Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: fede3333    20/07/2008    0 recensioni
Un centro commerciale è un mondo a sé stante. Centinaia di persone girano per i suoi corridoi, si trovano e si perdono, e un incontro può cambiarti la vita. (un piccolo esperimento: raccontare la vita di un centro commerciale, dove i personaggi dei capitoli si intrecciano, ritornano, spariscono e si mostrano sotto diversi punti di vista; come la vita vera, insomma)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Clara e Francesco. Due nomi normalissimi per due ragazzi normalissimi. No, non è una storia romantica, questa: i due personaggi della prima vicenda sono amici per la pelle da quando sono nati e, come piace dire a loro, da allora hanno trascorso il 90% dei loro diciassette anni insieme. E poi, Francesco è innamorato di Arianna, che però non comparirà in questa storia: non fisicamente, almeno, visto che lui ne è così perdutamente innamorato (e non ricambiato) che la nominerà tantissime volte…

Bene, ora che ho soddisfatto la vostra curiosità (e deluso le grandi romantiche che leggono la storia – tranquille ragazze, vi rifarete dopo! Ne ho decine da raccontare!), voglio iniziare a narrarvi le imprese di Clara e Francesco nel centro commerciale. Vi ricordate che vi ho detto che ha tre piani, vero? Quello preferito di Clara era il terzo, lato ovest, dalla parte dell’entrata tre, dritto in fondo al corridoio principale, sulla sinistra. Prima dell’angolo secco che immetteva nel corridoio che circondava l’intero piano, ultimi due negozi: pasticceria, seguito da un piccolo negozio di calzature. La nostra Clara, infatti, aveva due manie: dolci, e scarpe. Ne comprava a bizzeffe, sia dei primi che dei secondi, perché aveva due importanti caratteristiche: primo, il suo metabolismo correva a mille mantenendola piccola e magrolina come un cucciolo di criceto; secondo, essendo paragonabile, come ho detto, ad un cucciolo di criceto, aveva la fortuna di possedere un piedino che entrava alla perfezione dove le pareva e piaceva.

Clara aveva anche una forte personalità, l’esatto opposto di Francesco, che tendeva ad essere arrendevole e pacifico, e fu per questo che, appena entrati, si diressero subito verso quell’angolo. Era inizio giugno, la scuola sarebbe finita di lì a tre giorni e il centro commerciale era affollato come può esserlo soltanto il sabato pomeriggio. L’aria condizionata, nonostante fosse soltanto l’inizio dell’estate, era già impostata su una temperatura molto bassa, e i due ragazzi rabbrividirono violentemente mentre superavano le porte scorrevoli, cercando di abituarsi alla temperatura interna.

“C’è da prendersi un bell’attacco di cagotto, con questa temperatura!” borbottò Francesco muovendosi nella sue maglietta.

“Probabilmente prima o poi, in un’afosa giornata di Agosto alle tre del pomeriggio, un vecchietto entrerà, non sopporterà lo sbalzo e si accascerà al suolo colpito da un infarto, e allora regoleranno la temperatura in maniera più umana” commentò la ragazza alzando le spalle. Possedeva un macabro senso dell’umorismo… l’amico si limitò a guardarla inarcando un sopracciglio.

“Ok, ok, giuro, la prossima volta terrò chiusa al bocca!” disse Clara. “Andiamo di sopra?”

Francesco fece segno di sì e la guidò verso una scala mobile, usando il suo corpo forte per scansare le persone. Raggiunsero il primo piano, quindi il secondo e poi il terzo, guardando la calca che si affollava nell’area relax in centro alla struttura, coperta in cima soltanto da un soffitto trasparente. Io credo che abbia un che di curioso, guardare tutte queste persone che vivono le propria vita e si muovono come tante formichine, ridendo e scherzando, oppure con l’aria corrucciata  e frettolosa. Non trovate anche voi? Ad ogni modo raggiunsero dribblando la fine del corridoio, ed entrarono prima nel negozio di scarpe.

“Ti do dieci minuti, poi mi trovi nella pasticceria. Altri quindici, e poi mi trovi al secondo piano”. Francesco assunse la sua aria più categorica: non intendeva passare tutto il pomeriggio lì dentro, piuttosto l’avrebbe aspettata nel negozio di elettronica al piano di sotto! La ragazza fece una smorfia e assentì, entrando.

“Ciao!”. La commessa in quel negozio si chiamava Marta e, lasciatemelo dire, era uno schianto. Contro un muro.

… no, scherzo! Era davvero una bellissima donna. Nonostante avesse più di trent’anni e qualche chilo di troppo lasciati dalla sua prima gravidanza, aveva dei lunghissimi capelli rossi, gli occhi nocciola e quell’aria particolare che ti colpisce come un pugno. Forse erano le strane sopracciglia, metà bianche e metà rosse, forse le sue collane etniche o forse ancora quel suo incedere bizzarro ma stranamente aggraziato: ragazzi, mi fermavo a guardarla ogni volta che passava. Era una donna creata apposta per vendere, e credo che fosse soltanto per questo motivo che il suo piccolo negozietto non era ancora fallito, ma anzi riscuoteva un grande successo; era diviso in due aree: nella prima, si trovavano le scarpe normali, quelle eleganti ma da tutti i giorni, che le signore anziane e quelle abitudinarie preferivano; nella seconda invece, si trovavano le più strane che si potessero immaginare, fatte arrivare da posti improbabili, ma assolutamente imperdibili per moltissime ragazze. Neanche a farlo apposta Clara si diresse da quella parte. Provò due o tre paia di scarpe sotto l’occhio impaziente di Francesco, e quindi adocchiò quelle che voleva: sandali alti, verniciati in lucido verde pino e con un fiocchetto davanti.

“Voglio questi!”

“Hai fatto appena in tempo, mancavano meno di due minuti…” fu il commento dell’amico. Clara gli fece la linguaccia.

“Non posso prenderli oggi, non ho abbastanza soldi. Verrò domani”. Si alzò in piedi e fece per allontanarsi.

Marta la richiamò. “Clara, te le metto da parte?”

“No, non serve, tanto ho visto che ci sono tre paia col mio numero, non credo che finiranno tutte in un pomeriggio!”

I ragazzi salutarono mentre uscivano e si diressero verso la pasticceria: quello era un posto che piaceva anche a Francesco. Non sapete quante volte li ho visti ingozzarsi di bignè e continuare a chiacchierare con la bocca piena davanti ad altri clienti che li guardavano disgustati!

Fu però in pasticceria, seduti in un tavolino  con un piccolo vassoio di paste, che avvenne la tragedia. Erano passati circa quindici minuti, e i due erano immersi in una discussione piuttosto accesa (fortuna che non c’era nessun’altro, perché mi parve di vedere pezzetti di cannoncino saltar fuori dalla bocca di Clara mentre esprimeva civilmente la sua opinione) sull’amore di Francesco per Arianna: lui la difendeva e riteneva che fosse una ragazza estroversa ma profonda e dolce, lei la chiamava poco gentilmente “morta di cazzo” e “troietta stupida e smorfiosa”, esortandolo a tornare sulla via della ragione e cercando di farle capire che c’era anche un’altra ragazza alla quale piaceva (il nome non lo disse, mi spiace). Fatto sta che dopo molti sputacchiamenti e insulti, rossa in viso per l’irritazione, Clara si toccò la caviglia con un gesto nervoso e lì pietrificò. La cavigliera, la sua stupenda e carissima cavigliera in argento intrecciato a una striscia di pelle rossa, dov’era?  La cavigliera che le aveva regalato sua zia Emilia poco prima di partire per il Giappone, dove accidenti si trovava? Perché non era lì dove doveva essere? Francesco notò che qualcosa non andava e si interruppe a metà del suo discorsone.

“Tutto bene?”

“No.” La voce sepolcrale di Clara non era un buon auspicio.

“Cosa succede?”

“Cavigliera.”

“Cosa?”

“Cavigliera. Persa. Ho perso la cavigliera!”

Oh. Cazzo. Fu il primo pensiero di Francesco. Consapevole di quanto l’amica amasse quella cavigliera, rimase inebetito per un paio di secondi, senza proferir verbo, poi si alzò, guardò dappertutto sotto i tavoli, pagò le paste e le chiese “Ce l’avevi mentre ti provavi i sandali?”. Clara,accucciata sotto un tavolo nella ricerca, annuì.

“Bene, andiamo a cercarla di là”.

Si precipitarono nel negozio di Marta, che li guardò sorpresa.

“Marta, Marta ti supplico, hai visto una cavigliera rossa e argentata?” gridò Clara, che aveva ormai perso la calma innaturale che l’aveva posseduta fino a cinque minuti prima.

Marta le fece segnò di no, e quindi si mise a cercare attorno agli scaffali prima di bloccarsi di colpo e sollevare lo sguardo su Clara con l’aria più colpevole del mondo.

“Clara, ho paura di aver fatto un pasticcio. Cinque minuti fa sono arrivate due donne che si sono provate gli stessi sandali che hai provato tu, e al momento di pagare mi hanno detto della cavigliera scherzando e io ridendo gli ho detto che visto che sembrava un oggetto di poco conto potevano tenersela… scusami tanto, io non sapevo che fosse tua! Non l’avevo mai vista!”

In effetti le era stata regalata solo un paio di settimane prima, ma la sua zietta era partita per almeno un anno e quello era l’unica cosa che gliela ricordasse sempre.

Shit! Shit! Crap!” esclamò Clara, disperata. /*/ “Dimmi che le conosci, che le riconosceresti, aiutami!”

So che sembra strano per una negoziante, ma Marta conosceva Clara da ben nove anni. Era andata la prima volta nel suo vecchio negozio, nel paese lì vicino, per comprare le scarpe per la Prima Comunione, ed era stato amore a prima vista (tra Clara e le scarpe, ovviamente, più l’affetto che le legava. Tra l’altro, Clara era dopotutto la sua migliore cliente, se proprio volessimo fare i cinici…). Marta quindi afferrò le chiavi del negozio, spinse fuori i due ragazzi sbigottiti, girò il cartello Torno subito e chiuse la porta a chiave.

“Su, andiamo a cercare quella catenina!” esclamò Marta con aria agguerrita. E, per quanto suoni banale ed esagerato, in quella frazione di tempo,mi resi conto di come quella donna avesse potuto affrontare da sola un parto trigemellare, senza marito o famigliari, l’apertura del negozio, la fatica di trovare l’appartamento giusto e, in generale, la vita. Era una forza della natura!

Ad ogni modo, Marta guardò i due ragazzi e disse “mi pare che abbiano detto che volevano andare da Monica…

Monica era la proprietaria della gioielleria all’altro capo del terzo piano, ed era diventata amica di Marta da quando la aveva consolata dopo che il suo quasi marito aveva portato indietro la fede di nozze che aveva comprato. Questa è un’altra storia che vi racconterò un’altra volta, ma vi basti sapere che, in orario di chiusura, la proprietaria della gioielleria aveva trovato Marta, in lacrime, nella hall centrale del centro commerciale, l’aveva consolata come solo una donna sa fare con un’altra donna, e aveva capito, tra gli sfoghi, che l’uomo che quel giorno aveva riportato alla sua gioielleria quei due anelli chiedendo di sostituirli con un orologio da uomo (oro e platino, ultimo modello, cronografo con anche un fuso orario incorporato, duecento metri di resistenza all’immersione, e pagando anche la differenza, il bastardo…), sì, proprio quell’uomo, era il mancato marito della donna di fronte a lei. Marta non sapeva quello che Monica aveva capito e, con un po’ di fortuna, non ne sarebbe mai venuta a conoscenza, ma le due erano diventate amiche.

Si diressero dunque di corsa verso l’ala opposta del piano che si sviluppava ad anello, dribblando la gente e attraversando il corridoio curvo per entrare in quello di comunicazione dell’altro quarto di piano. Monica li vide arrivare.

“Ehilà, Marta! Ok che volevi assolutamente quel braccialetto per tua nipote, ed è ok anche che tu mi abbia telefonato due volte per ricordarmi di tenertelo da parte, ma non ti fidi di me abbastanza per…

“La mia cavigliera! Hai visto la mia cavigliera?” esclamò Clara, affannata.

“Vendo diverse cavigliere, piccola, ma devi descrivermi quella che desideri se vuoi che ti dica se la vendo!”

“No, no!” si intromise Marta. “Hai visto due clienti? Una ragazza sui diciotto, cicciottella, alta, con i capelli scuri e la carnagione pallida, e un’altra alta e magra con i capelli marrone scuro, carnagione scura e l’aria cubana?”

Monica ci penso un attimo. “Uhm, sì, mi pare di sì… sì, avevo notato la risata di quella cicciottella, davvero contagiosa… stavano guardando la vetrina fino a un attimo fa, poi sono andate verso il negozio di Giulio.”

Monica intendeva dire che erano andate verso destra ma, nel caso vi interessi, Giulio era suo marito e padre di Andrea, il loro figlio di cinque anni, e possedeva la gelateria “Rio de Janeiro”, due negozi più in là.

Dopo una mattina particolarmente stressante di cinque anni prima, Monica era andata a prendere un gelato doppio cioccolato dal suo nuovo vicino, che aveva appena aperto. Sapete com’è: lei bionda, formosa e estroversa; lui rosso, energico ed espansivo, avevano scambiato un paio di chiacchiere e tempo quattro mesi, Monica era incinta, e loro due innamorati più che mai. Ma anche per questa storia ci sarà tempo la prossima volta, quindi torniamo in fretta al nostro attuale terzetto, uscito rumorosamente dalla gioielleria e diretto verso la gelateria. Là, sulle panchine davanti al negozio di Giulio, Marta le vide: stavano attaccando entrambe un cono Gigante Al Caramello, specialità della casa. Se mai capitaste nei paraggi di quella gelateria, lasciate perdere tutti gli altri gusti (per carità, buonissimi!) e concentratevi su quello: cono gigante, una pallina di vaniglia, una di fiordilatte, una di yogurt, e una deliziosa cascata di caramello sopra. Vi ho fatto venire fame, eh? Meglio finirla qua, allora!

“Eccole, sono loro!”

Clara ringraziò il Signore e le chiese se fosse sicura. Marta annuì e si diresse verso di loro.

“Ciao, voi eravate al mio negozio di scarpe una ventina di minuti fa, vero?” chiese loro sorridendo.

Le due assentirono. “Sapete la cavigliera che avete trovato dentro la scatola delle scarpe? La mia amica qui, Clara, mi ha detto che era sua e l’aveva persa…

La tipa pallida, sorridendo, rispose “Oh, davvero? Aspetta che te la ridò, allora… è proprio bella e a dirtela tutta mi spiace di dovertela restituire, ma sei bianca come un lenzuolo e suppongo che tu ci tenga molto, quindi…” si mise a rovistare furiosamente dentro la borsa “Aspettate un attimo, ce l’ho ce l’ho, solo che la mia è la borsa di Mary Poppins, ma solo per le dimensioni visto che c’è di tutto ma non si trova mai niente… ecco qui!” esclamò trionfante, reggendo la catenina in mano come un tesoro.

“Però, cosa trovata in soli sette secondi, Vittoria… è un record!” la prese in giro l’amica dai tratti cubani.

Vittoria rise mentre consegnava la cavigliera a una Clara sull’orlo di una crisi di nervi per la paura che l’avesse persa. “Non fare quella faccia, anche io ci lascio il cuore ogni volta che cerco qualcosa di importante e non la trovo subito!”

“Grazie, grazie davvero! Grazie mille!” Clara quasi si inginocchiava per baciare loro i piedi. “Grazie, grazie, grazie!”

L’altra ragazza, quella cubana, sorrise e le disse “dai, di cosa ringrazi? È stato un bene che ci abbiate trovate, hai l’aria distrutta! Vuoi sederti?”

“Sì, grazie! È un regalo di mia zia, è partita per il Giappone e mi ha dato questa come ricordo! Grazie davvero!”

“Di niente, dai! Mi sa però che dovrai farla riparare, perché ci siamo accorte che è rotta dove la allacci”

Nel frattempo, Francesco non toglieva gli occhi di dosso a Vittoria.

Marta interruppe la sequela di ringraziamenti di Clara, annunciando che sarebbe tornata di nuovo in negozio ora che “tutto è bene, quello che finisce bene”. Clara fece per iniziare a ringraziare anche lei per averla aiutata, ma Marta le sorrise dicendo “sì, lo so, calmati”, poi salutò tutti, fece l’occhiolino a Francesco (che l’aveva già ringraziata di nascosto per aver preso le redini nel momento di crisi nervosa di Clara, davanti al suo negozio, e ora iniziava a mangiarsi con gli occhi Vittoria in una maniera piuttosto evidente).

Sparita Marta nella calca del grande magazzino, Vittoria fece un colpo di tosse (essendosi accorta degli occhi a pesce di Francesco) e disse, esitante “beh, che ne dite di fermarvi per prendere un gelato e fare due chiacchiere con noi? Alessia, che ne dici?” si rivolse all’amica.

“Sì! Certo!” rispose Francesco al posto della ragazza. Clara lo guardò meravigliata “Ma Francesco, abbiamo appena finito di spazzolare un vassoio di…

“Beh, e allora? Lo stress che mi ha i fatto venire mi ha fatto bruciare qualche centinaio di calorie, e poi sono un maschio e ho bisogno di mangiare di più di voi ragazze!”

Vittoria rise alle sue scuse e gli consigliò il Gigante al Caramello.

“Mi fido del tuo consiglio, allora!” le rispose sorridendo. “Clara, vuoi qualcosa?”

“No, grazie.”

Il ragazzo si allontanò fischiettando, e Vittoria si rivolse a una Clara ridacchiante “Sembra un ragazzo simpatico, sei fortunata ad averlo come ragazzo…

Clara distolse gli occhi dall’amico e si girò verso la ragazza “Non è il mio ragazzo, è solo un amico!”

“Ah, sì?” disse sorpresa Vittoria, lanciando un’occhiata al ragazzo e sorprendendolo mentre la fissava con la coda dell’occhio.

 

Qui si conclude la storia di Clara e Francesco, e della cavigliera. Spero che vi sia piaciuta e vi abbia incuriosito, perché tutto quello che segue è un’altra storia che vi racconterò una delle prossime volte.

Ricordate: io vedo tutto e conosco la storia di tutti. Voi non sapete che io esisto, ma io ci sono, e sarò sempre pronto a raccontare la prossima storia… chissà, magari sarà la vostra.

 

 

 

/*/ per quei pochi che non conoscessero le parolacce in inglese, Clara sta dicendo “Merda! Merda! Cazzo!”

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: fede3333