Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    04/04/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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capitolo 3

 

Elsa vede la renna e lo capisce.
Sven nitrisce rabbioso, forte, grugnisce, si dimena, puntando le corna contro chiunque gli si avvicini. Le guardie lo stanno circondando, in mano una corda e una rete, ma li evita tutti con destrezza, correndo da una parte, dall’altra.
"Legatelo!"
"Prendetelo—prendetelo—"
"Qua!"
Elsa osserva. Ha addosso i finimenti, ma si trascina dietro i capi della bardatura, sfilacciati, forse strappati. Strappati, come se Sven li avesse staccati a morsi. Stringe i pugni. "Basta!"
Le guardie si fermano immediatamente. "Vostra Altezza!" borbottano, tutti e cinque in coro, e poi si inchinano profondamente, con l’aria ridicola—cappelli fuori posto, corde intorno ai piedi. Sven corre verso di lei, all’entrata del palazzo dov’è in piedi. Si impenna, puntando la testa verso le montagne oltre le mura. Lo fa di nuovo. Elsa lo raggiunge in fretta, le mani avanti a sé—uno strato di ghiaccio attorno alle unghie. "Piano, piano, piano," lo calma. Sven si zittisce, ma ha il respiro accelerato. "Sven, dov’è Kristoff?"
Sven ripete il gesto verso le montagne.
Doveva svegliare Anna? Elsa si stringe le mani, lo sguardo fisso, poi—"Preparate una slitta!" ordina, cercando di rimanere calma, fredda, ma c’è del gelo nelle  vene ed è spaventata, ha paura che sua sorella avesse ragione ad essere preoccupata ed ecco lei invece, a sminuire. "Preparate un battaglione. Sette guardie, a cavallo e attrezzate per l’inverno. In fretta!"
"Sì, Vostra Altezza!"
"Sven, torno subito," dice, appoggiando la mano sul naso della renna. "Ho bisogno che tu rimanga calmo, ok?"
Sven grugnisce dal naso. Elsa si solleva la gonna, liberando le gambe, e torna indietro di corsa al castello, ignorando, per il momento, i manierismi da regina. Percorre le scale a chiocciola quasi con un solo scatto, arriva fino al corridoio con le grandi finestre; la luce della luna si fa più sbiadita. Si arresta all’improvviso davanti alla porta di Anna, col petto che si abbassa e si solleva in fretta, alza la mano per bussare—
Si ferma, fissando la porta di legno bianco.
Cosa avrebbe detto?

Cosa avrebbe potuto dire?
Si morde il labbro. In fretta, doveva farlo in fretta—
Bussa pianissimo. Aspetta il tempo di un battito cardiaco, riprova un po’ più forte. "Anna?" Afferra la maniglia, la gira. "Anna, io—"
Lascia andare la porta, che si apre. C’è la coperta, sul pavimento; e le porte del balcone aperte; e il letto, vuoto. Il pavimento turbina in un vortice di ghiaccio affilato, che strappa il copriletto in due pezzi, ma Elsa non lo vede—
Corre.
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"Aiuto!" La sua voce è ruvida, roca. Il respiro forma una nuvoletta e i polmoni gli fanno male e ha dolore alla caviglia. Si era spinto in su, tenendo lei in grembo, una gamba inutile stesa all’infuori, e sedevano lì, al buio. Prova ancora, "Qualcuno, per favore!"
Presto avrebbe perso la voce. Se ne stava già andando, strozzata verso la fine, debole e silenziosa, al freddo. La sue grida d’aiuto non arrivano lontano. L’aria della mezzanotte li sta uccidendo.
Non si muove. Respira—piano, a fatica, in maniera orribilmente irregolare—ma lei non si muove.
"Aiuto!"
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C’è una scia di ghiaccio che la segue per tutta la città, su nelle montagne, ma le guardie non dicono una sola parola. Abbastanza in alto, nell’aria fredda, rarefatta, comincia a pensare con più lucidità, e ascolta il vento che le porta, fischiando, canzoni di ghiaccio e neve—si guarda indietro e Arendelle è un borgo tranquillo, addormentato, accoccolato nell’abbraccio delle montagne. Il cielo si fa più chiaro, colorato di violetto all’orizzonte.
Il suolo inizia a diventare più duro, e poi intravede la prima neve. Dovrebbero essere in alto abbastanza da usare la slitta, che avevano caricato su un carro. Sven è lì affianco affaticato, grugnisce e colpisce la terra con lo zoccolo.
"Scaricate qui, e veloci," Elsa esclama, smontando. Afferra i capi del mantello e dice a se stessa che non sarebbero stati più capaci di distinguere il ghiaccio provocato da lei e quello normale, non più. È un piccolo, piccolissimo conforto.
"Vostra maestà," fa una delle guardie, e dietro di lui Sven ansioso, impaziente, si sistema davanti alla slitta. Iniziano a imbardarlo. "Sarebbe pericoloso per voi proseguire oltre—"
Elsa lo guarda fredda. Se fosse stata Anna, avrebbe detto, E per te sarebbe pericoloso finire quella frase. Ma non lo fa. Dice, "Apprezzo la tua preoccupazione. Grazie. Salirò sulla slitta."
Si infila dietro la parte ricurva, afferra le redini, e prima che chiunque altro possa protestare, esclama, "Vai, Sven."
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Lo sente—il picchiettare familiare di una slitta sulla neve fresca, il rumore degli zoccoli di Sven, il nitrito di molti cavalli—e urla, "Qui!" Si spezza. Prova ancora. "Qui!"
Il rumore di sopra, accanto alla crepa irregolare nel soffitto di qualunque cosa fosse quella in cui erano, si spegne lentamente. Le persone smontano da cavallo.
Non è mai stato, in tutta la sua vita, così contento di vedere delle persone—
"Lei è là sotto?"
—ok, forse no.
"Già—uh, sì!" risponde alla regina. "Ha battuto la testa mentre cadeva, abbastanza forte!"
"Preparate delle corde, svelti!" ordina. Non c’è esitazione. Quando Anna ordinava qualcosa, lo chiedeva ed era carina—per favore potete e grazie—ma anche da laggiù Kristoff sa che la donna di sopra è la regina, e le si deve obbedire. E lo spaventa. Ma non a causa della sua magia—la sua magia era la cosa più bella che avesse mai visto.
No, lo spaventa perché è la sorella di Anna.
Una lunga corda viene fatta cadere da su; riesce a intravederla solo quando è proprio in alto, nella caverna, prima che venga inghiottita dal buio. "Non riesco a vedere!" urla di rimando. Così vicini, e ci stavano mettendo troppo.
Dei mormorii di sopra, della neve viene spostata—abbastanza da far cadere dei grossi mucchi dal bordo, che atterrano con un tonfo silenzioso nel buio, fuori portata. Poi viene calata una guardia del palazzo, con stretta in mano una lanterna tremolante. La fiamma basta a malapena per vederci, e di certo non abbastanza da illuminare l’intera caverna, ma per gli occhi di Kristoff è il sole. "Quaggiù!" Agita la mano.
La guardia atterra al suolo, afferra la corda srotolata che era stata lanciata troppo oltre, e cammina verso di loro. Di nuovo, Kristoff riesce a intravedere il bagliore che lo aveva portato laggiù dall’inizio—bellissimo, dei viola e dei blu vorticanti, qualcosa di chiaro, e perfetto, ma poi non c’è più. La guardia li raggiunge. "Ce la fai a portarla?"
Gli fanno male le braccia ed è stanco. Così stanco. "Sì."
La guardia gli allaccia attorno una corda, legandola stretta. "E ad alzarti in piedi?"
"No."
"Allora reggiti."
Kristoff stringe Anna, e la guardia grida a quelli di sopra, "Tirate!"
C’è un grugnito collettivo, e poi Kristoff viene sollevato di parecchi pollici al di sopra del suolo. La corda si tende. Anna è immobile nella sua stretta. La gamba debole si stacca da terra come l’arto di una bambola di porcellana rotta, e sente una fitta di dolore su per la coscia. Dondolano avanti e indietro al buio, penzolando al di sopra di qualsiasi cosa ci fosse in quella caverna, come su un’altalena.
"Tira!"
Arrivano un po’ più in alto.
"Tira!"
E ancora.
"Tira!"
E ancora. È tanto vicino da toccare l’apertura irregolare della crepa nel soffitto, ma non vuole rischiare di far cadere Anna. Lentamente, lentamente, attraversano piano la crepa, all’aria aperta, corroborante, gelata. Inizia ad alzarsi il vento, l’inizio di una tempesta di neve. Toccano terra. Le guardie annaspano; Una si piega e comincia a sciogliere i nodi dell’imbracatura sua e di Anna. Elsa si inginocchia accanto a loro; il vento è più forte dove c’è lei, Kristoff nota inespressivo. Tocca il viso di Anna.
"Quanto è stata brutta la caduta?"
"Ha battuto la testa," ripete. "Credo che possa avere una commozione cerebrale—si sta gonfiando, ma se riusciamo a portarla dai troll—"
Elsa annuisce brusca. "Sì. Ma certo." Si gira verso la slitta. Quando si accorge che Kristoff non la segue, si volta impaziente.
"Io—ho una gamba rotta."
"Aiutatelo ad alzarsi," ordina. Il vento aumenta all’improvviso. Due guardie prendono Anna e la stendono dietro, mentre altre due lo afferrano senza grazia sotto le braccia e lo depositano accanto alla regina. "Ci vediamo al castello. Lasciate qui il carro."
"Vostra maestà—"
"E’ un ordine."
Ha la gamba a fuoco. La sistema attentamente di lato, e trova Sven che si è voltato indietro a guardarlo con un’aria preoccupata. "Grazie, amico."
Sbuffa dal naso.
"Sven, portaci dai troll," Elsa ordina.
Kristoff non le fa notare che non ha il diritto di dire alla sua renna quello che deve fare, perché è la regina, e non si discute con lei. Perché è la regina, e hanno pochissimo tempo. La slitta sbanda in avanti nella notte tempestosa. Ha la bocca impastata.
"E’ stata colpa mia," fa all’improvviso. È la regina. Non può parlarle così, vero? Ma Anna era una principessa, e con lei parlava così, quindi voleva dire che—e come doveva comportarsi, e—era così confuso.
"Se Anna guardasse prima di saltare e camminasse invece di correre, comunque, immagino che non saremmo in questo pasticcio," la voce di Elsa è tesa.
"Ma, poi, uh—lei, uhm, non sarebbe Anna." Si strofina la nuca. "No?"
Elsa sbatte le palpebre. Le sue nocche sono spiacevolmente bianche. Troppo bianche. Bianche quanto la neve posata ai loro lati. C’è sorpresa, nei suoi occhi. Un po’ di sofferenza. Dice, "Ventuno anni, e ancora non conosco mia sorella."
Kristoff non sa come chiederle di spiegare cosa vuole dire. I cancelli erano stati sbarrati per così tanto tempo—che era successo, dietro quelle porte chiuse? E cosa poteva dire, lui? Persone. Non sapeva. Quindi siede accanto alla regina e rimane in silenzio, cercando di ignorare la gamba che pulsa, e che va a fuoco a ogni piccolo fosso e sobbalzo del terreno.
Vanno con la slitta più avanti che possono, prima che il terreno diventi troppo verde, e poi devono fermarsi. Kristoff si sporge in avanti, trasalendo, e sgancia Sven. Elsa, mordendosi il labbro mentre si concentra, evoca una leggerissima brezza nevosa, per aiutare a reggere la sorella sul dorso della renna.
"Sempre dritto," Kristoff dice. "Sven conosce la strada."
Quasi riluttante, Elsa chiede, "E tu starai bene?"
Kristoff annuisce. Le sorelle proseguono.
Lo lasciano indietro.
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La piccola valle è calma, e calda, ma l’erba intorno a lei sta diventando bianca. Sven gratta con la zampa il terreno attorno a lui. Mantiene una mano posata su Anna.
L’ultima volta che era stata lì, era stato l’inizio della fine—i suoi genitori in piedi accanto a lei come sentinelle silenziose, la visione terrificante della sua magia che si trasformava in qualcosa di spaventoso. E Anna, immobile e silenziosa, com’era adesso. Stranamente, Elsa pensa che anche questa sia colpa sua. In maniera contorta, strana, indiretta. Colpa sua, nondimeno.
Quello che aveva detto a Kristoff, nella slitta, ritorna fluttuando. Sembrava che anche lui conoscesse sua sorella meglio di lei. Lei e Anna—erano su un terreno irregolare, il loro rapporto andava a tentoni.
"C’è qualcuno?" chiama piano. "Per favore, Io—io non so se vi ricordate di me, ma—"
Un suono di valanga, e almeno trenta massi rotolano verso di lei. Elsa lotta coi ricordi, ma tornano veloci, forti.
Nascondi. Non sentire. Non lasciare che si veda1
"Regina Elsa!" Un troll con un naso bitorzoluto e una criniera di erba morente, marrone, si inchina davanti a lei. E’ in piedi dove c’era un masso, alcuni momenti prima, e adesso che guarda, tutte le rocce sono troll. "Certo che ci ricordiamo di te." I suoi occhi acuti si spostano su Sven. "E’ la Principessa Anna?" Si acciglia, facendo un passo avanti. "Credevo che non avesse più—"
"No! No, non è questo," Elsa interrompe, con la paura di parlarne. "No, è—caduta. Kristoff ha detto che è stato un trauma cranico, e che voi potreste guarirla—"
"Dov’è Kristoff? Dov’è il mio dolce bambino?" Chiede un altro troll, facendosi spazio tra la folla.
"E’ rimasto indietro alla slitta—si è rotto la gamba—ma per favore, potreste guarirla—"
"Bulda," il troll più anziano si rivolge alla seconda che aveva parlato, "occupati di Kristoff. In quanto alla principessa, poggiatela qui." Fa cenno al suolo. Elsa fa alzare un venticello per aiutarla a far scendere sua sorella dal dorso di Sven. "Con la testa si può ragionare," l’anziano troll spiega, premendo due dita tozze da ogni lato del cranio della sorella. "Un bozzo, sembra." C’è uno scintillio rosso, giallo, scintille blu, e il troll anziano sorride. "Ma niente che un po’ di magia non possa sistemare."
Bagna le tempie di Anna, prima di svanire fino a diventare il sussurro di un pensiero, e fluttua via tra il vento. Le dita di Elsa le pizzicano dall’impazienza. "Sta—?"
L’anziano chiude gli occhi, respira, e poi li apre con un sorriso. "Tutto quello che le serve è un po’ di sonno."
Elsa esala un respiro che non sapeva di star trattenendo. Il vento si calma. Si appoggia sui talloni, sentendosi di nuovo una bambina. "Signore—"
"Per favore, chiamami Papi."
"Papi." Elsa testa il nome. "Da dove—da dove viene la magia?"
"La tua magia, o la mia?"
È consapevole della presenza di altri veti troll che la guardano, che sbattono le ciglia, mormorano, sussurrano. Esclama, "Tutta la magia."
"Ognuna ha una fonte diversa," Papi dice. Con un cenno della mano le scintille ritornano, galleggiando attorno a loro in una spirale delicata. Sfiorano la sua guancia come un bacio tiepido. "La mia viene dalla terra."
"Sai—sai da dove viene la mia? La mia maledizione?"
Papi la guarda un po’ triste. Le scintille scivolano sopra l’erba ghiacciata sotto i suoi piedi, e si scioglie. "Lo consideri una maledizione? Sei nata con questo dono."
Elsa si guarda le mani. Anna è stesa tranquilla a terra. La respirazione si è regolarizzata, ma riesce ancora a vederla, piccola e ferita dopo quella fatidica notte, riesce ancora a vederla, ghiaccio solido su quel mare. "Lo so. Ma non sempre—mi sembra così."
"Hai imparato qual è il segreto per controllarla," Papi fa lentamente.
"L’amore scioglie," Elsa sorride teneramente ad Anna, ma presto il sorriso si scioglie e va via. "Sì. Ma voglio sapere—voglio sapere perché. Perché io."
Papi si sporge in avanti. Dice, "Hai imparato a controllarla, ma il tuo cuore è ancora indeciso." Le preme uno delle sue grosse, ruvide dita sul petto. "Apprendi il segreto dell’origine della tua magia—accettalo—e diventerai di gran lunga più forte."
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"Bambino mio!"
"C—cosa, ehi, ahi, ahi, Ma—"
Bulda attacca un lato della sua faccia, atterrandogli sulla spalla, e Kristoff cade pesantemente di lato atterrato dalla sua mole. La gamba gli fa male. "Sei ferito? Dove ti fa male? Cosa ti fa male?" Inizia a tastargli pantaloni e camicia. La scuote via.
"Ma, ti prego, sto bene."
"Non dirmi bugie," Bulda esclama severa, afferrandogli il mento tra le mani rocciose. "Sul serio, Kristoff, e che cosa hai fatto ad Anna?"
"N-Niente! Perché dovrei—"
"Vi siete già sposati?"
"No, Ma, non siamo—ahi!" Kristoff ulula indignato. "Avresti almeno potuto avvertirmi prima di—"
Bulda gli passa uno dei suoi cristalli rosa sulla gamba. Scintilla, calda, e il dolore si allevia. "Non fare il bambino. E voglio che non ci appoggi su peso almeno per le prossime dodici ore."
Siede in una posizione scomoda, mezzo rovesciato nella parte anteriore della slitta, ed ecco il troll che l’ha cresciuto, in piedi sul bordo, con le mani sui fianchi. Kristoff pensa alla sua vita ogni tanto. Voleva solo che fosse semplice, senza problemi contorti.
"E perché," sua madre gli chiede, "non le hai fatto ancora la proposta di matrimonio?"
"Beh—lei—si è appena s-fidanzata con quel—Hans delle Isole del Sud, e sto cercando solo di capire come sistemare—"
"Sistemare cosa! Kristoff, bambino, non ti ho mai visto guardare nessuno così. Tranne Sven."
"Fidati, non guardo Sven così."
Bulda si piega in avanti. "Uh-huh. È un rapporto strano, tesoro, forse è questo che la spaventa—"
"Ma, ti prego—"
"Senti, Kristoff. La ami! Che c’è più da capire?"
"Tutto?" Sospira, strofinandosi il viso. "C’è Papi con lei?"
"Starà bene, adesso." Bulda si siede, dondolando le gambe corte, tarchiate. "Piccolo, parlane con me."
"Io—solo che. Io non—"
"Dillo a parole tue, Kristoff," Bulda dice.
"Mi fa paura quanto la amo," Kristoff geme in fretta, perché sua madre gli avrebbe fatto pressione finchè non l’avesse detto comunque, quindi tanto meglio farla finita. "Non ho mai avuto bisogno di altri, tranne voi."
Bulda lo esamina attentamente. "E?"
Kristoff si stropiccia gli occhi. "Ed è una principessa."
"Che, chi pensa che il mio bambino non sia abbastanza per una principessa, huh? Gli faccio vedere io, gli faccio—"
"Io, io lo faccio!"
"Oh, Kristoff," Bulda balza avanti e lo abbraccia stretto. "Sei abbastanza, per chiunque!"
Sospira. "Se solo le cose fossero così semplici."
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Galleggia. Stava sognando di essere stata baciata da un troll, ma poi il troll si era trasformato in Kristoff, e da qualche parte Elsa urlava il suo nome. Apre gli occhi. Il cielo è rosa pallido, il colore del mattino. È stesa su qualcosa di piatto, e le cime appuntite degli alberi scorrono via lentamente.
Riesce appena a distinguere una testa color platino, e una testa bionda. C’è silenzio.
Sospira, soddisfatta, e chiude gli occhi.
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Ormai il sole è sorto del  tutto, quando caricano la seconda slitta sul carro, e si incamminano verso Arendelle. Kristoff osserva la slitta nuova farsi più piccola e lontana, sospirando. Elsa dice, "Torneremo a prenderla domani." Guarda il montanaro annuire triste. Poi vede il suo sguardo spostarsi su Anna, dove è stesa, dietro, e la tristezza se ne va. Il suo sorriso è piccolo. Apre la bocca, poi la chiude. Invece, passa le redini a Kristoff, e in silenzio, proseguono per strada.
Un grido riecheggia, mentre si avvicinano al palazzo. "La regina! La regina è tornata! E la principessa!"
Parecchi servi escono ad accoglierli, mentre fermano il carro nel cortile. C’è già un caldo insopportabile—l’estate che cercava di resistere, con la sua ultima stretta d’addio. Elsa si alza in piedi. È esausta. Kristoff sembra sul punto di svenire. Gli dice, "Sei più che benvenuto, se vuoi restare in una delle stanze degli ospiti."
"Oh, no, va bene così. Voglio solo—assicurarmi che stia a posto," dice, muovendo il mento verso Anna. Girando intorno al carro, dà dei colpetti al collo di Sven, grato. Quando raggiunge Anna, la prende in braccio come se non pesasse niente. È accoccolata lì, al sicuro tra le sue braccia, ed Elsa scuote la testa, lottando contro il bisogno di strofinarsi gli occhi. Si rivolge a uno dei servi. "Conducete Kristoff nelle stanze di Anna."
"Sì, Vostra Maestà."
"E poi preparate la mia—"
"Vostra Altezza!" Un ciambellano grida. Si volta.
"Sì?"
"Un ospite è arrivato durante la vostra, ah, assenza. Qualcuno è venuto per vedervi. L’ho condotto in biblioteca nell’attesa di Vostra Altezza."
Elsa si acciglia. Non aspettava visitatori. "Chi?"
"Un principe delle Isole del Sud."

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 1 La versione originale è Conceal, don’t feel, don’t let it show, che in italiano è stato reso, per mantenere il ritmo della canzone, Celare, domare. Qui si è preferito mantenere il significato originale del mantra di Elsa.

 

  
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