IX.
Caos
La Giustizia condanna i reati in base alla sequenza delle azioni.
Parte dagli effetti, ne valuta poi le conseguenze ed infine tenta di risalire alle cause.
Ma se non ci fosse alcuna causa, alcun ordine di successioni?
Se avvenisse tutto casualmente?
Se a governare il cosmo fosse il Caos?
Allora, chi incolpare delle catastrofi?
Chi giudicare? Chi condannare?
Chi odiare?
In ogni caos c'è un cosmo,
in ogni disordine un ordine segreto.
Carl Gustav Jung.
§§§
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts - I Settembre, 1970
«Regulus Arcturus Black.»
La voce di Minerva McGranitt gli giunse lontana, soffocata da qualche risata distratta in fondo alla Sala Grande, da commenti indiscreti e bisbigli poco più prudenti che il suo cognome aveva suscitato sugli studenti. Riuscì a ridestarsi in tempo solo perché il tono arcigno della vicepreside stonò con l'ordine dei suoni che gli rimbombavano contro.
Si mosse più velocemente di quanto aveva creduto che sarebbe riuscito a fare, ma esattamente come aveva deciso: passi lunghi, ritmo costante, andatura leggera. Quando si voltò, sedendosi sullo sgabello, tenne il mento alto e gli occhi fissi davanti a sé senza concentrare lo sguardo su nulla, imitando l'espressione fiera che aveva visto spesso il padre assumere.
«Mmm... un altro Black?»
La vocina bassa del Cappello Parlante con il suo timbro teatrale gli giunse, invece, immediata.
«Vediamo... Dove ti metto, eh? No, nemmeno tu sei Serpeverde... Per niente. Eppure nemmeno Grifondoro. Non vedo né orgoglio né egoismo, né coraggio né viltà. Dove ti metto?»
«No, aspetta!» Bisbigliò Regulus al Cappello, agitandosi sullo sgabello. «Voglio essere assegnato alla Casa Serpverde!»
Il Cappello tacque un istante, prima di rispondergli con voce ferma. «Tu non ne sei all'altezza, Regulus.»
«Devo essere un Serpeverde.» Insistette l'undicenne.
«Sei riflessivo, paziente, diplomatico e passivo. Tu sei buono: un Tassorosso in tutto e per tutto!»
Regulus scosse il capo, con convinzione. «No, devo essere un Serpeverde. Io sarò un Serpeverde.»
«Non ne sei in grado, Regulus. Non reggerai. Te ne pentirai.»
L'avvertimento del Cappello Parlante suonava come una promessa.
Eppure Regulus se n'era fatto una ragione, molto tempo prima: certo che se ne sarebbe pentito. Avrebbe singhiozzato per il rimpianto e urlato per la frustrazione; avrebbe sudato d'ansia, mentre lo stomaco gli si strozzava per l'angoscia; si sarebbe nascosto sotto il letto, dentro l'armadio, dietro le armature e nei ripostigli pur di stare un po' con se stesso e permettersi di essere finalmente "Riflessivo, paziente, diplomatico, passivo" e la bontà l'avrebbe sepolta, tra astuzia ed egoismo storpiati dalla sua incontrovertibile debolezza.
La sua bontà era la sua debolezza.
Quando il Cappello Parlante annunciò a gran voce il risultato del suo smistamento, il tavolo Serpeverde lo acclamò con lo stesso orgoglio che Regulus mostrò sul viso, dietro pieghe più profonde e ben camuffate che celavano la sua condanna.
Sirius, dall'altra parte della Sala Grande, gli dava le spalle - deluso e amareggiato - mentre le budella di Regulus si annodavano ed incespicavano nella sua bontà infossata.
Se n'era già pentito.
§
«Stai bene, Louis?»
La Tana profuma di pane.
Lo zio George è seduto sulla sedia di legno scuro, quella che a tavola - da quel che Louis riesce a ricordare - rimane sempre vuota, e lo guarda con un sorrisetto sbarazzino, fanciullesco e forse anche un po' saccente. Indossa il maglione rosso che la nonna gli ha cucito e regalato per Natale, sul quale è stampata una 'G' dorata.
Louis sospira. «Sto sognando, vero?»
«Un sogno?» Valuta suo zio. «Beh, tecnicamente sì. Però, io penso sia qualcosa di più.»
«Se sono qui è perché c'è qualcosa che non va, no?» Chiede.
«Non lo so, Louis.» Gli sorride lo zio. «Dimmelo tu.»
Il ragazzo prende a guardarsi intorno, rassegnato.
La sala da pranzo della Tana è pulita ed ordinata, come Louis non l'ha mai vista; ma profuma di pane, come sempre.
«Non siamo nel futuro.» Nota. «Nemmeno nel passato.»
«No, non si tratta di quel tipo di tempo.» Annuisce lo zio, affiancandolo.
Si avvicina alla finestra. In giardino ci sono Lily, Hugo, Amelia Nott e Joshua Thomas.
«Zio George, perché il cielo è nero?»
«Perché sta arrivando una tempesta, Louis.»
Louis si concentra e guarda meglio. «Lily, Amelia e Hugo piangono. Perché piangono? Dov'è finito Joshua? Che sta succedendo?»
Cerca di aprire la porta che dà sul cortile, ma la maniglia non si muove, così tenta di forzarla.
«Non si apre! Zio, aiutami!»
Guarda oltre la finestra. Ha iniziato a piovere.
«Sangue? Sta piovendo sangue...»
Lo zio sospira. «Io accendo il camino. Tu vai a dire a Lily, Amelia e Hugo di rientrare: fa troppo freddo fuori.»
La porta si apre. E Louis cade.
La sveglia non era suonata.
Si guardò intorno: era tardi, in dormitorio era rimasto solo lui.
Non aspettò di calmarsi, di pensare a come agire o dove andare. Louis scostò le coperte con impazienza ed occhi chiusi, mentre gocce rosse continuavano a pizzicargli lo sfondo scuro delle palpebre. Scattò in piedi ancora fisicamente debole per il sonno pesante e psicologicamente sconvolto per il sogno; raccolse i primi indumenti che trovò: una maglione di Fred, i pantaloni del pigiama di Liam, una scarpa di James e una di Frank e stava proprio per mettere il primo giubbotto che gli capitò davanti, che qualcuno bussò alla porta.
Sobbalzò, inciampando sui lacci della scarpa sinistra di Frank. Corse in bagno per sciacquarsi il viso, ma finì col bagnarsi le maniche, troppo lunghe per lui, e con lo spruzzarsi acqua addosso.
Si sarebbe preso un malanno col tempo che c'era fuori, ne era certo.
Bussarono ancora alla porta e Louis scivolo un paio di volte nell'acqua schizzata per terra prima d'inciampare sulle pantofole a forma di cervo di James e sul baule al centro del dormitorio di Fred.
Prese la sua bacchetta dal comodino, rotolò sul letto di Liam e raggiunse la soglia saltellando su un piede.
Quando la porta del dormitorio maschile del settimo anno Grifondoro si aprì, Adam Zabini si ritrovò davanti un Louis Weasley confinato in un maglione verde grande il doppio di lui, pantaloni grigi e le scarpe spaiate, con tanto di cufietta rossa sui capelli biondi bagnati.
«Ehm... Tutto bene?»
Louis arrossì e sbiancò con una frequenza decisamente preoccupante. Tossì cercando di nascondere lo stupore, nel ritrovarsi Adam davanti, e il disagio per la situazione in cui si trovava.
«Ciao, mi chiamo Adam Zabini, non so se...»
Louis annuì, abbassando lo sguardo: sapeva benissimo chi era.
«Non è un buon momento?» Si preoccupò l'altro.
«No.» Si lasciò sfuggire Louis. «Cioè sì.» Arrossì, chiudendo dietro la porta il disordine del dormitorio. «Chi cercavi?»
Adam scosse il capo. «Volevo solo chiederti come... stai. Sai...» Agitò le mani, con fare esplicativo. «Dopo quella cosa... Non sono più passato in infermeria e...»
«Oh.» Deglutì. «Bene. Sto bene, nulla di che.»
Non riuscì a non sentirsi ulteriormente imbarazzato: persino un Serpeverde - e per di più del sesto anno - era più coraggioso di lui; se poi il ragazzo in questione era Adam Zabini, la faccenda si complicava non poco.
«Sei riuscito a ricordarti chi è stato? A farti... Insomma, ad attaccarti.»
«No!» Mentì con fare sbrigativo Louis. «Non ne ho idea.»
Aveva passato sette anni della sua vita a sperare che Adam Zabini gli rivolgesse la parola, anche solo per sbaglio. E per la precisione era successo una volta, quando Louis era al quinto anno ed Adam al quarto: gli aveva chiesto la tabella di prenotazione del campo di Quidditch e lui aveva boccheggiato ed era corso via.
Adam Zabini aveva accuratamente scelto il giorno in cui Louis aveva previsto una catastrofe per rendersi conto della sua effettiva esistenza.
Il Serpeverde spostò qualche ciocca nera dalla fronte. «Se ti dovesse tornare in mente, ecco, fatti vivo. Io non credo che riuscirò a tornare, sai, non ci permettono mai di avvicinarci alla Torre Grifondoro. Oggi sono stato fortunato perché sono tutti ad Hogsmeade...»
«Oggi... È sabato!» Louis si schiaffeggiò la fronte, ricordando.
«Sì, stavo proprio per andare... »
«No!» Scattò Louis, allarmato.
«Cosa?» Sgranò gli occhi scuri, Adam.
«Non uscire dal Castello! Non farlo assolutamente, per nessuna ragione!» Si agitò sul posto, guardandolo con gli occhi fuori dalle orbite.
«Perché? C-che succede?»
«Non c'è tempo, mi dispiace.»
Lo superò e prese a scendere le scale, mentre l'altro lo inseguiva di corsa.
«Mi spieghi che diavolo ti prende? Voi Weasley siete affetti da disturbi di bipolarità a livello magi-psichiatrico o siete semplicemente posseduti?» Si lamentò il Serpeverde alle sue spalle.
Louis superò il ritratto della Signora Grassa, uscendo dalla Sala Comune, ma Adam gli si parò davanti.
«Allora?» Lo incitò.
Sospirò. «Senti, sta per succedere qualcosa di grave e se non ti sposti, sarò costretto a schiantarti.»
Non l'avrebbe fatto, ma Adam lo affiancò riprendendo a scendere le scale assieme a lui.
«E cos'è che sta per succedere?»
«Non lo so.»
«Dov'è che succederà?»
«Non ne ho la minima idea.»
«Allora, dove diamine stai andando? Vengo anche io!»
Louis si fermò davanti al portone, col respiro ancora affannato. «Tu non ti muovi da Hogwarts. Non superare l'atrio.»
Adam provò a ribattere, ma il Grifondoro lo precedette.
«Vuoi aiutare? Impedisci ad altri di uscire dall'edificio, usa la forza se è necessario. Cerca la preside o qualunque professore e digli di contattare gli Auror e di mandarli ad Hogsmeade il prima possibile. Vai da Madama Chips e dille di preparare l'infermeria. Raggruppa tutti in Sala Grande e metti qualcuno a guardia dei cancelli. E con qualcuno intendo professori o studenti del settimo anno. Resta in Sala Grande assieme agli altri.» Gli puntò l'indice contro, nonostante la sua mano tremasse. «È un ordine.»
«Stai scherzando? Non posso... Mi prenderanno per pazzo!»
«Benvenuto nel mondo dei disadattati.»
Adam lo fisso con occhi sgranati e labbra asciutte. «E tu che fai, invece?»
Louis sospirò e gettò un'occhiata al cielo carico di nubi, oltre il grande portone.
«Sta arrivando una tempesta.» Ricordò le parole dello zio George nel sogno.
Stava succedendo. Era tutto collegato.
«Allora prendi il mio giubbotto.» Adam si sfilò l'indumento e glielo porse. «Con un diluvio simile, senza giubbotto, sarò meno tentato di uscire.»
Louis lo accettò e, se non fosse stato tanto agitato, si sarebbe vergognato di portare le stesse misure di un ragazzo più piccolo di lui.
«Vedi di riportarmelo indietro così come te l'ho dato.»
Sarebbe arrossito e avrebbe cercato di reprimere un sorriso imbarazzato, se un tuono non avesse mozzato il fiato all'aria, facendoli sussultare entrambi.
La catastrofe era iniziata.
*
L'acqua le entrava nelle scarpe.
E pioveva.
Aveva i calzini bucati.
Ma pioveva.
La cerniera della giacca si era rotta. L'anno prima.
Pioveva.
La gente correva da tutte le parti, verso un riparo.
E pioveva.
Lei era ferma, al centro della strada.
Ma pioveva.
E non c'era riparo.
C'erano solo la pioggia, il freddo, la gente che correva e quell'abito rosso esposto nella vetrina che aveva davanti. E da qualche parte c'era anche lei.
È solo che pioveva. E la pioggia non faceva distinzioni; non la pioggia, almeno.
Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo quando entrò nel negozio di abbigliamento e chiese se poteva provare l'abito, ben sapendo che mai avrebbe potuto acquistarlo.
Quando si chiuse la tenda del camerino alle spalle, si sentì terribilmente stupida.
Aveva in mano velluto rosso; indossava scarpe bagnate, calzini bucati e la cerniera della giacca continuava ad essere rotta.
Vedeva qualcosa di grottesco riflesso nello specchio: l'abito rosso sotto braccio la rendeva ridicola, lei lo derideva. Lei e il velluto erano metaforicamente due prezzi di puzzle omogenei che mai avrebbero potuto incastrarsi, ma solo perché uno dei due era storto e difettoso.
Perché c'erano quelli che indossavano il velluto e quelli che lo lavoravano; quelli per cui il velluto era solo un decoro del loro valore e quelli che sospiravano davanti al suo valore; quelli a cui il velluto donava sotto la meraviglia di coloro che potevano solo guardare.
Ogni persona nasce, vive e rimane in un preciso e deciso posto al mondo. Deciso da chi? Caos o Ordine? Colpa di tutti o nessuno? Colpa di qualcuno?
«E questo? Questo com'è? Damon? Mi stai ascoltando?»
«Mmh? Ma non è lo stesso di prima?»
«No, tesoro, quello di prima era lilla sbiadito.»
«E questo com'è, scusa?»
«È rosa pallido!»
Roxanne si aprì una prudente fessura tra le tende del camerino e spiò nell'atrio. Dalla sua prospettiva s'intravvedeva un divanetto nel quale era malamente stravaccato qualcuno, di cui però riusciva a vedere solo le scarpe di pelle di drago - e non aveva dubbi su a chi potessero appartenere; la seconda figura era in piedi e di spalle, ed il primo elemento che attirò l'attenzione di Roxanne per l'appunto furono i capelli, capelli biondi, molto biondi.
«Allora? Meglio questo o l'altro?»
La bionda fece un piroetta sul posto con garbo e raffinatezza, e si portò le mani sui fianchi.
Roxanne la riconobbe a fatica, doveva chiamarsi Qualcosa Stevenson - non aveva la minima idea di quale fosse il nome - e se non ricordava male doveva essere una Corvonero, oltretutto del suo stesso anno, ma non riusciva a venirle in mente nient'altro.
«Ehm... Perché non li prendiamo entrambi?» Propose risolutivo il ragazzo, accennando un sorriso.
La bionda si lisciò la gonna, guardandosi allo specchio. «Sì, forse hai ragione. Dove è finita la commessa di prima?» Prese sotto braccio un'altra decina di abiti scelti ed uscì dall'atrio dei camerini, commentando l'efficenza del servizio del negozio.
Roxanne aspettò qualche secondo, almeno che Harper concludesse il suo sbadiglio, prima di scostare malamente la tenda ed uscire allo scoperto.
«Hey, ciao!» La salutò lui, quasi cordiale.
Roxanne Weasley corrugò gli occhi minacciosa e gli puntò il dito contro.
«Damon Stephen Harper, tu hai la ragazza?»
Lui sbatté le palpebre, pensieroso. «Sai qual è il mio secondo nome?»
La Grifondoro non poté trattenersi dal tirargli un calcio, anche se era a piedi nudi.
«Diamine, sta' ferma!» Si lamentò lui.
Roxanne si guardò attentamente attorno, poi gli arpionò un braccio e se lo trascinò dentro il camerino - senza trattenersi dal tirargli un paio di pizzicotti nel frattempo; una volta dentro, dopo essersi assicurata che nessuno si fosse che aveva trascinato di peso (giuridicamente: rapito) una persona, chiuse attentamente le tende e lo spinse contro lo specchio.
«Dimmi che quella è tua sorella, ti prego.» soffiò la Weasley, tra l'esasperato e il minaccioso.
L'altro inarcò le sopracciglia. «Tra le mie perversioni non è contemplato l'incesto.»
S'impedì di trattenere il respiro e mostrare quanto era allarmata. «Tu hai davvero la ragazza?»
Damon si grattò i capelli. «Forse dovresti fartela pure tu, una ragazza...» Suggerì, incrociando le braccia e appoggiandosi comodamente alla parete-specchio. «E poi... Che ci fai tu qui?»
Roxanne digrignò i denti, indecisa su come rispondergli: verbalmente o fisicamente, ossia urlargli contro fino a quando l'avrebbero buttata fuori dal negozio o prenderlo a pugni fino a quando non avrebbero sbattuto lei ad Azkaban e lui al S. Mungo.
«Harper, ti do la possibilità di ritirare quello che hai detto.»
Lui sorrise, quasi. «Perché? Avrebbe cambiato qualcosa?» La fronteggiò.
La ragazza gonfiò il petto, inspirando forte. «Certo! Avrei... Non mi sarei azzardata a... Io non sapevo che... Avresti dovuto...»
Il Serpeverde scosse il capo, astenendosi da una presa di posizione sul discorso. Piuttosto soffermò lo sguardo sui suoi capelli ancora bagnati dalla pioggia, sulla pelle d'oca, sull'abito di velluto rosso, sui suoi piedi nudi ed ancora sull'abito.
«È a questo che servivano i cinquanta galeoni?»
Allungò la mano fino a toccare una parte della stoffa di velluto, sul fianco di lei.
«Carino.» Commentò sarcastico, ghignando.
Roxanne gli tolse la mano dal suo fianco con poco garbo, senza dargli alcuna spiegazione o giustificazione - senza nemmeno dirgli che in realtà l'abito costava più di centocinquanta Galeoni. La spiegazione c'era in realtà ed era più che valida, ma ciò che spiega non giustifica.
«Damon? Damon, dove sei?»
Roxanne ebbe la quasi certa impressione che prima di scostare la tenda ed uscire dal camerino, senza nemmeno salutarla, lui avesse aspettato; era stato un istante - di sguardi pesanti e respiri densi - in cui lui aveva esitato. Roxanne non disse nulla però: non smentì e non confermò, si astenne; ignava, si astenne dal dare una motivazione - non per forza a lui, semplicemente di pronunciarla ad alta voce. Perché? Perché dire la verità - non importa a chi - è come offrire un pugnale impregnato di veleno alle persone, dopo aver mostrato loro il tuo punto più vulnerabile. Perché la verità è un segreto e non appena la si confida a qualcuno, quel qualcuno diventa inevitabilmente un nemico. Perché certe verità sono mostri, pronti a sbranare entrambi i suoi custodi.
Nessuno dice mai la verità, la completa verità, sincera e pura, spoglia di illusioni; perché? Perché nessuno è capace di esprimerla e nemmeno di comprenderla.
Pioveva.
L'acqua le entrava nelle scarpe. Non le dava poi così tanto fastidio.
E pioveva.
Aveva i calzini bucati. Non importava, dopotutto.
Ma pioveva.
La cerniera della giacca si era rotta. L'anno prima. E andava bene così.
Perché in realtà quei calzini bucati, così come le scarpe sfasciate e la cerniera rotta erano lei e l'aveva capito nell'esatto momento in cui aveva indossato il vestito, aveva compreso che nonostante le donasse, non era lei.
Roxanne era calzini bucati, scarpe sfasciate e giacche rotte.
«Dannazione, dov'eri finita?» Non appena varcò la soglia dei Tiri Vispi Weasley, Fred le venne incontro con tre scatoloni in mano che gli coprivano il viso. «Papà ti sta cercando.»
Lei non rispose, piuttosto lo aiutò a disporre i prodotti di ogni scatola nell'apposito scaffale.
«La mamma?» Chiese mentre ordinava delle maschere Mutaforma in base all'animale in cui trasfiguravano.
Fred si fece largo tra un paio di studenti curiosi di provare le Scarpe Alate e le si avvicinò. «La mamma, cosa?»
Roxanne lo guardò con disprezzo. «Come sta?» Precisò poi, calcando sulle consonati.
«Sta bene, è di sopra.» Rispose lui in tono basso, facendo finta di nulla.
La ragazza finì di sistemare il terzo scatolone e, cercando di superare una massa di studenti urlanti e sovreccitati per gli ultimi prodotti, raggiunse il padre alla cassa; e Fred la seguì in silenzio.
Cercò di non lasciare trasparire nulla davanti al padre: lo abbracciò, gli sorrise chiedendogli come stava, gli diede una mano alla cassa - il tutto sotto gli occhi del fratello; ma quando tirò fuori il denaro e gli porse i cento Galeoni, capì. Non era il solo disagio di chi tendeva la mano, ma anche chi la porgeva ne era infastidito. E allora non si trattava più di agire a causa delle proprie pene o per pietà, forse non bisognava stare necessariamente da una parte o dall'altra del denaro per sentirsi più o meno a disagio, quando in realtà era il denaro stesso ad essere disagio.
«Ah, ma allora ce l'avete fatta!» George Weasley ignorò i clienti alla cassa che aspettavano di pagare. «Vostra madre sarà contentissima, non vede l'ora di tornare a muoversi.» Esclamò decisamente entusiasta.
Roxanne annuì, lasciandosi scappare un sorrisetto quando vide la fila di studenti alla cassa che guardavano male il padre.
«Quanti sono?»
«Cento Galeoni, papà, come avevamo concordato.»
Percepì gli occhi di Fred farle pressione, alle sue spalle.
«Io sono riuscito a raccogliere i duecento Galeoni, che insieme ai vostri cento... Diciamo, che faremo una bella sorpresa alla mamma!»
Abbracciò il padre, sorridendogli sul collo. «Vado su da lei.» Gli sussurrò all'orecchio, riferendosi all'appartamento sopra il negozio.
Mentre il padre tornava alla cassa, Roxanne si diresse alle scale ben consapevole di essere seguita.
«Dove li hai presi?»
«Vattene.» Sospirò stanca, ma egualmente rancorosa.
«Cinquanta Galeoni in un giorno, Roxanne! Dove li hai presi?» Insistette lui, fermandola sulla rampa di scale. «Non li avrai... Rubati?»
Lei si fermò e lo fronteggiò. «E se anche li avessi rubati? E se lo avessi veramente fatto?» Lo provocò, guardandolo dritto negli occhi. «Tu per la mamma non l'avresti fatto?»
«Non così!» Fece lui, sdegnato. « È sbagliato! Ed ingiusto!»
«Dannazione Fred, guardati intorno! È tutto ingiusto! Noi viviamo nell'ingiustizia!» Gli urlò in faccia. «Leva quei cazzo di paraocchi, esci dal tuo mondo di fatine e guardati attorno!»
«Non mi parlare così...»
«La vita è ingiusta con me - con te, con mamma, con papà - perché io dovrei essere giusta?»
«La vita non è ingiusta, Roxanne. È la gente ad esserlo.» Sospirò Fred. «E facendo così, ti comporti esattamente come loro.»
«Non m'importa. Io sono disposta ad esserlo per mamma e papà.» Deglutì lei. «E anche per te.» Gli diede le spalle.
«Stai sbagliando. Stai sbagliando tutto.»
«Tu non hai il coraggio di farlo.»
Fred non rispose e lei se ne andò.
La sua mamma dormiva sul divano.
Sopra il tavolo c'erano ancora i resti della colazione; vicino al divano, la sedia a rotelle.
A volte, Roxanne scivolava - probabilmente cadeva proprio, perché faceva male - nella speranza. Immaginava come sarebbe stata la loro vita se sua madre avesse smesso di giocare nelle Holyhead Harpies, se non fosse mai caduta dalla quella dannata scopa e non si fosse mai rotta la spina dorsale; nessun incidente, nessuna Pozione Mobilitante, niente trecento Galeoni per la cura; i suoi genitori avrebbero gestito il negozio assieme, non avrebbero dovuto scalare grandi quantità di denaro dai guadagni perché non ci sarebbero state alcune cure da pagare. Sua madre sarebbe stata felice. Avrebbero potuto esserlo tutti.
E così come cadeva, era costretta a strisciare, aggrapparsi alla prima delusione e rialzarsi dall'illusione. Sua madre stava male, aveva bisogno di una pozione per muoversi e loro dovevano sborsare più della metà dei guadagni per la cura. Sua madre stava ugualmente male. Nessuno era davvero felice.
Ed era ingiusto.
Andò in cucina e iniziò a lavare i piatti, senza magia.
Anche in quel momento, all'asciutto, pioveva lo stesso. Le scarpe erano ancora bagnate, i calzini ancora bucati, la cerniera della giacca ancora rotta. E non c'era riparo.
-E. Vittorini, Conversazione in Sicilia
*
Era un mago sulla cinquantina, con la pelle scura e i denti bianchissimi che facevano contrasto, emigrato in Inghilterra qualche anno prima e siccome non aveva trovato lavoro in un'orchestra, si sedeva ad Hogsmeade e suonava il violino su una panchina. Per alcuni era un barbone, per altri un musicista.
Nessuno aveva idea di quale fosse il suo vero nome - nemmeno la ragazza, in realtà - poiché l'uomo non solo non parlava la lingua inglese, ma non l'aveva mai specificato e non era stato in grado di farlo; tuttavia, Rose aveva dovuto improvvisare, prendere l'iniziativa ed aveva così deciso di chiamarlo King, e pareva anche che lui avesse compreso la sua scelta perché rispondeva all'appellativo.
Si conobbero quando lei era al terzo anno: King occupava la sua panchina e suonava "Il Notturno" di Chopin, Rose si era seduta a gambe incrociate vicino a lui ad ascoltare; poi aveva comprato un panino e lo avevano diviso, mentre cercava di insegnargli i nomi in inglese delle verdure nel panino.
Erano ormai più di tre anni che ad ogni uscita ad Hogsmeade, Rose comprava un panino ed un succo di frutta ed andava da King. Lui suonava e lei ballava o ascoltava a seconda del ritmo della musica, poi dividevano il panino ed il succo, mentre lei gli dava qualche lezione di vocaboli.
In poche parole, Scorpius Malfoy si era rassegnato al fatto che avrebbe dovuto trascorrere almeno metà giornata seduto su una panchina arrugginita, a guardare la sua ragazza chiacchierare con un cinquantenne assolutamente sconosciuto. E in tutta sincerità ciò che lo infastidiva di più era che Rose lo trascinava con lei e poi lo ignorava, ed infine lui era costretto a guardare un barbone suonare, la sua ragazza ballare, guardarli dividere da mangiare e da bere, chiacchierare chissà come, visto che l'uomo non sapeva un accidenti d'inglese, mentre lui se ne stava all'angolo della panchina in assoluto silenzio. Oltretutto la Weasley pretendeva che dividesse anche lui del cibo con King e - in nome di Salazar - che ballasse anche lui con lei.
Col senno di poi, Scorpius capì che in realtà King e la sua musica tribale africana erano la parte più divertente della giornata perché a quanto pareva la sua ragazza passava le sue uscite ad Hogsmeade a chiacchierare, non solo con barboni, ma anche con vecchiette mezze sorde.
Mrs Honey era una signora anziana sull'ottantina, con denti e capelli cadenti, che frequentava Testa di Porco. Sedeva sempre sola e, per un motivo a Scorpius totalmente e interamente estraneo in tutte le sue possibili esplicazioni, Rose si sentiva in dovere di sedersi con lei a bere il thè e spettegolare con la vecchietta di alcune sue amiche che nemmeno conosceva.
Ora, un conto era ascoltare musica e dividere un panino con il barbone - che dopotutto, doveva ammetterlo, era anche piuttosto amichevole -, un altro era stare seduto alla Testa di Porco, a bere il thè più disgustoso che avesse mai provato - ammesso che fosse veramente thè - ed ascoltare una vecchietta mezza sorda e mezza ammattita che urlava quanto fosse invidiosa una certa Mrs Geesy dei suoi denti canini non ancora caduti. Quando poi Rose annuiva ed affermava con tono partecipe che Mrs Geesy era davvero "Una sguattera!", non sapeva se ridere fino all'asfissia o piangere fino alla disidratazione. Naturalmente, non solo doveva sorbirsi i pettegolezzi sul marito di Mrs Geesy - e su una presunta amante -, ma Rose pretendeva che lui partecipasse e, come sospettò sin dall'inizio con orrore, che facesse complimenti alla vecchietta e la contraddicesse quando piagnucolava sulla propria veneranda età e prediceva la propria imminente morte. Per quanto gli potesse dispiacere - e non gli dispiaceva affatto, sia chiaro, perché non gliene fregava assolutamente nulla - Scorpius avrebbe voluto urlare a Mrs Honey che, sì, sarebbe morta perché era un'accidenti di vecchietta e che invece di spettegolare avrebbe dovuto passare gli ultimi mesi della sua vita a fare qualcosa di più meritevole, anche solo dormire.
La terza parte della propria giornata libera, Rose Weasley la trascorreva al parco e Malfoy stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, prima di vederla andare in contro ad un gregge selvatico di mocciosi urlanti. Avevano tutti all'incirca tre o quattro anni, nonostante la mocciosetta che gli era saltata addosso continuasse a ripetere di averne dieci - e che quindi, si potevano sposare, ma solo se lui le avesse comprato un "anello fucsia scintillante". Il vero problema era sorto quando un bambinetto, geloso, lo aveva rincorso per il parco con la fervida decisione di picchiarlo perché gli aveva "rubato la ragazza". Ed i pizzicotti di quei cinque anni d'organismo pluricellulare erano solo un'anticipazione del suo futuro di Mangiamorte specializzato nella Maledizione Cruciatus.
«Rose, io ti amo, giuro, ma se hai veramente intenzione di passare in questo modo ogni sabato ad Hogsmeade, dovrò ucciderti e preoccuparmi di farlo sembrare un incidente.» Aveva ammesso, mentre risalivano per la strada principale del villaggio. «Con tutte le rosse belle che ci sono in giro, dovevo innamorarmi proprio della più pazza! Salazar, lo so che mi odi, io lo so che ce l'hai con me, che stai complottando con Morgana per rovinarmi l'esistenza, io lo so...»
Rose non parlava mai mentre passeggiavano, se c'era gente, anzi, lo ignorava con la più benevola della intenzioni. Lei saltellava, batteva il cinque ai bambini, dava un bacio sulla guancia agli anziani, accarezzava gli animali e, Scorpius non avrebbe mai potuto farci nulla, sorrideva. Rose Ariana Weasley sorrideva a tutti: uomini, donne, anziani, bambini, criminali, elfi, amici immaginari, folletti, draghi, schiopodi sparacoda, centauri, sirene, fantasmi; insomma, qualunque essere organico trovasse in giro.
E naturalmente non era un caso, c'era un motivo, insomma non è che una persona improvvisamente si sveglia una mattina e va in giro a sorridere a tutti; se incontrassimo per strada qualcuno e questo ci sorridesse, come reagiremmo? Ci allontaneremmo e prenderemmo subito le distanze, giudicandolo come persona strana. Eppure, avrebbe solo sorriso; è davvero così strano incrociare lo sguardo di un completo sconosciuto e sorridergli o ricevere da lui un sorriso? Quanto costa un sorriso? Cosa costa? Una figuraccia? Rischiare di essere classificati come persona strana?
Rose Weasley aveva deciso di essere una persona strana. Aveva deciso che valeva la pena rischiare di fare una figuraccia ed essere evitata, se il compromesso era far sorridere a sua volta le persone.
Ognuno ha i suoi guai, i suoi problemi e le sue paure: la madre che corre appena uscita da lavoro per preparare il pranzo, prima che il marito torni a casa; il signore all'angolo della strada che tenta di mettere insieme delle monetine per comprare il medicinale alla moglie; il ragazzo seduto sul marciapiede che ha appena perso una gara di ballo; la sua migliore amica che è all'incrocio e lo sta cercando per consolarlo; il bambino che cerca di convincere il padre a comprargli le Cioccorane; il che padre ha dimenticato il portafogli a lavoro; la signora fuori dal negozio che aspetta che i proprietari aprano il negozio, dopo la pausa pranzo. Ognuno lotta, ogni giorno, ogni istante, continuamente ed un sorriso, non sarebbe un incoraggiamento? Un sorriso non è solo un altro motivo per cui ne varrebbe la pena?
È solo che di questi tempi la gentilezza va poco di moda.
*
Alice Paciock uscì dal locale coperta da un leggero strato di mantello. Saltò in punta di piedi un paio di pozzanghere che separavano i Tre Manici di scopa dalla panchina.
«Sta piovendo, Lorcan.» Lo aveva salutato. «Non potremmo andare in un posto all'asciutto?»
Lui per tutta risposta aveva tirato fuori la bacchetta, lanciando un incantesimo d'impermeabilità attorno alla panchina.
La ragazza sbuffò, ma si sedette. Accavallò le gambe, tirando fuori dalle tasche una lettera che passò subito al Corvonero.
Lorcan si guardò attentamente attorno prima di prenderla in mano e ancor di più quando dovette aprire la busta.
«Che ti prende?» Aveva chiesto Alice, guardandolo.
Lui aveva scosso il capo, deglutendo.
Alla Signorina Alice Paciock,
Il progresso, la ricerca e lo sviluppo dei nostri Indicibili dell'ufficio Misteri in collaborazione coi Medimaghi del S. Mungo, permettono oggi alla MM (Magi-Medicina) di spingersi oltre il fallimento materiale.
La sua condizione di Impotenza Magica, ossia il suo stato di Maganò, oggi avrà una cura definitiva. Una stimata statistica indica a favore della sua guarigione il 75% di probabilità di successo.
La invitiamo ad un colloquio il 27 Dicembre, presso il nuovo reparto Incurabili del settimo piano del S. Mungo per discutere con lei di come la nuova ricerca potrà giovare alla sua salute.
Lorcan mise la lettera dentro la busta e gliela restituì.
«Non capisco.» Enunciò dopo un po'.
«Cos'è che non capisci?» Fece la ragazza.
Lui tenne accuratamente lo sguardo basso. «Sei una maganò da sempre e non è una malattia. Non capisco in cosa consiste questa... cura.»
«Mi farebbero diventare una strega.» Ribatté prontamente lei. «Come avrei dovuto sempre essere.»
«No.» Scosse il capo lui. «Non è necessario, voglio dire... Tu stai bene anche così. Stiamo bene.» Le gettò un'occhiata. «Va bene anche così.»
«No!» Esclamò lei offesa. «Non va bene, così. Questa potrebbe essere l'occasione giusta! Se la cura dovesse funzionare, potrei diventare strega e addirittura frequentare Hogwarts!»
Lorcan ci coprì il viso con le mani e tacque.
Alice incrociò le braccia sotto il seno ed aspettò che parlasse, senza insistere ulteriormente.
La pioggia si buttava contro la bolla d'impermeabilità in modo perpendicolare e poi scivolava lungo i bordi in una cascata più flebile e meno scontrosa.
«Non farlo.» Sospirò infine lui. «Ti prego, Alice, non farlo.»
La ragazza scattò in piedi. «Tu non capisci.» Gli puntò il dito contro. «Non si tratta di te, o di noi. Si tratta di me.»
«Non capisci... Non hai idea...»
«Ho già risposto.» Lo interruppe. «Ho accettato. Farò l'intervento con o senza il tuo appoggio.»
Se ne andò senza salutarlo e la bolla d'impermeabilità s'infranse.
Ora le mani tremavano, la pelle del volto teso era livida e gli occhi rossi. Decisamente, Lorcan Scamander non era in grado di reggere i segreti.
*
C'è il silenzio imbarazzato e timido, quello esitante ed insicuro, quello denso e carico di tensione; il silenzio instabile, destinato a crollare da un momento all'altro; il silenzio comprensivo, unanime e concorde; il silenzio vuoto perché nonostante gli sforzi, non si trova nulla da dire; il silenzio obbediente, il silenzio temerario.
Quello del silenzio è un gioco al quale bisogna adattarsi continuamente, perché ama cambiare le regole con altrettanta frequenza. E Frank era maledettamente bravo in questo gioco, perché aveva imparato ad imbrogliare e, quando ci si metteva, sapeva essere veramente disonesto, nel modo più sleale e meschino possibile. Disonesto, meschino ed sleale quanto poteva esserlo un ragazzo che in compagnia della sua fidanzata sordomuta, faceva complimenti alla sua migliore amica con la quale la tradiva.
Bisognava chiedersi però, se Frank era in sé quel tipo di persona o se era stato il gioco del silenzio a costringerlo a trovare una soluzione - anche se disonesta, meschina e sleale - per adattarsi alle sue regole.
Il silenzio di Céline imbavagliato, imposto; era una determinazione, una condizione. Nella più azzardata delle affermazioni: il silenzio di Céline era un'ingiustizia.
Eppure, poteva il silenzio ingiusto che ricadeva su Céline giustificare le mani di Frank sulle coscia di Dominique, sotto il tavolo della biblioteca, quando studiavano insieme? Poteva quel silenzio ingiusto ed imposto discolpare i complimenti, le parole dolci, le provocazioni nei confronti di Dominique, anche alla presenza della sua ragazza che non poteva udire nulla, invece?
Frank Paciock non era sleale o immorale, non proprio. Frank era egoista.
Fino a quale punto l'egoismo è un diritto?
«Frank, per favore.»
Molly aveva tentato di tacere più volte, quella mattinata; di solito era proprio lei a trattenere Liam dall'intervenire e si limitava a prendersela con Dominique al massimo, ma quella volta non era riuscita a tacere.
La stazione di Hogsmeade era meno affollata di quanto si fossero aspettati. Avevano caricato i bagagli di Céline nel treno che l'avrebbe riportata a Londra per l'intervento del mercoledì dopo ed erano rimasti ad aspettare l'orario di partenza assieme a lei. Molly non si aspettava che Frank si mostrasse - figurarsi che lo fosse - preoccupato perché la sua fidanzata sarebbe stata sottoposta ad un intervento ad alto rischio, non si aspettava che la incoraggiasse dicendole che la cura avrebbe funzionato e che sarebbe riuscita ad udire e parlare, non si aspettava nulla di tutto ciò, ma pretendeva rispetto. Perché poteva non amarla ed essere tanto codardo da non aver il coraggio di lasciarla, poteva essere tanto meschino da tradirla e tanto patetico da farlo anche davanti a lei, ma in quel momento no, in quel momento Céline meritava di essere rispettata.
Il treno fischiò e Molly sobbalzò tra le braccia di Liam.
E per un momento, in assoluto silenzio, si chiese come potesse sentirsi Frank quando, prima di salire sul treno, Céline l'aveva abbracciato. Decise che non voleva saperlo.
Salutò la ragazza, le augurò buona fortuna e peccò giurandole che sarebbe andato tutto bene.
Il treno fischiò, partì e Molly sobbalzò una seconda volta.
Vedere Frank e Dominique tenersi finalmente per mano, rincorrersi, baciarsi, non aiutava. Non aiutava perché quello di Frank sembrava molto più che egoismo e l'unico vero problema rimaneva - come sempre era stato - Céline. Perché ora che lei non c'era più, i due non erano altro che due ragazzi innamorati e in quello che condividevano non si riusciva a scovare nulla di sbagliato.
Quando uscirono dalla stazione e Frank e Dominique presero a ballare sotto la pioggia, Liam abbassò lo sguardo e Molly dopo un po' fece lo stesso, perché non si capiva più cosa ci fosse d'ingiusto.
«Ricordami quanti anni di danza classica hai fatto...»
Dominique fece un piroetta tra le sue braccia. «Sei!» Rispose, stampandogli le labbra sulla guancia. «Ho dovuto smettere, quando sono entrata ad Hogwarts...»
«Hai intenzione di riprendere dopo i M.A.G.O.?»
Lei annuì, poi poggiò il mento sulla sua spalla, dondolando nel fango abbracciata a lui.
«E non pensi di tor-» Frank si arrestò di colpo. «Nicky, perché tuo fratello sta correndo vestito come un pagliaccio?»
Dominique si voltò, seguendo la traiettoria dello sguardo divertito del ragazzo.
«Deve essere successo qualcosa... Louis non abbinerebbe mai il verde con il rosso.» Borbottò, agitando le braccia per attirare l'attenzione del fratello.
Chiamarono Liam e Molly e superarono il prato che separava la stazione dalla via principale di Hogsmeade.
Louis Weasley aveva il respiro affannato, gli occhi sgranati e leggermente rossi.
Molly si fece avanti. «Louis! Che succede? Che hai?»
Il ragazzo si fermò per riprendere fiato, guardandosi attorno con fare agitato. «Io sto bene... Lo zio... Credo che lo zio George abbia qualcosa. Insomma, sta per succedere qualcosa e... Ve ne dovete andare, subito.»
Dominique lo guardò, comprensiva. «Hai avuto un'altra visione?»
Louis annuì, respirando a fatica. «Questa volta era diversa... Era più reale. Per favore, tornate al Castello.»
«Non so perché tu stia indossando i miei pantaloni, ma qualunque cosa stia succedendo, noi rimaniamo con te.» S'intromise Liam.
«Esatto, non ti lasciamo.» Ribadì Molly.
«No, tu e Dominique tornate indietro...» La contraddisse deciso il ragazzo.
«Non capite.» Si frappose Louis, bloccando la discussione sul nascere e alzando la voce. «Ve ne dovete andare tutti! Sta per accadere una catastrofe! Tornate tutti indietro, il più in fretta possibile! Io andrò dallo zio, lo avvertirò e tornerò! Andatevene, ora!»
Frank fu il primo a capire: gettò un incantesimo d'impermeabilità attorno a lui e Dominique, la prese per mano, fece un cenno a Louis e due se ne andarono.
Liam annuì. «D'accordo, ma James è nella Stamberga Strillante, va' da lui prima.»
Molly abbracciò il cugino. «Mandaci un Patronus, non appena siete dallo zio! Fate attenzione.»
Louis aspettò di vederli attraversare la strada principale, poi si sistemò meglio la cuffietta rossa e riprese a correre.
*
Proviamo a fare qualche passo indietro:
Se il Caos fosse solo un diversivo?
Se la realtà avesse un suo ordine segreto?
Ma se non vi è alcuna casualità negli eventi, ciò significa necessariamente che sono causati.
Dunque ogni catastrofe avrebbe il suo promotore.
E se questo promotore non fosse il destino o il fato, se fosse qualcuno?
E si chiuse la porta dietro, con inimitabile ed arrogante eleganza.
Il signor Potter, però, non fece in tempo a ricongiungere la mascella al viso, che la porta si riaprì, lasciando intravvedere un lato solo del viso pallido e contratto di Malfoy.
«Un'ultima cosa, Potter: quella sera, qualcuno ha aperto i cancelli del Castello. E come ben sai, i cancelli si possono aprire solo dall'interno.»
Harry Potter balzò in piedi, scuotendo il capo allarmato. «Stai insinuando che...»
«Ad Hogwarts c'è qualcuno che fa il doppio gioco.»
Ma chi è il vero assassino:
Colui che ordina l'assassinio o colui che lo esegue?
Quando una persona passa dallo stato di Innocente allo stato di Vittima, nulla è casuale.
Incidenti, coincidenze, caso, eventualità, fato non sono altro che maschere, dietro alle quali sono nascosti le cause, le ragioni e i motivi.
Sul fondo di un pozzo di Caos e Cosmo si celano, invece, i Colpevoli.
"Io, come Dio, non gioco a dadi e non credo nelle coincidenze."
-William Shakespeare & V per Vendetta
Okkey, voi non avete idea di che delirio sia stato aggiornare. Credo che l'editor sia uno spirito sadico e malefico che si diverte a burlarsi di me, ma alla fine ce l'ho fatta! *balla la salsa anche se non sa come si fa*
Cretinate a parte, voglio fare un discorso serio che mi ero prefissata non appena avevo finito di piangere per Josh.
Come sicuramente avete notato - e come qualcuno mi ha segnalato - questa storia è decisamente diversa dalle altre sulla NG di HP, perché porta con sé obiettivi etici - ed è proprio per questo che i personaggi sono vari e diversi. Quando ho fatto la scelta di dare questo ruolo alla storia, ho accettato fin dall'inizio le possibili conseguenze: so ad esempio che è particolarmente complicata, che è faticoso stare dietro a tutte le vicende e carcare di capirci qualcosa; o addirittura, ma in tutta sincerità, che non è proprio persuasivo leggere vicende simili e non solo Teen-Drama.
E proprio per questo non mi sono sorpresa più di tanto nel vedere le recensioni calare.
Ma rifarei mille volte la stessa scelta perché so che trattando questi temi, questi argomenti, dando spazio alle voci dei personaggi che solitamente non avengono presi in considerazione perché "Non hanno nulla di speciale", dando spazio ai più deboli, ai silenziosi, agli impotenti e a quelli che non sanno raccontare la propria storia da sé, avrei fatto qualcosa di giusto, di utile e di importante. Importante per me e spero anche per altre persone.
Perciò voglio ringraziare tutte le persone che sono arrivate con me fino a qui, che non hanno detto "che barba 'sta storia, non succede nulla di figo!" e che sono andati avanti.
Grazie per essere arrivati fino a qui.
Voglio ringrazie Roxanne perché non è solo una ragazza con le palle, ma una donna coraggiosa e forte.
Voglio ringraziare Molly perché sta aiutando molti lettori ad eccettare a superare le loro malattie.
Voglio ringraziare Louis perché è un ragazzo buono, gentile e generoso e perché ha fatto capire a molte persone che l'orientamento sessuale non fa la persona, ma che è solo un fatto personale.
Voglio ringraziare James perché nessuno lo vede, nessuno si accorge di lui, ma lui è sempre stato lì.
Grazie.
Bess