capitolo
3
Elsa
vede la renna e lo
capisce.
Sven nitrisce rabbioso, forte, grugnisce, si dimena, puntando le corna
contro
chiunque gli si avvicini. Le guardie lo stanno circondando, in mano una
corda e
una rete, ma li evita tutti con destrezza, correndo da una parte,
dall’altra.
"Legatelo!"
"Prendetelo—prendetelo—"
"Qua!"
Elsa osserva. Ha addosso i finimenti, ma si trascina dietro i capi
della
bardatura, sfilacciati, forse strappati. Strappati, come se Sven li
avesse
staccati a morsi. Stringe i pugni. "Basta!"
Le guardie si fermano immediatamente. "Vostra Altezza!" borbottano,
tutti e cinque in coro, e poi si inchinano profondamente, con
l’aria ridicola—cappelli
fuori posto, corde intorno ai piedi. Sven corre verso di lei,
all’entrata del
palazzo dov’è in piedi. Si impenna, puntando la
testa verso le montagne oltre
le mura. Lo fa di nuovo. Elsa lo raggiunge in fretta, le mani avanti a
sé—uno
strato di ghiaccio attorno alle unghie. "Piano, piano, piano," lo
calma. Sven si zittisce, ma ha il respiro accelerato. "Sven,
dov’è
Kristoff?"
Sven ripete il gesto verso le montagne.
Doveva svegliare Anna? Elsa si stringe le mani, lo sguardo fisso,
poi—"Preparate una slitta!" ordina, cercando di rimanere
calma, fredda,
ma c’è del gelo nelle vene
ed è
spaventata, ha paura che sua sorella avesse ragione ad essere
preoccupata ed ecco
lei invece, a sminuire. "Preparate un battaglione. Sette guardie, a
cavallo e attrezzate per l’inverno. In fretta!"
"Sì, Vostra Altezza!"
"Sven, torno subito," dice, appoggiando la mano sul naso della renna.
"Ho bisogno che tu rimanga calmo, ok?"
Sven grugnisce dal naso. Elsa si solleva la gonna, liberando le gambe,
e torna
indietro di corsa al castello, ignorando, per il momento, i manierismi
da
regina. Percorre le scale a chiocciola quasi con un solo scatto, arriva
fino al
corridoio con le grandi finestre; la luce della luna si fa
più sbiadita. Si
arresta all’improvviso davanti alla porta di Anna, col petto
che si abbassa e
si solleva in fretta, alza la mano per bussare—
Si ferma, fissando la porta di legno bianco.
Cosa avrebbe detto?
Cosa
avrebbe potuto dire?
Si morde il labbro. In fretta, doveva farlo in fretta—
Bussa pianissimo. Aspetta il tempo di un battito cardiaco, riprova un
po’ più
forte. "Anna?" Afferra la maniglia, la gira. "Anna, io—"
Lascia andare la porta, che si apre. C’è la
coperta, sul pavimento; e le porte
del balcone aperte; e il letto, vuoto. Il pavimento turbina in un
vortice di
ghiaccio affilato, che strappa il copriletto in due pezzi, ma Elsa non
lo vede—
Corre.
________________________________________
"Aiuto!" La sua voce è ruvida, roca. Il respiro forma una
nuvoletta e
i polmoni gli fanno male e ha dolore alla caviglia. Si era spinto in
su,
tenendo lei in grembo, una gamba inutile stesa all’infuori, e
sedevano lì, al
buio. Prova ancora, "Qualcuno, per favore!"
Presto avrebbe perso la voce. Se ne stava già andando,
strozzata verso la fine,
debole e silenziosa, al freddo. La sue grida d’aiuto non
arrivano lontano.
L’aria della mezzanotte li sta uccidendo.
Non si muove. Respira—piano, a fatica, in maniera
orribilmente
irregolare—ma lei non si muove.
"Aiuto!"
________________________________________
C’è una scia di ghiaccio che la segue per tutta la
città, su nelle montagne, ma
le guardie non dicono una sola parola. Abbastanza in alto,
nell’aria fredda,
rarefatta, comincia a pensare con più lucidità, e
ascolta il vento che le porta,
fischiando, canzoni di ghiaccio e neve—si guarda indietro e
Arendelle è un
borgo tranquillo, addormentato, accoccolato nell’abbraccio
delle montagne. Il
cielo si fa più chiaro, colorato di violetto
all’orizzonte.
Il suolo inizia a diventare più duro, e poi intravede la
prima neve. Dovrebbero
essere in alto abbastanza da usare la slitta, che avevano caricato su
un carro.
Sven è lì affianco affaticato, grugnisce e
colpisce la terra con lo zoccolo.
"Scaricate qui, e veloci," Elsa esclama, smontando. Afferra i capi
del mantello e dice a se stessa che non sarebbero stati più
capaci di
distinguere il ghiaccio provocato da lei e quello normale, non
più. È un
piccolo, piccolissimo conforto.
"Vostra maestà," fa una delle guardie, e dietro di lui Sven
ansioso, impaziente,
si sistema davanti alla slitta. Iniziano a imbardarlo. "Sarebbe
pericoloso
per voi proseguire oltre—"
Elsa lo guarda fredda. Se fosse stata Anna, avrebbe detto, E
per te sarebbe
pericoloso finire quella frase. Ma non lo fa. Dice, "Apprezzo
la tua
preoccupazione. Grazie. Salirò sulla slitta."
Si infila dietro la parte ricurva, afferra le redini, e prima che
chiunque
altro possa protestare, esclama, "Vai, Sven."
________________________________________
Lo sente—il picchiettare familiare di una slitta sulla neve
fresca, il rumore
degli zoccoli di Sven, il nitrito di molti cavalli—e urla,
"Qui!" Si
spezza. Prova ancora. "Qui!"
Il rumore di sopra, accanto alla crepa irregolare nel soffitto di
qualunque
cosa fosse quella in cui erano, si spegne lentamente. Le persone
smontano da
cavallo.
Non è mai stato, in tutta la sua vita, così
contento di vedere delle persone—
"Lei è là sotto?"
—ok, forse no.
"Già—uh, sì!" risponde alla regina. "Ha
battuto la testa mentre
cadeva, abbastanza forte!"
"Preparate delle corde, svelti!" ordina. Non c’è
esitazione. Quando
Anna ordinava qualcosa, lo chiedeva ed era carina—per favore
potete e grazie—ma
anche da laggiù Kristoff sa che la donna di sopra
è la regina, e le si deve
obbedire. E lo spaventa. Ma non a causa della sua magia—la
sua magia era la
cosa più bella che avesse mai visto.
No, lo spaventa perché è la sorella di Anna.
Una lunga corda viene fatta cadere da su; riesce a intravederla solo
quando è
proprio in alto, nella caverna, prima che venga inghiottita dal buio.
"Non
riesco a vedere!" urla di rimando. Così vicini, e ci stavano
mettendo
troppo.
Dei mormorii di sopra, della neve viene spostata—abbastanza
da far cadere dei
grossi mucchi dal bordo, che atterrano con un tonfo silenzioso nel
buio, fuori
portata. Poi viene calata una guardia del palazzo, con stretta in mano
una
lanterna tremolante. La fiamma basta a malapena per vederci, e di certo
non
abbastanza da illuminare l’intera caverna, ma per gli occhi
di Kristoff è il
sole. "Quaggiù!" Agita la mano.
La guardia atterra al suolo, afferra la corda srotolata che era stata
lanciata
troppo oltre, e cammina verso di loro. Di nuovo, Kristoff riesce a
intravedere
il bagliore che lo aveva portato laggiù
dall’inizio—bellissimo, dei viola e dei
blu vorticanti, qualcosa di chiaro, e perfetto, ma poi non
c’è più. La guardia
li raggiunge. "Ce la fai a portarla?"
Gli fanno male le braccia ed è stanco. Così
stanco. "Sì."
La guardia gli allaccia attorno una corda, legandola stretta. "E ad
alzarti in piedi?"
"No."
"Allora reggiti."
Kristoff stringe Anna, e la guardia grida a quelli di sopra,
"Tirate!"
C’è un grugnito collettivo, e poi Kristoff viene
sollevato di parecchi pollici
al di sopra del suolo. La corda si tende. Anna è immobile
nella sua stretta. La
gamba debole si stacca da terra come l’arto di una bambola di
porcellana rotta,
e sente una fitta di dolore su per la coscia. Dondolano avanti e
indietro al
buio, penzolando al di sopra di qualsiasi cosa ci fosse in quella
caverna, come
su un’altalena.
"Tira!"
Arrivano un po’ più in alto.
"Tira!"
E ancora.
"Tira!"
E ancora. È tanto vicino da toccare l’apertura
irregolare della crepa nel
soffitto, ma non vuole rischiare di far cadere Anna. Lentamente,
lentamente,
attraversano piano la crepa, all’aria aperta, corroborante,
gelata. Inizia ad
alzarsi il vento, l’inizio di una tempesta di neve. Toccano
terra. Le guardie
annaspano; Una si piega e comincia a sciogliere i nodi
dell’imbracatura sua e
di Anna. Elsa si inginocchia accanto a loro; il vento è
più forte dove c’è lei,
Kristoff nota inespressivo. Tocca il viso di Anna.
"Quanto è stata brutta la caduta?"
"Ha battuto la testa," ripete. "Credo che possa avere una
commozione cerebrale—si sta gonfiando, ma se riusciamo a portarla dai
troll—"
Elsa annuisce brusca. "Sì. Ma certo." Si gira verso la
slitta. Quando
si accorge che Kristoff non la segue, si volta impaziente.
"Io—ho una gamba rotta."
"Aiutatelo ad alzarsi," ordina. Il vento aumenta
all’improvviso. Due
guardie prendono Anna e la stendono dietro, mentre altre due lo
afferrano senza
grazia sotto le braccia e lo depositano accanto alla regina. "Ci
vediamo
al castello. Lasciate qui il carro."
"Vostra maestà—"
"E’ un ordine."
Ha la gamba a fuoco. La sistema attentamente di lato, e trova Sven che
si è
voltato indietro a guardarlo con un’aria preoccupata.
"Grazie,
amico."
Sbuffa dal naso.
"Sven, portaci dai troll," Elsa ordina.
Kristoff non le fa notare che non ha il diritto di dire alla sua renna
quello
che deve fare, perché è la regina, e non si
discute con lei. Perché è la
regina, e hanno pochissimo tempo. La slitta sbanda in avanti nella
notte
tempestosa. Ha la bocca impastata.
"E’ stata colpa mia," fa all’improvviso.
È la regina. Non può
parlarle così, vero? Ma Anna era una principessa, e con lei
parlava così,
quindi voleva dire che—e come doveva comportarsi,
e—era così confuso.
"Se Anna guardasse prima di saltare e camminasse invece di correre,
comunque, immagino che non saremmo in questo pasticcio," la voce di
Elsa è
tesa.
"Ma, poi, uh—lei, uhm, non sarebbe Anna." Si strofina la
nuca.
"No?"
Elsa sbatte le palpebre. Le sue nocche sono spiacevolmente bianche.
Troppo
bianche. Bianche quanto la neve posata ai loro lati.
C’è sorpresa, nei suoi
occhi. Un po’ di sofferenza. Dice, "Ventuno anni, e ancora
non conosco mia
sorella."
Kristoff non sa come chiederle di spiegare cosa vuole dire. I cancelli
erano
stati sbarrati per così tanto tempo—che era
successo, dietro quelle porte
chiuse? E cosa poteva dire, lui? Persone. Non sapeva.
Quindi
siede accanto alla regina e rimane in silenzio, cercando di ignorare la
gamba
che pulsa, e che va a fuoco a ogni piccolo fosso e sobbalzo del terreno.
Vanno con la slitta più avanti che possono, prima che il
terreno diventi troppo
verde, e poi devono fermarsi. Kristoff si sporge in avanti, trasalendo,
e
sgancia Sven. Elsa, mordendosi il labbro mentre si concentra, evoca una
leggerissima brezza nevosa, per aiutare a reggere la sorella sul dorso
della
renna.
"Sempre dritto," Kristoff dice. "Sven conosce la strada."
Quasi riluttante, Elsa chiede, "E tu starai bene?"
Kristoff annuisce. Le sorelle proseguono.
Lo lasciano indietro.
________________________________________
La piccola valle è calma, e calda, ma l’erba
intorno a lei sta diventando
bianca. Sven gratta con la zampa il terreno attorno a lui. Mantiene una
mano
posata su Anna.
L’ultima volta che era stata lì, era stato
l’inizio della fine—i suoi genitori
in piedi accanto a lei come sentinelle silenziose, la visione
terrificante
della sua magia che si trasformava in qualcosa di spaventoso. E Anna,
immobile
e silenziosa, com’era adesso. Stranamente, Elsa pensa che
anche questa sia
colpa sua. In maniera contorta, strana, indiretta. Colpa sua, nondimeno.
Quello che aveva detto a Kristoff, nella slitta, ritorna fluttuando.
Sembrava
che anche lui conoscesse sua sorella meglio di lei. Lei e
Anna—erano su un
terreno irregolare, il loro rapporto andava a tentoni.
"C’è qualcuno?" chiama piano. "Per favore,
Io—io non so se vi
ricordate di me, ma—"
Un suono di valanga, e almeno trenta massi rotolano verso di lei. Elsa
lotta
coi ricordi, ma tornano veloci, forti.
Nascondi. Non sentire. Non lasciare che si veda1
—
"Regina Elsa!" Un troll con un naso bitorzoluto e una criniera di
erba morente, marrone, si inchina davanti a lei. E’ in piedi
dove c’era un
masso, alcuni momenti prima, e adesso che guarda, tutte le rocce sono
troll.
"Certo che ci ricordiamo di te." I suoi occhi acuti si spostano su
Sven. "E’ la Principessa Anna?" Si acciglia, facendo un passo
avanti.
"Credevo che non avesse più—"
"No! No, non è questo," Elsa interrompe, con la paura di
parlarne.
"No, è—caduta. Kristoff ha detto che è
stato un trauma cranico, e che voi
potreste guarirla—"
"Dov’è Kristoff? Dov’è il mio
dolce bambino?" Chiede un altro troll,
facendosi spazio tra la folla.
"E’ rimasto indietro alla slitta—si è
rotto la gamba—ma per favore,
potreste guarirla—"
"Bulda," il troll più anziano si rivolge alla seconda che
aveva
parlato, "occupati di Kristoff. In quanto alla principessa, poggiatela
qui." Fa cenno al suolo. Elsa fa alzare un venticello per aiutarla a
far
scendere sua sorella dal dorso di Sven. "Con la testa si può
ragionare," l’anziano troll spiega, premendo due dita tozze
da ogni lato
del cranio della sorella. "Un bozzo, sembra." C’è
uno scintillio
rosso, giallo, scintille blu, e il troll anziano sorride. "Ma niente
che
un po’ di magia non possa sistemare."
Bagna le tempie di Anna, prima di svanire fino a diventare il sussurro
di un
pensiero, e fluttua via tra il vento. Le dita di Elsa le pizzicano
dall’impazienza. "Sta—?"
L’anziano chiude gli occhi, respira, e poi li apre con un
sorriso. "Tutto
quello che le serve è un po’ di sonno."
Elsa esala un respiro che non sapeva di star trattenendo. Il vento si
calma. Si
appoggia sui talloni, sentendosi di nuovo una bambina.
"Signore—"
"Per favore, chiamami Papi."
"Papi." Elsa testa il nome. "Da dove—da dove viene la
magia?"
"La tua magia, o la mia?"
È consapevole della presenza di altri veti troll che la
guardano, che sbattono
le ciglia, mormorano, sussurrano. Esclama, "Tutta la magia."
"Ognuna ha una fonte diversa," Papi dice. Con un cenno della mano le
scintille ritornano, galleggiando attorno a loro in una spirale
delicata.
Sfiorano la sua guancia come un bacio tiepido. "La mia viene dalla
terra."
"Sai—sai da dove viene la mia? La mia maledizione?"
Papi la guarda un po’ triste. Le scintille scivolano sopra
l’erba ghiacciata
sotto i suoi piedi, e si scioglie. "Lo consideri una maledizione? Sei
nata
con questo dono."
Elsa si guarda le mani. Anna è stesa tranquilla a terra. La
respirazione si è
regolarizzata, ma riesce ancora a vederla, piccola e ferita dopo quella
fatidica notte, riesce ancora a vederla, ghiaccio solido su quel mare.
"Lo
so. Ma non sempre—mi sembra così."
"Hai imparato qual è il segreto per controllarla," Papi fa
lentamente.
"L’amore scioglie," Elsa sorride teneramente ad Anna, ma
presto il
sorriso si scioglie e va via. "Sì. Ma voglio
sapere—voglio sapere perché.
Perché io."
Papi si sporge in avanti. Dice, "Hai imparato a controllarla, ma il tuo
cuore è ancora indeciso." Le preme uno delle sue grosse,
ruvide dita sul
petto. "Apprendi il segreto dell’origine della tua
magia—accettalo—e
diventerai di gran lunga più forte."
________________________________________
"Bambino mio!"
"C—cosa, ehi, ahi, ahi, Ma—"
Bulda attacca un lato della sua faccia, atterrandogli sulla spalla, e
Kristoff
cade pesantemente di lato atterrato dalla sua mole. La gamba gli fa
male.
"Sei ferito? Dove ti fa male? Cosa ti fa male?" Inizia a tastargli
pantaloni e camicia. La scuote via.
"Ma, ti prego, sto bene."
"Non dirmi bugie," Bulda esclama severa, afferrandogli il mento tra
le mani rocciose. "Sul serio, Kristoff, e che cosa hai fatto ad
Anna?"
"N-Niente! Perché dovrei—"
"Vi siete già sposati?"
"No, Ma, non siamo—ahi!" Kristoff ulula indignato. "Avresti
almeno potuto avvertirmi prima di—"
Bulda gli passa uno dei suoi cristalli rosa sulla gamba. Scintilla,
calda, e il
dolore si allevia. "Non fare il bambino. E voglio che non ci appoggi su
peso almeno per le prossime dodici ore."
Siede in una posizione scomoda, mezzo rovesciato nella parte anteriore
della
slitta, ed ecco il troll che l’ha cresciuto, in piedi sul
bordo, con le mani
sui fianchi. Kristoff pensa alla sua vita ogni tanto. Voleva solo che
fosse
semplice, senza problemi contorti.
"E perché," sua madre gli chiede, "non le hai fatto ancora
la
proposta di matrimonio?"
"Beh—lei—si è appena s-fidanzata con
quel—Hans delle Isole del Sud, e sto
cercando solo di capire come sistemare—"
"Sistemare cosa! Kristoff, bambino, non ti ho mai visto guardare
nessuno
così. Tranne Sven."
"Fidati, non guardo Sven così."
Bulda si piega in avanti. "Uh-huh. È un rapporto strano,
tesoro, forse è
questo che la spaventa—"
"Ma, ti prego—"
"Senti, Kristoff. La ami! Che c’è più
da capire?"
"Tutto?" Sospira, strofinandosi il viso. "C’è Papi
con
lei?"
"Starà bene, adesso." Bulda si siede, dondolando le gambe
corte,
tarchiate. "Piccolo, parlane con me."
"Io—solo che. Io non—"
"Dillo a parole tue, Kristoff," Bulda dice.
"Mi fa paura quanto la amo," Kristoff geme in fretta, perché
sua
madre gli avrebbe fatto pressione finchè non
l’avesse detto comunque, quindi
tanto meglio farla finita. "Non ho mai avuto bisogno di altri, tranne
voi."
Bulda lo esamina attentamente. "E?"
Kristoff si stropiccia gli occhi. "Ed è una principessa."
"Che, chi pensa che il mio bambino non sia abbastanza per una
principessa,
huh? Gli faccio vedere io, gli faccio—"
"Io, io lo faccio!"
"Oh, Kristoff," Bulda balza avanti e lo abbraccia stretto. "Sei
abbastanza, per chiunque!"
Sospira. "Se solo le cose fossero così semplici."
________________________________________
Galleggia. Stava sognando di essere stata baciata da un troll, ma poi
il troll
si era trasformato in Kristoff, e da qualche parte Elsa urlava il suo
nome.
Apre gli occhi. Il cielo è rosa pallido, il colore del
mattino. È stesa su
qualcosa di piatto, e le cime appuntite degli alberi scorrono via
lentamente.
Riesce appena a distinguere una testa color platino, e una testa
bionda. C’è
silenzio.
Sospira, soddisfatta, e chiude gli occhi.
________________________________________
Ormai il sole è sorto del tutto, quando caricano
la seconda slitta sul
carro, e si incamminano verso Arendelle. Kristoff osserva la slitta
nuova farsi
più piccola e lontana, sospirando. Elsa dice, "Torneremo a
prenderla
domani." Guarda il montanaro annuire triste. Poi vede il suo sguardo
spostarsi su Anna, dove è stesa, dietro, e la tristezza se
ne va. Il suo
sorriso è piccolo. Apre la bocca, poi la chiude. Invece,
passa le redini a
Kristoff, e in silenzio, proseguono per strada.
Un grido riecheggia, mentre si avvicinano al palazzo. "La regina! La
regina è tornata! E la principessa!"
Parecchi servi escono ad accoglierli, mentre fermano il carro nel
cortile. C’è
già un caldo insopportabile—l’estate che
cercava di resistere, con la sua
ultima stretta d’addio. Elsa si alza in piedi. È
esausta. Kristoff sembra sul
punto di svenire. Gli dice, "Sei più che benvenuto, se vuoi
restare in una
delle stanze degli ospiti."
"Oh, no, va bene così. Voglio solo—assicurarmi che
stia a posto,"
dice, muovendo il mento verso Anna. Girando intorno al carro,
dà dei colpetti
al collo di Sven, grato. Quando raggiunge Anna, la prende in braccio
come se
non pesasse niente. È accoccolata lì, al sicuro
tra le sue braccia, ed Elsa
scuote la testa, lottando contro il bisogno di strofinarsi gli occhi.
Si rivolge
a uno dei servi. "Conducete Kristoff nelle stanze di Anna."
"Sì, Vostra Maestà."
"E poi preparate la mia—"
"Vostra Altezza!" Un ciambellano grida. Si volta.
"Sì?"
"Un ospite è arrivato durante la vostra, ah, assenza.
Qualcuno è venuto
per vedervi. L’ho condotto in biblioteca
nell’attesa di Vostra Altezza."
Elsa si acciglia. Non aspettava visitatori. "Chi?"
"Un principe delle Isole del Sud."
1
La versione originale è Conceal, don’t
feel, don’t
let it show, che in italiano è stato reso, per
mantenere il ritmo della
canzone, Celare, domare. Qui si è preferito mantenere il
significato originale
del mantra di Elsa.