Il locale, come prevedibile, era
molto affollato durante l'ora di punta. Fiotti di uomini imbacuccati nelle loro
lunghe vesti, donne cariche di pacchi, bauli e pargoli, studenti di Hogwarts che
godevano i pochi giorni di vacana rimasti.
Lo scenario non differiva tanto da quando ci andavo io a Hogwarts, pensai dall'alto della
mia bibita analcolica.
Mi tornò alla mente, come se fosse ieri, la sensazione di pace e benessere provata nello
stare seduto al Leaky Cauldron, Harry da un lato, Hermione da un'altro, e
montagne di libri tra le gambe. Il pensiero di tornare a scuola di lì a pochi
giorni.
La voglia di incontrare persone che dopo giugno non si sapeva che fine
facessero.
Mi meravigliai e presi a guardarmi intorno spazientito. Che lei
facesse tardi era proprio un eufemismo. Se non fossi stato così assonnato e
irritato dal chiacchiericcio della folla che affollava il pub, sarei scoppiato a
ridere,
perchè lei non faceva mai attendere le persone con cui aveva appuntamento.
Probabilmente, però, faceva attendere i vecchi amici.
I miei occhi si incontrarono con quelli di una studentessa molto carina, dal tavolo di
fronte. Il
suo vicino le diede un gomitata infastidito.
Tutto si ripeteva.
Tutto, a sedici, diciassette anni, era totalmente monotono.
Routine.
Termine usato a vanvera, eppure così vicino alla vita di chiunque. Tutti
seguiamo una routine. Chi più, chi meno.
Tutti mangiamo, dormiamo e ci svegliamo. Magari non allo stesso tempo, ma lo
facciamo. Quindi è un'abitudine, una routine.
Hermione non si faceva viva, così ordinai un'altra bibita, spruzzata di gin,
stavolta.
Mentre col dito accarezzavo l'orlo del bicchiere mi tornarono alla mente le sue parole, poche ore prima.
Aveva usato la Metropolvere e la sua testa era apparsa in casa tutto ad un tratto, mentre
espletavo il fastidioso
compito di radermi il viso.
"Oh Ron! Ho bisogno del tuo aiuto!"
Per un attimo mi ero sentito compiaciuto della cosa. Molto compiaciuto.
Poi ci avevo pensato su, presentarsi (anche se non proprio fisicamente) in casa
mia a quell'ora assurda del mattino, dopo più di un mese di assenza, non
salutare, non informarsi sul mio stato di salute. Chiedere aiuto e basta.
Egoismo bello e buono, convenni, sempre miscelando i miei pensieri
all'irritazione di quel ritardo non previsto. Ma Hermione poteva essere egoista
quanto voleva. Con me l'aveva sempre avuta vinta, e sempre così sarebbe stato.
Sei anni dal diploma ad Hogwarts e non era cambiato nulla.
Notai una figuretta conosciuta farsi largo tra la folla del locale ed avvicinarsi
al mio tavolo. Scostai leggermente il bicchiere dalla mano, al quale avevo
dato un sorso scarso, e la guardai cercando un motivo per sorriderle. Ma non fu
facile trovarlo.
Lei, invece, era un turbinio di sorrisi. Si avvicinò, sorrideva, si sedette,
sorrideva.
Indossava un twin set color corallo, piuttosto brutto. Ma era chiaro che aveva
avuto poca cura del suo aspetto, dal momento che ad attenderla c'era solo il suo
vecchio amico che la avrebbe aspettata pazientemente e non avrebbe notato quanto
poco si era curata per lui.
Sorrise, di nuovo, e ordinò un caffè. Non avevo mai visto Hermione bere caffè,
un'altro dei cambiamenti parigini?
"Ci sono stati dei problemi all'ultimo secondo" si giustificò lei,
agguantando dalla sua borsa un'elastico col quale raccogliere la massa incolta
di peluria che le copriva la testa. Altra mancanza di cura, notai, senza
più stupirmene.
"E' da molto che aspetti?"
La guardai furibondo "Più di mezz'ora. Stavo per andar via"
Hermione si morse le labbra, suo tipico atteggiamento quando si trovava in
difficoltà, ma bastò la sua espressione frustrata a far calmare quell'ira di
poco fa.
"Fa nulla..." bofonchiai dopo poco "...noitutti sappiamo quanto
sei in fissa col lavoro. Come mai sei tornata?" chiesi portando il
bicchiere alle labbra. Nel frattanto il caffè di lei era stato egregiamente
servito in una tazza variopinta, che mi ricordò il nostro ultimo anno ad
Hogwarts.
Erano stati nello stesso posto, lo stesso periodo e ad Hermione aveva servito il
thè nella stessa tazza.
Cos'era cambiato da allora?
Alcune cose, che per altri sarebbero stati più che altri *particolati
irrilevanti*. Il gin nel mio bicchiere e i miei capelli, ormai raggiunto il
traguardo delle spalle. E anche la mia irritabilità, pari a zero rispetto
all'adolescenza. Hermione non aveva la divisa, neanche la gonna a dirla tutta.
Era in ritardo e beveva caffè. Curioso come la vita cambi le persone in così
poco tempo.
"Il mio capo vuole una persona di fiducia a Londra per le prossime due
settimane. Dovrò sbrigare alcuni affari, tutta roba noiosissima. Qualcuno
dovrà pur farla, no?" sorrise lei, sorseggiando dalla tazza in maniera,
certamente non voluta, sensuale "...ma in tutto sarò impegnata un paio di
giorni".
Cercai di sorridere, di nuovo senza successo,
così bevvi anche io dal mio bicchiere, col risultato che scolai tutto senza
neanche volerlo.
Dovrò sicuramente dare qualche delucidazione sull'occupazione di Hermione, che,
da circa un anno, viveva all'estero, nella periferia di Parigi.
Subito dopo usciti da Hogwarts tutti i più grandi enti del nostro mondo
avrebbero pagato carte false per averla con se.
Era uscita da scuola con voti eccellenti, la McGranitt il giorno del diploma
quasi piangeva.
Poi era la fida compagna di Harry Potter, assieme allo sfigato dai capelli
rossi. Quella che era stata presa dai cattivi in ostaggio. Quella che aveva
destato la preoccupazione di milioni di maghi e tenuto gli stessi col fiato
sospeso per settimane.
Alla fine aveva deciso per una modesta casa editrice londinese che aveva
contatti anche col mondo babbano. Molte opere babbane, di importanza maggiore,
erano state stampate da essa in edizione extralusso, e viceversa per alcuni
racconti che dai babbani venivano visti come una specie di mondo immaginario o
favole.
Insomma, tutto pur di vendere.
Comunque il lavoro di Hermione coinsiste nella mediazione con gli scrittori, coi
fornitori, coi negozi. Lei è quella che incanta gli apparecchi per la
produzione, che spedisce gufi di sollecito all'autore troppo lento, che risponde
alle lettere di lamentela.
La chiamano manager redazionale, ma è solo una tuttofare sulla quale tutti
fanno affidamento. Brava, brillante e comprensiva.
Persino il direttore ne sa meno di lei, ma nessuno osa farlo presente. Da
qualche mese avevano una grave falla con la loro filiale francese. Una falla
grossa al punto di richiedere l'intervento di qualcuno che le palle, perdonate
la volgarità, le avesse per davvero.
Così Hermione era partita, da un giorno all'altro, lasciando in sospeso tante
cose.
"Tornerò prestissimo!" aveva esclamato mentre la aiutavo a
districarsi tra i bauli. Ma era tutto falso, e avrei dovuto intuirlo.
Qualche gufo di rado. Una chiacchierata con la Metropolvere, o meglio con la sua
testa (trasportarsi per intero era troppo costoso) e l'amarezza che forse non
sei così importante come credevi.
"A cosa pensi?" fece dopo poco. Cercai nuovamente di sorriderle, e
stavolta ci riuscii di cuore. L'alcool cominciava ad entrare in circolo.
"Nulla 'Mione. Parlami meglio del tipo di aiuto che ti serve. Hai bisogno
di ospitalità, ho capito bene?"
Lei annuì posando la tazza dei miei ricordi sul tavolo "Se per te non è
un problema, naturalmente. Ti darei fastidio solo dieci giorni, massimo
quindici" sorrise mordendosi nuovamente le labbra.
Ordinai del caffè anche per me. "Casa mia è casa tua..." dissi
platealmente osservandole la scollatura della maglia "...non credo sia il
caso di dar pena ad Harry, anche se la sua mogliettina ne sarebbe deliziata. Non
fa che chiedersi quando tornerai in pianta stabile in Inghilterra"
Lei sorride imbarazzata, si appoggia una mano sulle clavicole, distoglie lo
sguardo. Reazione prevedibile.
"Ginny mi ha invitata personalmente a stare da loro ma..." fu
interrotta dall'arrivo del mio caffè. La pregai di andare avanti con un gesto
della mano.
"...si sono sposati da due mesi! Con quale coraggio mi piazzerei da loro?
Senza contare che con te sono più a mio agio e che ultimamente abbiamo passato
poco tempo insieme ultimamente"
Qualcosa che non andava. In quella frase c'era qualcosa che non mi suonava
giusto. Non mi diedi pena di scoprire cosa, e mi scolai anche il caffè con la
stessa mole della bevanda di poco prima.
"Non c'è problema. Io sono in ferie fino al mese prossimo" lei
sorrise, ennesimo sorriso da mettere nella lista, io sorrisi.
Non mi stupiva che Hermione mi piacesse ancora, nonostante fossero passati più
di dieci anni. Era semplice e diretta. Odiava le ingiustizie e faceva passare
ogni suo cattivo gesto per una premura.
Quando avevo diciotto anni mi piaceva pensare che un giorno l'avrei sposata. E
che magari ci avessi sfornato una mezza dozzina di pargoli, realizzando il sogno
di mia madre. Che avremmo avuto una casetta sul lago e che avremmo fatto l'amore
ogni sera.
Confessavo spesso ad Harry queste fantasie "Sei tutto matto" mi diceva
ridendo. Ma io facevo sul serio.
Ma, aimhè la mente umana è qualcosa di poco comandabile. Proprio quando ero
deciso a parlarle dei miei sentimenti, cambiavo idea. Dopo dieci minuti mi
pentivo. Poi di nuovo sicuro che la cosa giusta fosse tacere e reprimere.
Intanto la casetta sul lago andava sgretolandosi.
Ormai avevo quasi rinunciato all'idea. Lei così lontana, io così pigro e privo
di iniziativa. Ero piuttosto peggiorato rispetto a quando ero ragazzo.
Le uniche capacità che avevo sviluppato da allora erano il cinismo e la
pigrizia. Più che capacità chiamiamoli difetti.
E così non avevo una casetta, nè un lago. Ma un appartamento piccolo e scomodo
nel pieno centro di Diagon Alley, appena sopra il negozio di Fred e George.
Erano stati loro a raccomandarmi il proprietario, un tempo ci avevano vissuto,
quando erano un duo di squattrinati imprenditori.
Avevo arredato tutto divertendomi da morire e, per un periodo, ci avevo vissuto
con Harry. Ora invece toccava a lei, la fantasia della mia adolescenza e della
mia giovinezza. Probabilmente della mia vita.
"Casa mia fa schifo" confessai "bisognerà darci una bella
pulita, non lo faccio da secoli". Lei sembrava non aspettare altro.
"Perfetto! Se per te non è un problema posso ritirare il baule e mi
trasferisco di già. Così posso subito iniziare la disincrostazione!"
esclamò come se parlasse di una gita in campagna.
Io mi sentii molto felice. Insomma un pò di tempo insieme a lei, la casa messa
in ordine dalle sue manine bianche ed immacolate, ed un pò di compagnia per le
mie cene solitarie.
Davvero niente male, pensai.
Pagai il conto, ignorando le sue proteste riguardo l'opzione di fare a metà,
ritirammo il bagaglio, più piccolo di quanto immaginassi.
Quando spalancai la porta del mio appartamento mi venne naturale osservare la
sua reazione. Non era la prima volta che vi entrava ma era sicuramente la prima
volta che varcava quella soglia per poi uscirne dopo così tanto tempo.
Lei sembrò tranquilla, ma un brillio innaturale le attraversò gli occhi. Avrei
voluto abbracciarla e sussurrarle quanto ero felice.
"Domattina andiamo a fare un pò di compere" dissi mentre sistemavo il
suo baule nella stanza degli ospiti, nella quale aveva risieduto Harry.
"Magari ci svegliamo presto" aggiunse lei, estraendo dall'armadio
qualche lenzuolo pulito. Quella stanza era la più austera di tutta la casa.
Oltre al grande letto e ad un'armadio, gli unici ornamenti erano le macchie di
umido alla parete.
"Ti va di mangiare fuori, stasera?" proposi senza aspettarmi nessuna
risposta particolare. Lei sorrise ed annuì. "Bene" sorrisi di rimando
uscendo dalla stanza "allora sistemati con calma e, appena sei pronta, ci
organizziamo in qualche modo"
Andai in cucina e preparai del thè. Sentii la vaga nostalgia della figura di
spalle di mia madre mentre lo faceva per me.
Mentre lo fece per me quel giorno d'estate.
Il fazzoletto rosa di Ginny inondato di lacrime, gli occhi rossi e brucianti.
Scossi la testa cercando di rimuovere quegli assurdi ricordi e mi concentrai
sulla prospettiva di quella nuova, inaspettata occasione.
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CONTINUA
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I Pg della saga non sono miei, ma appartengono a JK Rowling!