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Autore: controcorrente    23/04/2014    2 recensioni
Metà del 1800. Soledad Blanca Escobar ha solo 8 anni eppure sa già quanto sia veritiero il significato del proprio nome e, forte dell'esperienza della sua famiglia, arriva a pensare che amore e matrimonio non siano compatibili. Soledad rinnega l'amore ed ogni forma di sentimento, ritenendolo causa di ogni sua sciagura...eppure sarà proprio un matrimonio combinato a farle capire quanto sia importante...sia pure a caro prezzo.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Violenza
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Benvenuti a questa nuova avventura. Onestamente non so quanto possa essere piacevole questa storia ma spero che sia interessante. Non è adatta a persone dal cuore tenero. Qui ci saranno dei passaggi poco piacevoli...ma spero che piaccia.
 
 
IL SIGNIFICATO DEL MIO NOME
 
 
 
Cordoba, 18 anni prima.
 
 
Da quanto tempo, le mie gambe erano in quel modo?
Da quanto tempo, ero rimasta in quel letto?
Non lo sapevo.
Erano passati giorni, da quando me ne stavo lì, inchiodata nella camera eppure, malgrado l'isolamento, continuavo a sentire quelle grida. Mi misi allora le mani sulle orecchie. Non mi piaceva quel suono, così colmo di rabbia e cattiveria.
-VOI, PADRE, SAPEVATE BENISSIMO CHE SAREBBE ANDATA A FINIRE COSI'!- stava urlando zio Ignatio Rossignol- Dare il consenso a quell'unione...inammissibile, INAMMISSIBILE!-
-Adesso smettetela subito, fratello!-ribatté suo fratello Beltran- La questione è stata giustamente spiegata. Nostro cognato ha agito secondo coscienza...-
-NON FATEMI RIDERE!-ruggì Ignatio- Non crederete spero a tutta questa storia? E'tutto un imbroglio di quel maledetto arricchito...-
-ADESSO BASTA!- fece una voce femminile. La riconobbi subito. Era quella di nonna Pilar, densa e carica di dolore- Non è questo il momento di pensare ad una cosa del genere. Vostra sorella è morta e suo marito intende andare via dalla Spagna, lasciandosi tutto indietro.-
A quelle parole, calò il silenzio.
Nessuno parlò più eppure, malgrado ciò, quelle voci rimbombavano nella mia testa, simili ad una stanza vuota, soggetta all'eco.
Il dolore alla gamba si era leggermente attenuato, grazie alle tisane che il dottore mi aveva prescritto...ed ora la sonnolenza cominciava a farsi largo. Eppure il mio animo si rifiutava di cedere al sonno. Non volevo chiudere gli occhi. Sentivo che se avessi ceduto a quella stanchezza avrei finito con il rivedere quanto era accaduto il giorno prima...e rivivere l'episodio era l'ultimo dei miei desideri.
-Intendete davvero lasciare che le cose accadano? Intendete permettere che un simile oltraggio rimanga impunito?-domandò con veemenza mia nonna.
A quel punto, i miei zii cominciarono a urlarsi frasi di vario genere. Non ricordo le loro parole. Erano suoni aspri e duri, come dei colpi di grandine al suolo. Socchiusi gli occhi, chiedendomi come mai fossi lì.
Fu in quel preciso istante che le immagini si fecero largo.
La mia corsa disperata.
Il mio opporsi.
E, infine, quel volo nel vuoto. Basta! Non voglio più!cominciai a ripetermi, scuotendo il capo con veemenza.
-Adesso basta, moglie!-esclamò una voce. Quel suono mi distolse dal mio pericoloso scivolare nei ricordi. Era calmo e autorevole...la voce di mio nonno. Sentii il mio corpicino di bambina tremare a quel tono. Il padre di mia madre aveva lasciato che tutti parlassero, incombendo muto dall'alto, come un rapace. Non sapevo per quale ragione, ma avevo sempre avuto paura del padre di mia madre. Le rare volte che Honor andava a far loro visita, Justinià era solito rivolgere sguardi gelidi alla figlia e a me, che ero loro nipote. Tutte le volte che ciò accadeva, mi ritrovavo a fissare con vergogna il pavimento.
-Honor, il nostro angelo, era troppo puro per questo mondo difficile. Noi dobbiamo preservare nel ricordo la sua memoria...e, comunque, sapevamo bene che una conseguenza simile non poteva non avvenire. Un'unione frettolosa e frutto dei sentimenti, non può che portare a simili esiti.-sentenziò lapidario.
A quelle parole, pronunciate senza alcuna inclinazione, prive di tono, seguì il silenzio...un silenzio pregno di rumore.
Continuai a fissare laconica il soffitto a grottesche, i giochi di luce che si creavano con i bracci del lampadario e che sembravano creare esseri mostruosi e fantastici. Le mie gambe non si muovevano, malgrado il dolore stesse scemando lentamente, per merito delle medicine prese...e, con l'assenza di quel tormento, mille pensieri cominciarono a vorticarmi nella testa.
Perché non riuscivo a sentire le gambe?
Per quale ragione ero nella casa dei nonni?
Per quale motivo mia madre non era con me?
A quella domanda, un brivido gelido mi scese dentro.
Io sapevo.
Io sapevo perché la mamma non era lì, nella casa dei Rossignol.
Io sapevo che lei non era più in quel luogo, né altrove.
Honor Blanca Rossignol non era più...e questa era l'unica certezza che avevo e che mai avrei voluto avere.
-E per le vostre nipoti, marito?-domandò improvvisamente mia nonna.
-Don Escobar verrà a prenderla tra un paio di giorni.-rispose monocorde l'uomo-e dobbiamo assicurarci che sia in buone condizioni di salute.-
Nonna Pilar rise. -Mi sorprende che vi preoccupiate di vostra nipote. Intendete rimandarla nelle mani di...di quell'assassino?-disse, con voce intrisa d'odio. -Dopo che ci ha svergognato in tutte le maniere possibili, voi volete pure permettergli di andarsene così, impunemente?-
Ricordo bene quelle parole.
Furono solo il primo dei chiodi che si conficcarono nel mio piccolo corpo di bambina. Ormai era impossibile tentare di arginare quello che era accaduto...e nel buio della camera piansi lacrime amare. No, non voglio...basta così...Madre de Dios, basta cosìpensai, mentre l'anima si graffiava per quei suoni privi di misericordia e clemenza.
-E'suo padre-disse gelido mio nonno.
-Un padre che ha ammazzato sua madre di fronte ai suoi occhi...e magari ha pure picchiato quella bambina.-fece Pilar.
Nel silenzio della camera, sentii un suono strozzato.
Era il mio respiro che si faceva irregolare, come se volesse riprodurre i singhiozzi che non riuscivo a emettere a voce. Mia nonna parlava con il cuore di una madre che ha visto la propria figlia sposare un uomo indegno delle sue virtù e che aveva pagato con la vita per quella scelta, scriteriata agli occhi dei Rossignol.
Sentivo la voce furibonda di nonna Pilar fin dentro la camera in cui mi trovavo. Era il grido di una donna che aveva perso la sua unica figlia...ma tutto ciò sembrava non toccare il suo sposo. In quel momento, odiai mio nonno. Come poteva ragionare tanto freddamente, sapendo che mia madre era morta? E come potevano, tutti quanti, ignorare la mia presenza a quel modo?-Eppure dovreste saperlo-rispose Justinià- un figlio appartiene al padre...e, comunque vadano le cose, quella bambina è figlia di un uomo che non avrebbe mai dovuto mettersi in affari con noi. Quello che più mi preme è che Honor si è fatta disonorare da un uomo che era indegno del nostro lignaggio e che ha sposato, ignorando il nostro diniego. Honor ha disobbedito, rinnegando l'obbedienza che mi deve...ED ORA E'MORTA, PER QUELLE SCIOCCHE FANTASIE SENTIMENTALI CHE HANNO TRAVIATO LA SUA GIOVANE MENTE!-
A quelle parole, mi turai le orecchie. L'urlo di mio nonno era l'essenza stessa del dolore. -Avrei preferito uccidere quel cane già in passato, prima che mettesse gli occhi su mia figlia...ma quando ce ne siamo accorti, ella era già compromessa. Ormai era tardi...E TUTTI VOI SAPETE CHE HO RAGIONE!CHE MATRIMONIO POTEVO GARANTIRE A HONOR, QUANDO ORMAI LA SUA VIRTU' ERA STATA PORTATA VIA ED IL SUO VENTRE ERA ORMAI GONFIO PER MERITO DI QUEL CANE!-disse, con voce rotta- Potevo pure tentare di uccidere quell'uomo che aveva infangato il mio onore...ma era troppo tardi. Ho perso mia figlia allora...e questa è la verità.-
Sentivo i singhiozzi di nonna Pilar, in un sottofondo cupo e mesto.
-Quanto alle mie nipoti-continuò-la mia primogenita è ormai una monaca onorata e serena nella sua vocazione, mentre Maria si è recentemente sposata con l'uomo che è stato scelto per lei.-
-E Soledad?-chiese allora zio Beltran.
Un silenzio pesante scese nell'aria e, senza quasi rendermene conto, provai a muovere gli arti inferiori, come a voler allontanare da me la trepidazione per quell'attesa lunga e difficile. Le mie gambe però non si mossero. Da quando avevo ripreso i sensi, erano come dei tronchi inerti, lasciati lì per motivi oscuri e incomprensibili. Eppure, sentivo il bisogno di alzarmi, di andare via, di uscire da quella stanza da cui sentivo parole tristi e spiacevoli.
Uno sforzo inutile, come la flebile speranza che tutto fosse un incubo, frutto di una notte insonne. -Lei seguirà la decisione di mio cognato.-fu la sentenza di mio nonno- Una figlia deve andare con il padre. E'sotto la sua tutela.-
 
 
 
 
Avrei fatto ritorno presso mio padre? Avrei rimesso piede nella dimora di Don Escobar?Mio nonno era convinto della veridicità di quelle parole. Io non sapevo cosa pensare. In quel momento, non riuscivo a formulare alcun concetto.
Ero come incapace di capire cosa fosse successo, prima del mio risveglio in quel letto, nella dimora dei Rossignol.
Mia nonna aveva preso l'abitudine di venirmi a fare visita.
La vedevo spesso, malgrado il letto fosse spaventosamente grande, se confrontato con il mio corpo di bambina. Aveva un abito perennemente scuro, sul quale teneva appoggiato uno scialle d'uncinetto nero. -Piccola, come somigli a tua madre- era solita dire, con il viso scavato dalle lacrime.
Io non rispondevo mai.
Quegli occhi mi scrutavano mesta, senza guardarmi davvero...eppure, malgrado questo, non riuscivo a smettere di fissarla. Nonna Pilar aveva quasi cinquant'anni ma era ancora una donna piacevole a vedersi. La bellezza, in effetti, era stato ciò che aveva attirato mio padre verso Honor. In quel momento, tuttavia, non riuscivo a godere appieno di quei tratti regolari. Erano infatti distorti, come se il pensiero della perdita tracimasse fuori dai confini dell'animo che quel corpo imprigionava.
Mia nonna, mormorava sempre le stesse parole, la mia somiglianza con la mamma, con la figlia perduta, senza aggiungere altro. Non riuscivo a dire nulla, annichilita da quei discorsi.
Non volevo credere a quanto era successo...ma nemmeno le illusioni vennero in mio aiuto.
Le gambe, con cui pochi giorni prima correvo, erano morte.
 
 
 
 
 
Il giorno dell'arrivo di mio padre era ormai prossimo e, con l'andar del tempo, finii con l'attenderlo con impazienza e timore insieme. Le gambe continuavano a non accennare ad alcuna reazione ma, con l'aiuto di mia nonna e delle zie, riuscii almeno a mettermi a sedere. Non ero infatti capace di muovermi come volevo, paralizzata dalla vita in giu. Ugualmente, malgrado questi accorgimenti, le mie condizioni di salute non mutavano molto. Nessuno sapeva bene cosa fosse accaduto.
Io non avevo detto una sola parola.
Non riuscivo ad emettere un suono. Era come se non sentissi il desiderio di parlare, come se fosse qualcosa di inutile e dannoso. A otto anni, nella mia limitata capacità di conoscere, compresi che esistevano momenti in cui la parola era vana. Mia nonna, quando veniva a farmi visita, parlava della mamma, con quel tono dolce e carezzevole, proprio di chi aveva cullato una vita tra le mani.
Io mi limitavo ad osservare le foglie dell'albero di limone che si trovava nel cortile interno della casa dei Rossignol. Aveva un colore bellissimo, un verde brillante che sembrava splendere tra quelle mura color del tufo.
La mamma, quando faceva visita a mio nonno e ai suoi fratelli, mi lasciava sempre sotto quell'albero, per poter andare a conversare con la sua famiglia. Mi piaceva quel posto, forse per quel profumo che il limone mi lasciava dentro, un odore unico, dolce e acidulo insieme. Lì mi mettevo a fissare quelle fronde, tenendomi  le ginocchia strette al petto, come a volermi proteggere da qualcosa.
Anche allora, mentre la nonna parlava, senza che io le prestassi il minimo ascolto, avrei voluto raggruppare il corpo, in modo da creare un guscio protettivo.
Le gambe però non collaboravano. Era sorde e cieche ai miei bisogni, come gli occhi e le orecchie dei Rossignol, troppo presi dal piangere la morte di Honor per curarsi della loro nipote più piccola.
Non ho mai saputo la ragione della mia presenza in quel luogo.
In tutti quei giorni, infatti, non ricevetti visita di nessuno dei parenti di mia madre, se non per lo stretto necessario.
Era più che evidente che la colpa di Honor ricadeva sulla mia persona.
Io non ero una Rossignol, come mia madre.
Ero un'Escobar, del tutto indegna di attenzioni particolari.
Per la prima volta, compresi il profondo significato del mio nome.
 
Non so quanto questa storia possa essere piacevole. Ho reso questo prequel nella sezione ROMANTICO ma non posso fare diversamente. Qui si parlerà di amore, malgrado la storia sia venata da un dramma non di poco conto.
Soledad Blanca Escobar ha una vita molto dura e difficile ed è uno dei personaggi principali della storia di LEGAMI. Confesso che l'ambientazione storica mi piace non poco e non sono solita usare spesso la prima persona. Sarò franca. La storia è drammatica, per cui se non riuscite a digerire il genere, scegliete altre storie che vi si addicono maggiormente. Soledad vuol dire "desolata", per chi volesse saperlo.
 
 
   
 
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