Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: LilyLunaWhite    22/04/2014    2 recensioni
Due ragazzi apparentemente diversi, ma con un lato in comune: entrambi, indossano una maschera.
Due famiglie diverse.
L'odio di entrambi verso l'amore.
Però, cosa accadrebbe se i loro cuori cominciassero a battere?
Riusciranno, i due protagonisti, a imparare ad amare?
-Dalla storia.-
"Come ogni volta, quando incontravo il suo sguardo, notavo che erano privi di luce, spenti e questo mi metteva addosso un’inspiegabile tristezza.
Agii d’impulso, mi chinai e posai le mie labbra sulle sue. Constatai che erano fredde ma, allo stesso tempo, dolci.
Fu a quel contatto che riuscii a rispondere alla maggior parte delle mie domande.
"
Storia in fase di modifiche e sistemazioni.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Titolo storia: I'm in love now.
Titolo capitolo: 01Sequestro di persona.
Autrice: Lily Luna White
Sezione: Romantico.
Genere: Romantico, Sentimentale.
Tipo coppia: Het.
Rating: Arancione
Beta: Lucia. 
 


Capitolo uno: Sequestro di persona.

P.O.V. Jenny

Come ogni venerdì pomeriggio, dopo l’ora di pranzo e il mio breve riposo pomeridiano, mi recai nella biblioteca del mio paesino. Non era molto fornita, ma almeno trovavo quelle poche informazioni che cercavo. Preferivo scovarle tra i libri che leggerle sul computer. Forse sì, cercare al computer sarebbe stato più veloce, ma amavo l’odore dei libri, specie se vecchi, e amavo ancor di più sfogliarli e leggerli. Anche per questo motivo, ero considerata antica dai miei compagni di classe che sapevano delle mie continue escursioni alla biblioteca del paese.
«Buon pomeriggio Jenny. Anche oggi ti immergi tra i libri?», mi domandò con un sorriso la bibliotecaria. Era una donna sui cinquant'anni, capelli lunghi fino alle spalle di un rosso spento. Il suo corpo era minuto ed esile, ma aveva un carattere forte, contrariamente a quello che si potesse dire a prima vista. Portava un paio di occhiali da lettura e dietro le lenti si nascondevano due occhi castani colmi di sapere.
«Buongiorno a lei, Sofia. Si, anche oggi dovrà sopportarmi. Come le avevo promesso, non si libererà tanto facilmente di me».
«I libri te li ho già poggiati sul tavolo dove ti metti di solito», mi disse, dopo una piccola risata.
Sorrisi lievemente. La sua gentilezza mi aveva colta di sorpresa. Erano sei mesi che venivo con regolarità, ogni venerdì, in quella biblioteca e ormai Sofia aveva imparato a conoscermi.
«Grazie mille Sofia», dissi, varcando la porta che separava il piccolo ingresso alla biblioteca vera e propria.
Poi, mi ricordai di una cosa e mi affacciai alla porta, per guardare la bibliotecaria: «È già arrivato?», sussurrai a Sofia, con la faccia da cucciolo bastonato.
Sofia scoppiò a ridere in silenzio, per non disturbare la quiete della biblioteca, e scosse la testa.
Tirai un sospiro di sollievo, ma non cantai vittoria: Raffaele poteva essere semplicemente in ritardo, anche se non era nel suo stile. Quel ragazzo arrivava sempre cinque minuti prima di me, facendosi trovare seduto nel tavolo ove di solito leggevo e studiavo io.
Trovando tutto già pronto, presi dalla borsa il mio borsellino, il mio piccolo quaderno e il tablet e cominciai a studiare, immergendomi nella lettura di quei libri.
Era trascorsa più di un’ora e di Raffaele nessuna notizia. Sorrisi compiaciuta: finalmente si era arreso.
Lo avevo conosciuto due mesi fa, incontrandolo per caso in biblioteca. Di solito il venerdì trovavo sempre la biblioteca libera, tranne per qualche studente universitario che si stava preparando per qualche esame e cercava un posto tranquillo ove studiare e fu proprio in quel modo che incontrai quel ragazzo che, da allora, non mi aveva più lasciata in pace.

«Sofia, per caso è presente questo libro nella biblioteca?», sussurrai non appena la bibliotecaria si avvicinò a me per leggere il titolo di un libro che mi ero appuntata sul quadernetto.
«Si, nella solita sezione. Vuoi che te lo vada a prendere io, Jenny?»
«Non si preoccupi, lo prendo io. La ringrazio Sofia».
«Di nulla, mia cara».
Mi diressi nella sezione indicatami da Sofia e cominciai la mia ricerca. Trovai il libro nel ripiano più alto e cominciai a volgere lo sguardo a destra e sinistra, per poter trovare la scala. La trovai nella sezione di medicina.
«Scusi, le serve la scala?», domandai con distacco e in modo formale ad un ragazzo che era alla ricerca di qualche libro in quella sezione.
«No, se vuoi puoi prenderla. Ti serve una mano?», mi domandò, voltandosi verso di me e sorridendo leggermente.
Aveva gli occhi azzurri-grigi che esprimevano gentilezza e sincerità.
Non mi lasciai ingannare dal suo sguardo.
Non dovevo permettermi di fare altri errori.
Chiusi leggermente gli occhi e lo guardai con freddezza: «No, grazie. Faccio da sola», e, senza degnarlo di un altro sguardo, me ne andai portando con me la scala.


Da quel giorno, me lo ritrovo sempre in biblioteca, con una scusa o con un’altra, che cercava ogni volta di attirare la mia attenzione o che provava ad intraprendere un discorso con me. Dal canto mio, rispondevo sempre freddamente, comportamento che assumevo con tutti i ragazzi, soprattutto con quelli come Raffaele e non perché volevo fare la preziosa, semplicemente preferivo tenere alla larga i ragazzi dalla mia vita in quanto sono solo una distrazione.
«Come procede la stesura del libro?», sussurrò una voce al mio orecchio.
Senza voltarmi sapevo già a chi appartenesse quella voce e, nella mia mente, mi maledissi per aver cantato vittoria troppo presto.
«Bene, Raffaele. Con quale scusa ti sei presentato qui, oggi?», domandai con tono distaccato, alzando lo sguardo e puntando i miei occhi neri su di lui.
«Nessuna scusa. Volevo solo vederti e sono passato a salutarti».
Quella risposta mi aveva lasciata senza parole. Con le sue scuse aveva sempre fatto intuire che era lì per me, anche perché, appena poteva, cercava di aiutarmi nel libro che stavo provando a scrivere o nei compiti scolastici. Questa volta, invece, era stato sincero e diretto e mi aveva letteralmente lasciata senza parole.
Come mio solito, però, mascherai le mie emozioni e lo guardai con un sorriso beffardo: «Di certo non te l’ho chiesto io.», sussurrai, guardandolo dritto negli occhi.
«Sei la solita scontrosa», sussurrò anche lui, cominciando a prendere le mie cose e a metterle nella mia borsa.
«Ehi, mi spieghi che stai facendo?», sbottai arrabbiata, cercando di fermarlo.
Non mi ascoltò minimamente e, dopo aver messo i libri della biblioteca a posto, si caricò il mio piccolo zainetto in spalla e cominciò a dirigersi verso l’uscita dell'edificio, seguito dalla sottoscritta.
«Buona sera Sofia, mi spiace ma temo che rapirò una delle sue pupille», scherzò, salutando Sofia prima di uscire dalla biblioteca con noncuranza.
«Mi spieghi che intenzioni hai?», gli urlai contro, una volta uscita dalla biblioteca e aver rassicurato Sofia.
Raffaele non mi rispose e si fermò soltanto dopo aver raggiunto la sua moto, che avevo avuto modo di osservare le altre volte.
«Ho l’intenzione di rapirti, semplice», mi disse ridacchiando e porgendomi un casco.
«Io con te non vengo da nessuna parte. Sai che questo si chiama sequestro di persona?»
«Davvero, non lo sapevo», commentò sarcastico.
«Mi chiedo se tu abbia realmente ventidue anni, perché, credimi, ne dimostri cinque», allungai la mano cercando di afferrare la borsa, ignorando il casco che Raffaele mi stava porgendo.
«Si, forse sono un bambino, ma di una cosa sono sicuro: lo zainetto non lo hai se non vieni con me», questa volta fu lui a sorridermi beffardo.
Se non si era ancora capito, lo dico per iscritto: ho sempre odiato Raffaele e ora lo stavo odiando ancora di più.
Puntai i miei occhi sul ragazzo che tranquillamente continuava a sorridermi.
«Mi stai ricattando, Raffaele?»
«Credo proprio di sì, piccola Jenny».
Sbuffai arrabbiata e, per non dare ancora spettacolo ai passanti che si fermavano per osservarci, presi il casco e lo indossai.
«Ti sei decisa finalmente», mi guardò con un sorriso che esprimeva la felicità che provava in quel momento e mi aiutò a sistemare bene il casco.
«Ricordati che ti odio e ricordati che questa è la prima e l’ultima volta che te la do vinta».
«Vedremo», disse porgendomi il mio zainetto.
Mentre me lo mettevo in spalla, valutai l’idea di scappare, visto che ormai avevo quello che mi apparteneva, ma Raffaele parve comprendere i miei pensieri e, con un braccio, mi cinse le spalle da dietro e io dovetti reprimere un brivido di terrore: «Promettimi che non scapperai», sussurrò al mio orecchio.
«Promesso», dissi con un sospiro rassegnato. Quel maledetto era riuscito ad incastrarmi, ma non sapeva che ero molto vendicativa e giurai a me stessa che gliel’avrei fatta pagare.
Appena Raffaele accese la moto, mi fece segno di salire.
«Sei già stata in moto?», mi domandò appena salii in moto.
«Si, anche se non su una moto del genere. Mi sono limitata alle moto che usano gli studenti alle superiori».
«Allora ti consiglio di reggerti a me».
«Puoi scordartelo», dissi, reggendomi al maniglione posteriore e abbassando la visiera del casco.
«La solita scontrosa. Vedremo. Comunque, ovunque tu ti voglia reggere, reggiti forte».
Ascoltai il suo consiglio, reggendomi forte mentre Raffaele abbassò la visiera del suo casco e diede gas, per poi partire.
Andare su quella moto non era per niente simile all’andare su una Vespa. Ben presto cambiai idea e cinsi i fianchi di Raffaele, per paura di cadere all’indietro. Appena portai le braccia intorno ai suoi fianchi e poggiai la testa sulla sua schiena, Raffaele rallentò leggermente e capii che aveva intenzionalmente deciso di andare troppo veloce.
Due a zero per lui.
Sbuffai, me l’avrebbe pagata cara.
Eravamo in autostrada e mi chiesi dove, Raffaele, mi stesse portando. Mentalmente pensai che, forse, era meglio avvertire con un messaggio i miei genitori, non appena quel pazzo idiota si sarebbe fermato: non volevo farli preoccupare.
Quando sentii la moto rallentare, alzai con cautela la testa, restando poi stupita.
«Ti piace?», mi chiese Raffaele, alzando la visiera del casco e fermandosi sul ciglio della strada per farmi ammirare il panorama.
«Si», risposi senza guardarlo e tenendo lo sguardo fisso sul mare.
«Ci fermeremo più avanti, ma volevo farti ammirare subito il mio luogo preferito. Sai, il mare ha la capacità di rilassarmi. Quando sono nervoso o arrabbiato, prendo la moto e vengo qui».
Ascoltai le sue parole, senza però voltarmi. Stando alle sue parole avevamo una cosa in comune, ma non glielo dissi. Non amavo condividere i miei pensieri, almeno non quelli legati ai sentimenti. Sorrisi e per fortuna il casco mi aiutava a celare quel mio raro sorriso sincero. Lì, in quel posto, mi sentivo bene, rilassata e felice. Forse, alla fine, accettare di seguire Raffaele non era stata una cattiva idea, solo che dovevo stare attenta a non mostrare nulla, a restare impassibile a tutto ciò.
Quando ripartimmo, per trovare un parcheggio, ripensai a tutte le volte che mio padre mi aveva portata al mare per farmi rilassare e per farmi trovare nuovamente il sorriso. Mi mancavano le lunghe passeggiate sulla spiaggia in sua compagnia, eppure in quei ultimi tre anni avevo sempre rifiutato le sue proposte di andare a passeggiare in riva al mare. In quei ultimi anni, ero cambiata davvero tanto e avevo eretto dei muri attorno a me che impedivano a chiunque di avvicinarsi. La mia famiglia compresa.
Una volta trovato un parcheggio, scendemmo dalla moto e di sottecchi lo fissai. I suoi capelli castano chiaro, già di loro disordinati, lo erano ancor di più a causa del casco. Era alto e slanciato e, come mi disse lui una volta, la sua statura gli era stata molto utile quando, da adolescente, giocava a basket. Il suo abbigliamento era elegante e al contempo sportivo, ed era impeccabile. Da quello che avevo compreso di lui, ci teneva sempre a fare bella figura e, come ripeteva spesso, l’aspetto esteriore è la prima cosa che si nota e va curato. Quando me lo diceva, mi faceva innervosire, visto che io me ne fregavo altamente dell’aspetto esteriore e dell’abbigliamento. Quando gli porsi il casco, incrociai i suoi occhi del colore del cielo di quel giorno: grigio chiaro. Esprimevano la solita allegria che caratterizzava il carattere di Raffaele e ostentavano l’eccessiva sicurezza che lui aveva di se stesso. Ed era proprio quella sicurezza che mi dava fastidio.
«Grazie piccola scontrosa», ridacchiò, mettendo i caschi a posto e continuò anche quando lo guardai male.
Mandai un messaggio a mia madre, per poi incamminarmi verso il mare, venendo raggiunta subito dopo da lui. Guardando quell’immensa distesa d’acqua mi era venuta la voglia omicida di affogare Raffaele, ma tentai di domarla.
In fondo, volevo mandare in carcere lui, non me stessa.

~Angolo autrice.~
Salve ragazzi, la piccola me è tornata con questa storia e, questa volta, con una long. Non pubblicavo da un bel po' perché nel frattempo tramavo e scrivevo questa storia che spero vi possa piacere. Così, eccomi qui con il primo capitolo.
Volevo ringraziare, come sempre, la mia carissima Lucia che con pazienza legge e corregge tutte le mie storie e i miei orrori, chiedendomi in cambio di essere la prima a leggere le mie “opere”. ♥
Finiti i ringraziamenti, vi lascio una piccola comunicazione. Per pubblicare con regolarità, ho deciso di mettere un capitolo alla settimana e per l'esattezza ogni martedì. In questo modo, sono regolare con la pubblicazione dei capitoli e nel frattempo posso continuare a scrivere gli altri capitoli della storia senza trascurare la scuola e soprattutto senza sparire per lunghi periodi e lasciarvi senza il continuo della storia.
Detto questo, ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia e tutti coloro che gentilmente mi lasceranno un loro piccolo parere.
A presto.
Lily. ♥
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LilyLunaWhite