo chiederò non
appena rientrerà e che lo voglia o meno dovrà
darmi delle risposte.
Mentre lo aspetto faccio una doccia, sistemo i capelli, e cerco di
riordinare un po’ casa, ma ben presto rinuncio e mi abbandono
sul
divano, il libro di memorie sulle ginocchia. Ho appena iniziato a
sfogliarlo quando la porta di ingresso si apre.
— Finalmente sei tornato, credevo ti fossi perso —
dico ironicamente, posando il libro e alzandomi ma non ricevo alcuna
risposta, solo il rumore di passi nel corridoio.
Non è Gale, lui è silenzioso come un gatto.
Questi, invece, sono passi pesanti e irregolari, come di una persona
che zoppica.
— Ciao, Katniss —
È Peeta.
Resto immobile accanto alla finestra, lo sguardo fisso
sull’albero di ciliegio nel cortile.
Dopo quella che mi sembra un’eternità, mi giro.
Peeta è fermo sotto l’arco della porta del salone
e mi fissa intensamente. Ha un bell'aspetto. È
più robusto, come lo era prima dei giochi, e le cicatrici da
ustioni quasi non si vedono più, ma nei suoi occhi mi sembra
di scorgere ancora qualche residuo di quell’espressione
confusa e tormentata.
Improvvisamente ho paura di restare sola con lui. E se avesse un altro
episodio e mi attaccasse? Non riuscirei a difendermi. Che ci fa qui,
comunque?
Poi vedo Gale spuntare dietro di lui e capisco tutto.
L’ansia, gli incubi, il nervosismo che lo tiene in pugno da
ieri, la paura di perdermi. Allora perché lo ha fatto venire
fin qui?
Mi ritornano in mente le parole che mi disse la sera dopo il suo
ritorno:
“Non puoi sperare in un futuro sereno se non regoli
i conti col passato”
Ecco perché. Sa che non potrò andare avanti
finché non avrò messo a posto le cose con Peeta.
È buffo, lo sa lui, ma non io. Io stavo benissimo
così. O forse no? Forse ho davvero bisogno di chiarire con
Peeta per poter guardare serenamente al futuro? Non lo so. Ma Gale si,
a quanto pare. Quanto deve essergli costato portarlo qui? Tanto,
tantissimo. Ma Gale ha sempre messo il mio bene davanti al suo. Avrebbe
potuto lasciare le cose come stavano, costruirci una vita, andare
avanti, ma ha preferito che io avessi un confronto con Peeta.
“Non andartene mai, Catnip”
Mi rendo conto che sono rimasta zitta e immobile da quando è
comparso Peeta che, infatti, mi osserva accigliato.
— Ciao — mi costringo a dire, la voce roca. Mi
schiarisco la gola.
— Vi lascio soli — dice Gale, poi leggendo la
paura nei miei occhi aggiunge — Sono in cucina, se hai..se
avete bisogno —
socchiude la porta e scompare.
— Tranquilla, non ti farò del male— dice
Peeta sorridendo — Sono ancora in cura col dottor Aurelius,
gli episodi sono
quasi scomparsi ma abbiamo pensato che fosse opportuno prendere un
calmante prima di incontrarti. Sai, per precauzione —
aggiunge, imbarazzato.
Il fatto che sia sotto farmaci mi aiuta a rilassarmi ma non riesce a
sciogliermi la lingua. Come sempre, è Peeta a parlare.
— Sarei voluto tornare prima, ma dato quello che è
successo l’ultima volta il dottor Aurelius ha preferito che
non lo facessi. Ti trovo bene — sorride calorosamente,
abbattendo un’altra piccola parte del muro che ho alzato per
difendermi da lui.
— Gale è qui da molto? —
— Un mese, più o meno — ci
siamo, penso.
— E vive qui? —
— Si —
— Sei felice? —
— È un interrogatorio, Peeta? — chiedo
nervosamente, pentendomi subito del tono che ho usato. Faccio un
respiro
profondo e mi costringo a restare calma.
— Sto bene. Sto rimettendo insieme i pezzi. Ci
vorrà tempo e fatica, ma devo farlo. Tu? —
Peeta scrolla le spalle e con un’espressione che mi stringe
il cuore dice — Te l’ho detto, sono rimasto a
Capitol City per curarmi. C’era Johanna, anche lei
è in cura, e ogni tanto Annie passava a trovarci col
bambino. Somiglia a Finnick, ma è dolce come la madre
— aggiunge sorridendo dolcemente.
Parliamo per un po’; Peeta mi aggiorna su Johanna, Annie,
Beetee, Plutarch e gli altri, mi chiede come vanno gli incubi e come
faccio ad affrontarli.
Quando rispondo con un evasivo — Li controllo, in un modo o
nell’altro — lui fa un verso a metà tra
un sospiro e una risata amara.
— Gale? — davanti al mio silenzio, continua
— Avrei voluto essere io a proteggerti dagli incubi, come
facevo durante il Tour. Vorrei ancora essere io. Tu lo vuoi, Katniss?
—
La sua domanda, così diretta e improvvisa, mi spiazza al
punto che non mi rendo conto di cosa stia succedendo finché
non sento le labbra di Peeta premute sulle mie.
Venti minuti. Venti lunghissimi
minuti che sono lì dentro. Cosa mi è saltato in
mente?
Ho fatto tanto per riconquistare la fiducia e l’affetto di Katniss e ora rischio di perderla di nuovo. Ma è mai stata del tutto mia, in fondo? No. E non lo sarà. Non finchè c’è il fantasma di Peeta che aleggia su di noi. So di aver fatto la cosa giusta facendolo venire qui. Katniss deve essere libera di scegliere colui di cui ha davvero bisogno, colui che ama, e non avrebbe mai potuto farlo con sicurezza senza aver avuto un confronto anche con Peeta. E io non avrei potuto vivere nel costante dubbio di essere solo una seconda scelta, un ripiego. Se scegliesse lui… sarei distrutto, ma non posso dire di non essere preparato, li ho visti insieme per due anni e so che sotto la finzione i sentimenti c’erano. E ci sono ancora. Ciò che voglio è che lei sia felice. Se lo è lei lo sono anche io. Perchè la amo. Quelli con Katniss sono stati i momenti più belli della mia vita; quasi tutti i miei ricordi felici sono legati a lei e sono certo che per lei sia lo stesso. Non può averli dimenticati. Non può aver dimenticato quello che eravamo. Indivisibili. Ecco la parola giusta. L'uno la forza dell'altra, sempre insieme, spalla contro spalla. Non c'era segreto che tenesse tra noi. Nessuno può capirmi come lei e nessuno può leggere i suoi pensieri come me. Poi sono arrivati gli Hunger Games. È arrivato Peeta. Con la sua immensa bontà e il suo amore imperituro me l'ha portata via, prendendo il mio posto accanto a lei. Certo, io non ho lottato come avrei dovuto, ma ero arrabbiato con lei, con me, con loro. Loro che la manipolavano come un burattino appropriandosi della sua vita e strappandogliela via. Ma Catnip c'è ancora, e lotterò per riportarla alla luce. Ho appena finito di bere la terza tazza di caffè quando la porta della cucina si apre ed entra Katniss. Appena vedo l’espressione del suo viso, il luccichio nei suoi occhi, le guance arrossate, mi manca il respiro e la tazza mi scivola di mano, frantumandosi in mille pezzi. |
Eccomi qui con la mia ultima fatica =D Lo so, vi ho fatto aspettare un bel po'...scusate! Siamo al punto cruciale della storia...come finirà? Vedrete nel prossimo capitolo (che non sarà l'ultimo, tranquilli)! Aspetto i vostri commenti! Bacio, Catnip |