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Autore: _Wonderwall_    28/04/2014    2 recensioni
(SOSPESA)
Prima guerra mondiale: la vittoria va alla Triplice Intesa (Russia- Stati Uniti- Francia).
Seconda guerra mondiale: la vittoria va ai Paesi Alleati.
Terza guerra mondiale: la vittoria va agli Stati Uniti, che conquistano l’egemonia mondiale.
Quarta guerra mondiale: in corso.
Gli uomini non si accontentano mai. Non sono bastate due guerre mondiali per appagare la loro sete di morte, di potere. Hanno sentito il bisogno di scatenarne una terza, durata solo un paio d’anni. Troppo pochi per lasciarli soddisfatti.
Perché non scatenarne una quarta? Perché non ridurre la terra in macerie?
La russia contro il mondo. Quello è il motto che i soldati russi erano fieri di ripetere ad ogni cena, ad ogni brindisi.
La quarta guerra mondiale sta devastando l’intero mondo, decimando la popolazione e c’è un disperato bisogno di una soluzione.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ecco a voi il quinto capitolo :) La storia sta prendendo forma e spero che gli sviluppi vi piacciano e che la storia non diventi scontata. Diciamo che questa è la mia maggiore paura, avere un finale scontato!
Comunque per ora vi auguro buona lettura e spero che qualcuno di voi mi faccia sentire la propria opinione in una recensione!

Capitolo 5
 
 
 
“But you see it's not me, it's not my family
In your head, in your head, they are fighting
With their tanks, and their bombs
And their bombs, and their guns
In your head, in your head they are cryin'
In your head, in your head, Zombie, Zombie
In your head, what's in your head Zombie”
 
 
 
 
15 Agosto 2323
 
Ivan si appoggiò al muro, rilassandosi leggermente. Erano due ore che si trovava fuori dall’ufficio di suo padre, aspettando con pazienza che arrivasse l’ora della sua udienza. Non ne poteva più. Era stato convocato per le tredici e puntualmente si era presentato, ma, diversamente dal solito, ogni persona che si trovava nella sala d’aspetto lo aveva superato sotto ordine del grande capo di stato.
La segretaria, il sottoufficiale, il tecnico, lo stratega e persino il postino.
Non era mai stato paziente e in quel momento si sentiva sorpassato, sensazione che non gli piaceva affatto.
Sbuffò, incrociando i piedi e intrecciando le braccia muscolose davanti al petto, coperto da una t-shirt bianca. L’estate sarebbe durata ancora per poco, la Russia era famosa per il suo clima freddo e il fatto che la città principale sorgesse ancora in superficie non aiutava la temperatura.
E questo Ivan non lo sopportava. Aveva sempre odiato il freddo, la neve, la pioggia, i venti ed ogni cosa che potesse abbassare anche se di poco la temperatura. Cosa davvero strana per un russo, ma non per un soldato che aveva passato la maggior parte della sua carriera militare in posti estremamente caldi. E così il caldo gli ricordava la guerra e di conseguenza lo adorava.
I lavori per la città sotterranea stavano procedendo velocemente e il ragazzo non faceva altro che sperare che sarebbero finiti presto.
Sarebbe stato più sicuro, più protetto, quasi impossibile da localizzare l’esatta posizione e soprattutto più caldo.
Ormai i palazzi di Mosca erano gli unici che si osservavano all’esterno, sulla superficie terrestre. Il deserto e la distruzione che circondava ogni cosa suggeriva ad Ivan l’idea di regressione.
Ma c’era da considerare il fatto che le città sotto terra fossero molto più difficili da attaccare.
E così gli scontri si svolgevano all’aperto, causando milioni di morti che cadevano sul campo e, la maggior parte delle volte, rimanevano lì come per simboleggiare il dolore e la sofferenza che aleggiava nell’aria terrestre.
Qualche volta l’ufficiale russo si era ritrovato a passeggiare tra le pianure desolate che ormai erano diventate le grandi città del mondo, aveva camminato tra centinaia di cadaveri, aveva sentito le urla di quando erano stati uccisi, i pianti delle famiglie. 
Ed aveva fatto finta di niente. Era passato oltre.
La porta dell’ufficio si aprì e il ragazzo si tirò su, raggiungendo una posizione composta. Le mani dietro la schiena unite tra di loro, la colonna vertebrale perfettamente dritta, la testa alta, le gambe tese, il petto all’infuori.
Una posizione naturale per Ivan, che osservò la segretaria del padre, Dashia Lebedev, passargli davanti e rivolgergli un piccolo sorriso.
L’ultima volta che aveva visto quella donna era stato il giorno che era tornato dalla sua prima sessione di allenamenti, erano passati anni e, nonostante rimanesse una bella donna, la russa li mostrava pienamente nelle rughe della pelle del viso.
<< Entra Ivan >> la voce profonda del padre lo distrasse dalla contemplazione dell’ormai matura donna.
Con passo sicuro e svelto l’ufficiale entrò nell’ufficio, guardandosi intorno. Se il padre l’aveva convocato poteva volere e pretendere un’unica cosa da lui: un’altra missione.
E Ivan non vedeva l’ora. Fremeva dalla voglia di partire, di uccidere, di essere un passo più vicino alla vittoria, di portare orgoglio al suo paese.
Si sedette sulla poltroncina di velluto blu davanti alla scrivania, continuando a fissare il padre negli occhi, vicino a quella cicatrice che si era procurato pochi anni prima a causa di un attentato.
Era poco visibile, ma con occhio attento si poteva notare la leggera e sottile strisca rosa che segnava il suo viso dalla guancia fino alla fronte. Era stato portato tardi in ospedale e i medici avevano fatto tutto il possibile per far rimarginare una ferita tanto profonda da aver scalfito lo zigomo destro.
<< Scusa per l’attesa >> proferì l’uomo, incrociando le mani e poggiando i gomiti sulla scrivania.
Sul tavolo di legno scuro stranamente erano sparsi in modo disordinato alcuni fogli, riempiti di disegni o di parole. Con una rapida occhiata Ivan stabilì che fossero stratagemmi, piani.
Stavano organizzando qualcosa, qualcosa di grosso e lui, come sempre sarebbe stato a capo di tutto ciò. Sorrise, reprimendo dentro di sé la voglia di urlargli in faccia quanto la sua visita fosse più importante di quella del postino e di qualunque altra persona fosse passata lì dentro.
Se c’era una persona che avrebbe risposto per le rime all’ufficiale Ivan Petrov quella era proprio suo padre, il grande e temibile Igor Petrov.
 << Per cosa mi hai chiamato? >> chiese il ragazzo, lasciandosi andare sulla poltrona.
Nonostante fosse abituato a mantenere una posizione corretta e precisa, amava stare comodo e quelle poltrone erano il massimo della comodità e voleva godersele a pieno.
<< Stiamo organizzando una spedizione nell’entroterra >> cominciò a spiegare, cercando tra quell’immenso disordine un foglio specifico che dopo pochi secondi trovò e sorridendo lo poggiò sul tavolo.
Gli occhi chiari del ragazzo vagarono sulle linee tracciate da una mano attenta e precisa, quasi sicuramente femminile. Il tratto degli uomini, la maggior parte delle volte, era più spesso. Probabilmente era stata Dashia a disegnare quelle linee.
Al centro del foglio era disegnato un quadrato con diversi nomi a indicare l’utilizzo che veniva fatto di quei posti. Per entrare in quella che il castano supponeva essere una base c’erano tre strade, due che dovevano essere le principali ed una terza che invece la penetrava lateralmente. Era così stretta che il ragazzo faticò a credere che fosse conosciuta a qualcuno.
<< E’ la cartina della base principale? >> chiese, avvicinandola e scrutandola attentamente per memorizzarne ogni dettaglio.
Il tempo che aveva passato in guerra gli era stato utile per riuscire ad allenare la sua memoria che, ormai, immagazzinava ogni immagine, ogni parola, ogni particolare e gli permetteva di essere un ottimo leader.
L’uomo davanti a lui scosse la testa, cambiando per un solo attimo espressione. Ivan aveva potuto vedere un lampo di irritazione attraversargli gli occhi di ghiaccio e una sensazione di gelo lo avvolse, facendolo sentire come imprigionato in una gabbia di ghiaccio, impossibilitato a scappare, senza altra alternativa se non morire congelato.
<< No, è la base di New Orleans, dove risiede il primo stratega, quasi l’unico a sapere dove la base principale si trovi >> in quel momento il ragazzo capì il motivo della piantina e di conseguenza della missione.
Senza che il padre aggiungesse altro, il castano afferrò il foglio, fissando con gli occhi, che in quel momento erano grigi, le linee tracciate e vedendo formarsi nella sua testa un piano d’azione.
Sul viso del giovane prese vita un sorriso.
È ora di tornare al lavoro.
 
 
 
L’ufficio di Mark Selling rappresentava tutto ciò che un uomo potesse desiderare.
Scrivania in legno di mogano, poltrone di vero e prezioso velluto, lampadario sfarzoso, tele d’autore, tappeti pregiati, computer di alta generazione, televisione a schermo piatto che ricopriva l’intera parete, dipinta di avana, in fronte alla scrivania, un transporter di ultima generazione.
In poche parole ogni comodità che un uomo potesse immaginare e, probabilmente, anche di più.
Ma Mark non era contento di tutto quello che aveva, non era contento perché sapeva che molte città, nonostante fossero state notevolmente decimate dalla guerra, morissero di fame. Non era contento perché voleva davvero aiutare gli abitanti del suo Paese, che si aspettavano dal presidente un minimo di contributi, ma non riusciva a lasciare andare quello che aveva.
Probabilmente Mark Selling era l’uomo più avido della terra e, sinceramente, anche lui faticava a credere che il popolo l’avesse davvero eletto presidente.
Dopo la sua richiesta di pace alla Russia alcuni anni prima e il categorico rifiuto, Mark si era rintanato nella sede principale dell’America –e del resto del mondo che combatteva contro la Russia- collocata a Roma e lasciava manovrare gli affari di stato ai suoi uomini, che considerava come pedine nelle sue mani.
A volte aveva davvero pensato di poter essere un bravo presidente, ma era stato costretto a ricredersi, dopo aver verificato che tutte le sue idee portassero la sconfitta dell’esercito americano.
Quindi si limitava a condurre una vita da re fin a quando ne aveva la possibilità. Prima o poi lo avrebbero privato del suo titolo, o peggio ucciso.
E quindi si limitava a vivere al meglio.
La porta dell’ufficio si aprì, lasciando entrare lo stesso presidente, seguito da una decina di magistrati e strateghi, pronti per la seduta di quel giorno. Mark Selling si sedette sulla sua comodissima poltrona, incrociando le mani sudate e poggiandole sulla pancia, leggermente pronunciata.
Con finto interesse ascoltò le parole del mandato del primo stratega che descriveva quanto tragica stesse diventando la situazione dell’America e le controbattute di uno dei magistrati.
Con un gesto lento il presidente si passò una mano tra i capelli biondi e corti, concentrandosi sulla consistenza di essi al posto di occuparsi di affari ben più importanti.
<< I nostri infiltrati ci hanno riferito che presto ci sarà una spedizione nella città di New Orleans. Non sono stati in grado di dirci il motivo né tantomeno il giorno preciso >>
Proferì l’addetto alla politica militare esterna. Detto in parole semplici: colui che si occupava di mantenere i contatti con chi era infiltrato nell’esercito russo.
Mark non capiva come i russi non si fossero ancora accorti del piccolo tatuaggio sul polso destro di due soldati. Una piccola ‘a’ in stampatello per far capire ai compatrioti l’appartenenza alla stessa nazione. Eppure i russi l’avevano considerata una coincidenza, sorvolando sul piccolo dettaglio.
Ma il presidente lo sapeva. Erano proprio i dettagli a cui si doveva prestare attenzione.
<< Dobbiamo essere preparati >> annunciò un uomo sulla cinquantina, osservando con attenzione i colleghi.
Mark Selling annuì, ma nessuno dei presenti gli prestò attenzione.
 
 
 
 
<< Domande? >> chiese il comandante, indossando la giacca mimetica.
Ivan osservò i suoi soldati preparasi e osservarlo di tanto in tanto.
<< Come entriamo nella città? >> chiese uno di loro, indossando con distrazione uno stivale.
Tutta l’attenzione del ragazzo, che doveva avere più o meno l’età di Petrov, era focalizzata sul suo ufficiale, sulle sue parole e sui suoi ordini.
Il castano prese la piantina, prelevata il giorno precedente dall’ufficio del padre e l’attaccò al muro, reggendola con una mano.
Aveva fatto delle ricerche e apportato alcune modifiche. Tra le linee già tracciate ne spiccava una così sottile da essere vista solo grazie al colore fosforescente che il ragazzo aveva utilizzato per colorarla.
La linea andava da un quadrato, che doveva rappresentare la loro base, fino ad un altro, che sicuramente rappresentava la base americana.
<< Passeremo per questo tunnel scoperto da poco. In un paio di giorni, se viaggiamo alla massima velocità, dovremmo arrivare ad una caverna che segna più o meno l’arrivo a New Orleans. Da lì alla città passano al massimo un paio di chilometri. Scenderemo dalle macchine e proseguiremo a piedi in modo da essere più silenziosi possibile, dopo di ché entreremo nella città dalla parte più remota di essa e raggiungeremo l’ospedale >> spigò, seguendo con le dita le linee mentre ne spiegava l’utilizzo.
<< Perché l’ospedale? >> chiese un altro, mentre chiudeva la giacca.
Oramai tutti erano pronti per partire. Le armi si trovavano già nel furgone ed ogni soldato era equipaggiato in tal modo da risultare quasi invincibile.
Durante quella spedizione avrebbero sperimentato la loro nuova arma che seguiva il principio della bomba ad azoto. Davvero letale.
Ivan sosteneva che quella pistola sarebbe presto diventata la sua preferita.
<< Non possiamo attaccare il primo stratega direttamente, in quanto è circondato da guardie del corpo che lo seguono ventiquattro ore su ventiquattro. Potremmo facilmente ucciderle, ma il capo non vuole spargimenti di sangue. Quindi andiamo all’ospedale, preleviamola figlia dello stratega e chiediamo informazioni in cambio della sua preziosa vita >> concluse il ragazzo con ironia.
Non condivideva affatto quel piano, avrebbe preferito catturare direttamente l’uomo e torturarlo fino a quando non avrebbe confessato, ma secondo suo padre avere nelle mani la vita della figlia avrebbe sortito effetti maggiori.
Ed Ivan era costretto ad obbedire.
Cacciò dalla tasca dei pantaloni una foto, che ritraeva una ragazza con il viso incorniciato da una cascata di capelli mori e mossi e gli occhi grigi che ti scrutavano sorridendo, nonostante le sue labbra non si muovessero.
La passò ai soldati, in modo che potessero osservarla e zittì con un’occhiataccia i commenti sulla sua bellezza. Non era certo per quello che andavano a prenderla.
<< Andiamo >> ordinò Ivan, dirigendosi verso le macchine.



 
  
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