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Autore: LittleSun    28/04/2014    5 recensioni
Molto spesso nella vita siamo costretti a vivere come qualcuno vorrebbe che noi vivessimo, annuiamo e lasciamo che tutto prenda una piega che non dipende da noi. Questo succede anche a Dafne che per scappare dalla sua vita soffocante si crea un alterego da usare online, Aloe. Sarà dopo numerosi problemi che Dafne riuscirà a liberarsi dall'influenza della madre e della zia e ad allontanarsi da casa, la sua vita però cambierà ancora. Cosa succede quando una persona abituata alla perfezione e un artista disordinato iniziano una convivenza? Cosa determinerà la presenza spigliata e focosa del coinquilino nella timida e un pò frigida Dafne? Lui riuscirà a fare uscire Dafne fuori dalla strada imposta dalla madre e della zia? Scopriamolo insieme ;)
Dal capitolo 4 (se ho fatto i conti giusti :P):
Regole per una sana convivenza con Aloe
1- Una volta a settimana si pulisce tutta la casa insieme, dividendo le spese dei prodotti.
2- Le spese del cibo si dividono anche così come i turni quotidiani di cucinare e lavare i piatti.
3- Negli spazi comuni è vietato accoppiarsi come conigli in primavera.
4- Negli spazi privati non di propria proprietà è vietato accoppiarsi o entrare.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 12
Nero

 
La mattina è davvero Jason a svegliarmi con una tazza di the e qualche fetta biscottata, io sono totalmente sdraiata nel divano con le ossa che mi fanno male come se avessi corso per quattro giorni di fila.
“Come ti senti oggi?” chiede sedendosi nella poltrona a lato del divano.
“Mi sento tutta rotta ma penso che la febbre sia scesa di tanto, dovrei farcela a studiare oggi” sospiro esausta, è solo il mio notevole senso di dovere a spronarmi a studiare nonostante mi senta a pezzi, non potrei mai arrendermi così.
“Non so come fai a studiare dopo essere stata male, io di solito se non sono guarito completamente non riesco a fare niente di impegnativo” leggo nel suo sguardo una venatura di ammirazione nei miei confronti.
“A me la malattia non mi ha mai impedito di impegnarmi, certo vado a rilento perché non sono una macchina però devo stare veramente male per mettere da parte il mio dovere” spiego mentre sorseggio il the a gambe incrociate, devo avere un aspetto terribile ma evito di preoccuparmene.
“Mi stanca anche solo sentirti dire queste cose. Oggi comunque starò fuori tutto il giorno, a breve esco, penso dormirò fuori, è un problema?” chiede mentre con la mano destra gioca con un ciuffo di capelli, non è la prima volta che lo fa, ogni volta che è soprappensiero lo vedo giocare con i capelli, è una cosa davvero carina a mio parere.
“Ma no, figurati anzi grazie per esserti preoccupato per me in questi giorni,avere la casa libera oggi  non può che farmi bene” sorrido e mi trattengo dal chiedergli cosa farà, sono pur sempre affari suoi e non voglio essere invadente.
“Ok, mi raccomando domani al mio ritorno fatti trovare vittoriosa che festeggiamo” ghigna e mi allunga una mano per battere il cinque e io scuotendo la testa, ma con un grande sorriso, rispondo al gesto.
“Allora cucini tu” scherzo io mentre mi alzo dal divano e mi sgranchisco un po’ nella speranza che le ossa tornino a funzionare normalmente e non come degli ingranaggi di un macchinario che non vengono oleati da anni.
“Va bene ma solo per questa volta, non ci fare l’abitudine! Mi stavo scordando di dirtelo, sai che sei piuttosto morbida? Non l’avrei mai detto” ridacchia e io lo guardo perplessa.
“Mi stai dicendo che sono grassa?” domando indignata e mi guardo istantaneamente le cosce e la pancia anche se attraverso la tuta.
“No, ti sto dicendo che hai due belle tette morbide” dice alzandosi e correndo fuori dalla stanza lasciandosi dietro una sonora risata, per qualche secondo rimango lì paonazza con la bocca spalancata, possibile che la sera precedente ero stata così idiota e così distratta dalla malattia da scordarmi il fondamentale dettaglio di essere senza reggiseno? Dopo anni e anni di dormite senza reggiseno mi ero scordata ,prima di addormentarmi vicina a Jason, che non indossavo nessuna protezione, oltre il pigiama, tra me e la persona a me vicina. Un orrore, uno scempio, una vergogna.
Rimango a boccheggiare davanti al divano con lo sguardo che punta la porta da cui è uscito Jason poi la vergogna lascia il posto all’irritazione e a passo di marcia, arti cigolanti permettendo, raggiungo il cretino in cucina che sta ancora ridendo. Approfittandone della sua distrazione mi tolgo la mia adorata ciabatta rosa e gliela scaglio in testa, colpisco (per miracolo) il bersaglio e sta volta sono io a ridere della sua espressione stupita.
“La prossima volta che ti prendi confidenze tattili eccessive o che osi commentare il mio fisico la scarpa te la ritrovi dove non batte il sole, è un avvertimento, ti invito a prenderlo sul serio” dico poi abbastanza seria mentre mi avvicino a lui per recuperare la pantofola cercando di mantenere una certa dignità apparente come minimo.
“Sei un’esagerata assurda, mica ti ho detto che volevo che mi facevi una sega con le tette” esclama risentito, la sua esclamazione però mi fa sbattere la testa nello spigolo del tavolo dato che ero piegata per raccattare la pantofola, mi alzo a guardarlo con gli occhi lucidi per il dolore, la bocca spalancata sia per la sofferenza sia per l’orrore della sua frase, ma che cosa aveva mangiato quel uomo a colazione? Volgarità allo stato puro?
“Farò finta di non avere sentito quello che hai appena detto, non dovevi uscire presto?” cerco di evitare che riapra l’argomento perché anche un trauma celebrale prima di un esame non credo di poterlo tollerare.
“Secondo me  in futuro i libri di storia avranno un capitolo dedicato solo a te, in quanto giovane donna di questo secolo con il pudore secondo solo a quello delle monache” dice con fare da professorino, non so se lanciargli contro un’altra pantofola o saltargli al collo per provare a strozzarlo.
“Mi scuserai se non rido apertamente ma ti assicuro che una parte recondita di me sta ridendo” dico con un tono apatico.
“Pensaci… Suor Aloe La Pudica, non suona benissimo?” dice solenne guardandomi con lo sguardo illuminato.
“Pensaci… Don Jason Il Coglione, non è perfetto?” gli faccio il verso  usando lo stesso tono.
“Guarda sei così simpatica che anche il mio culo si è messo a ridere” mi risponde lui indispettito, io lo guardo con un espressione di puro disgusto.
“Davvero hai detto una schifezza simile? Ascolta io  starei ore a conversare con te ma domani ho un esame e sono stata già ampiamente debilitata dalla malattia e non vorrei abbassare anche il mio Q.I. parlandoti, già sono sicura che quello dell’intero condominio è sceso precipitosamente” dico dandogli una patta comprensiva sulla spalla.
“Adesso esco davvero ma solo perché la tua simpatia potrebbe istigarmi al suicidio e sono ancora troppo giovane per morire” mi da una stessa patta a modo suo comprensiva sulla spalla e poi si mette a ridere e io mi unisco a lui, anche se è un’idiota ed è la causa scatenante di molti fastidi e disagi mi sto comunque affezionando a questo stupido che riesce a farmi sorridere così spesso.
Detto questo esce dalla cucina e si chiude in camera sua, io invece sciacquo la tazza e mi vado a lavare i denti e la faccia in bagno, poi vado in camera e mi sistemo i libri sulla scrivania, tempero tutte le matite sistemandole in ordine di lunghezza e poi ordino gli evidenziatori in ordine di tonalità, quando sto per sedermi dopo essermi assicurata che in stanza non c’è niente fuori posto, Jason bussa alla porta.
“Posso entrare Ally?” chiede.
“Si, certo” e subito entra e si avvicina a me, nota come ho sistemato la scrivania e si apre in un enorme sorriso che mi fa inarcare un sopracciglio.
“Dovrebbero assumerti in Accademia da me per sistemare tutti i colori nell’aula di pittura, ce ne sarebbe davvero bisogno” scherza lui.
“Quando devo studiare e l’esame è imminente tendo a essere ancora più ordinata del solito” spiego consapevole del fatto che lui ha ragione.
“Ognuno ha i suoi tic nervosi pre esame, io prima di un esame divento se possibile ancora più disordinato” ride lui, io dal canto mio non riesco a immaginarmi neanche come sia un Jason più disordinato, ora la casa è accettabile perché ci sono io ma ho ancora i ricordi vividi del mio arrivo in questa casa che mi fanno accapponare la pelle.
“Non voglio neanche immaginare” sbuffo in pensiero già per il possibile evento.
“Magari grazie a te riuscirò a non sprofondare nei rifiuti” dice lui contento.
“Probabile, non voglio che il luogo in cui abito diventi un covo di virus per i quali ancora non esiste la cura” dico preoccupata.
“Non preoccuparti, i miei esami inizieranno alla fine di novembre, c’è tempo” dice tranquillo, al suo posto io stavo già iniziando a sclerare, vorrei solo un quarto della sua serenità al momento.
“Meglio così”
“Ora vado davvero, mi raccomando, non distruggerti e riposati un po’, domani andrà tutto bene” si avvicina e mi abbraccia, all’orecchio mi sussurra “in bocca a lupo Miss Perfezione” poi si allontana da me e mi guarda sorridente, nonostante sono un po’ scossa dal caloroso contatto dei nostri corpi ricambio sinceramente il sorriso perché gli sono davvero grata per la fiducia che ripone nei miei confronti.
“Crepi” rispondo e lui si volta e si dirige verso la porta, mentre abbassa la maniglia però lo richiamo.
“Jason?”
“Si?” dice voltandosi, io velocemente mi avvicino, mi metto in punta di piedi e lo tiro verso di me, gli do un bacio in guancia e con il rossore sulle mie guance che si propaga alla velocità della luce mi allontano.
“Grazie” mormoro guardando con interesse il pavimento.
“Grazie a te” deduco che sta sorridendo e poi esce dalla porta.
Una volta sola cerco di ricompormi e dimenticarmi di tutto per concentrarmi solo sullo studio, faccio due grandi respiri e mi siedo alla scrivania per studiare, a costo di uccidere parte dei miei neuroni devo riuscire a finire tutto.
Nel primo pomeriggio ,dopo aver mangiato solo un pacchetto di crackers, ho la testa che mi martella furiosamente per il troppo studio, sono piegata sui libri ormai da ore ed è il telefono a riscuotermi dal mio libro; rispondo dopo il secondo squillo.
“Pronto?” ho la voce roca per il troppo silenzio.
“Spero che tu non stia fingendo di stare male Dafne, sai che non abbocco a questi giochetti” non ho bisogno di chiedere chi è, è il giorno prima dell’esame ed è scontato che mia madre mi chiami, mi maledico mentalmente per non avere guardato prima chi era il mittente della telefonata.
“Non sto male, grazie comunque per il pensiero” dico io con un accenno di apatia che uso di solito come autodifesa quando non voglio mostrare le mie emozioni, troppe volte i miei sentimenti nonostante fossero urlati erano rimasti inascoltati o sminuiti, con il tempo avevo iniziato a chiuderli tutti infondo al mio cuore in modo che nessuno potesse usarli per ferirmi o potesse farmi sentire più sbagliata di quanto già non mi sentissi.
“Domani a che ora hai l’esame?” aggiunge freddamente.
“Alle 9:00 devo presentarmi in sede poi a seconda della velocità del professore e dell’ordine di quelli iscritti all’esame si vedrà, mi sono prenotata nel sito tra i primi però, quindi credo che per le 10 avrò finito” mi limito a dire.
“Alle 10:00 ti chiamo per sapere com’è andata, se va male preparati le valigie che torni a casa e non sentirò ragioni” usa il tono glaciale che mi ha fatto sempre paura e lei lo sa, la paura mi invade come quando da piccola avevo preso in un compito ,a causa del raffreddore, un dieci meno al posto del mio solito dieci pieno e lei si era limitata a guardare prima il compito e poi me con uno sguardo che mi aveva fatto sentire piccola e fragile come un cristallo in bilico sul bordo di un mobile, aveva detto con voce lenta “Tutto qui?” forse per le altre persone un commento così non è niente, anzi c’è di peggio nel mondo ma per me quel tono e quello sguardo erano il mondo, il mio mondo che si spezzava sotto il peso delle sue parole. A quell'epoca avevo nove anni ed avevo iniziato a tremare, non ero riuscita a parlare né a piangere, tremavo soltanto e lei si era alzata e se n’era andata, lasciandomi lì sola con il mio fallimento, avrei voluto scusarmi, urlarle che mi dispiaceva che non sarebbe più successo, desideravo mi abbracciasse, che mi dicesse che non ce l’aveva con me per questo, volevo sentirmi dire che ero ancora la sua bambina ma quelle parole non arrivarono mai.
“Andrà bene” dico soltanto, mi sento pesante come se rivangare questi ricordi mi avesse fatto venire di nuovo la febbre.
“Bene, a domani Dafne”
“A domani” e detto questo riagganciamo, poso il telefono accanto a me e mi rimetto a studiare, ma la testa è pesante e mi sento come se la febbre stesse risalendo, spero con tutto il cuore non sia così.
Il telefono suona nuovamente e lo osservo intimorita, poi però mi rendo conto che è la suoneria di un messaggio e che quindi ovviamente non è mia madre che non sa mandare messaggi, lo apro curiosa e noto che il mittente è Nathy.
 
Ciao Ally,
Mi dispiace non essere potuta passare l’altra sera ma se ne stava venendo giù il cielo. Come stai? Come sta andando lo studio?
 
Sospiro, almeno so per certo che anche Nathy è nella mia stessa schifo di barca, nel mio casa più che di una barca si tratta del Titanic.
 
Oi Nathy,
Non preoccuparti, mi è dispiaciuto però che non sei potuta  passare :( dovrai rimediare più avanti con la speranza che il tempo stavolta non si metta in mezzo. Comunque, sto meglio adesso ma fino a ieri avevo un febbrone da cavallo,tu come stai? Per quanto riguarda lo studio meglio che non commento, sono sull’orlo di una crisi di nervi e a causa della febbre non ho potuto studiare come dovevo. A te come procede?
 
Mi risponde poco dopo.
 
Rimedieremo sicuramente, fanculo al tempo :D
Mamma mia, la febbre prima di un esame è il male, mi dispiace tanto spero tu ti sei ripresa totalmente, io sto bene  a parte il ciclo che mi è venuto giusto oggi ma lasciamo stare perché potrei scrivere almeno 100 imprecazioni -.-
No comment per lo studio, se avevo delle palle le avevo già messe in un tritacarne, mi sto annoiando a morte, ti giuro!  Vedrai che domani ti andrà bene, ti sei impegnata tanto anche prima di ammalarti, non avrai troppi problemi e in caso rifai l’esame, non devi preoccuparti, sei una ragazza intelligente.
Non ti distraggo oltre, a domani Ally e se domani mattina nel casino non ci becchiamo IN BOCCA AL LUPO! Si fotta il lupo…
 
Sorrido per l’incoraggiamento della mia amica e con il cuore leggero nonostante la testa pesante le rispondo.
 
Ahahahaha crepi! Grazie Nathy, sono sicura andrà bene anche a te, sottovaluti le tue potenzialità.
Buono studio, a domani, buona fortuna per l’esame! ;)
 
Detto questo poso il telefono nuovamente accanto a me e riprendo a studiare, con la sera arriva anche la paura, la febbre è ritornata, mi sento a pezzi, nella testa tutte le cose studiate sembrano messe all’interno di un calderone pieno di acqua bollente che fonde tutto e non mi lascia distinguere tra loro i miei pensieri, ceno con un pezzo di pane senza nulla e prendo le medicine sempre ripetendo l’ultimo dei tre libri, ormai è l’una di notte quando il mio telefono vibra di nuovo, lo prendo perplessa e con la vista appannata per la malattia e la stanchezza.
 
Ok, è il momento di chiudere il libro, mangiare qualcosa di più sostanzioso di un pezzetto di pane, lavarti i denti e dormire. Domani sarà una giornata impegnativa ma ne uscirai vincitrice come tuo solito, non preoccuparti e non distruggerti oltre. So che già tua mamma ti ha chiamato per fare il solito terrorismo psicologico e non smetterò mai di dirti quanto tu sbagli a darle retta, è solo una vecchia vipera. Dormi tesoro, domani ti chiamo nel pomeriggio, per favore non distruggerti come tuo solito.
Sono con te,
buona fortuna.
Ti voglio bene!
Tua,
Abby
 
Un sorriso seguito da due lacrime mi compare sul viso dopo aver letto il messaggio della mia migliore amica che dimostra di conoscermi come le sue tasche, decido di fare come mi dice forzandomi anche a mangiare e una volta a letto le rispondo.
 
A volte mi fai paura, sappilo…mi sento spiata!  Ho fatto tutto quello che mi hai detto comunque, sono a letto e spero davvero di meritare la fiducia che riponi nei miei confronti, vorrei riuscire a non dare importanza a mia madre ma è difficile.
Ora dormo, grazie Abby, sei una vera amica, la migliore.
A domani,
sogni d’oro
ti voglio bene :*
 
In seguito spengo il telefono e poco dopo non so se è per la febbre o perché non ne posso davvero più crollo in un sonno profondo senza sogni e senza luci.
La mattina mi sveglio per miracolo, la febbre è uno stabile trentotto ma mi costringo ad alzarmi e barcollante mi dirigo in bagno per sistemarmi alla meno peggio per non fare vedere al professore che sto male e quindi sminuire la mia esposizione.
Mi lego i capelli in un frettoloso chignon, mi trucco in maniera semplice evitando di truccare gli occhi in quanto a causa dell’alta temperatura corporea sono molto lucidi e non vorrei trasformarmi in un panda durante l’esame.
Come vestiti invece decido di mettere dei pantaloni di jeans nero invernali, una maglietta a casacchina viola con una cintura nera in vita e subito per i brividi indosso una giacca nera aperta con dentro un imbottitura di lana che subito mi riscalda, al collo metto una sciarpa di lana nera e come scarpe opto per un paio con tacco quindici viola scuro, in cui barcollo pietosamente ma non voglio uscire senza.
Metto l’orologio, un paio di orecchini semplici neri, afferro la borsa nera e corro (si fa per dire) fuori senza fare colazione, anche volendo non riuscirei neanche a ingoiare un sorso d’acqua, ho lo stomaco chiuso e le tempie martellano senza pietà.
Arrivo per miracolo, probabilmente, alla sede d’esame che  anche se sono in anticipo è già gremita di studenti che ripassano e che aspettano impazienti di togliersi il pensiero, mi siedo sospirando in una sedia e chiudo gli occhi cercando di riepilogare mentalmente le cose che ho studiato ma è tutto confuso, sento la testa come se pesasse cento kili  e non riesco neanche a concentrarmi.
Dopo un’ora e mezza di attesa snervante, sono ormai a pezzi sia psicologicamente sia fisicamente, la sedia mi sembra (nonostante l’imbottitura) dura come un altare di pietra usato per i sacrifici umani nei tempi antichi.
Arriva il mio turno e non capisco se mi martella più forte il cuore o la testa, avanzo lentamente verso l’aula e cerco di apparire il più serena possibile ma evidentemente è un fallimento perché il professore mi guarda con sospetto, mi siedo davanti a lui, incrocio le mani e lascio che inizi la tortura.
Riesco a rispondere a quasi tutte le domande, non come vorrei, riesco a dare le risposte giuste ma senza approfondirle, vedo che il professore vorrebbe di più e mi piacerebbe davvero poterlo accontentare ma non riesco nella confusione della mia testa a trovare i dovuti approfondimenti, quasi alla fine dell’esame sono esausta, non riesco neanche più a formulare frasi con una corretta struttura grammaticale e il professore è costretto a fermarmi.
“Signorina Morris, ha bisogno di una pausa? Si sente male? È pallida come un lenzuolo” esclama guardandomi preoccupato mentre con la bocca semi aperta sto cercando di dare una risposta alla sua ultima domanda ma le parole non escono.
“Si…sto bene, mi scusi” mormoro.
“Mi sembra invece che lei stia molto male e che stesse male pure all’inizio dell’esame, perché si è presentata nonostante le sue condizioni precarie?” chiede curioso.
“Devo fare l’esame” non riesco a dare una risposta più completa di così.
“Io apprezzo il suo impegno e apprezzo maggiormente lo sforzo che ha fatto per sostenere tutto l’incontro. Le sue risposte, nonostante le sue condizioni, sono state anche migliori di quelle molti ragazzi che si presenteranno qui oggi. Proprio per questo so che non sta facendo il suo massimo e non perché non vuole. Quindi non me la sento di bocciarla però non posso darle più di 24, è un voto oggettivo e non basato sulla fiducia però la invito caldamente a non accettarlo e ritentare alla prossima sessione d’esame, le darei i pieni voti sicuramente” dice con uno sguardo quasi paterno che per un momento mi lascia interdetta, sono davanti un bivio, fare l’esame con un voto mediocre che ucciderebbe la mia media futura o dire a mia mamma di aver fallito anche se per lei comunque 24 sarebbe alla pari di un fallimento, a questo punto non ho scelta, ho fallito…miseramente.
“Verrò alla prossima sessione, scusi per averle fatto perdere del tempo, grazie della pazienza. Se permette vado” dico con un tono atono come se fosse la voce di un estraneo a parlare.
“Non si deve scusare, mi aspetto grandi cose da lei Miss Morris,a presto. Si riguardi, mi raccomando” mi stringe la mano e io fluttuo fuori dall’aula, nella testa non c’è niente e sulle pareti della mia mente rimbalza la parola fallimento come una palla pazza, vorrei accasciarmi a terra per il dolore e per la paura che mi attanagliano le viscere ma resisto, cammino lentamente nelle strade senza vedere né sentire. Ho bisogno di andare a casa.
Sento il telefono vibrare e rispondo conscia di non potere evitare la verità e che non posso fuggire alle mie colpe.
“Pronto?” mormoro.
“Com’è andato l’esame?” dice fredda mia madre spezzandomi ulteriormente, come le dico che ho fallito? Come farò a tornare a casa con lei e mia zia? Non posso mentirle. Non posso scappare. Non riesco a fare come mi dice Abby.
“I-io… sono stata rimandata al mese prossimo” dico soltanto mentre con la mente scappo via schifata da me stessa, schifata da tutto.
“Hai fallito, quindi. Lo sapevo non dovevo farti andare via, erano solo capricci i tuoi, erano tutti una scusa per andare via quei giochetti che facevi tempo fa” sibila acida, distruggendomi lentamente come solo lei sa fare  e io non riesco a scappare, sono prigioniera delle sue parole. Per lei il mio tentato suicidio è stato solo un gioco per farmi andare via, si rifiuta di capirmi e di vedermi.
“Sto male… ho la febbre, scusami” sussurro con la voce che trema.
“No, sei solo un fallimento, un fallimento che ho generato per deludermi” e con quest’ultima frase le vecchie ferite si riaprono e quel poco che c’era di Aloe, l’Aloe che stava crescendo, scompare sostituita dalla tremante e distrutta Dafne, la solita Dafne.
“Scusa” dico piano come a farle capire cosa mi sta facendo.
“Prepara le valige” e riattacca senza lasciarmi il tempo di rispondere, mi scuso altre cento volte al telefono silenzioso e poi ormai perduta arrivo a casa, mi tolgo le scarpe lasciandole per terra chissà dove e la stessa fine fanno la giacca, la sciarpa e gli orecchini.
La casa è silenziosa, sono sola … come sempre.
Vado in bagno e socchiudo la porta, poi tutte le debolezze vengono a galla e mi piego sul water per vomitare, perché sono sporca dentro, non sono bella, non sono brava, non sono intelligente e non sono amata. Sono sola.
Vomito perché non sono una buona figlia, perché non sono una brava alunna e perché sono un fallimento. Non dovevo nascere.
Le lacrime escono impietose perché sto tornando com’ero prima e avevo promesso a me stessa che non sarebbe più successo, avevo giurato a me stessa che non mi sarei mai più fatta del male e umiliata.
Sono debole in verità e non riesco a ribellarmi, rimango chiusa nella gabbia in cui mi sono abituata a stare. Qualcuno mi liberi, qualcuno mi faccia uscire.
Vomito ancora ma continuo a sentirmi sporca, l’occhio mi cade sulla lametta nel bordo vasca, tremando e piangendo sempre più forte l’avvicino lentamente al polso della mano destra e seguendo la vecchia scia di dolore traccio una nuova linea rossa, più lieve e meno calcata perché la mano trema troppo, i singhiozzi aumentano e alla fine non riesco a vedere più nulla, non riesco più ad alzarmi e a muovere i miei arti, come scollegata dal mio corpo mi accascio sul pavimento freddo del bagno e osservo tra le lacrime le linee delle piastrelle del bagno, vorrei che qualcuno mi salvasse, vorrei qualcuno fosse qui per me ma sono sola e nessuno vuole allungarmi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Sono stanca, non riesco più a tenere gli occhi aperti, li chiudo e subito diventa tutto buio.
Tutto nero.


http://i62.tinypic.com/1zxqo3m.jpg   <-- completo dell'esame, mi sono tenuta sui colori scuri ><

Angolo dell'autrice:
Ciao a tutte, scusate il ritardo... ero convinta che durante le vacanze avrei avuto tanto tempo per scrivere e invece, ovviamente, mi sbagliavo XD
Questo al capitolo alla fine è uscito fuori troppo lungo e anche parecchio impegnativo, in quanto sono stata indecisa su come fare svolgere le cose, quindi al contrario di come vi ho detto la scorsa volta non è quello "decisivo" ma sarà il prossimo che sarà tra l'altrò visto dal pov di Jason. u.u
Scusate per il capitolo deprimente ma mi serviva davvero tanto e vi giuro che non ce ne saranno molti altri così deprimenti ç_ç soffro a fare soffrire i miei personaggi!
Non vogliatemene, il capitolo di Jason è già in lavorazione quindi spero di poter aggiornare quanto prima!
Grazie a tutte le ragazze che recensiscono dandomi spunti per migliorarmi, mi fa davvero piacere leggere cosa pensate.
Grazie a chi ha inserito la storia tra le ricordate-seguite-preferite, mi rallegra molto vedere che la mia storia è apprezzata.
Grazie a chi legge silenziosamente, vedere il contatore delle visite mi motiva sempre.
Grazie davvero di cuore. <3
Al prossimo capitolo, spero che questo capitolo non vi deluda.
A presto,
LittleSun



 
 
 
 
 
 
 
  
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