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Autore: effe_95    29/04/2014    4 recensioni
[ STORIA IN FARE DI REVISIONE ]
Claudia Rossi è una ragazza di sedici anni, frequenta il terzo anno del liceo Classico insieme a Francesco, il suo migliore amico dall'infanzia, ha una madre non troppo presente, un fratello cresciuto troppo in fretta e un padre che sembra sparito.
Yulian Ivanov ha diciotto anni, un carattere ribelle e spensierato, un passato che non vuole essere ricordato, e un'altra nazione nel cuore, la Russia.
Le vite di questi due ragazzi si incontreranno quasi per caso, per raccontare una storia passata di due persone che hanno solo bisogno di essere salvati.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Salvami, ti salverò.

70. Lacrime.
 
<< Yulian, sta morendo, perché non vai da lei? >>
Cos’è che le stava dicendo sua madre? Yulian non riusciva a capirlo.
Ah si, era cominciato tutto quella notte, la notte del 5 Maggio, quella stessa notte che stavano ancora vivendo. Yulian dormiva, era mezzanotte passata e Svetlana si agitava al suo fianco, poi verso l’una si era alzata e così anche lui, perché dormire era impossibile. L’aveva seguita per tutta la casa mentre si agitava, sudata e pallida, poi aveva vomitato una, due, tre volte nell’arco di un’altra ora, le aveva bagnato la fronte, l’aveva fatta bere per farle recuperare liquidi, ma lei aveva gridato.
L’aveva fatta stendere sul divano, ma erano cominciate le contrazioni, Svetlana aveva continuato a vomitare, allora Yulian aveva chiamato i suoi genitori, che erano arrivati mezz’ora dopo e l’avevano portata in ospedale che ormai sanguinava.
Erano arrivati lì alle tre e mezza del mattino e se l’erano portata via d’urgenza.
Yulian ricordava tutto molto confusamente, come in un film al rallentatore, ricordava il bagno tutto sporco di vomito, il copri divano macchiato di sangue, le grida e i lamenti imprigionati tra le pareti, non voleva più tornare in quella casa, non voleva.
Aveva gli occhi appannati dalla confusione, era stordito come se qualcuno gli avesse tirato un pugno sulla tempia, pallido sotto la luce.  << Yulian, ti prego a mamma, reagisci >>
E poi qualcuno gli aveva posato una mano sulla faccia, e lui si era mosso.
<< Perché mamma? Perché? Io ho fatto tutto quello che potevo, ho lottato, stava migliorando, aveva messo su due chili, perché? >> Una calda lacrima gli era poi caduta sul viso, e poi un’altra e un’altra ancora, e aveva cominciato a piangere, seduto su quella sedia con la faccia nascosta tra le mani e le braccia di sua madre a consolarlo.
<< Queste cose non possiamo saperle, lo sai. I dottori hanno fatto di tutto Yul, ma era troppo debole, il suo fisico non poteva sopportare una cosa del genere >>
Yulian scosse la testa come un bambino e singhiozzò, no, non poteva finire in quel modo, non dopo tutti i sacrifici che aveva fatto per restare con lei, non poteva partorire quel bambino e poi lasciarlo, e poi andarsene, avevano fatto un patto, avevano deciso insieme quella cosa, non avrebbe avuto più senso senza di lei tutto quello.
Yulian avrebbe perso Claudia inutilmente.
<< Signor Ivanov? Chi è il signor Yulian Aleksandrovich Ivanov? >> Katerina e Yulian sollevarono simultaneamente gli occhi, e Aleksandr, che se n’era stato in disparte per tutto il tempo, si avvicinò attento alle parole di quella minuta infermiera. Gli occhi castani della giovane si posarono su quelli umidi e arrossati di Yulian, stava provando pietà per lui, era evidente. << Vuole vedere il suo bambino? È  di tre chili esatti. >>
Yulian spostò lo sguardo altrove e scosse la testa. << No, voglio vedere mia moglie >>
La piccola infermiera arrossì imbarazzata, non sapendo assolutamente cosa dire a quel ragazzo dagli occhi vuoti, non sapeva come stava sua moglie, quella ragazza dai capelli così biondi da sembrare bianchi, quella ragazza dagli occhi azzurri che aveva visto entrare poche ore prima in sala operatoria. << Ma sta bene? Il bambino sta bene? >>
Fu Katerina a toglierla dall’impiccio, la fissava intensamente, apprensiva, anche lei stanca e così simile a suo figlio. << Si, sta bene. Adesso dorme, è molto bello >> Disse la giovane con enfasi, non sapendo nemmeno perché volesse tirare su il morale di quella gente a tutti i costi.
<< Voglio vederlo, mi può portare da lui? Aleksandr, andiamo a vedere il piccolo Alješa >>
Katerina si girò verso il marito e gli porse la mano, Aleksandr la prese con una familiarità meravigliosa, anche Yulian seguì quel gesto con una grande nostalgia negli occhi distrutti, mentre osservava i suoi genitori andare a vedere suo figlio.
Loro andavano a vedere suo figlio, e lui non voleva nemmeno pensarci.
<< Io vado da Svetlana >> Mormorò tirandosi su con una fatica enorme, come se avesse sulle spalle molti più anni dei suoi ventiquattro. << Yulij, dopo però vieni a vedere il bambino >>
Yulian guardò con pesantezza i genitori e annuì, mentre la madre gli baciava una guancia con l’affetto che solo lei poteva provare per lui.
Non c’era più niente da fare.
 
Yulian aprì la porta di quella maledetta camera d’ospedale come un condannato che andava a morire. Era spoglia, a eccezione di quel piccolo letto, della poltrona affiancata a quest’ultimo e dei macchinari medici che facevano una confusione pazzesca.
Svetlana era nel letto, piccola e pallida più del solito, le lentiggini spiccavano terribilmente su quel viso spigoloso, e gli occhi chiari erano contornati da occhiaie violacee.
Le braccia magre erano piene di siringhe, e lei non sembrava più la stessa,  non sembrava affatto quella sfacciata che aveva incontrato cinque anni prima, quella ragazza peperita dai capelli tinti di un rosso scadente che lo prendeva in giro, quando lui era più vulnerabile.
Nel ripensare a quella volta, Yulian si portò una mano sulla bocca per soffocare un singhiozzo, ma quel rumore così sottile fece svegliare Svetlana, che aprì gli occhi lentamente, affaticata, e lo vide, lì, accanto alla porta, quasi volesse nascondersi.
<< Yulian >> Lo chiamò, con la voce roca, ma sempre ferma e dura. << Yulian, vieni qui accanto a me >> Il ragazzo si asciugò più e più volte gli occhi e le andò incontro con lentezza, lasciandosi cadere sulla poltrona accanto al letto, come un reietto.
<< Yulij, hai visto? Alla fine hai pianto anche per me >> Commentò la giovane accarezzandogli una mano, Yulian però non si sentì rincuorato da quella lieve risata, si sentiva un codardo, colpevole per non averla amata come doveva. 
<< Mi dispiace, mi dispiace Svetoc’ka, mi dispiace da morire! >> Lei gli strinse più forte la mano e allungò il braccio per accarezzargli il viso come aveva fatto tante volte.
<< Yul, lo so che sto per morire, e proprio per questo, posso permettermi di dirti che non è colpa tua. Io ero malata già prima di conoscerti, mi stavo ammalando già allora, e tu non c’entri nulla.  >> Lui scosse la testa e le baciò una mano, non poteva essere tutto così facile.
<< Se ti avessi amata davvero, se ti avessi amata … >>
<< No. Io avrei dovuto lasciarti andare, ascoltami Yulian, ascoltami! Io sapevo molto bene che tu dovevi andare via, lo sapevo, e allora sono stata egoista. Questo bambino che è nato, non è arrivato per un caso, io ti mentivo, quando dicevo di prendere la pillola ti mentivo. Volevo a tutti i costi rimanere incinta, perché sapevo che solo in questo modo ti avrei legato a me per sempre. >> Yulian smise di piangere di colpo, e la stretta della mano si fece molto più leggera, gli stava scoppiando la testa, si sentiva confuso, non sapeva se arrabbiarsi oppure no, se gettare tutto all’aria oppure continuare a piangere per quella donna che stava morendo.
<< Però Yulian, anche se adesso mi odi, anche se mi detesti, ti prego, ti prego, ama quel bambino, amalo con tutto il cuore, amalo anche per me. Non mi pento di averlo voluto, di averlo messo al mondo, perché io ti ho amato, ti ho amato con tutto il cuore. È una cosa che abbiamo fatto insieme, è per metà mio e per metà tuo. L’unico rimpianto che ho è quello di non poter vederlo crescere, perciò ti prego, amalo anche per me. Amalo con il tuo cuore e anche con il mio. Parlagli di me, digli sempre che la mamma lo ama, diglielo, ti prego >>
Svetlana stava piangendo come un fiume in piena, e con lei aveva ripreso anche Yulian.
Odiarla non aveva alcun senso, non dopo tutto quello che aveva passato, e non gli importava più niente se lei aveva fatto quella cosa, perché era stato solo per amore, ed era per quello stesso amore che Yulian non l’avrebbe incolpata mai.
Perché le sarebbe mancata ogni volta che avrebbe guardato negli occhi suo figlio, ogni volta.
<< Lo farò sempre, ogni giorno, lui si ricorderà di te, e io con lui. Vivrai eternamente nel mio cuore, e vorrei tanto che tu non mi avessi mai conosciuto, saresti stata più felice >>
<< No Yulij no, tu sei stato la mia felicità nonostante tutto, e mi hai dato Aleksej, grazie amore mio, grazie >>
Yulian si alzò in piedi e si chinò sul di lei per lasciarle un bacio sulle labbra, Svetlana gli accarezzò affettuosamente i capelli, giocando con quelle ciocche ribelli, come amava fare da quando l’aveva conosciuto.
<< Yulij, sono sicura che Claudia sarà una brava madre per Aleksej, ne sono sicura, ma ricorda che questa povera ragazza ti ha amato lo stesso, va bene? >>
Yulian si immobilizzò sulle sue labbra al suono di quelle parole, e poi si accorse che Svetlana non stava più giocando con i suoi capelli e che la mano era immobile, appoggiata sul suo capo. Sollevò la testa di scatto e l’afferrò per le spalle, mentre lei lo guardava fisso con quei suoi occhi chiari.
<< Svetlana! Svetoc’ka! Andiamo, andiamo, Svet… >> Un singhiozzo strozzato gli salì alla gola, e Yulian non finì mai di pronunciare quel nome.
Si lasciò scivolare con le ginocchia per terra e sprofondò il viso nel petto della moglie, di quella donna che aveva amato, aveva odiato, che non avrebbe più parlato.
E Yulian sentì che quei cinque anni della sua vita non avevano avuto alcun senso.
Sentì il mondo cadergli sulle spalle.
Spaccargli la schiena.
 
 
Claudia saltò su come una molla.
La testa le girò terribilmente per quello scatto repentino, si guardò intorno con aria confusa, per poi ricordarsi di essersi addormentata sul divano a casa di Nathan, con un libro aperto sulla pancia che era rovinosamente caduto sul pavimento.
A svegliarla era stata la sensazione di qualcuno che aveva urlato incessantemente nella sua testa, di qualcuno che stava chiedendo il suo aiuto senza saperlo.
Si passò distrattamente una mano tra i capelli che stavano ricrescendo e si alzò in piedi con una certa pigrizia. Cercò Nathan per tutta la casa e lo trovò sulla piccola terrazza che aveva in cucina ad innaffiare la sua serra personale, se ne stava seduto a terra, indossava una maglietta bianca a mezze maniche e quella tuta blu che gli metteva in risalto i muscoli delle gambe, i capelli castani erano più scombinati del solito e sotto la luce del sole di prima mattina, scintillavano di riflessi dorati.
Claudia lo raggiunse e si chinò a terra abbracciandolo da dietro, per poi lasciargli un bacio sul collo abbronzato. << Buongiorno >>
<< Ehi amore, sei sveglia? >> Commentò lui regalandole un sorriso solare, mentre le accarezzava affettuosamente le braccia. Claudia lo baciò di nuovo nello stesso punto.
<< Si, che ore sono? >> Nathan lanciò un’occhiata distratta all’orologio che portava al polso e continuò ad innaffiare le piante. << Sono le sette meno venti, ti sei alzata presto >>
Claudia sbadigliò pigramente e si tirò in piedi per preparare la colazione.
<< Ieri sera sono proprio crollata, e pensare che volevo tornare a casa mia >> Commentò mentre metteva la macchinetta del caffè sul fuoco e prendeva il latte dal frigorifero.
<< Comunque stanotte ti sei lamentata parecchio, me ne sono accorto mentre passavo per andare in cucina a prendere l’acqua >> Claudia si bloccò di colpo e lanciò un’occhiata al fidanzato, che continuava tranquillamente a curare le sue piante con aria assorta, ricordava vagamente il sogno che aveva fatto, ed era stato sicuramente un incubo, poi la sensazione di quelle urla disperata gli ronzarono ancora una volta nella testa.
<< Credo di aver fatto un incubo, ma non ricordo niente >> Disse, mentre controllava il latte affinché una volta scaldato non traboccasse dalla pentola con cui lo stava scaldando in assenza di qualcosa di più appropriato.
<< Hai detto “ Yulian”, già, si, hai detto proprio quel nome >>
Claudia si pietrificò completamente, guardando con occhi ipnotizzati il latte, poi scostò lo sguardo su Nathan, che la stava fissando ancora seduto per terra, con i suoi occhi verdi contornati da pagliuzze dorate qua e là. La maglietta bianca era sporca di terra e sopra vi era una scritta nera a grandi caratteri che citava la frase: “ La fiducia è alla base del nostro rapporto”. Scostò lo sguardo colpevole e spense il fuoco sotto il latte per poi versare il liquido bianco all’interno di due tazze a forma di animale, due tazze che avevano comprato insieme qualche anno prima durante un viaggio insieme.
<< Beh, sei arrabbiato? >> Domandò lei mentre tirava via dal forno al microonde i croissant che aveva messo a riscaldare precedentemente, fumanti e appetitosi, Nathan si tirò in piedi e si accostò a lei per lavarsi le mani nel lavandino con un po’ di detersivo per i piatti.
<< No, anche a me capita di sognare le mie ex ogni tanto >> Claudia sobbalzò al suono di quelle parole, e si fermò a fissarlo con i piatti dei cornetti ancora tra le mani, Nathan le lanciò uno sguardo frettoloso e serio, per poi sorridere e schizzarla con l’acqua.
<< Che faccia che hai fatto! Stavo solo scherzando >> Disse ridacchiando, mentre si asciugava le mani con una pezza per la cucina e Claudia lo fulminava con i suoi occhi verdi e limpidi. << Beh, sappi che sono gelosa, anzi, gelosissima! >>
Commentò mettendo i piatti a tavola insieme al caffè e al succo di frutta, Nathan le regalò uno di quei suoi sorrisi solari e si mise seduto al suo posto proprio di fronte a lei, in quella che era diventata una routine da molto tempo. << Ne sono lusingato >>
<< Ah, ah, molto spiritoso >> Grugnì Claudia tagliando in due il suo cornetto bollente con le mani, per poi mettersene un pezzo in bocca, Nathan la imitò subito dopo tenendo lo sguardo fisso nel suo latte. << Beh, io dico che a questo punto possiamo anche sposarci >>
Claudia lo fissò distrattamente e accese la televisione come sottofondo.
<< Si, potremmo, ma io non lavoro e tu hai solo un impiego part-time, dovremmo almeno aspettare di prendere la laurea no? >>
<< Uhm, non hai torto >>
I due continuarono a mangiare in silenzio, con il vociare della tv di sottofondo e quello del canticchiare degli uccelli che si fermavano a volte nella piccola serra di Nathan, il posto più bello e caldo di tutta la casa. Nathan lanciò un’occhiata all’orologio mentre posava la tazza nel lavandino per lavarla e sospirò.  << Devo andare a fare l’esame, e devo muovermi >> Mormorò a se stesso, Claudia si alzò a sua volta e lo affiancò, anche lei con la tazza tra le mani per essere lavata, Nathan gliela prese e ci pensò lui, mentre lei prese ad asciugare le altre cose abbandonate sul lavabo.
<< Sai Nathan, sei mesi fa sono andata a San Pietroburgo, precisamente a Novembre >>
Il commento cadde nel silenzio, ma né lei né lui smisero di fare quello che stavano facendo, Claudia gliel’aveva finalmente detto, solo che Nathan sembrava del tutto indifferente.
<< Lo so, l’avevo capito. Ricordati che io so leggerti nell’anima, non puoi nascondermi nulla, amore mio >> Claudia si fermò di colpo, sorpresa.
<< E non hai detto niente? Non ti sei arrabbiato, non hai fatto praticamente nulla! >>
Nathan smise di lavare le cose e si girò a guardarla, con quei suoi occhi verdi e dorati, le mani sporche di sapone e i capelli che svolazzavano a causa della corrente che passava dalla finestra aperta della terrazza.
<< No. Sono stato qui a casa mia, ho guardato un sacco di film deprimenti, e poi anche il musical di Notre Dame, e c’era quella canzone, quella che Esmeralda canta quando è in prigione, mi pare si chiamasse “ Ali in gabbia e occhi selvaggi”, ecco, quando Quasimodo dice: “ Ma dove sei Esmeralda, dove ti nasconderai? In che vita sei caduta, brutto sogno la realtà, forse tu te ne sei andata, con tuo amato capitano, senza un vero matrimonio come in un rito pagano. Non mi dire che tu muori, senza pianti e senza fiori, non permettere che un prete, metta in croce in te l’amore” mi sono sentito veramente una schifezza, e ho pensato a te, mi sono sentito tradito, ma solo per un attimo >> A Claudia venne la pelle d’oca, non sapeva cosa dire, allora Nathan le accarezzò affettuosamente la testa e le voltò le spalle per andare a cambiarsi, ma quando arrivò sulla soglia Claudia lo fermò.
<< Nathan! Sono andata lì solo per sentirmi dire che lui non mi amava più. E arrivata a questo punto, anche io ho voluto smettere di amarlo, quindi, non preoccuparti >>
Lui le ricolse un caldo sorriso e poi se ne andò fischiettando, mentre Claudia si appoggiava con la schiena al bordo della cucina pensierosa, assaporando quella bugia che aveva detto.
Ma bugia o no, lei doveva andare avanti, e non pensare più a quelle urla, a quella richiesta d’aiuto che aveva sentito.
Il suo futuro era Nathan.
Non c’era più niente da fare.
 
Il 17 Maggio faceva freddo, ma c’era il sole.
Nella casa albergava una confusione terribile, il salotto era sepolto dai libri e dalla polvere, mentre tutto il resto sembrava essere impazzito improvvisamente.
Yulian vagava in quel disordine come un profugo.
Indossava una tuta grigia un po’ logora, vecchia di anni, che gli metteva in risalto le gambe slanciate, la maglietta nera gli andava un po’ larga e i capelli non erano nient’altro che una matassa informe di nodi e ciocche ribelli.
Vendere quella casa non era stato facile per niente, ma alla fine ci era riuscito, avrebbe dovuto sistemare le sue cose, fare gli scatoloni, ma era semplicemente impantanato in un disordine constante e non sapeva come comportarsi.  Svetlana avrebbe saputo cosa fare, lei aveva una mente scientifica, schematica come la filosofia di Kant, era lui quello con la testa tra le nuvole, era lui quello senza un punto fisso.
Il ragazzo vagò distrattamente tra i vari libri e gli abiti abbandonati nel salotto e sospirò grattandosi la nuca, aveva troppe cose da fare, e nessuna voglia.
I dodici giorni più lunghi della sua vita.
Aveva seppellito sua moglie, aveva visto piangere disperatamente i genitori separati di quella ragazzina tutta lentiggini e li aveva visti riuniti solo nel dolore, aveva preso in braccio suo figlio e l’aveva tenuto per tutto il tempo della cerimonia, mentre avrebbe solo voluto piangere e chiedere perdono altre mille volte a quella gente che lo incolpava.  
Yulian stava affondando di nuovo.
A salvarlo dal baratro di se stesso fu il suono del campanello, in realtà non aspettava nessuno, perché aveva ordinato ai suoi di restarsene a casa con Il’ja.
Tuttavia andò ad aprire, nonostante si trovasse in quelle condizioni pessime, le due persone che lo fissavano da fuori erano tutto tranne che aspettate, e lui doveva avere davvero un aspetto orribile per come lo fissavano.
<< Iliana?! >> Esclamò il russo sospirando pesantemente, mentre la sorella gli si gettava letteralmente addosso per abbracciarlo. << Yulian, come stai? >>
Mormorò lei accarezzandogli i capelli scombinati, Yulian sospirò leggermente e le regalò un caldo sorriso, stanco. << Ma cosa ci fai qui? Cosa ci fate? >>
Domandò il biondo lanciando un’occhiata alla figura di Francesco, ancora sul pianerottolo e con la barba incolta, ah come lo stava fissando, quante cose potevano dire quegli occhi così grigi. << Mi ha chiamata la mamma, mi ha detto tutto, ecco … >>
Le parole di Iliana vennero interrotte bruscamente dal pianto disperato di un neonato, di quel pianto che sapevano fare solo i bambini nati da pochi giorni, senza forze e strozzato.
Yulian si fiondò di slancio nella camera da letto, e lasciò i due sulla soglia di casa, Francesco entrò dentro e si richiuse la porta alle spalle, mentre Iliana si sfilava frettolosamente il cappotto per raggiungere il fratello più grande nella camera.
Non appena mise un piede sulla soglia, vide una scena che avrebbe ricordato per tutta la vita, Yulian aveva preso il figlio tra le braccia e l’aveva fatto appoggiare con la testolina sulla spalla, lo cullava e gli accarezzava i capelli bianchi come la neve.
<< Cosa c’è Alješa? Ti fa male il pancino? O hai fame? Sai, dovrai imparare presto a parlare, perché il tuo papà non ti capisce proprio >> Mormorava Yulian, sorridendo affettuosamente al figlio così piccolo tra le sue mani così grandi.
Iliana guardava la scena con il cuore che le saltava nel petto, e non poteva fare a meno di pensare a quella giovane donna che aveva messo al mondo Aleksej Ivanov, la sua mancanza si sentiva, eppure era un po’ come se quella Svetlana Aleksàndrovna Pavlovna, fosse presente negli occhi chiari di suo figlio. Non la conosceva, eppure Iliana aveva la netta sensazione che da quel momento in poi l’avrebbe conosciuta per sempre.
<< Yul, credo voglia essere cambiato >> Commentò entrando nella stanza, Yulian sussultò, guardando la sorella confuso, come se lo facesse per la prima volta, poi sembrò ricordare.
<< Credo tu abbia ragione, vuoi farlo tu? Anche con Il’ja, ero un disastro >>
Iliana annuì e prese il bambino tra le braccia con una delicatezza infinita, prima di lasciare la stanza, Yulian gli baciò con apprensione la testolina piccola e guardò negli occhi la sorella.
<< Sta attenta, è l’unica cosa che mi rimane di lei, e le ho fatto una promessa, le ho promesso che non sarebbe successo niente di male ad Aleksej, nulla >> Iliana sorrise e annuì.
Quando Yulian ritornò nel salotto, rimase interdetto, trovò Francesco intento a leggere dei libri con aria perplessa, molti erano in cirillico, alcuni in tedesco, e solo pochi in italiano.
Quelli in tedesco c’erano solo per bellezza. Il moro guardava tutte le copertine con interesse vivo, e a Yulian piaceva osservarlo, mentre lo immaginava ancora diciassettenne che si dimenava sui libri di greco e latino, o che diceva una marea di cretinate, probabilmente, quel lato non l’aveva ancora perso del tutto.
<< Che fai? >> Francesco sollevò la testa di scatto e fece cadere accidentalmente una pila di libri. << Notavo la confusione che regna sovrana nella tua casa. >> Yulian ridacchiò.
<< Mi sto trasferendo, torno a casa dei miei genitori per il momento, almeno finché il bambino non si fa un po’ più grande. Solo che non riesco a mettere in ordine le cose >> Commentò il biondo aggirandosi tra la confusione, Francesco si alzò in piedi, guardò distrattamente negli scatoloni, ne trovò uno vuoto e cominciò a depositarvi dentro dei libri, Yulian lo guardava a bocca aperta. << Che fai? >>
<< Ti do una mano Yulian, una mano a mettere via i ricordi >>
<< Non ne ho bisogno, e posa quei libri! Svetlana si infurierà quando vedrà che li hai messi in disordine! Non lo sai che mi rimprovera sempre?! >>
Sbottò Yulian infuriato, e poi si bloccò di colpo, rendendosi conto di quello che aveva detto, Francesco lo guardava con un leggero sorriso sulle labbra, mentre il biondo cadeva pesantemente sul divano e si portava le mani sulla fronte.
<< Devo andarmene di qui, non posso più stare in questo posto. Tutto mi grida addosso e io non riesco nemmeno più a dormire la notte, anche se quello non lo faccio già di mio. Basta!  Basta! >> Gemette schiacciandosi le mani sulle orecchie, a quel punto Francesco si alzò in piedi e lo raggiunse, per far si che Yulian non si chiudesse nel dolore.
<< Ascoltami Yulian, fidati di me ti prego, perché so bene come si fa. L’ho fatto io, l’ha fatto Claudia, puoi farlo anche tu. Trasformala in un ricordo, in un ricordo felice, e mettila in un cassetto, ma non in uno dove non potrai più vederla, in uno che andrai ad aprire ogni tanto, e dove troverai solo cose belle. >>
Yulian annuì impercettibilmente e si lasciò andare.
Nelle due ore successive lui e Francesco sistemarono tutto il salone, misero da parte le cose da portare via, quelle da dare e quelle da gettare, e tutti gli oggetti di Svetlana, Yulian li avrebbe dati, ma avrebbe tenuto per se le cose più importanti.
Rinchiuse in quegli scatoli le risate, la sua voce roca, tutte le lacrime, le notti passate insieme, e i litigi, chiuse tutto e poi lo lasciò lì.
Come un ricordo.
<< Adesso cosa farai Yulian? >> Domandò Francesco alla fine, mentre si passava una mano sulla fronte stanco.
<< Non lo so, per ora me ne starò qui, lavorerò >>
<< E poi? >> Yulian guardò con un sorriso tirato l’amico, rincuorato dalla sensazione che non fosse cambiato nulla, mentre ad essere cambiati erano proprio loro.
<< E poi devo andare da una persona, perché devo dirle che era tutta una bugia, perché devo fare in modo che mi perdoni. Perché è l’unico raggio di luce che mi resta. La mia bussola. >>
Francesco rise rincuorato, battendogli una mano sulla spalla.
<< Oh, glielo ricorderò ogni giorno, anche se non vorrà >>
Yulian rise, rise veramente, dopo tanto tempo.

 
 
 
Fine seconda parte.
 
_____________________________________________________
Effe_95

Buonasera.
Allora, non credevo di riuscire a postare questo capitolo così presto, ma dato che ne ho avuto l'occasione, ho pensato di coglierla.
Si, lo ammetto, sono felicissima che la seconda parte di questa storia sia finita, perchè mi ha davvero succhiato l'anima, a dirla tutta non sono soddisfatta nemmeno di questo capitolo, e in un periodo così stressante non sono mai contenta di niente, ma spero comunque che vi sia piaciuto.
Spero non ci siate rimasti troppo male, spero di non aver sbagliato troppo insomma.
E dal prossimo capitolo abbiamo la terza parte, che sarà anche l'ultima.
Adesso però vi lascio, altrimenti divento petulante.
Grazie mille a tutti per aver resistito fino ad adesso.
Grazie di cuore.


 
 
 
  
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