Capitolo 14
TERI
Il tanfo che quelle creature producevano era stomachevole. Non
mi ero mai sentita così disgustata in tutta la mia vita. L’odore era simile ad
uno zucchero filato immerso nella naftalina per poi stare a contatto con l’olio
delle auto. Un mix non raccomandabile.
Seguire quella scia era facile per gli altri, che non sentivano niente, ma non
per me. Dovevo condurre i miei compagni d’avventura fino alla tana di quelle cose e a ogni passo sentivo quella puzza
farsi più forte e schiacciarmi le tempie. Non sarei mai stata capace di
affrontarli se mi rendevano così debole.
«Non ti indeboliranno.» disse Niall. «Ce la farai. Quando arriveremo sono certo
che starai meglio.»
Riuscii solo ad annuire e a proseguire. Ogni passo era una tortura. La pioggia
era fredda, i capelli erano umidicci e non facevano altro che finirmi sul viso
e avevo le mani congelate. Lo sforzo di reggere l’ombrello mi sembrava immane e
quella puzza che mi provocava il voltastomaco non era di aiuto. Come se tutto
questo non bastasse, Eles cominciò a lamentarsi.
«Ho freddo ai piedi e muoio di fame.» cominciò.
«Quando saremo abbastanza vicini mangeremo qualcosa.» risposi. «E per i piedi
non posso far niente, visto che sei così intelligente da esserti messa un paio
di scarpe di tela invece che degli stivali di gomma.»
«Che ne potevo sapere?» domandò. «È estate, per l’amor degli dei! Non mi
aspettavo la pioggia.»
«Sapevi che saremmo partite per lo stato di Washington!»
replicai.
«Sì, ma non sono mai stata qui!» ribatté Eles. «Non immaginavo una pioggia così
torrenziale.»
Mel e Ria intervennero.
«Okay, calma!» gridarono.
«Non sopporto i battibecchi.» disse Ria. Avevo ragione quando dicevo che era la
più matura del gruppo.
«Abbiamo litigato fin troppo per oggi. Anzi, direi che abbiamo litigato
abbastanza per tutta la durata dell’impresa.» aggiunse Mel.
Sbuffai sonoramente.
«Avete ragione.» mormorai. «Scusatemi, ragazzi. E soprattutto a te, Eles.»
Eles mi diede una pacca sulla spalla.
«Ti abbraccerei, ma devo mantenere l’ombrello.» disse, ridacchiando e io le
sorrisi.
Continuammo a camminare per le strade di Seattle.
«Effettivamente ho fame.» ammisi.
«Il mio stomaco ha brontolato così tanto che il nano di Biancaneve ne sarebbe
invidioso.» rispose Niall.
Ridemmo, e in quel momento passammo davanti ad un fastfood. Una famiglia aprì
la porta e vi uscì, portando con sé una scia di pollo e patatine fritte,
proprio sotto il nostro naso.
«Credo non ci sia bisogno di metterlo ai voti.» disse Mel.
Ci fiondammo nel fastfood.
Il fastfood non era grandissimo. Il pavimento era nero, a
contrasto con i tavoli bianchi e rossi e le pareti giallo canarino. Era vuoto,
ma sentivo delle voci non molto chiare provenire da qualche parte.
Probabilmente qualcuno stava guardando un film nella cucina o nell’ufficio.
Scegliemmo un tavolo e ci accomodammo. Una cameriera cicciottella si avvicinò
con un taccuino e ci sorrise, cordiale. Indossava una t-shirt bianca sudata che
era talmente aderente da far vedere le striscia del reggiseno che le stava stretta.
Sopra la t-shirt portava un grembiule rosso e un cartellino indicava il suo
nome: “Maia”. No, non era una m. “Fata.”
No, scusate. “Paia” Oh, accidenti. “Faia.” Ecco, sì. Faia. Ora che eravamo
fuori dal Campo e le iscrizioni non erano più in greco cominciavo di nuovo ad
avere problemi con la mia dislessia.
«Cosa desiderate, ragazzi?» ci domandò la ragazza. Il suo viso era tondo, il
naso largo e gli occhi piccoli e neri,«Un cheeseburger e una cola.» risposi.
«Lo stesso.» aggiunse Mel.
«Uhm, un hamburger classico e una cola, anche per me.» ordinò Eles.
«Per me un’insalata e due lattine di cola» disse Niall.
«Due hamburger e un cheeseburger, una pizza margherita, un piatto di bocconcini
di pollo impanati con maionese e una Cola Light, grazie. Anzi no, una Cola
Zero, meglio. Più dietetica.» concluse Ria.
La cameriera finì di appuntare i nostri ordini sul taccuino e poi si avviò verso
il frigorifero delle bevande.
«Finalmente si mangia...» borbottò Ria, sfilandosi la giacca a vento bagnata
dalla pioggia.
«Mangiare? Hai ordinato quasi tutto il menù!» esclamò Eles, legandosi i capelli
in una coda alta.
«Bè, dovrò pur essere in forma per l’impresa, o no?» replicò.
«Eccovi le bevande.» disse Faia, appoggiando sei lattine di Cola sul tavolo.
Aprii la mia Cola e feci per bere, come stavano facendo le altre, quando Niall
ci fermò, facendoci sobbalzare.
«Aspettate!» gridò. «Poi mi date le vostre lattine, vero?» chiese, guardandoci
speranzoso.
Trattenni a stento una parolaccia.
«Ne hai già due per te, ma certo, come no, mio caro Niall.» risposi,
sorridendogli e mettendo a tacere il desiderio di lanciargli la Cola in faccia.
Niall mi lanciò uno sguardo innocente. Ovviamente sapeva cosa stavo pensando.
Feci per bere finalmente la mia Cola, ma questa volta fu Mel a fermarci.
«Non bevete, non parlate e non muovetevi.» sibilò.
Tutti guardammo la Cola, e il silenzio calò sul nostro tavolo. Il marrone scuro
tipico della Cola era rimpiazzato da un verdognolo poco invitante.
L’unico rumore fu la voce di Faia.
«Tutte le salse che avete a disposizione, ragazze!» esclamò. «Oggi mangiamo quattro
semidee e un satiro!» e concluse con un grugnito da maiale.
«Scappiamo!» urlò il satiro più coraggioso del mondo, balzando in piedi e
correndo all’uscita. Afferrai il mio zaino e feci per seguirlo, ma in quel
momento le porte si bloccarono, lasciando solo noi ragazze dentro. Per quanto
picchiassi sulla porta non c’era modo di romperla. La famigliola che avevamo
visto all’ingresso del fastfood accerchiò Niall. I loro volti cominciarono a
sciogliersi come se fossero fatti di cera. I vestiti caddero al suolo, poi
cominciarono a tremare. Degli artigli li strapparono e uccelli enormi dal becco curvo e gli occhi iniettati di
sangue volarono in alto, per poi scendere di nuovo a bassa quota, proprio sulla
testa del satiro. Le ali grigie erano così grandi che avrebbero potuto
nascondere sia me che le mie tre compagne d’impresa senza problemi. Giravano intorno
a Niall, circondandolo.
«Sono stinfalidi!» gridò Mel. «Si nutrono di carne umana!»
Mi portai una mano al collo e non appena tirai le perline dorate verso di me
esse si tramutarono in un’elsa dello stesso colore e il laccetto nero diventò
la lama nera della mia sciabola. Partii alla rincorsa e saltai verso il vetro,
ruotando la lama più veloce che potevo. Contemporaneamente una freccia scura e
una freccia argentata raggiunsero il punto a cui io puntavo. Il vetro si crepò,
formando una ragnatela.
«Spostati.» mi intimò Ria. Feci come mi aveva detto e mi preparai allo scontro
con Faia e le ragazze con cui aveva
parlato. Chissà che razza di mostri erano. L’avrei scoperto presto.
Ria lanciò il disco di bronzo contro il vetro che esplose in mille pezzi. Qualcosa
mi fece sbalzare indietro e mi disarmò, forse un campo di forza che era esploso
con il vetro.
Niall belò, impaurito. Non osava muoversi, ma aveva le zampe pronte a scattare
e le braccia erano in posizione di lancio di stampelle. Qualcosa mi diceva che
non erano fatte di bronzo celeste, ma a mali estremi...
Mi sembrò che gli uccellacci ci avessero guardati. Dopo un altro giro intorno a
Niall scesero in picchiata verso di noi. Sì, ci avevano guardati, ma Eles fu
più rapida.
Allungò la mano dietro la schiena e prese una delle frecce che si trovavano nella parte sinistra della
faretra. La incoccò e la lanciò. La freccia si illuminò così tanto che sentii
gli occhi lacrimarmi, e mi portai una mano davanti al viso, come se stessi
guardando il sole. La freccia puntò dritto sotto l’ala di uno dei quattro
uccellacci, il più grande e grosso. Il mostro gracchiò, poi si sbriciolò in una
nuvola di piume grigie e polvere.
La porta della cucina si spalancò. Faia era lì, e dietro di lei due donne dalle
zampe da gallina. I loro capelli erano fatti di serpenti, e avevano delle
minuscole ali di pipistrello sulle spalle. “Gorgoni” pensai.
Faia grugnì, poi lanciò il verso stridulo di un maiale irritato e si gettò a
terra. Al suo posto una scrofa piuttosto arrabbiata e coperta da un grembiule rosso
batteva le zampe per terra e sbuffava come un toro.
«Bene, bene, bene.» disse una delle due Gorgoni, rivolgendomi un sorriso
sghembo e orripilante. Era Euriale, “colei
che è del vasto mare”. Che razza di epiteto.
Non potevo fare niente contro di lei, ero disarmata. Così mi limitai ad
indietreggiare. Continuò a ripetere “bene, bene, molto bene” fino a quando non
mi ritrovai contro il muro. Afferrai una sedia e gliela lanciai contro, ma la
sedia le passò attraverso. “Bene” pensai. “Disarmata, attaccata ad un muro e
impotente davanti ad una Gorgone che non viene nemmeno toccata dalle sedie.”
Mi afferrò dal collo con i suoi artigli affilati e mi sollevò da terra. Sentii
i polmoni protestare e il campo visivo diventare viola mentre le mie gambe
scalciavano senza colpire altro che aria. Perché io non riuscivo a colpirla e
lei sì?
Il suo alito era raccapricciante. Puzzava di fritto e di morto. Un mix che non
consiglio a nessuno. Quelle voci che avevo sentito non appena ero entrata nel
fastfood si fecero più forti e chiare.
“Semidea, semidea, uccidi la semidea.”
E fu allora che capii. Erano i capelli delle Gorgoni che parlavano. Bè, i
serpenti. Ero figlia di Ade, il protettore dei serpenti, ecco perché sentivo i
loro pensieri.
«Dovresti sentirti onorata, Teri Nabaci. Sei la prima figlia di...»
s’interruppe, e un gemito di dolore lasciò la sua bocca. Il coltello di Ria era
infilzato nella schiena del mostro che si disintegrò all’istante in una polvere
giallognola. Mi massaggiai il collo, dove sentivo che i suoi artigli avevano
lasciato dei graffi.
Prima figlia di...? Di chi? Non ero la prima figlia di Ade, impossibile.
C’erano Napoleone, Hitler, Nico e Bianca e chissà chi altro prima di me. Prima
figlia di chi? Forse ero la prima figlia di Ade che Euriale stava per mangiare.
Avrei voluto rimproverare Ria per averla uccisa prima che continuasse la frase,
ma non lo feci. Mi aveva salvato la pelle.
«Grazie.» dissi a Ria. L’altra Gorgone era impegnata in un duello con Mel e il
suo arco argentato. Mel era in piedi su un tavolo e le lanciava frecce sulle
zampe, ma non servivano a molto.
«Preferisci la maionese, il ketchup o la senape nel tuo panino?» domandò la
Gorgone.
«Che?» chiese Mel, aggrottando la fronte. Quell’istante in cui si fermò le fu
quasi fatale. La Gorgone la prese dal collo così come la sorella aveva fatto
con me. Mel lasciò la presa sull’arco e la Gorgone lo spezzò in due con una
zampa da gallina. Recuperai la mia sciabola dai pezzi di vetro, ferendomi il
palmo della mano destra, ma l’obbligo che sentivo di salvare la ragazza che
aveva già salvato me una volta era molto più forte.
“Uccidere la figlia di Atena, uccidila,
uccidila, uccidila. Il suo sangue è il più buono che ci capita da secoli!”
continuavano a dire le voci dei serpenti. Quelle parole continuavano a rimbombarmi
nella testa, il puzzo delle ‘creature’ mi nauseava. Non ero sicura di reggermi
in piedi ancora per molto.
«Smettetela!» gridai. Steno mi guardò, confusa e i suoi serpenti sibilarono un “Chi osa?” verso di me.
«Come scusa?» chiese Steno.
In quel momento Mel si liberò dai suoi artigli e saltò giù.
“Maledetta mezzosangue!” sibilarono i
serpenti, verso di me. “La pagherai, prima
figlia di...”
Una freccia argentata trapassò il collo di Steno. Per la seconda volta in
quel giorno ero vicina a scoprire cosa intendessero con ‘prima figlia’, ma una
delle mie compagne d’avventura decideva di salvarmi la pelle. E se non fossi
stata figlia di Ade? O se ci fosse stato un errore? Sarei stata persa. Ormai
Gregor e Nico erano la mia famiglia. Sentii le lacrime bruciarmi gli occhi,
così mi voltai a guardare in che situazione fossero Niall e Eles.
Eles era appoggiata al muro, ansimante. La sua faretra era quasi vuota, ma i
Stinfalidi erano solo un mucchietto di polvere giallognola, vestiti stracciati
e piume sul marciapiede.
«Bel lavoro!» esclamò Ria.
«Un momento. Dov’è Faia?» chiesi, guardandomi intorno.
Ria mi rivolse un sorrisetto furbo. Strappò un pezzo di stoffa dal grembiule
rosso e pulì il suo coltello insanguinato.
Sorrisi, ammirata.
«Dammi il cinque.» dissi, e lei batté la mano contro la mia.
Mel mi si avvicinò e mi strinse in un forte abbraccio. Dopo un attimo di
confusione, ricambiai.
«Teri, lo scopriremo.» disse, guardandomi con i suoi grandi occhi grigi.
«Come fai a saperlo?» chiesi.
«Non saprei...è difficile da spiegare. Ho capito cosa è successo dalla tua
espressione» replicò, stringendosi nelle spalle.
Niall ci interruppe, porgendo a Mel l’elastico azzurro brillante.
«Non dimenticare Oxypetes.»
Mel era sbalordita.
«Ma Steno l’aveva...»
«Lo so. Ma la tua è un’arma speciale» poi il satiro annusò l’aria.
«Meglio filarcela, prima che arrivi la polizia. Sapete, sarebbe un po’ difficile
spiegare cosa è successo a questo fastfood senza sembrare dei pazzi criminali.»
Spazio autrice
Direi
che questo è il capitolo in cui la trama comincia a essere più evidente. Queste
creature che fanno sentire male Teri, e questa cosa che le hanno detto le Gorgoni
“prima figlia”. Sarà solo una coincidenza? Magari si riferiscono a qualcos’altro
che non centri con Ade? O forse Teri è figlia di un altro dio? Anyways,
ringrazio Kalyma P
Jackson per le sue dolcissime recensioni (cliccate sul suo nome e andate a
leggere la sua bellissima storia!), ringrazio chi recensisce e ringrazio
chiunque abbia letto il capitolo e speso tempo per me.
Lo apprezzo.
Baci, e alla prossima!