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Autore: _Wonderwall_    05/04/2014    1 recensioni
(SOSPESA)
Prima guerra mondiale: la vittoria va alla Triplice Intesa (Russia- Stati Uniti- Francia).
Seconda guerra mondiale: la vittoria va ai Paesi Alleati.
Terza guerra mondiale: la vittoria va agli Stati Uniti, che conquistano l’egemonia mondiale.
Quarta guerra mondiale: in corso.
Gli uomini non si accontentano mai. Non sono bastate due guerre mondiali per appagare la loro sete di morte, di potere. Hanno sentito il bisogno di scatenarne una terza, durata solo un paio d’anni. Troppo pochi per lasciarli soddisfatti.
Perché non scatenarne una quarta? Perché non ridurre la terra in macerie?
La russia contro il mondo. Quello è il motto che i soldati russi erano fieri di ripetere ad ogni cena, ad ogni brindisi.
La quarta guerra mondiale sta devastando l’intero mondo, decimando la popolazione e c’è un disperato bisogno di una soluzione.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Pubblico questa storia senza pretese e con ilsolo scopo di scrivere qualcosa di originale -probabilmente no- e svagarmi un po'.
Scrivere mi piace e spero che quello che scrivo possa piacere anche a voi.
Questo è solo un esperimento che desidero davvero possa funzionare. Vi prego di farmi sapere la vostra opinione sulla mia storia :) Buona lettura :)


Capitolo 1
 
 
“How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here”

 
 
 
 
21 Novembre 2306
 
Prima guerra mondiale: la vittoria va alla Triplice Intesa (Russia- Gran Bretagna- Francia).
Seconda guerra mondiale: la vittoria va ai Paesi Alleati.
Terza guerra mondiale: la vittoria va agli Stati Uniti, che conquistano l’egemonia mondiale.
Quarta guerra mondiale: in corso.
 
 
Alla luce degli eventi passati, sopra elencati, che hanno segnato la storia drammatica del nostro pianeta, il nostro capo di stato chiede la possibilità di porre fine al conflitto che sta riducendo la terra in macerie e decimando la popolazione.
I Paesi Alleati si dichiarano disposti a firmare la pace.
Siamo in attesa della vostra risposta,
cordiali saluti,
Gli Alleati.
 
 
 
Dashia Lebedev sorrise ironica, poggiando con noncuranza il foglio sulla sua scrivania, essendo perfettamente a conoscenza che il presidente della Russia, dopo aver letto quelle parole, avrebbe accartocciato il foglio e lo avrebbe buttato nel cestino, deridendo la richiesta di pace dei nemici.
La donna lo trovava ironico. Solo un centinaio di anni prima erano stati loro a chiedere la pace e gli Stati uniti a rifiutarla, ma adesso era tutto diverso. La Russia era stata in grado di creare altre armi di distruzione di massa, che stavano segnando la sua vittoria durante questa lunga ed estenuante guerra.
Riprendere i nomi della seconda guerra mondiale era sembrato divertente agli Americani, credendo che il risultato sarebbe stato lo stesso, ma si erano sbagliati.
Nonostante la Russia dovesse vedersela contro il resto del mondo, fino a quel momento, era stata in grado di fronteggiare gli altri Stati e, anzi, di superarli in tutti gli aspetti.
Numero di soldati –i ragazzi venivano reclutati da quando avevano cinque anni e allenati ai combattimenti in modo che a soli sedici anni avrebbero potuto scendere in campo- , qualità di soldati, organizzazione, tipi di armi.
Avevano tutto. Tette le carte in regola per vincere quella guerra.
Sapere che gli Stati Uniti fossero disposti a chiedere la pace, a subire un’umiliazione così grande, riempiva Dashia e il resto della popolazione russa di orgoglio.
Con un’aria di superiorità, con un gesto veloce, sposto il capelli neri da davanti agli occhiali dalla montatura leggera ed elegante.
Le dita agili scrissero velocemente sul computer di ultima generazione ed inviarono la richiesta di conferenza al capo di Stato.
Incrociò le mani sotto al seno, osservando lo schermo virtuale che aveva davanti. Si sentiva fortunata ad essere nata in quell’era, l’età della tecnologia. Così era chiamata dagli esperti e Dashia non poteva fare a meno di essere completamente d’accordo con loro.
La civiltà umana, in particolar modo quella russa, era progredita nel corso degli anni fino ad arrivare a dei livelli di tecnologia elevatissimi, perfino per le aspettative dei più speranzosi.
Computer con memoria strutturalmente piccola, ma con un’enorme potenziale. Schermi grandi e ben visibili, sempre disponibili, bastava premere un pulsante per avere la proiezione di ogni cosa. Internet gratuito ovunque andassi e la capacità di trasportare oggetti e persone tramite gli schermi.
La più importante e la più innovativa scoperta degli ultimi secoli.
Il telefonò squillò e la voce meccanica annunciò il mittente della chiamata.
<< Buongiorno, capo >>
<< Ti aspetto nel mio ufficio tra un’ora >>
Tu tu tu.
La telefonata si chiuse immediatamente e la donna si alzò, passandosi le mani sull’uniforme che indossava. La gonna e la giacca scura, che copriva parzialmente una camicetta bianca e che mettevano in risalto la pelle pallida e gli occhi chiari.
Strinse la lunga coda scura e spostò nuovamente il ciuffo che era caduto davanti agli occhiali, di nuovo.
Con un sospiro, prese il foglio e si diresse verso l’ufficio del capo.
Era un giorno importante e, per quanto potesse immaginare la reazione del suo capo,non poteva essere sicura di quello che avrebbe fatto, così preferiva aspettare per l’intera ora nella sala d’aspetto appena prima del suo ufficio, in attesa della sua conferenza.
Con passo sicuro si diresse verso la sua destinazione, facendo tintinnare i tacchi dodici delle sue eleganti e costose scarpe.
 
 
 
Dashia era seduta su una poltrona di raso blu, nella sala d’aspetto, sbattendo ansiosamente il piede a terra e procurando un fastidioso ticchettio che fece sbuffare l’unica altra persona presente in quella stanza. un caporale era seduto sulla poltrona di raso blu davanti a lei, poggiato su un braccio, le gambe rilassate, ma gli occhi sempre attenti e vigili, nel caso remoto fosse successo qualcosa.
La bionda incrociò le gambe, cercando di frenare i suoi impulsi nervosi per non far spazientire quell’uomo. Non che avesse paura, ma era a conoscenza della loro fama. Tutto il popolo affermava che gli ufficiali russi fossero orgogliosi, forti, con l’arrabbiatura, e soprattutto con il grilletto, facile.
Dashia era al sicuro, ma la prudenza non era mai troppa. Preferiva abbassare leggermente la testa, che mettere a repentaglio la sua vita.
<< Sei già qui, bene, entra >> disse il capo di stato, uscendo dal suo ufficio e rivolgendosi alla donna seduta compostamente.
Annui in modo educato, ma deciso e si alzò,seguendolo dentro la stanza davanti a sé, ovvero l’ufficio del suo capo.
Era la prima volta che metteva piede lì, non era mai stata abbastanza fortunata o importante per essere convocata lì, almeno fino a quel momento. A dir la verità non aveva mai nemmeno visto il suo capo dal vivo ed ora poteva tranquillamente affermare che fosse un bell’uomo.
I capelli biondi, gli occhi chiari, la rada barba che gli copriva la mascella e il collo, le spalle grandi, il petto ampio, le braccia muscolose.
Sapeva che era stato un soldato e il suo corpo era una lampante manifestazione del suo passato, trascorso tra allenamenti e battaglie.
Con un gesto della mano le indicò la sedia girevole davanti alla scrivania, mentre lui prendeva posto dietro di questa, seduto nella sua confortevole poltrona.
Si guardò intorno, rimanendo stupita dalla semplicità dell’arredamento di quell’ufficio. Nella sua mente si era immaginata lampadari sfarzosi di cristallo, poltrone in seta –come quelle della sala d’aspetto-, vecchi quadri di inestimabile valore, pittura elegante, porte e scrivanie in legno di mogano, computer di ultima generazione ed un bellissimo Transporter, che avrebbe fatto invidia a chiunque entrasse.
Invece gli oggetti che arredavano quella stanza era pochi ed essenziali. Una scrivania, una sedia, una poltrona e un grande orologio attaccato al muro, che segnava il passare dei secondi con un fastidioso e continuo ticchettio.
<< Ecco a lei il foglio signore >> disse la donna, allungando la mano destra, che stringeva la stampa dell’e-mail ricevuta solo un’ora prima.
Il capo lo prese e fece scorrere gli occhi con attenzione su quelle parole scritte con uno dei caratteri più belli che avesse mai visto al computer.
In quel preciso momento Dashia capì come fosse riuscito a farsi eleggere capo di stato e ad aver convinto tutta la nazione ad intraprendere una guerra contro gli Stati Uniti e tutti gli altri pianeti, a soli trenta anni. Ora ne erano passati sei e le sue strategie si stavano dimostrando sempre efficaci e privi di qualsiasi falla.
I suoi occhi. I suoi occhi erano il segreto di tutto. Belli, certo, ma la loro vera potenza consisteva nella forza e nella determinazione che esprimevano.
Un brivido di freddo le attraversò la schiena, quando incrociò quello sguardo glaciale, reso così freddo non tanto dal colore quanto dalla durezza dell’espressione.
Igor Petrov poggiò il foglio sulla scrivania e lo fissò per qualche secondo, prima di rialzare lo sguardo sulla donna, che sedeva ancora in maniera composta sulla sedia.
<< Puoi rispondere che le loro offerte di pace finiscono direttamente nel mio cestino >> affermò e per rafforzare il concetto, accartocciò il foglio, lanciandolo con precisione nel portarifiuti.
La donna sorrise con soddisfazione per essere riuscita ad intuire la reazione del suo capo.
Annuì e si alzò dalla sedia, dirigendosi verso la porta. Appena abbassò la maniglia, la porta si aprì da sola, lasciando entrare un bambino di appena cinque anni nell’ufficio.
Dashia lo fissò per qualche secondo, si limitò a salutare con un gesto del capo i presenti e scomparve dietro il legno, lasciandoli da soli.
 
 
 
 
Quando suo figlio entrò nell’ufficio l’espressione di Igor si ammorbidì leggermente, ma i suoi occhi e la sua mascella rimasero abbastanza rigidi da trasmettere quasi paura. Ma non al bambino, che era abituato all’espressione rigida del padre, avendo avuto solo lui come punto di riferimento durante la sua infanzia.
Sua madre, beh, non era il momento adatto per pensare alla madre del piccolo.
<< Ciao papà >> disse il piccolo, con voce gioiosa.
Non lo vedeva da una settimana. Aveva aspettato con ansia l’arrivo della domenica per poter interrompere gli allenamenti e raccontare al suo vecchio tutte le cose che aveva fatto in quella prima settimana.
Infatti appena sette giorni prima aveva compiuto cinque anni ed era stato prelevato da casa sua e portato in un campo di addestramento, per farlo diventare un soldato.
Quello che decideva il destino di ognuno era il proprio corredo genetico, dove era scritto tutto quello che sarebbero diventati. Gli scienziati avevano imparato a leggere le informazioni genetiche in modo impeccabile e per questo erano a conoscenza sin da subito delle caratteristiche fisiche che avrebbero mostrato da adulti i bambini scelti.
Il Dna del figlio di Igor era fatto ad opera d’arte, nemmeno un’imperfezione. Sarebbe diventato un soldato perfetto, un perfetto ufficiale.
<< Ciao Ivan, come è andata questa prima settimana? >> chiese l’uomo, sedendosi sulla sedia girevole per avere suo figlio completamente davanti.
<< Bene. Sono arrivato primo alla prima sfida che hanno organizzato alla base >> il piccolo gonfiò il petto di orgoglio, aspettando un qualsiasi commento da parte dell’uomo.
Igor si limitò ad annuire, senza un minimo sorriso. Nessun abbraccio, nessun bacio, nessuna pacca sulla spalla, nessun complimento. Niente. Nessuna espressione.
Fu in quel giorno, a soli cinque anni, che Ivan Petrov capì che era da solo ad affrontare il mondo, che, da quando era stato prelevato per essere addestrato, doveva badare a se stesso, senza nessuno aiuto, nemmeno da parte di suo padre, soprattutto da parte di suo padre.
 
 
 
 




 
 
 
  
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