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Autore: Love_in_idleness    16/07/2008    1 recensioni
Due storie diverse intrecciate tra loro per una strana, irresistibile Legge delle Ambivalenze.
Genere: Romantico, Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ambivalenze 20

Terzultimo  capitolo, people! Commenti sempre graditi!

___

Venerdì otto Giugno,

 

Un biglietto di congratulazioni; una festa non molto allegra per qualcuno; una porta sempre spalancata sull’orizzonte delle Possibilità e un Piccolo Principe che torna al suo asteroide

 

I.
                       

Mi congratulo per il tuo successo accademico
e ti auguro di trovare in questa strada tutta la soddisfazione
e la felicità del mondo.

-
Hansi

 

 

 

II.

“Sono passati tre giorni da quella sera – davvero non te l’ho ancora raccontato?”

Nikita vedeva il sentimento morboso con cui suo fratello stringeva il cartoncino bianco che Hansi gli aveva spedito quella mattina.

Die proseguì. “In quel breve lasso di tempo mi  ha completamente ignorato. Ed io sono stato così stupido da non fermarlo, da lasciarlo andare in simili condizioni, quando avevo capito benissimo che sarebbe bastata una scusa sentita per sistemare il divario che ci separava. Usciva alla mattina col suo basso – andava a provare. Ritornava a casa con le dita screpolate per le sessioni interminabili. Fino a qualche giorno prima mi chiedeva sempre di accompagnarlo e di suonare con lui. Allora si alzava, mi salutava piano e usciva. Non provava più a chiedermi dell’Università.

Sai, avevo quasi ceduto alle sue pretese. Davvero. È strano – se mi avesse chiesto ancora un paio di volte di suonare ancora con lui, io avrei accettato.

Una mattina, prima di uscire, mi ha detto che me ne dovevo andare. Era casa sua, ed era giusto così, ma io non capivo, non realizzavo. Mi disse semplicemente che non c’era più niente da fare, che da tre giorni non ero più il suo ragazzo, e che non voleva più vedermi, sai perché? Ha detto – ha detto che non mi amava più. Il momento in cui l’avevo calpestato e deriso aveva realizzato che non gli bastavo più per la realizzazione dei suoi stupidi ideali, e che ero diventato completamente trasparente, uniforme alla realtà, ai suoi occhi. Mi ha detto anche che quel dolore sul suo volto era solo la frustrazione per la perdita di un vincolo che gli sembrava importante. Non per me, ma per il concetto stesso che aveva del nostro amore. Non lo so, Nikita. A questo non ho voluto credere fino in fondo. Una parte di me brucia ancora della piccola speranza che lui, segretamente, sia innamorato come lo sono io.”

“Ti ricordi quella sera all’Eterea?”

“Sì. È stato bellissimo. Guardando indietro a momenti come quello, mi chiedo cosa ci faccia qui.”

“Festeggi la tua laurea.”

“Sai, Nikita, io pensavo che sarebbe stato più facile da questo punto in poi. Da quando Hansi è rientrato nella mia vita con la sua meravigliosa follia, tutte le mie certezze sono crollate. Per mesi ho tenuto duro nello studio supportato soltanto dalla consapevolezza di dover portare a termine qualcosa che avevo iniziato. Per non buttare via quattro anni. Mi dicevo che dopo la laurea tutto sarebbe stato più facile, e da quell’istante sarei stato un ingegnere senza dubbi. Invece ora che sono qui con questo stupido attestato tra le mani mi accorgo che – che non mi interessa. Che non è il mio posto e che non voglio spendere tutta la mia vita in qualcosa che non amo, rimpiangendo l’immagine della persona che avrei potuto essere se solo avessi creduto un po’ di più nelle mie idee. È triste pensare che ormai non mi rimane altro. Ma è troppo tardi. È assurdo. Ho precluso l’altra via con le mie stesse mani, incatenandomi al presente. Mi sembra un incubo. Avrebbe dovuto migliorare tutto, e invece –“

Die venne interrotto da alcune persone che si avvicinarono a lui tendendogli la mano per le solite frasi di circostanza e brindando alla sua salute coi loro flutes pieni di vino dorato e spumeggiante.

 

II.

“Non sei felice. Cosa posso fare per renderti felice?”

Die lo adorava in quel momento. Se avesse potuto baciarlo, lo avrebbe fatto. Di certo, anche quando tutto gli andava storto, suo fratello, il suo vero fratello, sapeva stargli accanto con la solita delicatezza e con quella comprensione che nessuno aveva di lui. Era come un libro aperto tra le cui pagine Nikita sapeva leggere mille incisi più importanti che tutte le spiegazioni del mondo. Loro erano sempre stati perfetti ed in sintonia – non avevano mai sofferto di quella rivalità o di quell’odio sottile e competitivo che si instaura tra fratelli.

Die si lasciò andare contro il sedile dell’auto. “Non puoi fare nulla.”

- Com’è bello Nikita, coi suoi capelli blu - Pensò distrattamente guardandolo. - 

Per fortuna gli restava lui.

“Die, scommetti che invece so qualcosa di importante?”

 

III.

“Scendi.”

“Cosa?”

“Scendi.”

“No.”

“Scendi! Al massimo torno a prenderti. Non fare i capricci. Sono sicuro che stavi pensando a questo posto, e che il cartoncino che stai distruggendo tra le mani significa molto più che un augurio distante.”

Die aprì lo sportello della macchina, scese e rimase a guardare Nikita che faceva la sua inversione e ripartiva per essere inghiottito dal traffico delle dieci di sera.

Casa di Hansi era particolarmente incantevole, un piccolo gioiello del centro storico, ristrutturato all’esterno e completamente rimodernato negli interni. Le pareti che davano sul cortile e sui giardini pubblici si aprivano in gradi finestre e portefinestre mensolate o balconate, separate le une dalle altre da semicolonne in rilievo, i piani erano evidenziati da bordature in stucco ed il cornicione era estremamente lavorato, quasi barocco. L’effetto era suggestivo. Die si fermava sempre ad ammirare la bellezza estetica di quel palazzo antico, così diverso dagli appartamenti squadrati e razionali in cui era sempre stato abituato ad abitare. Era composta di tre piani più la soffitta. Hansi occupava la metà dell’ultimo piano e della mansarda. Nel cortile interno si apriva una scala che arrivava alle portefinestre dei balconi – forse era stata costruita come un antico sistema di sicurezza.

Die salì. Prese un respiro profondo. Bussò.

 

IV.

Fermo al semaforo rosso, Nikita inclinò la testa spingendosi sul volante e sospirò. Sperava vivamente di non dover tornare indietro a recuperare i frammenti spezzati di suo fratello. Ripensò a quella notte all’Eterea, quando gli era sembrato di scorgere così tanta luce per loro, e si disse che sì, in fondo aveva ragione lui. Era solo questione di convinzione.

 

V.

Hansi si avvicinò alla porta con un certo senso di ansia inspiegabile. Aveva appena mandato una cartolina a Die. In un certo senso aveva il vago presentimento che potesse essere lui, che fosse venuto per cercare di sistemare la situazione, magari chiedergli scusa. Quello che non sapeva era come avrebbe reagito. Gli ci erano voluti giorni solo per convincersi a mandare quel piccolo, banale augurio alla sua festa di laurea, di certo sarebbe impazzito a trovarselo davanti, avrebbe compiuto esattamente le cose che non si era riproposto di fare mentre, scrivendo il biglietto nella sua calligrafia più leggibile, si vergognava della sua stupida speranza di vederlo indietro. 

Socchiuse la porta.

Die indossava solo una leggera camicia nera di seta che risaltava particolarmente il suo incarnato diafano e i suoi occhi blu. Era tanto che non lo vedeva, e che non lo trovava così bello. Sospirando, chinò la testa in segno di sconfitta. La sua mano stringeva già la maniglia ma non si decideva ancora a lasciarla, preso nella sua mente tra le reti di una complessa battaglia interiore.

Die lo guardò attraverso quella sottile fessura. Pensò immediatamente al peggio – pensò, vedendo le sue attitudini e la lentezza stanca con cui compiva ogni singolo movimento, che fosse semplicemente esausto, e che l’ultima cosa che voleva fosse trovarselo di nuovo davanti, una sera tranquilla. In un istante fu riempito dei dubbi che aveva represso mentre saliva le scale – e se avesse trovato qualcun altro? E se si fosse innamorato? E se lo stesse odiando davvero? E se –

Hansi non apriva la porta perché sapeva che nel momento in cui avesse compiuto questa semplice, banale azione, avrebbe nuovamente deciso in un singolo istante di un nuovo capitolo della loro storia. Sapeva che allora Die non avrebbe nemmeno più avuto bisogno di parlare per rivolgergli le sue scuse, o per dire qualsiasi parola, qualsiasi frase. In quel momento la porta era diventata soltanto l’ingresso di una nuova, lunga serie di Possibilità. Scostandola, avrebbe lasciato penetrare nella stanza che era stata loro per tanto tempo una nuova ventata dal mondo, avrebbe ammesso che nessuno dei due aveva ragione, e che né la sua convinzione passionale, né l’orgoglio sfrenato di Die erano potuti sopravvivere da soli, su quel mare di speranza crudelmente infrante dai loro reciproci colpi di sfida.

In fin dei conti voleva stare di nuovo bene. Voleva ancora essere la sua Rosellina delicata, un po’ fiera e molto vanitosa, capricciosa, narcisista, sempre al centro dei suoi pensieri e protetta gentilmente dal suo paravento, perché le spine non erano artigli e non potevano preservarla dai Mali del mondo.

Dall’altra parte della soglia, Die aspettava tremando per il freddo e per l’eccitazione. Sarebbe potuto restare in quella posizione, immobile, immutabile, ieratico, per un milione di anni, per un’eternità.

- Aprimi, aprimi, aprimi, - Si diceva.

E Hansi chiuse gli occhi per un momento. Gli sorrise gentilmente. Con un movimento incredibilmente lento scostò l’uscio e gli fece cenno di entrare.

 

VI.

Era strano pensarsi di nuovo accanto a quel focolare così intimo, così conosciuto, eppure sempre un po’ distante. Ogni traccia di freddezza era scomparsa. Non sapeva nemmeno come fosse successo, ma si era ritrovato tra le sue braccia a frenarlo dall’impeto di chiedergli scusa troppe volte, giurandogli che non avrebbero litigato più, che aveva ragione, e che non voleva sprecare la sua vita in un ufficio, in un lavoro grigio, in un appartamento grigio, assieme a persone grigie ed uniformi, ma voleva restare con lui e con quella sua colorata pazzia molto artistica, molto bohémienne, molto piena di vita.

Era tutto piuttosto confuso nella sua testa. Un momento prima credeva che situazioni di questo genere non capitano nella vita reale, e che non si riaprono le porte già sbarrate due volte perché uno ti guarda con occhi pieni di disperazione attraverso un vetro sottilissimo eppure così spesso e pesante. Non lo faceva per Die. Lo faceva per se stesso. In un certo senso era egoista, ma capiva che da quel momento sarebbe stato tutto diverso e, magari, più semplice. Che quella volta erano finalmente cresciuti, che avevano imparato una regola fondamentale della convivenza, che ormai il loro male era stato sradicato alla radice dalla disperazione. 

Il Piccolo Principe doveva viaggiare per tutto l’Universo, incontrare ogni sorta di persone, stringere amicizia con pecore disegnate, piloti in panne, volpi, serpenti, ubriaconi e re, per poter finalmente tornare sulla sua stella, per apprezzare il valore della sua incantevole, fragile Rosa. E per compire questo salto era davvero necessario morire, una notte, nella quiete silenziosa del deserto.

Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite.

 

   
 
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