Salve a tutti ragazzi!! Ahahah, questo capitolo
sarà un po’ diverso
dagli altri, vediamo se capite di chi è il pov;) e poi,
niente, come sempre
commentate numerosi, siete fantastici.
Ho sempre pensato che non avrei amato nessun altro
dopo lei.
Sono scappato, sono stato un vigliacco proprio io che ardevo del fuoco
della
vendetta, che volevo uccidere, riportare la giustizia… Ci
avevano tolto così
tanto, perché non potevano perdere qualcosa anche loro?
E lei, lei che era così simile a me,
che rideva solamente
nei boschi, che mi copriva le spalle sempre, in qualsiasi modo e in
qualsiasi
luogo era la donna perfetta per me. Mi sembrava così, lo
era, ci saremo sposati
sicuramente prima o poi se non fosse stata per quella dannata
mietitura. Appena
sentii il nome di “Primrose Everdeen”, sapevo come
sarebbe andata a finire, non
mi ero stupito del fatto che si fosse offerta volontaria, era logico,
io avrei
fatto lo stesso per i miei fratelli. E mi sarei offerto io volontario
al posto
di Mellark, se non fosse stato per il fatto che lei non me
l’avrebbe mai
perdonato.
L’ho persa lì.
Inevitabilmente.
Perché, una volta tornata viva, sana e
salva tra le mie
braccia, lei non era più la mia Catnip. Era una
sopravvissuta e anche se non lo
voleva ammettere, era irrimediabilmente legata a quel ragazzo, a quel
biondino.
Avevo condiviso qualcosa che aveva cancellato cinque anni di amicizia.
Nel 13,
piano piano si stava riavvicinando a me ma poi ho rovinato tutto come
al solito.
Quelle bombe.
Prim.
Avevo preferito scappare, come un vigliacco.
Andare via era
meglio di affrontare quegli occhi grigi pieni di disprezzo nei miei
confronti:
non mi ero stupito più di tanto al suo rifiuto di rispondere
alle mie lettere,
alle mie chiamate dopo un anno che la guerra era finita.
Mi ero stupito che fosse lui a rispondere al
telefono.
Non potevo amarla, non meritavo di amarla, di
distruggerla
ancora di più, di trascinarla nel mio baratro. Senza Prim,
Catnip cos’era?
Ancora più spezzata, sopravvissuta, non vincitrice.
Nel 2 lavoravo come un pazzo, un folle. Poi i miei
colleghi
mi avevano convinto, trascinato per meglio dire, nel distretto 4
perché “Hawthorne,
non puoi essere invincibile, prenditi una vacanza e non rompere il
cazzo”. Ed avevo
incontrato lei, ancora una volta.
Sapevo chi era Johanna Mason , ovviamente.
L’avevo salvata
da Capitol con un Peeta depistato e lei così magra,
così fragile che pesava al
massimo 40 chili, i capelli rasati, le guance scarne. Era
più bella stavolta e
teneva d’occhio un bambino dai capelli rossi che si buttava
nell’acqua e
giocava sulla riva ridendo mentre lei si teneva a debita distanza.
Mi aveva adocchiato e si era avvicinata a me.
“ Ciao belloccio”, mi aveva
detto.
Avevamo fatto sesso. Tanto, tanto, tanto sesso.
Due anime
spezzate che si prendevano in giro, si torturavano l’un
l’altra e si
ritrovavano solo per scopare: mi andava bene così, sul
serio. Perché Catnip era
nei miei pensieri, come sempre.
Ma Catnip stava iniziando ad allontanarsi, a
svanire piano
piano. Rimaneva l’affetto per il suo profumo, per le nostre
risate, per il suo
sorriso. Ma degli occhi marroni stavano irrimediabilmente entrando
nella mia
testa, nel mio cervello.
Ricordo la prima volta che abbiamo fatto
l’amore, quando ero
irrimediabilmente perso per lei e avevo il terrore di farle del male e
che lei
facesse del male a me, distruggendomi di nuovo. Ne sarei morto. Era
inverno e
mi ero trasferito con lei al 4, ormai, vicino all’altra
vincitrice, Annie, e
al figlio di Odair.
L’avevo baciata quando
ero entrato dentro di lei e i miei occhi si erano chiusi nel mentre che
mi
perdevo dentro di lei. Lei mi aveva fatto uscire quasi subito,
spaventata:
potevo sentire il suo terrore, la sua paura.
“Cosa fai, Hawthorne?” mi
aveva chiesto, sussurrando.
Si era rivestita in fretta e stava per uscire
dalla porta:
quella ragazza, quella donna per cui avrei dato la mia vita e con la
quale
litigavo sempre mi aveva rubato il cuore e mi stava scappando tra le
mani come
Catnip aveva fatto. L’avevo bloccata, tirandole il braccio e
l’avevo attirata
tra le mie braccia.
-Non andare.- le avevo detto, poggiandole un bacio
sulla
spalla. –Nessuno ti farà del male, qui.
Andrà bene.-
Avevo sorriso quando l’avevo sentita
rilassarsi tra le mie
braccia e finalmente le lacrime erano uscite da quei maledetti e
impossibili
occhi marroni.
-E’ bella, vero?-
Mi risveglio da quei ricordi e sorriso alla
piccola che ho
in braccio e che sto cullando. Sono diventato padre. E, sinceramente,
non
capisco come sia possibile, come sia potuto succedere: io ho portato
così tanto
dolore, così tante lacrime e adesso venivo ripagato con
questa creatura che
dormiva beata tra le mie braccia. Non aveva tanti capelli, mia figlia,
ed erano
marroni come quelli della mamma. Non ci aveva ancora fatto vedere gli
occhi ma
Katniss mi aveva detto di non illudermi perché sarebbero
cambiati. Lei aveva
perso la sfida con Peeta, anni fa. Ed è Katniss che mi ha
consolato, rafforzato
quando ho avuto il terrore di diventare padre, quando una paura antica
come la
vita stessa si è impossessata del mio cuore.
Non le farai del male,
lei ti amerà come Dandy ama me. E’ strano, quasi
assurdo l’amore che i figli
hanno per i genitori: ma ti amerà, non le
importerà il tuo passato. Tu sarai lì
per lei, sempre e comunque. Andrà bene, Gale.
Fidati.
-Beh, allora come la chiamiamo?- mi chiede
Johanna,
sorridendo stanca.
-Direi che Catnip è perfetto.-
Lei mi sorride e alza gli occhi al cielo: sai che
ti amo,
Johanna Mason? Ti amo con tutto me stesso e questo non potrebbe mai
cambiare. Ma
non c’è bisogno di parole tra di noi:
semplicemente annuisce, sistemando meglio
i cuscini dietro di se.
-E Catnip sia.-