Capitolo 5
"Vuoi
un po’ di cibo?
So che lo vuoi, bello! So che lo vuoi! Qui, cagnetto, qui!"
"Oh,
sembra così
triste, bloccato dietro quelle sbarre. Sei sicuro che non vuoi questa
bella
bistecca? Cottura media, proprio come piace a te. L’ho fatta
preparare
appositamente dal cuoco—anche delle patate, come contorno, e
questa—mmm—pagnotta calda. Di certo sarebbe meglio
di quella spazzatura da
prigione che ti danno da mangiare."
Hans
si guarda le mani,
strette a pugno in grembo. C’è dello sporco
incrostato sotto le unghie. La
giacca bianca è diventata una specie di grigio polveroso. Il
pranzo è ancora a
terra, intatto, nell’angolo della sua
cella—pappetta, vecchia di tre giorni,
come minimo; i rimasugli delle cucine. È del colore e della
consistenza del
fango. Si guarda le mani, i piedi, e guarda il pranzo
stantio—ovunque tranne
che in direzione dei due uomini in piedi proprio fuori la cella.
Ma
è difficile, con l’odore
fresco del pane caldo, dorato, e delle patate in crosta di burro; con
il
profumo della carne succosa e sfrigolante che si diffonde. Non aveva
mangiato
così bene da quando aveva lasciato Arendelle.
Si
sfrega la mascella.
"E
dai,
fratellino, forza! L’abbiamo fatta fare apposta per
te."
Si
volta. Dice a se stesso
che si sta voltando perché se non fa quello che vogliono che
faccia, non staranno
zitti—lo sapeva dal momento in cui i loro passi
avevano fatto eco giù per
le scale che conducevano alla prigione. Si alza, sollevando le code
della sua
marsina dietro di sé. Mantiene la testa alta. Non serve
piangersi addosso, non
serve a niente—fa due passi, fino a premere il proprio corpo
contro le sbarre,
e poi, lentamente, allunga la mano verso il piatto di cibo.
Viene
fatto cadere sul
pavimento cupo. Il piatto di porcellana si rompe, il pane si sporca,
nero; le
patate si spiaccicano come sangue bianco e la carne si rovescia, ormai
poco
invitante.
"Oops.
Che
stupidino."
I
due uomini scoppiano in un
attacco di risate rauche. Hans mantiene la testa alta, il suo volto una
maschera,
ma lo capiscono, probabilmente, sai suoi occhi—è
furioso, violento, e se solo
fosse fuori da quella stupida cella li assassinerebbe in un istante,
tutti e
due—
"Viktor!
Tomas! Basta
così."
I
suoi fratelli, gemelli,
diventano seri immediatamente, tenendosi languidamente sottobraccio. Si
voltano
verso il corridoio, le torce traballanti che stagliano i loro volti in
bassorilievi affilati.
"Vessare
vostro
fratello non mi sembra affatto un degno passatempo, adesso che siete
cresciuti—nonostante sia una tradizione a cui fate onore da
tanto tempo."
"Vostra
maestà,"
Viktor e Tomas si inchinano all’unisono. Hanno il viso
contorto in una smorfia.
Tomas continua, "Ci stavamo solo divertendo un po’."
"Divertendo?"
Hans
ringhia. Si lancia contro le sbarre e afferra Tomas per il bavero della
giacca.
Ha l’effetto sorpresa dalla sua parte, o non sarebbe mai
riuscito a smuovere
suo fratello di un millimetro. "Come quando avete fatto finta per due
anni
che fossi invisibile? Quel tipo di divertimento?"
"Hans,
ti prego.
Calmati." Ed eccolo lì, il Re delle Isole del Sud, in tutta
la sua gloria
baffuta. Hans digrigna i denti. Viktor lo spinge all’indietro
violentemente, e
la spinta lo fa finire nel lettino della cella. Tomas si massaggia il
collo,
con l’aria omicida. Il re dice, "Prendetemi una sedia."
Viktor
corre ad
accontentarlo, sferragliando fino al posto di guardia vuoto, e ne
trascina una
di legno mentre Tomas si scrocca il collo. La sedia è
sistemata. Il re si
siede. Dice, "Lasciateci soli."
"Goditi
la cena,
fratello," Tomas afferma con un ghigno malevolo, calciando il piatto
rotto
e i pezzi di carne e pane all’interno della cella, facendo
passare i resti tra
le sbarre, dove coprono metà del pavimento. Hans ascolta i
loro passi svanire
nel corridoio, su per le scale. Appoggia testa e schiena contro il
muro, e fa
un ghigno pigro, beffardo, in direzione del re.
Quell’uomo
era solo suo fratello,
dopotutto.
"Non
pensavo saresti
venuto," Hans fa, spazzando via la polvere dalle maniche della giacca.
"Sono venuti tutti gli altri. Beh. Tutti gli altri ancora vivi."
"Hai
ucciso
Albert?"
"Uccidere
il mio stesso
fratello? Perché mai dovrei commettere un crimine tale?"
Hans si lecca le
labbra. "Oh, quasi grave quanto uccidere il proprio padre." Volta la
testa lungo il muro, fissando suo fratello con un’espressione
piatta. "Non
credi?"
Il
silenzio stava per
soffocarlo.
"Hans,"
comincia
il re alla fine, allacciando le mani avanti a sé, la bocca
una linea
sottilissima, espressione del pensiero più sottile,
"è tuo desiderio
restare in questa prigione?"
Hans
pensa al trono di
Arendelle e quasi prende a pugni il muro.
"Rispondimi."
"No,"
scatta.
"Beh,
questo è quello
che il consiglio chiede a gran voce. Tuo fratello, scomparso;
Arendelle—"
"Non
parlarmi di
Arendelle," Hans ringhia.
"Cosa,
non parlarti
dell’errore che hai commesso? Avresti potuto avere un regno,
e invece hai una
cella. Ti si dovrebbe ricordare ogni giorno del tuo
errore. Di quello
che hai fatto perdere alle Isole del Sud."
"Non
ci ho provato per
te," Hans dice, guardandolo male, e suo fratello se ne sta seduto
lì, con
un sorriso condiscendente sul viso. "Sarebbe stato il mio regno," si
posa una mano sul petto, "il mio trono!"
"Oh,
Hans," il re
gli sorride. Si stende all’indietro, nella sedia di legno.
"Ma dimmi,
dov’è Albert?"
"L’ho
mandato nella
direzione sbagliata," Hans parla alle proprie scarpe.
"All’altezza di
Corona."
"Ah.
Niente
competizione, allora, per—amore, si chiama così?"
Hans
pensa alle porte.
"Una cosa del genere."
"Beh,
fratellino. Che
pensiero curioso e pittoresco. Ma dimentichiamoci dell’amore,
e rivolgiamoci
invece a questa situazione imbarazzante a cui ci hanno condotto le tue
azioni.
Parlami," Re Alfons fa lentamente, reclinando la testa, "della Regina
Elsa."
Elsa
pensa che l’incontro
possa andare, tutto sommato, meglio di così.
Il
principe sbatte le
palpebre. Olaf anche. Eccoli lì, al centro della biblioteca,
mentre si fissano
a vicenda, ma questo solo dopo che il principe ha
staccato con un calcio
la testa del povero Olaf—
"Elsa,"
fa il
pupazzo di neve, parlando a mezza bocca, senza rompere il contato
visivo con
l’uomo piegato a osservarlo, "Te lo dico perché ti
voglio bene, credo che
faresti meglio a scappare."
Elsa
si stringe forte le
braccia al petto.
"Quindi
sei—sei un
pupazzo di neve," il Principe Albert ripete, "e tu—e tu," i
suoi
occhi continuano a spostarsi su di lei, e poi di nuovo
all’avambraccio, come se
fosse pronto a dare qualsiasi cosa per avere un appunto da leggere, "tu
sei vivo."
Olaf
allunga le dita.
"Credo si sì, sì."
"Beh,"
il principe
fa un colpo di tosse, portandosi la mano alla bocca. Si inginocchia,
così da
essere finalmente con gli occhi a livello di quelli Olaf, "Chiedo scusa
per averti preso la testa a calci. Non mi piace molto quando le persone
danno a
me i calci in testa, quindi cerco di non farla
diventare—una pratica
comune—" si schiarisce la gola. "Sì. Comunque."
Porge
la mano. Olaf batte le
proprie, eccitato. "Oh! Oh, una stretta di mano! Ecco qui," e il
pupazzo di neve si stacca un braccio, tenendolo con
quell’altro, e allunga
l’intero marchingegno in direzione del principe. Da un lato
della bocca Olaf
fa, "No, sul serio, Elsa, scappa."
"Grazie,
Olaf,"
Elsa fa con una smorfia, osservando la stretta di mano. Il pupazzo di
neve si
riattacca il braccio. "Perché non vai a controllare Anna?
Per me?"
"Te
l’ho detto, Anna è
in—"
"Puoi
ricontrollare?"
Olaf
annuisce con forza.
Trotterella via dalla stanza, ma mentre se ne va incurva due dita verso
i suoi
occhi, e poi le punta in direzione del Principe Albert. Elsa geme,
lasciandosi
cadere la fronte tra le mani.
"Sono
davvero spiacente
per il calcio che gli ho dato," Il Principe Albert dice appena la porta
si
chiude, ed Elsa non sa se abbia la testa tra le nuvole o sia solo
gentile.
"è davvero solo una specie di riflesso involontario. Mio
fratello era
solito esercitarsi coi suoi incantesimi in camera mia, e trovavo ogni
genere di
cose—sa, teste e corpi e—ma non c’era
bisogno che le dicessi questo, mi
dispiace. Ha. Questo è il motivo per cui di solito mi
preparo i discorsi."
Lo
guarda, sentendo i propri
gomiti scavarle nei fianchi, e non può fare a meno di
chiedere "Suo
fratello ha—della magia?"
"Uno
di loro. Un po’ di
magia. Non è—è come—"
contorce la faccia in una specie di smorfia, come se
qualcuno gli avesse appena sputato nella zuppa, e Elsa riesce a fare un
piccolissimo, quasi sorriso. Il principe lo ricambia timidamente.
"Comunque, se riesce a fare pupazzi di neve parlanti, la sua magia
è già
molto più utile di quella di mio fratello. È
questo quello che mi doveva dire?
Ghiaccio magico e pupazzi di neve che parlano?"
E
tutto ritorna a crollarle
addosso.
Elsa
guarda la scrivania, e
la lettera intatta sopra. Guarda gli occhi di Albert e riesce a vedere
solo gli
altri. Non sa come dire tuo fratello è
un traditore che ha tentato di
uccidermi senza risultare offensiva, ed è
esausta—stanca fino al
midollo, parecchie notti di sonno mancato e niente
riposo che si fanno sentire. Dice, "Deve essere affaticato dal viaggio.
Perché non si riposa, e si unisce a me, più
tardi, per cena?"
"Uhm,
sì, va bene—ma
le—informazioni—"
"Possono
aspettare fino
a domani, quando i nostri nervi saranno un po’ meno provati,
non crede?"
Il
Principe Albert annuisce.
Sembra così insicuro, in piedi lì, nella
biblioteca, con le spalle vagamente
incurvate. Cammina verso le porte e le apre. C’è
una guardia. "Per favore
scortate il Principe Albert fino alla sua nave," ordina a voce alta.
Poi,
sottovoce, di schiena, "E tenetelo d’occhio."
La
guardia annuisce, quasi
impercettibilmente, e sente il principe spostarsi dietro di lei. La
supera,
quasi sfiorandola, ridendo imbarazzato, e poi è fuori in
corridoio, lisciandosi
la giacca e guardandola con quegli occhi.
"Immagino che ci vedremo
a cena, allora," dice con un mezzo sorriso, ed Elsa pensa, inarcando le
sopracciglia, che forse stia cercando di essere nonchalant, di fare il
disinvolto—ma poi inciampa. Elsa si morde il labbro. Si
raddrizza in fretta, fa
un inchino impacciato, formale, e prosegue per il corridoio, la guardia
che lo
segue a ruota.
Elsa
tira un sospiro di
sollievo.
"Anna,
stai ancora
bene?" Olaf le sussurra all’orecchio.
"No,
Olaf, mi sa che
sto per morire."
"Davvero?"
"Noo,"
risponde con un sorriso, sedendosi. Sbadiglia, stiracchiandosi con aria
deliziata. "Mi sento sorprendentemente riposata. Commossione, chi lo
sapeva,
eh?"
"Non
so cosa sia."
La punta del naso-carota di Olaf spunta dal margine del letto. "Elsa
stava
parlando con un uomo strano."
"Parlava
con un uomo?
Huh. Sarebbe la prima volta."
La
porta della camera da
letto si apre. Si chiude. Ecco sua sorella, insicura, in piedi davanti
all’entrata, con l’aria di una che crede di non
trovarsi a proprio agio in
camera sua, con le braccia strette strette al corpo. Anna si appoggia
il mento
sulle mani, e chiede, maliziosa "Un uomo, eh?"
"Olaf,
che le hai
detto?" Elsa chiede in fretta, quasi seccata.
"Solo
che stavi
parlando con un estraneo," Olaf dice, girando elegantemente sul piede
rotondo e scivolando sul pavimento umidiccio, tra pozzanghere di stoffa
e pezzi
di legno. "Se ne è andato?"
"Non
ancora,
temo."
"Sai
cosa si dice sugli
estranei, eh?" Anna dice. "Perché io lo so. Sono diciamo,
così brava
a fidarmi di estranei di cui non ci si deve, è
tipo—ok, sai cosa, dimentica che
abbia mai parlato, facciamo—Olaf, perché non ci
dai due minuti?"
"Ohhh!"
Il pupazzo
di neve batte le mani, con un sorriso stupido. "Ora di legami fraterni!
Certo, certo." Supera Elsa, dandole dei colpetti sulla gonna, apre la
porta, e proprio prima di chiuderla dietro di sé si gira per
bisbigliare,
"Prendetevi tutto il tempo che vi serve."
Si
chiude. Anna non può
trattenersi dal ridere, massaggiandosi gli occhi. Elsa chiede, "Come ti
senti?"
"Molto
meglio. Se non
fossi una tale imbranata non avrei battuto la testa cadendo, ma mi
conosci—devo
sempre farla più dolorosa possibile," finisce lentamente.
"Ehi, Elsa?
Mi dispiace. Per Kristoff. Non stavamo—facendo niente,
lo giuro, voglio
dire—" la pianta di parlare, ricordandosi del sogno vago che
stava facendo
prima che Olaf la svegliasse—Kristoff, che si chinava verso
il suo viso, e poi
il suo viso si era trasformato in quello di Hans
e aveva detto tua
sorella è morta e non poteva nemmeno dormire
in pace, vero? Eddai!
"Voglio dire, non stavamo facendo niente," finisce fiacca.
"Oh,
Anna. Lo so. Devi
solo—pensare a queste cose."
"Vorrei
che non l’avessimo
fatto."
"Anche
io."
"Pensi
che la vita
sarebbe più facile se—se mamma e papà
fossero vivi?"
Anna
guada sua sorella
guardarsi le mani nude. "Non credo sarebbe meglio."
"Mi
mancano," dice
d’impulso. C’è un profondo, prolungato
silenzio, ed è irrequieta, vuole
correre, saltare, qualsiasi cosa—invece si concentra sui
frammenti sparsi per
il pavimento sella stanza. "Allora che è successo qua
dentro, eh? Sembra
un uragano! Voglio dire, gli uragani sono fantastici—non va
male, non ti sto
facendo la ramanzina. Anzi mi faccio io la ramanzina. Va benissimo,
compriamo
un armadio nuovo. Stai bene?"
Elsa
sembra in
contemplazione di qualcosa, il capo piegato, e guarda con attenzione i
propri
abiti eleganti sul pavimento. Fa, "Devo dirti una cosa. E ho bisogno
che tu
stia calma."
"Elsa,
pher-favore,"
Anna esclama, alzando gli occhi. "Sono praticamente la persona
più calma
del mondo. Ho inventato io la parola calma. Una volta, ho anche
esercitato la
mia calmezza, e sono stata brava—era tipo meditazione,
l’Attendente Reale—"
"Un
Principe delle
Isole del Sud verrà a cena stasera."
"Aspetta,
scusa, credo
di aver sentito Isole del Sud," Anna ride, inclinando la testa di lato
e
pulendosi l’orecchio. Quando Elsa non la
corregge—non nega—"Un principe
delle Isole del Sud?"
Ovvio
che non fosse Hans,
ma uno dei suoi dodici fratelli e sa che dovrebbe
comportarsi da
principessa, essere calma, essere fredda, essere,
tipo—composta, o così—ma
quello che vuole fare veramente proprio in quel secondo era scendere
dal letto,
trovare questo principe e dare anche a lui un pugno
in faccia—il che era
decisamente e completamente una reazione spropositata—ok,
forse non decisamente
e completamente, forse più—solo pochissimo
spropositata—"Elsa,
devi dirgli di andarsene!"
"Non
posso!” Elsa geme,
e non ha mai sentito sua sorella gemere. È un suono nuovo,
frustrato. "Ha
ricevuto indicazioni sbagliate. Sarebbe dovuto arrivare per la mia
incoronazione ma è finito fuori rotta—non sa
di suo fratello."
"Aspetta.
Non sa di
Hans?"
Elsa
scuote la testa.
"Ha appena fatto porto."
"Aspetta.
Non gli hai detto
di Hans?"
"Non
so come
fare!" Elsa si guarda di nuovo le mani, e Anna se ne sta seduta
lì, sul
letto, e non sa cosa provare. Se non avesse visto
qualcuno delle Isole
del Sud mai più, sarebbe stato comunque
troppo presto. Quindi forse se
si limitava a non pensarci solo per un altro paio
d’ore—
"Vieni,"
alla fine
tira su regalmente col naso, adagiandosi su metà dei cuscini
di Elsa e dando
dei colpetti allo spazio accanto a lei sul letto. "Siediti."
"Anna,
io—"
"Niente
Anna.
Puoi e devi. Ordine della sorella."
Elsa
cammina su parecchi
vestiti, i resti, e piano, attenta, si arrampica sul letto accanto a
lei. Sono
stese fianco a fianco, fissando il baldacchino blu scuro che Anna sta
lentamente iniziando a odiare, e si ricorda di un tempo in cui erano
solite
farlo molto più spesso. Chiede al baldacchino, "Quando
è stata l’ultima
volta che hai dormito, eh?"
"Sono
la regina."
"Solo
perché sei la regina
non significa che tu non abbia bisogno di una
dormita. Senti, semplicemente stenditi qui," Anna si gira su
un
fianco, e sembravano di nuovo bambine, che strano—"stenditi e
riposati un
po’, ok? E poi sarai prontissima per la cena, dove prometto
che mi comporterò
quasi bene."
"Non
puoi menzionare
niente che riguardi il fratello. Prometto che glielo dirò,
ma devo farlo
in un’atmosfera più controllata." Codice per:
senza te attorno.
"Sono
così posata.
Ok, non guardarmi così, allora ok, sono per lo
più posata. Ok, sai cosa,
bene. Ok. Assumerò il mio migliore atteggiamento da
principessa." Non dice
che l’unica cosa è che non sa esattamente quanto buono
fosse il suo
miglior atteggiamento da principessa, ma ci doveva pur essere un
inizio, no?
Ecco cos’era. "Solo, dormi un po’."
"Anna?"
Si
ferma, mentre stava
scendendo dal letto. "Sì?"
"Vuoi
solo—puoi—"
Anna
guarda dall’altra parte
del proprio naso. Ecco sua sorella. Ecco sua sorella, così
vicina, e niente le
separava, e potevano essere di nuovo bambine. Rimette i piedi sul
letto.
"Sì, sai cosa, in realtà, sono ancora super
stanca, ti dispiace se rimango
un altro po’?"
Elsa
sorride, e non è un
quasi. "Penso che non mi dispiaccia."
Il
sorriso di Anna le prende
tutta la faccia. Non dovrebbe essere permesso, essere così
felici, quando uno
di quei brutti fratelli faccia di deretano è lì.
"Bene."
Solo
un inizio.
"Ha
congelato
l’estate," il re rimugina.
Hans
flette le mani.
"Come ho detto." Pieno inverno—luce a malapena, calore a
malapena, un
intero popolo che moriva di fame e si affidava a lui ed era
stato fantastico—
"Bene,
allora. Sembra
che mi aspetti una chiacchierata con Niels."
Hans
rabbrividisce tutto.
"Perché?"
"Non
preoccuparti,
fratellino. Alcune questioni sfuggono semplicemente al tuo controllo,
nonostante i tuoi tentativi di fare altrimenti." Il re si alza, e si
volta. È una vista familiare, il retro della sua
testa—Hans fissa il rancio
nell’angolo. Si sente la puzza della carne e delle patate che
si stanno
inacidendo sul pavimento. "Dimmi, Hans." Il sovrano ha un aspetto
regale, rigido e dritto, le mani dietro la schiena, e si volta appena,
abbastanza da permettere ad Hans di distinguere il profilo affilato del
naso
alla luce della torcia. "Ho la tua completa e totale collaborazione?"
Hans
si lecca le labbra. Ha
di nuovo otto anni; c’è del sangue sul pavimento,
accanto alla mano di suo
padre. Alfons non è ancora re. Lo sta spingendo contro il
muro con l’elsa e sta
dicendo non dirlo a nessuno, sentito? Hai sentito? Ho la tua
completa e
totale collaborazione?
"Sì,
vostra
altezza," Hans dice alla schiena di suo fratello. "Ma certo."
Un
cenno secco con la testa.
"Bene. Immagino che sarai fuori dalla cella, non so quando di preciso,
domani." Passo, passo, passo, lungo il corridoio, e Hans vuole che
vada,
vuole trapassargli la schiena da parte a parte, e se solo le cose
fossero così
semplici, se solo non dovesse sopportare gli altri undici stupidi che
stavano
tra lui e il trono—"Oh, e Hans?"
Alza
gli occhi, da dietro le
sbarre dritte della sua cella. "Sì?"
"Non
deludermi di
nuovo."