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Autore: gaccia    01/05/2014    2 recensioni
Raccolta di one-shot sull'innamoramento, gli incontri che ti possono cambiare la vita, i nuovi sentimenti o quelli vecchi. Prima del matrimonio, prima dei figli, prima del resto della vita. L'inizio che si porta dietro il brivido della scoperta (o riscoperta) del cuore.
Sono tutte shot che partecipano a contest sul forum efp.
1° one-shot "Anche i maestri sbagliano", Classificata seconda al contest "Elements Of An Empty Page"
2° one-shot "Batman e Robin" contest "Emozioni al primo sguardo", premio speciale "Love Story" (Grazie!)
3° one-shot "Sono la tua ricompensa" contest "La ragazza e... la spada".
4° flash-fic. "Un filtro d'amore" seconda al contest "Sai lanciare un incantesimo? [Pagan] Flash Contest" di Aleyiah
5° one shot, "Pranzo di nozze" partecipa al "Contest letterario Booksheels" e al contest "Frammenti di feste"
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Altra one-shot per altro contest. La ragazza e la spada.

Bah. Questa storia mi è uscita così e spero che riusciate a capire i vari passaggi temporali. Io li ho sottolineato con il tempo dei verbi ma potrebbe essere ostico da digerire.

Inutile altre parole. Leggete e giudicate da voi.

BUONA LETTURA…

 

---ooOoo---

 

Sono la tua ricompensa divina per essere la mia amata.

 

La sveglia che suona. Lo stress di una nuova giornata. Vestirsi, truccarsi, fare colazione, ultime sistemazioni, prendere la borsetta e la cartella con il campionario della merce ed i cataloghi ed uscire per andare al lavoro.

Incavolarsi perché si trova un traffico pazzesco che neanche il bus riesce a scavalcare. Il vento che ti sferza le gambe coperte dalle calze velate e che scaraventa il tuo ombrello dall’altra parte della strada, lasciandoti sola alla pioggia.

Correre sui tacchi al negozio ed aprire la porta di getto, salutando il proprietario anziano che ti guarda come un nonno affettuoso e si preoccupa del fatto che tu ti sia bagnata e possa prendere freddo.

Tu che sorridi e lo rassicuri prima di cambiare la giacca ed indossare quella professionale del negozio, poi accogliere il primo cliente della giornata e mostrargli gli ultimi arrivi per la prossima stagione primavera estate dove lo convinci che sarà sicuramente affascinante con quella camicia.

Lui ti sorride grato. È un uomo di mezza età con un po’ di pancetta, ma non vuole sembrare più giovane di quello che è. Nomina la moglie che dovrà portare in vacanza in un bel posto e lui non vuole sfigurare. Ride e tu con lui. Non ci sta provando e tu ti senti a tuo agio. Ti senti leggera e ti sembra di volare.

È questa la vita che hai sempre desiderato…

 

«Tani, alzati. Tuo padre ti aspetta di sotto». Maria ciabattò rumorosa fuori dalla stanza. Sbuffò all’indirizzo della domestica, di quella sveglia senza dolcezza, di suo padre che la pretendeva “di sotto” come se abitassero in un castello al posto di essere nell’alloggio sopra la palestra.

Poi, come ogni mattina da otto anni a quella parte, sbuffò alla foto che ritraeva la faccia gioconda della madre. L’unica che l’avrebbe difesa e si sarebbe imposta per farle vivere una vita normale,  invece di essere in balìa delle ambizioni smisurate di suo padre. Ma la malattia l’aveva consumata come una candela, portandosela via, e adesso, suo padre l’aspettava “di sotto”.

In bagno si spogliò del pigiama e si lavò la faccia con l’acqua fredda. Le piaceva buttarsi addosso un’ondata gelida, le sembrava di spazzare via tutti i residui della notte, di ripulirsi la giornata pronta a scrivere la sua nuova vita. Tristemente uguale a quella di ieri.

Si guardò allo specchio. L’immagine della ragazza ventenne con gli occhi grandi e scuri e i corti capelli castani  mechati di biondo, le restituì lo sguardo corrucciato. Le labbra carnose atteggiate a perenne broncio insoddisfatto e una leggera grinza tra le sopracciglia fini, che tra qualche tempo sarebbe diventata una ruga. Sua madre le diceva che era bella. Suo padre che doveva impegnarsi per diventare sempre più brava.

Ripensò al sogno che aveva appena fatto, così diverso dalla sua vita. Le sarebbe piaciuto fare la commessa, anche come Luisa, la sua amica impiegata al supermercato in fondo al corso, al banco del taglio.

«Tani, sei pazza?» le sembrava ancora di sentirla quando le aveva confessato i suoi pensieri «Ti rendi conto di quanto sei fortunata? Io farei di tutto per essere come te! Sei stata selezionata con la nazionale! Andrai sicuramente alle olimpiadi e conquisterai l’oro!» aveva urlato.

Sì, l’oro. Il chiodo fisso di suo padre. Ma cosa c’era dietro a quell’oro lo sapeva solo lei.

Lei che aveva si e no tre amiche al di fuori delle colleghe di allenamento. Lei che non aveva mai avuto un ragazzo perché l’unico che ci aveva provato si era stancato di aspettare che finisse gli allenamenti o le gare. Lei che aveva studiato la sera per non togliere ore all’allenamento, arrivando sfinita al diploma. Lei che non aveva mai visto una discoteca e i film li vedeva solo in DVD in salotto. Lei che la pizza poteva mangiarla solo una volta ogni tre settimane e rigorosamente margherita, altrimenti andava fuori peso. Lei che conosceva un milione di modi per cucinare le verdure e la frutta ma solo uno per la carne: ai ferri.

 

Scese al piano di sotto tramite la scala interna, finendo di allacciarsi la tuta con il logo della nazionale.

Sul lato opposto della palestra la stava aspettando suo padre a braccia conserte sul petto e gambe divaricate. Accanto a lui una rastrelliera di sciabole per gli allenamenti e nella teca, “Dakota”, la sciabola con la quale suo padre aveva vinto i mondiali tanti anni prima. Prima che l’infortunio al ginocchio gli impedisse di partecipare alle olimpiadi e conquistare l’unica medaglia che ancora gli mancava. Toccava a lei?

Per l’ennesima volta sbuffò. Nell’ultimo anno, da quando aveva finito la scuola e si era dedicata anima e corpo alla scherma, aveva iniziato a sbuffare con una frequenza sempre più preoccupante. Stava diventando insofferente.

«Eccoti! Preparati. Comincia con il riscaldamento» ordinò subito lui.

«Comincia con il riscaldamento… invece di dire “Ciao, Tani, hai dormito bene? Come ti senti? Vuoi andare in vacanza al mare? Vuoi andare sabato sera in discoteca? Ti piacerebbe fare un pic nic e lasciare stare gli allenamenti per oggi?”» borbottava come una caffettiera mentre saltellava lungo il perimetro dell’enorme stanzone.

Al mattino la palestra era chiusa e lei poteva sbizzarrirsi a suo piacimento su quali esercizi fare. Il pomeriggio doveva lasciare gli attrezzi agli altri e dedicarsi alla pedana.

 

Stava ancora facendo pesi quando suo padre uscì dal suo ufficio e si avvicinò alla porta. Strano, non era suonato il campanello.

«Benvenuti! Entrate, prego» invitò le persone sconosciute. Fece spazio a due ragazzi alti, biondi, quasi imponenti, seguiti da un uomo basso e pelato il quale strinse la mano a suo padre e venne subito introdotto nel suo ufficio, lasciando gli altri due impacciati all’ingresso con due grossi borsoni per ciascuno.

Erano sportivi. Schermitori. Ormai li riconosceva a naso.

Ogni tanto veniva qualcuno di altre società nazionali per allenarsi. Sotto l’occhio attento del padre che, come istruttore, doveva riconoscere, era davvero il migliore.

Ricominciò a fare la sua sessione di pesi, mentre con la coda dell’occhio osservava i due ragazzi che, gettate le borse per terra, iniziarono a girovagare per la palestra.

Sussurravano tra loro e facevano risatine, spintonandosi con cameratismo.

Bighellonarono ancora per altri minuti, sollevando pesi, spostando aste, scavalcando panche e la pedana centrale dove si svolgevano gli incontri ufficiali.

Lentamente arrivarono alla rastrelliera con le sciabole e quello leggermente più basso cominciò a soppesarla e a fendere l’aria per sentirla sibilare.

“Sciabolista” borbottò Tani. Smise i pesi ed iniziò a saltare con la corda, fissando i due ragazzi. Non le importava cosa stessero facendo, ma suo padre se la sarebbe presa con lei se avessero combinato qualcosa.

 

Il biondo più alto si avvicinò alla teca e aprì l’anta, allungando poi la mano per prendere “Dakota”, la vecchia sciabola del padre.

«Lascia stare “Dakota” dov’è!» disse a voce alta, facendo rimbombare le pareti.

La  mano del biondo si bloccò e lui girò la testa incuriosito. Tipica faccia da “Cosa era un “Dakota”?”

Per l’ennesima volta in quella mattina, Tani sbuffò.

«Se ti stai chiedendo chi sia “Dakota” è la sciabola che stavi per prendere. È quella di mio padre e in lingua Sioux, Dakota significa amico» spiegò avvicinandosi.

Il biondo tolse la mano e la tese verso di lei con un enorme sorriso.

«E tu sei?».

«Tani, che significa “Vallata” in giapponese, “Amata” in melanesiano, “Giovinezza” in tonkinese ma io personalmente preferisco il significato in andaluso: “Toro che carica alla cieca” e che per te può essere molto pericoloso» si fermò davanti a lui, con le gambe leggermente divaricate, le braccia incrociate sul seno e la convinzione di conoscere perfettamente il tipo: spocchioso, viziato, pigro, arrogante e play boy. E a lei sarebbero toccate le lamentele di suo padre su come fosse impossibile lavorarci insieme, come se per lei fosse una passeggiata.

Gli occhi azzurri del ragazzo brillarono divertiti «Axel. Non so cosa significhi ma andrò a informarmi» e aspettò con la mano tesa verso di lei che non si sognava neanche di rispondere al gesto.

«Io sono Manolo e sono quasi certo che non ci siano significati strani nel mio nome, se non il fatto che mia madre era fissata con un vecchio telefilm americano sul West…».

«Mano, la conosco la storia» lo interruppe Axel laconico, ancora in attesa della mano di Tani.

 

In quel momento dall’ufficio uscirono i due adulti.

«Oh, Tani. Hai già fatto amicizia con Axel e Manolo. Resteranno con noi per sei mesi, per prepararli agli internazionali» annunciò suo padre.

Ecco! Lo sapeva! Adesso sarebbe ricominciata la solita solfa su lavoro di squadra, l’aiuto in famiglia e le lamentele per tutto quanto. Uno strazio.

Le sue labbra si tirarono in un sorriso stentato e, finalmente, strinse la mano di Axel.

«Stavo cominciando ad avere i crampi a forza di tenerla nella stessa posizione» bisbigliò al suo indirizzo, attento a non farsi sentire.

Incredibile! Spocchioso, viziato, pigro, arrogante, play boy e con la sfacciataggine di voler fare il simpatico come un carciofo nel buco del culo?

«Papà. Prima stavamo parlando di fare un incontro come allenamento. Possiamo?» disse Tani improvvisamente, lasciando tutti interdetti.

«Ma… i ragazzi non si sono ancora scaldati… forse non è il caso adesso» borbottò suo padre ma Axel si era già ripreso.

«Nessun problema. Prometto che staremo attenti. Posso prendere…» indicò una delle armi sulla rastrelliera.

Il padre annuì e gli porse anche il giubbetto e il casco.

 

Tani corse a cambiarsi e, quando tornò, trovò Axel pronto ad attenderla in pedana.

Sapeva che il padre non si era fieramente opposto perché aveva bisogno di sapere a che livello fossero i due ragazzi e lei… beh, voleva dare una piccola lezione al biondo spocchioso, viziato, pigro, arrogante, play boy finto simpatico.

Fecero il saluto, si voltarono come da protocollo e infilarono la testa nel casco. Lei aveva preso la “sua” Dakota. La sua amica di tante battaglie in pedana. La sciabola perfetta. Perfetta per lei.

Incrociarono le lame ed iniziarono.

 

Tani aveva tentato di provare con il fioretto. Era più leggero, maneggevole, aveva bisogno di meno forza fisica, ma non le dava la soddisfazione della sciabola. Ci scaricava i muscoli nell’assalto, nella parata, nell’affondo. C’era un bersaglio più ampio da colpire e da difendere ed era più stancante ma la faceva più felice.

Axel era bravo. Parava, danzava sulla pedana, avanzava ed arretrava con grazia, nonostante la sua mole.

Al secondo affondo del ragazzo, dopo aver preso ferro una volta, venne colpita al braccio e si sentì il suono stridulo del campanello.

Suo padre urlava indicazioni a tutti e due, come fosse un vero allenamento, già calato nella sua parte di coach.

«Uno per me. Forza, amata, fammi vedere come mi carichi!» la scimmiottò Axel. E lei vide rosso, esattamente come il toro andaluso che caricava alla cieca. Esattamente come il suo nome.

Irrigidì e fletté i muscoli e si preparò all’affondo. Parò e affondò riuscendo a trovare il busto.

Di nuovo il campanello suonò stridulo.

«Uno a uno, piccolo snob» mormorò.

Sentì Axel grugnire da vero signore e ricominciarono con le stoccate.

I minuti passavano e i suoni del campanello alternavano equamente i punti tra loro. Il sudore colava al di sotto della maschera e sulla mano.

Era bravo. Dannatamente bravo, accidenti. Ma anche lei non era da buttare. Lo sapeva e adesso lo sapeva anche il biondo.

“Dakota” si stava comportando alla grande. Erano ancora in parità ma mancavano solo due punti al finire della sfida e i suoi muscoli doloranti non vedevano l’ora.

Prese il ferro per l’ennesima volta e si slanciò indietro, roteò il polso e, fulminea, colpì sotto il costato. Piegò il gomito verso l’anca, piegandosi in avanti a esultare.

Non erano sfottò, era lo sfogo della tensione per l’affondo andato a buon fine.

Altri respiri lunghi per calmare i nervi furono fatti da tutti e due.

Ormai suo padre non dava più direttive ma si godeva lo scambio, registrando mentalmente quanto sarebbe stato l’argomento della sua prossima lezione.

 

Era in vantaggio, Tani. Un ultimo punto e avrebbe strappato per sempre il sorriso vanaglorioso di Axel dal viso perfetto. Perfetto? Assolutamente no! Snob, piuttosto, e antipatico! Certo! Antipatico!

In guardia, braccio indietro, Dakota avanti, ad annusare l’ultimo bersaglio, a sfiorare il giubbetto come una piuma e a esultare per la vittoria.

Partì con l’affondo e prese il ferro, arretrò e ripartì con impeto. I muscoli delle cosce gridavano pietà, come mai prima. Era stato un incontro davvero duro.

Axel sembrò bloccarsi un attimo nel momento in cui a Tani cedette il ginocchio. Tutti e due si ripresero immediatamente, ma Tani fu più veloce e colpì di piatto sul fianco il biondo.

Era come se avesse vinto i mondiali, gli europei, i nazionali e le olimpiadi tutte insieme. Alzò le braccia al cielo in un urlo liberatorio mentre si liberava del casco e scuoteva i suoi capelli a caschetto.

Baciò la coccia della sua Dakota e salutò l’avversario come voleva il protocollo.

Axel si avvicinò con passo indolente e le tese la mano «Si davvero in gamba. Complimenti» mormorò sorridente.

Tani lo guardò socchiudendo gli occhi diffidente. La prendeva in giro? Ci pensò su almeno un minuto buono, poi decise che nessuno poteva avere un sorriso più aperto e sereno di lui, dopo aver perso contro una ragazza.

«Grazie, complimenti anche a te», rispose.

 

Forse per diventare amici bisognava scornarsi. Con Tani aveva funzionato, perché da quel momento si potevano trovare spesso lei e Axel in giro per la palestra a chiacchierare tra un esercizio e l’altro.

Guardandolo, Tani aveva capito che il ragazzo non aveva dato il cento per cento contro di lei, ma, conoscendolo successivamente, preferiva soprassedere all’umiliazione di farglielo notare.

Passarono quasi quattro mesi prima che Axel riuscisse a convincere Tani a una uscita in discoteca. Neanche un pellegrinaggio avrebbe agitato tanto la ragazza come quella sera.

Se ne restò delusa non lo confessò mai, di certo rise e ballò, confortando Axel con un comportamento spensierato, ma rifiutò ogni altro invito con la scusa di essere a ridosso delle gare internazionali. In compenso non vide più un film in salotto ma direttamente al buio, al cinema, seduta comodamente sulle poltroncine di velluto, mano nella mano con il biondo.

 

Era straordinario trovarsi entusiasta ad alzarsi. Correre a prepararsi per scendere in palestra e incrociare la lama con lui. Lui che non si lamentava per dover aspettare la fine degli allenamenti, lui che non gli pesava attendere la gara prima di uscire di nuovo. Lui che era capace di parlare di tutto tranne che di scherma per una intera serata. Lui che aveva iniziato a chiamare la sua sciabola «“Dakota” perché le nostre sciabole erano Dakota tra loro, proprio come noi».

 

Arrivarono gli internazionali e lasciarono ottimi piazzamenti, un bronzo a squadre per i ragazzi e un bronzo individuale per Tani e la qualificazione alle olimpiadi.

I festeggiamenti furono un turbine per loro. Alticci si trovarono stesi sul divano del salotto a baciarsi come se fosse l’ultimo istante della loro vita, mentre gli altri applaudivano ed incitavano.

Fortuna che il padre di Tani era assente o avrebbe fatto il diavolo a quattro, anche contro un ragazzo pieno di talento come Axel.

Purtroppo quella fu l’ultima volta che si videro di persona prima delle olimpiadi che si sarebbero svolte quattro mesi dopo.

Axel e Manolo partirono il mattino dopo mentre Tani rimase ostinatamente a letto, adducendo un gran mal di testa per colpa dei bagordi della serata precedente.

 

Senti il campanello della porta d’entrata che suona ancora. È l’ultimo cliente della serata, si spera. Il proprietario del negozio è già andato a casa e questa sera tocca a lei chiudere.

«Buonasera, amata!» esclama un uomo alto e biondo, con un incredibile sorriso sereno stampato in faccia.

Sospira. Nessuno ha mai avuto un sorriso disarmante come quello di Axel. Lancia un urletto e corre incontro a lui, nonostante i tacchi, la gonna stretta sotto il ginocchio e la sua età non più ventenne.

Si lancia tra le braccia forti del suo bellissimo marito, spiccando un piccolo salto.

«Attenta! Non vorrai far male alla nostra piccola Dakota!» la rimprovera prendendola in braccio e sfiorando la piccola pancia con un dito.

«Chi ti dice che non sia un Axel Junior?» replica ridendo.

«Ti ricordi cosa ti ho detto appena ci siamo abbracciati per la tua vittoria alle olimpiadi?» chiede facendola girare in tondo.

«Che avevi scoperto che Axel deriva dal tedesco e significava “ricompensa divina”» risponde lei.

Dopo sedici anni è ancora bellissima con i capelli lunghi castani e gli occhi scuri più profondi che lui abbia mai visto. E ha la bocca più sensuale che abbia mai baciato, e quando sorride lo fa sentire…

«E ti ho  detto che ero la tua ricompensa divina per essere la mia amata vincitrice della medaglia d’oro. Hai già troppo da fare con me, per sopportare altre ricompense divine!» e ridono tutti e due.

Si affrettano a casa. Lui è tornato da un viaggio per conto di un giornale sportivo per cui lavora e domani redigerà l’articolo sulle gare di scherma a cui ha assistito. Ma questa sera è solo per loro due, il loro salotto e il DVD appena uscito del film che non erano riusciti ad andare a vedere.

Tani ha scoperto che è bello guardare un DVD a casa. Dalla vetrina dei trofei le due “Dakota” ammiccano incrociate.

 

---ooOoo---

Angolino mio:

solo una cosa: questa è una raccolta di one-shot, diverse con temi diversi. Essendo intesa così flaggherò il conclusa ogni volta che ne aggiungerò una.

Questa raccolta potrebbe non avere mai fine ma ogni storia è finita a sé.

 

Grazie per l’attenzione

Alla prossima

baciotti

 

  
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