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Autore: _Eterea_    03/04/2014    0 recensioni
[Realms of Reeh]
Raccolta di OS sul mio personaggio nel gdr ad ambientazione medievale fantasy "Realms of Reeh."
01. Quando il Resto è Silenzio - Scritta per l’evento a prompt “Lá Fhéile Pádraig (Saint Patrick's Day)” indetto dal forum Pseudopolis Yard.
02. La Prima Barda Meretrice.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note: Eccoci qui. Dunque, dovrei un attimino spiegare questa one-shot… Io volevo diventare barda - ma una barda “normale”, di quelle da taverna - però visto che nessuno si era ancora proposto come capo, bè, mi sono offerta io. Ora, mi sono dovuta inventare una scusa plausibile del come una meretrice sia potuta diventare Primo Bardo del Conservatorio… e questa è la spiegazione.
Godetevi la scemata sotto riportata. (Doveva essere, in principio, divertente ma temo d’aver perso la comicità per strada, quindi niente, prendetela così com’è).
Un grazie a MedusaNoir per aver betato il capitolo. :)
 
 
La Prima Barda Meretrice

*

 
Kara prese il vestito usurato da terra, lo scosse seppur non ottenendo un risultato migliore e infine lo indossò.
Fece scivolare la stoffa leggera prima attorno ai piccoli seni, verso la vita sottile, e sistemò con una mano la gonna lunga, in modo che lo spacco profondo fosse con esattezza dove doveva trovarsi, a mostrare leggermente la magra coscia destra.
Quando si girò per osservare l’uomo che stava cercando di muoversi nel letto, represse un sibilo disgustato.
Era dovuta andare fino a Libea, a qualche ora di distanza da Emera e la bettola dove viveva, solo per essere palpata e baciata da un viscido vecchio decrepito.
Il Primo Bardo del Conservatorio dell’Accordo avrebbe potuto sostenere di aver assistito alla creazione del mondo  e chiunque nell’Impero, guardandolo, non avrebbe avuto il fegato di contraddirlo.
Faticava a respirare, la pelle che ricopriva le ossa deboli era macchiata e raggrinzita e gli occhi grigi sembravano coperti da uno spesso velo.
Kara aveva quasi riso quando, una volta arrivata al Conservatorio, si era trovata davanti lui invece del giovane che si immaginava. Era stata “assunta” da uno dei suoi adepti che le aveva riferito solo di trovarsi in un certo posto ad una certa ora, lei non aveva posto domande; considerando la cospicua somma che le aveva anticipato non si era nemmeno preoccupata.
Era già stata in passato con uomini maturi e molto in su con l’età, ma di così anziani non ne aveva mai neanche visti passeggiando per le città.
Doveva essere l’uomo più vecchio dei Regni, forse poteva concorrergli solo il Sommo Oracolo.
 
In ogni caso, quando la ragazza ebbe finito di prepararsi, si sedette sul bordo del letto sfatto e rimase ad osservare, con una nota di pietà, l’uomo che cercava di raddrizzarsi e vestirsi.
«Avete... bisogno di una mano?»
Lui – Kara non aveva idea nemmeno di quale fosse il suo nome, aveva sempre parlato di se come “Primo” o “illustre” o altri termini noiosi e altisonanti – la guardò come se si fosse ricordato solo in quel momento della sua presenza e rispose muovendo lentamente una mano.
«Non ce n’è alcuno bisogno, mia cara.» Si bloccò assottigliando gli occhi. «Come... come avete detto di chiamarvi?»
«Kara» rispose secca, era già la quarta volta che glielo domandava.
 «Aaah, giusto… giusto. Un bel nome, breve ma tuttavia molto femminile. Conoscevo una barda, un tempo molto lontano, di nome Kara… Quando ancora non ero altro che un giovane in erba… » Parlava lentamente, scandendo le parole e questo non fece altro che rinforzare nella ragazza il desiderio di andarsene.
«Interessante…» Poi rifletté. Aveva deciso poco tempo prima di diventare barda, per poter rendere più proficue sia a lei che al suo “Capo” Artemisia le nottate alla bettola di Emera. Sarebbe stato sicuramente più facile trovare clienti, se prima fosse riuscita ad incantarli e sedurli con un canto.
«Sapete – riprese, avvicinandosi un po’ all’uomo – è sempre stato il mio sogno quello di intraprendere la... mh... nobile professione del bardo. Portare l’arte e la musica per il mondo, nelle taverne, per il popolo. Sì, intrattenere il popolo.» Era una mezza bugia, ma aveva imparato negli anni ad essere convincente nelle menzogne.
Il Primo Bardo aprì di più gli occhi, quanto le rughe pesanti gli potessero permettere, e curvò gli angoli della bocca in quello che doveva essere un dolce sorriso.
«Così mi conquistate il cuore, mia cara. Le porte del nostro Conservatorio sono sempre aperte a-» fece un respiro smorzato, chiuse gli occhi e dopo mezzo minuto li riaprì, cercando di respirare regolarmente.
«Tutto bene, mio Signore? Forse avete bisogno di un po’ d’aria pulita, quella nella stanza si è fatta pesante.» Kara, svogliata e minimamente preoccupata per la salute dell’uomo, si alzò dal letto e si diresse verso la grande finestra che dava sul cortile posteriore della struttura. Aprì le ante e fu investita da una splendida brezza fresca pomeridiana, che mosse lievemente i riccioli castani che le contornavano il volto a cuore.
Si voltò e, sempre restando appoggiata alla finestra, sorrise mestamente all’uomo anziano.
«Respirate profondamente qualche boccata d’aria, vi sentirete meglio.»
«Vi ringrazio…» rispose lui con un fil di voce e inchinando leggermente il capo.
«Comunque – riprese pochi secondi dopo – stavo dicendo che le porte del Conservatorio sono sempre aperte, per voi. Ci servono talenti nuovi, freschi e giovani… Non come quei mentecatti che mi ritrovo ad avere sempre intorno. Menti inutili e vuote. Ah! Se solo potessi liberarmene e avere al loro posto dolci e belle fanciulle come voi.»
«Sì, temo di aver notato i vostri rigidi attendenti, venendo qui, ma-»
«Rigidi? Ah! Superficiali, pomposi piccoli parassiti, ecco cosa sono. Tutti gli anni che ho speso per mantenere vivo e splendente questo posto, buttati al vento.»
Riprese fiato, cercando di abbassare il tono della voce: tutto quello sforzo sembrava averlo prosciugato dalle energie. Sorrise di nuovo in direzione della ragazza.
«Ma non è questo il momento per sfoghi poco appropriati. Perché non allietate i dolori di questo povero vecchio cantando qualcosa? Sarei curioso di sentire la vostra, certamente, incantevole voce.»
Kara si sentì presa alla sprovvista. Balbettò qualcosa cercando di svincolarsi dalla situazione, ma alla fine si arrese e intonò una canzone popolare di Sophiria che sua madre canticchiava spesso nelle belle giornate.
Parlava di quanto fosse stato fortunato l’Impero a poter godere delle menti brillanti e gli eccelsi intelletti del Regno, e di come ogni straniero rimanesse incantato dalla profonda bellezza di quel luogo.
Kara non l’aveva mai particolarmente apprezzata, dopotutto era fuggita da Sophiria appena ne aveva avuto la possibilità, per poi non tornarci mai più, proprio perché trovava insopportabili quei vecchi e pomposi dotti che “regnavano” e condizionavano la vita di tutti gli abitanti.
Tuttavia fu l’unica che le venne in mente in quel momento – a parte qualche canto volgare dei suoi preferiti, che non le sembrava il caso di tirar fuori – così iniziò a cantare, volgendo di tanto in tanto lo sguardo verso il luminoso paesaggio esterno.
Quando ormai stava volgendo al termine un colpo di tosse violento – seguito da una lunga serie di altri –interruppe le ultime note, facendole rimanere il gola alla ragazza, che spaventata corse dall’uomo piegato in due dal dolore.
Kara non sapeva cosa fare, non voleva assolutamente trovarsi in quella situazione.
«Cercate di respirare a fondo, vado a chiamare aiuto.»
Stava per allontanarsi quando il vecchio le prese il polso e con uno sforzo minimo tentò di avvicinarla a sé.
«Aspettate… aspettate. Non penso che l’aiuto di uno di quegli imbecilli mi possa essere utile. Temo perfino che una di quelle sanguisughe mi abbia volontariamente avvelenato poco alla volta, in questo ultimo periodo.»
Fece una pausa, tossendo ancora e spargendo gocce di sangue per tutto il lenzuolo bianco che copriva il letto.
«Sentite, devo cercare qualcuno, mi dispiace per quello che vi sta succedendo ma non è un problema mio.» Kara scandì le ultime parole lentamente, sperando che il vecchio afferrasse il concetto.
Quando questo stava per rispondergli, un bussare alla porta distrasse entrambi.
«Entrate!» gridò lei, sperando così di togliersi da quella spiacevole situazione. Era lo stesso ragazzo che aveva incontrato alla bettola e che l’aveva assunta. Questo spostò lo sguardo velocemente tra lei, sempre più, disperata e il vecchio che continuava a tossire.
«Sta male, fatica a respirare» cercò di spiegare Kara, allontanandosi dal letto. Mandò al ragazzo uno sguardo piuttosto eloquente, come se da quel momento non fosse davvero più un problema suo. Stava prendendo la leggera borsa di tela da terra e si stava dirigendo verso l’uscita, quando sentendo le parole del vecchio rimase bloccata sulla soglia.
«Declan, prendi un pezzo di pergamena e un pezzetto di carboncino sulla mia scrivania, svelto. – Il ragazzo corse a prendere il materiale, poi tornò al letto – Molto bene, scrivi le mie ultime volontà.»
Declan spalancò gli occhi, perplesso. «Come, signore?»
«Chiudi quella bocca e scrivi quello che ti dico, presto potrei non avere più la forza per firmare. Usa tutti quei bei termini altisonanti, e poi segna che in via eccezionale, il ruolo di mio successore non dovrà andare a nessuno che non sia la qui presente signorina Kara… mh, come fate di cognome, cara?»
Il giovane Declan, sempre più sbalordito, si volse anche lui a fissare la ragazza pietrificata sulla soglia della porta.
«Cosa state dicendo? Siete ammattito, per caso?»
«Bé, ragazzo, non ho molto tempo, lascia uno spazio e vai avanti, dunque...»
Kara rimase ad osservare la scena come se fosse estranea e lei non si trovasse davvero lì.
Quando Declan ebbe finito aiutò il vecchio a firmare, poi uscì velocemente per chiamare aiuto. Kara era stata tentata di seguirlo e scappare via da quel posto il più in fretta possibile, ma l’uomo morente la fermò.
«Aspettate, vi prego… restate con questo vecchio ancora qualche minuto. Sicuramente non capirete il mio gesto, ma al momento poco importa. – Sorrise per una frazione di secondo, prima di tossire ancora una volta – Una giovane donna furba come voi lo capirà, e poi non vorrete davvero distruggere così l’ultimo desiderio di un pover’uomo?»
Kara avrebbe potuto usate svariate parole per dissentire ma l’arrivo di alcuni membri del Conservatorio l’interruppero nuovamente. 
«Che cosa è successo, qui?» esclamò un uomo sulla sessantina, con una folta barba grigiastra. Si avvicinò al moribondo senza degnare di troppe attenzioni la ragazza. Si rivolse unicamente a Declan, che si era affrettato a raggiungere.
«Il Primo ha avuto un altro dei suoi attacchi di tosse, ma era con la signorina, io sono arrivato solo dopo… Ha voluto che scrivessi le sue ultime volontà, Maestro» finì con un filo di voce, ricordando l’oggetto del messaggio.
«Allora sarà meglio che tu corra a consegnarlo al Decano, e avvisalo di questa situazione. Per il momento qui me ne occupo io. Voi – disse indicando i due uomini abbastanza giovani che si era portato dietro – prendete con estrema delicatezza il Primo e portatelo immediatamente dal Cerusico del Conservatorio.»
Kara si alzò in piedi di scatto mentre gli uomini portavano il vecchio ormai mezzo svenuto fuori dalla stanza e per il corridoio est. Il Maestro uscì lentamente come loro e si fermò ad osservarli da lì; Kara gli si avvicinò.
«Io… credo di dover andare.»
L’uomo la fissò, lo sguardo che le mandò fece intendere chiaramente cosa pensasse di lei.
«Dovete essere pagata?»
«No, ci aveva già pensato il ragazzo, prima di…» Fece una pausa e sbuffò. Avrebbe voluto dirgli delle assurde ultime volontà del vecchio pazzo, ma sapeva che non le avrebbe creduto.
«Credete che si riprenderà?»
«È molto vecchio – pensieroso si grattò la barba folta – e non era mai stato così male. Temo che lo sforzo con voi gli sia costato le ultime forze che lo legavano alla vita. Non credo arriverà a domattina.»
Dopo un’occhiata alla ragazza, riprese.
«Dove alloggiate?»
«Alla bettola di Emera…»
«È a qualche ora di distanza… Sembrate parecchio sconvolta, non credo sia sicuro per voi viaggiare a cavallo in questo stato. Se volete potete riposarvi un po’, partirete quando vi sentirete meglio.»
«Bé, in realtà preferirei tornare-» All’improvviso Declan svoltò l’angolo del corridoio est, sempre di corsa, agitato e con un cipiglio preoccupato sul volto.
«Maestro! Il Decano la vuole immediatamente nel suo studio e ha anche ordinato che lei – indicò Kara – non lasci il palazzo per nessun motivo.»
Il Maestro lanciò uno sguardo vagamente curioso alla ragazza poi, mentre si dirigeva lentamente in direzione del corridoio, si rivolse a Declan.
«Bé, avevao già deciso che sarebbe rimasta per un po’. Scortatela in una delle stanze al piano superiore, così avrà modo di riposare e riprendersi da questa brutta faccenda. – Fece un cenno alla ragazza – A presto, milady
Kara seguì il ragazzo senza fiatare, voltandosi solo una volta indietro cercando di capire, disperata, quanto fosse grande il guaio in cui si era cacciata.  
 
 
Si era appena svegliata quando avevano bussato alla sua porta.
Kara guardò fuori la finestra e capì che doveva essere tarda sera; aveva dormito più di quanto avesse intenzione di fare. Stropicciandosi gli occhi e ravvivando con un gesto della mano i lunghi ricci sulle spalle, si avvicinò alla porta. Abituata alla vita da locanda, aprì inizialmente solo uno spiraglio, tenendo un piede appoggiato contro il legno della porta pronta a chiudere nel caso si trattasse di una cattiva visita.
Quando sentì la voce di Declan sospirò e gli fece spazio per entrare.
«Il Decano vi vuole immediatamente nel suo studio – disse serio e sicuro, poi imbarazzato continuò più dolcemente – se state meglio, ovviamente.»
«Sì, certo, prima chiudiamo questa storia e meglio è.»
Quando arrivò finalmente allo studio del Decano, Kara non fu sorpresa di trovarci all’interno anche il Maestro. Era seduto comodamente su una poltroncina e l’osservava curioso, senza più ombra del disgusto che le aveva riservato nel pomeriggio.
«Accomodatevi pure» esclamò quello che doveva essere il Decano, che si trovava in piedi vicino ad una grande libreria. Era più giovane del Maestro, ma anche lui poteva vantare una certa età. Non mostrava barba e i capelli erano quasi totalmente neri, aveva uno sguardo severo. Sembrava tutto fuorché un bardo, e Kara capì cosa intendesse il vecchio Primo nelle sue lamentele. Come pretendevano di inondare d’arte e bellezza le anime del popolo, quando quello che trasmettevano anche al primo colpo d’occhio era serietà e cupezza?
Kara aveva sempre visto i bardi e cantastorie in tutt’altro modo.
«Immagino abbiate capito perché vi trovate qui» iniziò il Decano.
«Si tratta delle volontà del Primo?» chiese lei, sicura.
«Esattamente – sospirò l'uomo – Potrete immaginare allora anche la nostra sorpresa e imbarazzo, quando abbiamo dovuto leggerle. Sapete chi è l’unico che può proclamare il Primo Bardo della Compagnia Bardica dell’Ultima Nota? – Non aspettò una risposta – il precedente Primo Bardo. Se questo prima di morte non riesce a dare un nome, la carica passa immediatamente al Decano del Conservatorio. Che, in questo caso, sarei io.»
Kara fece fatica a reprimere un sorrisino, aveva appena capito l’espressione truce sul viso dell’uomo: il Primo aveva rovinato il suo desiderio di ambizione.
«Quindi? Non capisco il problema. Convincete il Primo a cambiare idea, è evidente che non fosse lucido in quel momento, altrimenti dubito avrebbe mai-»
«Il Primo è morto. – rispose tranquillamente il Maestro – Ha spirato l’ultimo respiro pochi minuti prima che Declan venisse a chiamarti.»
Kara venne colpita da questa notizia peggio di quanto immaginasse; non le importava molto del vecchio, era abituata a non affezionarsi o legarsi in alcun modo ai clienti, era invece preoccupata per quello che sarebbe successo dopo.
Il Decano richiamò l’attenzione di entrambi, con un lieve colpo di tosse.
«Questo ci riporta a te. Tutta questa storia è assolutamente ridicola, assurda. Ma dopotutto, la firma è ufficiale e-»
Kara spalancò gli occhi.
«Cosa? Mi state prendendo in giro? Non ho nessuna conoscenza nel campo, non ho mai studiato e non so nemmeno cosa faccia effettivamente un Primo Bardo…»
«Questo non dovrà uscire da queste mura, infatti. Quello che il popolo saprà è che voi siete stata scelta e ricoprirete quel ruolo, inventatevi pure la storia che volete, ma non dovrà sapere nessuno in quali circostanze questo è avvenuto» le rispose il Maestro, grattandosi la barba nello stesso modo di quel pomeriggio.
«Ovviamente – disse il Decano, alzando il tono della voce – se voi accettate. Avete il diritto di rifiutare l’offerta e lasciare, come sarebbe dovuto essere fin dal principio, a me il comando.»
Kara era in conflitto.
Una donna come lei non si sarebbe mai lasciata sfuggire l’occasione; dopotutto quel ruolo le avrebbe portato tanta ricchezza che mai avrebbe potuto sognare nella vita. Tuttavia, Kara temeva i pericoli e gli obblighi che quella decisione le avrebbe portato. Non era mai andata in cerca di guai intenzionalmente, ma non aveva mai rinunciato a nessun privilegio.
Ripensò alle parole del vecchio e fissò il viso scuro del Decano.
«Accetto – disse infine – voglio farlo.» Incrociò le braccia al petto e accavallò le gambe.
«Ma alle mie condizioni e alle mie regole.»
Un sorriso sbieco spuntò sul volto del Maestro, mentre il Decano annuiva visibilmente furioso e andava a sedersi al suo scranno.
«Verrete sicuramente ricordata nel Conservatorio, la Prima Barda Meretrice della storia» concluse sogghignando il Maestro.
   
 
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