Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    18/04/2014    1 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5

 

"Vuoi un po’ di cibo? So che lo vuoi, bello! So che lo vuoi! Qui, cagnetto, qui!"

"Oh, sembra così triste, bloccato dietro quelle sbarre. Sei sicuro che non vuoi questa bella bistecca? Cottura media, proprio come piace a te. L’ho fatta preparare appositamente dal cuoco—anche delle patate, come contorno, e questa—mmm—pagnotta calda. Di certo sarebbe meglio di quella spazzatura da prigione che ti danno da mangiare."

Hans si guarda le mani, strette a pugno in grembo. C’è dello sporco incrostato sotto le unghie. La giacca bianca è diventata una specie di grigio polveroso. Il pranzo è ancora a terra, intatto, nell’angolo della sua cella—pappetta, vecchia di tre giorni, come minimo; i rimasugli delle cucine. È del colore e della consistenza del fango. Si guarda le mani, i piedi, e guarda il pranzo stantio—ovunque tranne che in direzione dei due uomini in piedi proprio fuori la cella.

Ma è difficile, con l’odore fresco del pane caldo, dorato, e delle patate in crosta di burro; con il profumo della carne succosa e sfrigolante che si diffonde. Non aveva mangiato così bene da quando aveva lasciato Arendelle.

Si sfrega la mascella.

"E dai, fratellino, forza! L’abbiamo fatta fare apposta per te."

Si volta. Dice a se stesso che si sta voltando perché se non fa quello che vogliono che faccia, non staranno zitti—lo sapeva dal momento in cui i loro passi avevano fatto eco giù per le scale che conducevano alla prigione. Si alza, sollevando le code della sua marsina dietro di sé. Mantiene la testa alta. Non serve piangersi addosso, non serve a niente—fa due passi, fino a premere il proprio corpo contro le sbarre, e poi, lentamente, allunga la mano verso il piatto di cibo.

Viene fatto cadere sul pavimento cupo. Il piatto di porcellana si rompe, il pane si sporca, nero; le patate si spiaccicano come sangue bianco e la carne si rovescia, ormai poco invitante.

"Oops. Che stupidino."

I due uomini scoppiano in un attacco di risate rauche. Hans mantiene la testa alta, il suo volto una maschera, ma lo capiscono, probabilmente, sai suoi occhi—è furioso, violento, e se solo fosse fuori da quella stupida cella li assassinerebbe in un istante, tutti e due—

"Viktor! Tomas! Basta così."

I suoi fratelli, gemelli, diventano seri immediatamente, tenendosi languidamente sottobraccio. Si voltano verso il corridoio, le torce traballanti che stagliano i loro volti in bassorilievi affilati.

"Vessare vostro fratello non mi sembra affatto un degno passatempo, adesso che siete cresciuti—nonostante sia una tradizione a cui fate onore da tanto tempo."

"Vostra maestà," Viktor e Tomas si inchinano all’unisono. Hanno il viso contorto in una smorfia. Tomas continua, "Ci stavamo solo divertendo un po’."

"Divertendo?" Hans ringhia. Si lancia contro le sbarre e afferra Tomas per il bavero della giacca. Ha l’effetto sorpresa dalla sua parte, o non sarebbe mai riuscito a smuovere suo fratello di un millimetro. "Come quando avete fatto finta per due anni che fossi invisibile? Quel tipo di divertimento?"

"Hans, ti prego. Calmati." Ed eccolo lì, il Re delle Isole del Sud, in tutta la sua gloria baffuta. Hans digrigna i denti. Viktor lo spinge all’indietro violentemente, e la spinta lo fa finire nel lettino della cella. Tomas si massaggia il collo, con l’aria omicida. Il re dice, "Prendetemi una sedia."

Viktor corre ad accontentarlo, sferragliando fino al posto di guardia vuoto, e ne trascina una di legno mentre Tomas si scrocca il collo. La sedia è sistemata. Il re si siede. Dice, "Lasciateci soli."

"Goditi la cena, fratello," Tomas afferma con un ghigno malevolo, calciando il piatto rotto e i pezzi di carne e pane all’interno della cella, facendo passare i resti tra le sbarre, dove coprono metà del pavimento. Hans ascolta i loro passi svanire nel corridoio, su per le scale. Appoggia testa e schiena contro il muro, e fa un ghigno pigro, beffardo, in direzione del re.

Quell’uomo era solo suo fratello, dopotutto.

"Non pensavo saresti venuto," Hans fa, spazzando via la polvere dalle maniche della giacca. "Sono venuti tutti gli altri. Beh. Tutti gli altri ancora vivi."

"Hai ucciso Albert?"

"Uccidere il mio stesso fratello? Perché mai dovrei commettere un crimine tale?" Hans si lecca le labbra. "Oh, quasi grave quanto uccidere il proprio padre." Volta la testa lungo il muro, fissando suo fratello con un’espressione piatta. "Non credi?"

Il silenzio stava per soffocarlo.

"Hans," comincia il re alla fine, allacciando le mani avanti a sé, la bocca una linea sottilissima, espressione del pensiero più sottile, "è tuo desiderio restare in questa prigione?"

Hans pensa al trono di Arendelle e quasi prende a pugni il muro.

"Rispondimi."

"No," scatta.

"Beh, questo è quello che il consiglio chiede a gran voce. Tuo fratello, scomparso; Arendelle—"

"Non parlarmi di Arendelle," Hans ringhia.

"Cosa, non parlarti dell’errore che hai commesso? Avresti potuto avere un regno, e invece hai una cella. Ti si dovrebbe ricordare ogni giorno del tuo errore. Di quello che hai fatto perdere alle Isole del Sud."

"Non ci ho provato per te," Hans dice, guardandolo male, e suo fratello se ne sta seduto lì, con un sorriso condiscendente sul viso. "Sarebbe stato il mio regno," si posa una mano sul petto, "il mio trono!"

"Oh, Hans," il re gli sorride. Si stende all’indietro, nella sedia di legno. "Ma dimmi, dov’è Albert?"

"L’ho mandato nella direzione sbagliata," Hans parla alle proprie scarpe. "All’altezza di Corona."

"Ah. Niente competizione, allora, per—amore, si chiama così?"

Hans pensa alle porte. "Una cosa del genere."

"Beh, fratellino. Che pensiero curioso e pittoresco. Ma dimentichiamoci dell’amore, e rivolgiamoci invece a questa situazione imbarazzante a cui ci hanno condotto le tue azioni. Parlami," Re Alfons fa lentamente, reclinando la testa, "della Regina Elsa."


Elsa pensa che l’incontro possa andare, tutto sommato, meglio di così.

Il principe sbatte le palpebre. Olaf anche. Eccoli lì, al centro della biblioteca, mentre si fissano a vicenda, ma questo solo dopo che il principe ha staccato con un calcio la testa del povero Olaf—

"Elsa," fa il pupazzo di neve, parlando a mezza bocca, senza rompere il contato visivo con l’uomo piegato a osservarlo, "Te lo dico perché ti voglio bene, credo che faresti meglio a scappare."

Elsa si stringe forte le braccia al petto.

"Quindi sei—sei un pupazzo di neve," il Principe Albert ripete, "e tu—e tu," i suoi occhi continuano a spostarsi su di lei, e poi di nuovo all’avambraccio, come se fosse pronto a dare qualsiasi cosa per avere un appunto da leggere, "tu sei vivo."

Olaf allunga le dita. "Credo si sì, sì."

"Beh," il principe fa un colpo di tosse, portandosi la mano alla bocca. Si inginocchia, così da essere finalmente con gli occhi a livello di quelli Olaf, "Chiedo scusa per averti preso la testa a calci. Non mi piace molto quando le persone danno a me i calci in testa, quindi cerco di non farla diventare—una pratica comune—" si schiarisce la gola. "Sì. Comunque."

Porge la mano. Olaf batte le proprie, eccitato. "Oh! Oh, una stretta di mano! Ecco qui," e il pupazzo di neve si stacca un braccio, tenendolo con quell’altro, e allunga l’intero marchingegno in direzione del principe. Da un lato della bocca Olaf fa, "No, sul serio, Elsa, scappa."

"Grazie, Olaf," Elsa fa con una smorfia, osservando la stretta di mano. Il pupazzo di neve si riattacca il braccio. "Perché non vai a controllare Anna? Per me?"

"Te l’ho detto, Anna è in—"

"Puoi ricontrollare?"

Olaf annuisce con forza. Trotterella via dalla stanza, ma mentre se ne va incurva due dita verso i suoi occhi, e poi le punta in direzione del Principe Albert. Elsa geme, lasciandosi cadere la fronte tra le mani.

"Sono davvero spiacente per il calcio che gli ho dato," Il Principe Albert dice appena la porta si chiude, ed Elsa non sa se abbia la testa tra le nuvole o sia solo gentile. "è davvero solo una specie di riflesso involontario. Mio fratello era solito esercitarsi coi suoi incantesimi in camera mia, e trovavo ogni genere di cose—sa, teste e corpi e—ma non c’era bisogno che le dicessi questo, mi dispiace. Ha. Questo è il motivo per cui di solito mi preparo i discorsi."

Lo guarda, sentendo i propri gomiti scavarle nei fianchi, e non può fare a meno di chiedere "Suo fratello ha—della magia?"

"Uno di loro. Un po’ di magia. Non è—è come—" contorce la faccia in una specie di smorfia, come se qualcuno gli avesse appena sputato nella zuppa, e Elsa riesce a fare un piccolissimo, quasi sorriso. Il principe lo ricambia timidamente. "Comunque, se riesce a fare pupazzi di neve parlanti, la sua magia è già molto più utile di quella di mio fratello. È questo quello che mi doveva dire? Ghiaccio magico e pupazzi di neve che parlano?"

E tutto ritorna a crollarle addosso.

Elsa guarda la scrivania, e la lettera intatta sopra. Guarda gli occhi di Albert e riesce a vedere solo gli altri. Non sa come dire tuo fratello è un traditore che ha tentato di uccidermi senza risultare offensiva, ed è esausta—stanca fino al midollo, parecchie notti di sonno mancato e niente riposo che si fanno sentire. Dice, "Deve essere affaticato dal viaggio. Perché non si riposa, e si unisce a me, più tardi, per cena?"

"Uhm, sì, va bene—ma le—informazioni—"

"Possono aspettare fino a domani, quando i nostri nervi saranno un po’ meno provati, non crede?"

Il Principe Albert annuisce. Sembra così insicuro, in piedi lì, nella biblioteca, con le spalle vagamente incurvate. Cammina verso le porte e le apre. C’è una guardia. "Per favore scortate il Principe Albert fino alla sua nave," ordina a voce alta. Poi, sottovoce, di schiena, "E tenetelo d’occhio."

La guardia annuisce, quasi impercettibilmente, e sente il principe spostarsi dietro di lei. La supera, quasi sfiorandola, ridendo imbarazzato, e poi è fuori in corridoio, lisciandosi la giacca e guardandola con quegli occhi. "Immagino che ci vedremo a cena, allora," dice con un mezzo sorriso, ed Elsa pensa, inarcando le sopracciglia, che forse stia cercando di essere nonchalant, di fare il disinvolto—ma poi inciampa. Elsa si morde il labbro. Si raddrizza in fretta, fa un inchino impacciato, formale, e prosegue per il corridoio, la guardia che lo segue a ruota.

Elsa tira un sospiro di sollievo.


"Anna, stai ancora bene?" Olaf le sussurra all’orecchio.

"No, Olaf, mi sa che sto per morire."

"Davvero?"

"Noo," risponde con un sorriso, sedendosi. Sbadiglia, stiracchiandosi con aria deliziata. "Mi sento sorprendentemente riposata. Commossione, chi lo sapeva, eh?"

"Non so cosa sia." La punta del naso-carota di Olaf spunta dal margine del letto. "Elsa stava parlando con un uomo strano."

"Parlava con un uomo? Huh. Sarebbe la prima volta."

La porta della camera da letto si apre. Si chiude. Ecco sua sorella, insicura, in piedi davanti all’entrata, con l’aria di una che crede di non trovarsi a proprio agio in camera sua, con le braccia strette strette al corpo. Anna si appoggia il mento sulle mani, e chiede, maliziosa "Un uomo, eh?"

"Olaf, che le hai detto?" Elsa chiede in fretta, quasi seccata.

"Solo che stavi parlando con un estraneo," Olaf dice, girando elegantemente sul piede rotondo e scivolando sul pavimento umidiccio, tra pozzanghere di stoffa e pezzi di legno. "Se ne è andato?"

"Non ancora, temo."

"Sai cosa si dice sugli estranei, eh?" Anna dice. "Perché io lo so. Sono diciamo, così brava a fidarmi di estranei di cui non ci si deve, è tipo—ok, sai cosa, dimentica che abbia mai parlato, facciamo—Olaf, perché non ci dai due minuti?"

"Ohhh!" Il pupazzo di neve batte le mani, con un sorriso stupido. "Ora di legami fraterni! Certo, certo." Supera Elsa, dandole dei colpetti sulla gonna, apre la porta, e proprio prima di chiuderla dietro di sé si gira per bisbigliare, "Prendetevi tutto il tempo che vi serve."

Si chiude. Anna non può trattenersi dal ridere, massaggiandosi gli occhi. Elsa chiede, "Come ti senti?"

"Molto meglio. Se non fossi una tale imbranata non avrei battuto la testa cadendo, ma mi conosci—devo sempre farla più dolorosa possibile," finisce lentamente. "Ehi, Elsa? Mi dispiace. Per Kristoff. Non stavamo—facendo niente, lo giuro, voglio dire—" la pianta di parlare, ricordandosi del sogno vago che stava facendo prima che Olaf la svegliasse—Kristoff, che si chinava verso il suo viso, e poi il suo viso si era trasformato in quello di Hans e aveva detto tua sorella è morta e non poteva nemmeno dormire in pace, vero? Eddai! "Voglio dire, non stavamo facendo niente," finisce fiacca.

"Oh, Anna. Lo so. Devi solo—pensare a queste cose."

"Vorrei che non l’avessimo fatto."

"Anche io."

"Pensi che la vita sarebbe più facile se—se mamma e papà fossero vivi?"

Anna guada sua sorella guardarsi le mani nude. "Non credo sarebbe meglio."

"Mi mancano," dice d’impulso. C’è un profondo, prolungato silenzio, ed è irrequieta, vuole correre, saltare, qualsiasi cosa—invece si concentra sui frammenti sparsi per il pavimento sella stanza. "Allora che è successo qua dentro, eh? Sembra un uragano! Voglio dire, gli uragani sono fantastici—non va male, non ti sto facendo la ramanzina. Anzi mi faccio io la ramanzina. Va benissimo, compriamo un armadio nuovo. Stai bene?"

Elsa sembra in contemplazione di qualcosa, il capo piegato, e guarda con attenzione i propri abiti eleganti sul pavimento. Fa, "Devo dirti una cosa. E ho bisogno che tu stia calma."

"Elsa, pher-favore," Anna esclama, alzando gli occhi. "Sono praticamente la persona più calma del mondo. Ho inventato io la parola calma. Una volta, ho anche esercitato la mia calmezza, e sono stata brava—era tipo meditazione, l’Attendente Reale—"

"Un Principe delle Isole del Sud verrà a cena stasera."

"Aspetta, scusa, credo di aver sentito Isole del Sud," Anna ride, inclinando la testa di lato e pulendosi l’orecchio. Quando Elsa non la corregge—non nega—"Un principe delle Isole del Sud?"

Ovvio che non fosse Hans, ma uno dei suoi dodici fratelli e sa che dovrebbe comportarsi da principessa, essere calma, essere fredda, essere, tipo—composta, o così—ma quello che vuole fare veramente proprio in quel secondo era scendere dal letto, trovare questo principe e dare anche a lui un pugno in faccia—il che era decisamente e completamente una reazione spropositata—ok, forse non decisamente e completamente, forse più—solo pochissimo spropositata—"Elsa, devi dirgli di andarsene!"

"Non posso!” Elsa geme, e non ha mai sentito sua sorella gemere. È un suono nuovo, frustrato. "Ha ricevuto indicazioni sbagliate. Sarebbe dovuto arrivare per la mia incoronazione ma è finito fuori rotta—non sa di suo fratello."

"Aspetta. Non sa di Hans?"

Elsa scuote la testa. "Ha appena fatto porto."

"Aspetta. Non gli hai detto di Hans?"

"Non so come fare!" Elsa si guarda di nuovo le mani, e Anna se ne sta seduta lì, sul letto, e non sa cosa provare. Se non avesse visto qualcuno delle Isole del Sud mai più, sarebbe stato comunque troppo presto. Quindi forse se si limitava a non pensarci solo per un altro paio d’ore—

"Vieni," alla fine tira su regalmente col naso, adagiandosi su metà dei cuscini di Elsa e dando dei colpetti allo spazio accanto a lei sul letto. "Siediti."

"Anna, io—"

"Niente Anna. Puoi e devi. Ordine della sorella."

Elsa cammina su parecchi vestiti, i resti, e piano, attenta, si arrampica sul letto accanto a lei. Sono stese fianco a fianco, fissando il baldacchino blu scuro che Anna sta lentamente iniziando a odiare, e si ricorda di un tempo in cui erano solite farlo molto più spesso. Chiede al baldacchino, "Quando è stata l’ultima volta che hai dormito, eh?"

"Sono la regina."

"Solo perché sei la regina non significa che tu non abbia bisogno di una dormita. Senti, semplicemente stenditi qui," Anna si gira su un fianco, e sembravano di nuovo bambine, che strano—"stenditi e riposati un po’, ok? E poi sarai prontissima per la cena, dove prometto che mi comporterò quasi bene."

"Non puoi menzionare niente che riguardi il fratello. Prometto che glielo dirò, ma devo farlo in un’atmosfera più controllata." Codice per: senza te attorno.

"Sono così posata. Ok, non guardarmi così, allora ok, sono per lo più posata. Ok, sai cosa, bene. Ok. Assumerò il mio migliore atteggiamento da principessa." Non dice che l’unica cosa è che non sa esattamente quanto buono fosse il suo miglior atteggiamento da principessa, ma ci doveva pur essere un inizio, no? Ecco cos’era. "Solo, dormi un po’."

"Anna?"

Si ferma, mentre stava scendendo dal letto. "Sì?"

"Vuoi solo—puoi—"

Anna guarda dall’altra parte del proprio naso. Ecco sua sorella. Ecco sua sorella, così vicina, e niente le separava, e potevano essere di nuovo bambine. Rimette i piedi sul letto. "Sì, sai cosa, in realtà, sono ancora super stanca, ti dispiace se rimango un altro po’?"

Elsa sorride, e non è un quasi. "Penso che non mi dispiaccia."

Il sorriso di Anna le prende tutta la faccia. Non dovrebbe essere permesso, essere così felici, quando uno di quei brutti fratelli faccia di deretano è lì. "Bene."

Solo un inizio.


"Ha congelato l’estate," il re rimugina.

Hans flette le mani. "Come ho detto." Pieno inverno—luce a malapena, calore a malapena, un intero popolo che moriva di fame e si affidava a lui ed era stato fantastico

"Bene, allora. Sembra che mi aspetti una chiacchierata con Niels."

Hans rabbrividisce tutto. "Perché?"

"Non preoccuparti, fratellino. Alcune questioni sfuggono semplicemente al tuo controllo, nonostante i tuoi tentativi di fare altrimenti." Il re si alza, e si volta. È una vista familiare, il retro della sua testa—Hans fissa il rancio nell’angolo. Si sente la puzza della carne e delle patate che si stanno inacidendo sul pavimento. "Dimmi, Hans." Il sovrano ha un aspetto regale, rigido e dritto, le mani dietro la schiena, e si volta appena, abbastanza da permettere ad Hans di distinguere il profilo affilato del naso alla luce della torcia. "Ho la tua completa e totale collaborazione?"

Hans si lecca le labbra. Ha di nuovo otto anni; c’è del sangue sul pavimento, accanto alla mano di suo padre. Alfons non è ancora re. Lo sta spingendo contro il muro con l’elsa e sta dicendo non dirlo a nessuno, sentito? Hai sentito? Ho la tua completa e totale collaborazione?

"Sì, vostra altezza," Hans dice alla schiena di suo fratello. "Ma certo."

Un cenno secco con la testa. "Bene. Immagino che sarai fuori dalla cella, non so quando di preciso, domani." Passo, passo, passo, lungo il corridoio, e Hans vuole che vada, vuole trapassargli la schiena da parte a parte, e se solo le cose fossero così semplici, se solo non dovesse sopportare gli altri undici stupidi che stavano tra lui e il trono—"Oh, e Hans?"

Alza gli occhi, da dietro le sbarre dritte della sua cella. "Sì?"

"Non deludermi di nuovo."

  
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