Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    18/04/2014    6 recensioni
In un mondo dove gli Angeli hanno preso il sopravvento, costringendo il genere umano alla schiavitù, o peggio alla morte, Allison si risveglia all’interno di una delle stanze del Paradisum, unità operativa dei nuovi sovrani del Pianeta Terra, con l’unico ricordo di cadere da un edificio e una voce che la chiama.
Non conosce la sua identità ma sa che, probabilmente, è già morta, caduta vittima degli Angeli.
Ad attenderla al suo risveglio, però, Caliel, un Angelo in attesa che Aniel, la sua compagna di vita, si risvegli dal suo sonno nel corpo mortale di Allison.
Ma ciò non accade.
Lei sa di essere in pericolo, così come ogni essere umano rimasto sul Pianeta, ma non può scappare.
Il suo destino è segnato: diventare una schiava o morire.
E lei non può permetterlo.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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2.
Caliel
 
 
Lui mi guardò.
Nonostante stessi guardando la stanza intorno a me, le pareti bianche e nude, la porta d’acciaio dietro di lui, i vari macchinari collegati al mio corpo, la sedia metallica sulla quale sedevo, e poi, ovviamente, lui, sentivo il suo sguardo gravare sulla mia pelle, nonostante il tocco dei suoi occhi fosse dolce, gentile, fragile quasi.
Ci misi qualche istante a focalizzare al meglio il suo volto: i capelli castani e cortissimi, la pelle abbronzata, la mascella scolpita, gli occhi così scuri che le pupille si fondevano quasi con l’iride, le labbra lisce e rosee schiuse in un sorriso luminoso.
Poteva avere, a primo impatto, qualche anno più di me, diciotto, o forse diciannove anni al massimo.
Mi studiava con gentilezza, ogni suo sguardo era una carezza dolce sulla pelle.
Indossava abiti scuri, una T-Shirt nera che metteva in risalto i muscoli delle braccia e dell’addome, un paio di pantaloni scuri ed elastici, un paio di scarpe da ginnastica.
D’un tratto si alzò dal piccolo sgabello su cui era stato seduto tutto il tempo, a meno di una decina di metri da me, ed io mi ritrassi sulla piccola sediolina metallica, stringendo i braccioli con le dita, sentendo la paura, pari all’adrenalina, concentrarsi sulle gambe, pronta a fuggire anche al minimo movimento sospetto.
«Ehi…», sussurrò piano facendo un primo passo verso di me, poi un altro e un altro ancora.
Aprii la bocca per parlare ma, appena tentai di pronunciare la prima parola, sentii la gola bruciare, come se avessi mangiato sabbia per tutta la vita, e le parole mi morirono sulle labbra mentre, spaventata, abbassavo lo sguardo verso la mia mano che, con un gesto quasi involontario, si era avvinghiata alla gola.
«Va tutto bene», sussurrò lui con voce flebile, facendo un nuovo passo, «E’ l’effetto del Sonno, svanirà presto.», e con un movimento fluido mi raggiunse, facendomi sussultare rumorosamente, tirando indietro la testa, quando il suo viso si fece così vicino al mio che quasi riuscii a sentire il profumo della sua pelle, un intenso mix di margherite e polvere, di qualcosa che, col tempo, non era invecchiato ma migliorato.
Allora anche lui si tirò indietro, il suo sguardo, dapprima dolce, divenne un velo di assoluto gelo.
«Sta facendo resistenza?», mi chiesi perché la sua domanda somigliasse tanto a un’affermazione, ma non glielo domandai.
Lo guardai, sgranando gli occhi e diventando piccola-piccola nella sedia, guardandolo farsi sempre più vicino con quello che, prima di divenire un ringhio quasi furioso, era un sorriso.
«Qual è il tuo nome?», chiese guardandomi serio.
«Cosa?», non riuscii a nascondere un sorriso distorto dalla paura.
«Qual. E’. Il. Tuo. Nome.», scandì ogni parola con una decisione tale da farmi venire i brividi.
Perché era tanto importante per lui sapere qual era il mio nome?
«A…», e se avessi detto la verità? Che cosa sarebbe successo se avessi pronunciato il nome “Allison” che non sentivo più quasi parte di me ma che, comunque, era l’unica cosa che mi teneva ancora legata alla mia vecchia vita?
E poi capii: Aniel. Bentornata a casa Aniel. E ora apri gli occhi…
«Aniel», il mio fu un lieve sussurro, quasi strozzato, e mi vergognai quasi di averlo pronunciato.
«Ripetilo.», si voltò a guardarmi e mi sentii quasi persa nella profonda oscurità che contenevano le sue iridi, «Guardami negli occhi e dimmi che sei davvero la mia Ania.», nella sua voce corsi una lieve speranza che dicessi di sì, che mentissi.
Lo guardai, presi un profondo respiro, battei le ciglia, un altro respiro ancora e tacqui per qualche attimo, poi le mie labbra si mossero, quasi involontariamente, per puro istinto di sopravvivenza.
«Aniel.», dissi e, nel farlo, mi sentii la persona più crudele del mondo, «Mi chiamo Aniel.», e non distolsi lo sguardo fin quando non fu lui il primo a farlo.
«Allora qual è il mio nome?», chiese ancora, tornando a guardarmi con occhi pieni di speranza.
Non conoscevo Aniel, e non conoscevo lui, ma il modo in cui parlava, il modo in cui tentava di estrapolarmi ogni risposta, il modo in cui i suoi occhi cercavano i miei, celando un velo di disperazione, mi parlava già del tipo di rapporto che avevano.
Non sapevo chi fosse Aniel ma era chiaro quanto lui ci tenesse a lei.
Per un solo momento ogni centimetro del mio corpo fu invaso da brividi, dal puro terrore di quello che mi sarebbe successo da ora in avanti.
Avevo mentito sulla mia identità, avevo cambiato il mio nome solo per rendermi salva la vita, ma come sarei potuta sopravvivere anche a questo?
Ero riuscita a mentire ma questa farsa sarebbe durata meno di quanto credevo.
Il ragazzo mi guardò, gli occhi scuri pieni di speranza, sembravano quasi gridare: «Avanti! Dì quel nome!», dandomi quasi la risposta con quel suo sguardo, un suggerimento che non riuscivo a cogliere e che mi sarebbe costato la vita.
Mentalmente ripercorsi il mio lungo sonno, le mie oscurità, l’odore di margherite e dell’erba del prato appena tagliata, nel salto, nelle voci, alla ricerca di un nome che non fosse delle mie tante identità, delle tante bugie che si segnavano in modo indelebile su di me, come un tatuaggio.
E poi la porta si aprì, rivelando la figura alta e slanciata di un uomo calvo e tarchiato, all’interno di una tuta bianca e all’apparenza spaziale, come mi sarei immaginata di vedere un astronauta, o un dottore alle prese con qualche virus letale, come quello che aveva devastato l’Europa del Nord durante la Grande Guerra.
«Caliel!», esclamò rivelandomi così la speranza celata dietro gli occhi scuri del ragazzo davanti a me, il quale non si era nemmeno degnato di voltarsi verso di lui, «Il Capo ti sta cercando, è ora di andare.», ma nonostante ciò Caliel non staccò nemmeno per un istante il suo sguardo dal mio.
«Caliel…», sussurrai piano, non seppi bene come, avevo la gola così asciutta che ogni parola sembrava vetro pronto a squarciarmi la gola, e non sapevo bene il perché, ma lo feci ugualmente.
Allora il suo sguardo si fece nuovamente dolce, come quello che mi aveva accolto nel momento del Risveglio, e le sue labbra rosee si schiusero in un respiro, come se lo trattenesse dal momento esatto in cui mi aveva chiesto di rivelargli il suo nome.
«Devo andare», disse stringendo le mani in pugno, «ma tornerò presto, davvero.» e con un gesto quasi disperato si fece avanti, portando il capo vicino al mio e baciandomi piano, sorprendendomi, dolorante, stringendo forte gli occhi mentre le sue mani sfioravano il mio viso, come per reggersi alla speranza che fossi io l’Aniel che tanto aveva aspettato.
E poi, veloce come si era avvicinato, si allontanò, guardandomi negli occhi, innocentemente, come un bambino che aveva appena detto davanti ai suoi amichetti di amare la propria mamma, così, senza vergogna alcuna.
«Resta qui…», sussurrò, ancora abbastanza vicino da offuscare il resto della stanza.
 Senza smettere di guardarmi, indietreggiò di qualche passo, fino a raggiungere il calvo, poi varcò la soglia della stanza, e per qualche attimo mi mostrò una parte del corridoio fuori-stante, e fu seguito dall’uomo che, dandomi le spalle, mi fece notare quanto sventurata fosse la mia condizione; due fori abbastanza larghi squarciavano la tuta bianca, al centro esatto della schiena, la larghezza giusta per far passare un paio di ali di certo.
Angeli, pensai subito quando la porta si chiuse dietro di loro con un tonfo, Angeli.
Aspettai qualche secondo, ascoltando le paia di passi che cadevano a terra, quasi coordinatamente, fino a scomparire nel più vasto silenzio, poi mi catapultai verso la porta di freddo metallo.
Lo sforzo, però, fece tremare le gambe che crollarono poco dopo sotto il mio peso, costringendomi a stendermi contro la porta fredda.
Mi sentivo arrabbiata, delusa.
Come avevo potuto credere che, semplicemente dicendo un nome che non mi apparteneva, la mia vita sarebbe potuta andare nel verso giusto?
Come avevo potuto dimenticare, anche solo per un attimo, la disgrazia che aveva invaso il mio Pianeta, portandosi con sé la mia famiglia, i miei amici, la mia vita?
Dentro di me si scaturì un ringhio che divenne un gemito, che si fece poi pianto.
Un bruciore intenso esplose sulle mie labbra, facendomi tornare per un secondo in mente il bacio disperato di Caliel sulle mie labbra, lasciato come una speranza, o come una maledizione, e mi sfiorai piano la bocca con le dita, sentendola pulsare di dolore.
Un bacio etereo, protetto, benedetto.
Un bacio che mi fece sentire condannata per l’eternità.


 
Angolo autrice:
Ehilà! Spero che -essendo arrivati fino a qui giù - il capitolo vi sia piaciuto!
Spero anche di ricevere qualche vostro parere, sapete che mi fate sempre felice ogni volta che lo fate *-*
Ringraziamenti:
-Manu_Tu_52;
-Drachen;
-Fredlove
e -MockinGleek_
per le recensioni <3 Spero che anche questo capitolo possa piacervi come il primo!

 
   
 
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