Ventuno aprile: voce ed incubi.
L’agitazione è tangibile:
non sono padrona dei miei pensieri,
delle mie emozioni; odo l’acqua infrangersi
prepotente, scorbutica, immensa,
contro le arrochite fragili imposte della mente:
fluttua, gorgoglia, rimbomba ed echeggia
in un loop infinito, in un eterno incedere martellante.
Quanto ancora continuerà il rumore?
Il silenzio lo bramo e lo ripudio da sempre
– è un controsenso, è pura assurdità:
fammi singhiozzare, fammi gridare, fammi disperare,
non lasciarmi scivolare in quest’oblio silente,
immoto e senza via d’uscita.
Non violarmi
nella mia melodica armonia:
non sopravvivrei;
ne sono certa.
(Esiste ancora qualcosa di certo?)
Ingoio boccate amare d’aria insalubre e rarefatta,
condensa violacea d’incubi solerti e indotti
da farmaci oppressivi e malsani;
i polpastrelli intaccati di veleno
e le labbra sporche d’inchiostro:
bacio le tue parole – una ad una –
senza pausa, senza fine, senza desiderio alcuno.
Sono qui, china su carte antiche ed obsolete –
ad ascoltare il battito pacato del tuo cuore;
Sono qui, a stringermi tra le scapole gelide -
a frenare i palpiti d’emozione sbagliata dei miei respiri;
e intanto canto per affrontare la paura del silenzio;
canto con voce strozzata: non è altro che un filo sottile.
Mi hai preso anche la voce?
*