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Autore: LunaMoony92    02/05/2014    3 recensioni
E' passato più di un anno dalla morte di Fred. George è distrutto e, per l'ennesima volta, decide di affogare il suo dolore nell'alcool. Ma qualcosa succede quella sera. Per uno strano scherzo del destino o per chissà cosa, George si ritrova a casa di Hermione. Questo è l'inizio della nostra storia...
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Certe notti la macchina è calda e dove ti porta lo decide lei.
Certe notti la strada non conta e quello che conta è sentire che vai.


Non ne poteva più di stare chiuso in casa a crogiolarsi nel dolore. Doveva fare qualcosa. Qualsiasi cosa per riuscire a non pensare, per liberare la sua mente da quel pensiero fisso.
Si, una bella sbronza era quello che ci voleva. Prese le chiavi della nuova auto incantata di suo padre e partì, senza avere una meta ben precisa. Lasciava la scelta al fato, si sarebbe accontentato.
L’importante era andare via da quella casa in cui ogni cosa gli ricordava Fred.



Certe notti fai un po' di cagnara che sentano che non cambierai più.


Si era ritrovato a volare sopra Hogsmeade senza nemmeno rendersene conto.  Sperava in una bevuta solitaria ai Tre Manici di Scopa, ma si sbagliava. Dopo aver parcheggiato, gli si parò davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere. Era Angelina, l’ex di Fred.
Da un po’ di tempo aveva preso a tampinarlo, se la ritrovava in ogni posto in cui andava. Anche lei stava male per la morte di Fred, certo, ma George non la voleva intorno. Con lei era sempre un “Fred.. no, scusa George” “Ah, ti ricordi quella volta in cui Fred…” e a lui faceva troppo male ricordare, troppo male anche solo sentire il nome di suo fratello.
La voce di Angelina lo riscosse dai suoi pensieri. “Ehi, ciao Fr... George” Ecco, l’aveva fatto di nuovo. George represse a fatica la rabbia e la salutò con un cenno. “Stai entrando anche tu?” Nessuna risposta. “Beviamo qualcosa?” George cercò di immaginare per un secondo cosa lo avrebbe aspettato se avesse detto di si. No, decisamente quella sera non avrebbe retto. Non sapendo bene cosa fare, la lasciò lì in attesa e, senza dire niente, si avviò verso la Testa di Porco.
Decisamente quello era un posto  in cui Angelina non si sarebbe mai sognata di entrare. Gli dispiaceva per quello che aveva fatto, ma davvero, non avrebbe sopportato una serata con lei.
La sua famiglia, fra mille sofferenze, stava andando avanti. Lui no. Non avrebbe mai  potuto, non  senza il suo Fred. Da quando era morto, anche George aveva smesso di vivere. Sopravviveva. E, nonostante tutti cercassero di tirargli su il morale e di aiutarlo, beh, nessuno di loro era Fred.
Entrò nel pub. Era ancora più lugubre di quella volta in cui c’era stato con Harry, Hermione, Ron, Fred e gli altri per la riunione indetta per fondare l’ES. Erano passati 4 anni da quel giorno.
Sospirò ricordando il suo ultimo anno a Hogwarts. Lui e Fred avevano si erano dati da fare, l’avevano fatta pagare a quel rospo rosa della Umbridge. Aberforth lo salutò con un cenno e gli servì un bicchiere di Fire Wiskey. Ormai poteva considerare George un cliente abituale: sapeva che aveva bisogno di qualcosa di forte.
Dopo tre o quattro bicchieri, George iniziò a sentire una piacevole sensazione di vuoto pervaderlo completamente. Era questo che cercava, il vuoto: non avere nessun pensiero, nessun problema per la testa. Sentì un rumore, era la porta. Qualcuno lo stava guardando scuotendo la testa. Era Lee Jordan, suo grande amico ai tempi di Hogwarts e attuale aiutante nel negozio di scherzi.
George non aveva quasi mai voglia di andarci. Tutto, lì più che in ogni altro luogo, gli ricordava cosa aveva perso.
Lo salutò e lo invitò a sedersi con lui. Lee era passato a trovarlo alla Tana ma non l’aveva trovato, così aveva immaginato una delle tante fughe di George. Aveva provato in ogni modo ad aiutarlo, a stargli vicino. Ma se questi erano i risultati...
“Ehi Lee, perché quel muso lungo? Vuoi da bere?” Lee accettò, ma non disse nulla. “Dai amico, non guardami così! Sto bene! Guarda, ho una sorpresa per te.” disse George ed estrasse dalla tasca un pacchetto di quelle che, a prima vista, sembravano Api Frizzole. “Cos’è? Vogliamo fare concorrenza a Mielandia adesso?” cercò di scherzare Lee.
“Divertente Lee, no questa è la mia nuova invenzione. Anzi, diciamo che Hermione mi ha dato una mano.”  Lee lo guardò torvo. “Ok, più di una mano. Diciamo che io ho messo solo la manodopera. E’ una cosa che le serviva per il Ministero. Prova a mangiarne una, dai!”
Lee sapeva che non c’era da fidarsi ma accettò, vendendo negli occhi di George un lampo di vita che mancava ormai da troppo tempo.  Non appena la caramella ebbe toccato la sua lingua, sentì una strana sensazione di pizzicore. “Ma cosa cavolo…” fu l’unica cosa che riuscì a dire. “Dimmi una bugia adesso” disse George. Lee era spiazzato, ma se questo poteva fare stare meglio George… “Beh.. Io amo la Umbridge, era la mia insegnante preferita. Ah, e odio il Quiddich, mi fa proprio schifo!” George scoppiò a ridere. Per un momento, Lee credette di avere di nuovo accanto a sé il vecchio George, sempre sorridente e pronto a fare scherzi. Non ebbe nemmeno il tempo di realizzare quello che stava succedendo che si ritrovò la faccia piena di brufoli. George rideva, vedendo la faccia sconvolta del suo amico, ormai piena di bubboni che formavano la scritta "BUGIARDO". Ma fu un momento. Subito il sorriso di George si spense e con un gesto della bacchetta fece tornare a posto il viso di Lee. “Beh, Lee, ci vediamo lunedì al negozio, io vado. Stammi bene” disse George. “Ciao Georgie…”
Prima di uscire, George pagò ad Aberforth un’altra bottiglia di Fire Wiskey e, bevendo, uscì.
 


Certe notti c'hai qualche ferita che qualche tua amica disinfetterà.
Non si può restare soli, certe notti qui, che chi s'accontenta gode, così così.


Da quando era morto Fred, George non era riuscito a creare nessun nuovo prodotto per il negozio. Tutte le idee migliori le aveva sempre avute Fred e poi, anche se avesse voluto, non sarebbe stato lo stesso senza di lui. Un giorno, mentre era sdraiato sul suo letto alla Tana, sentì bussare alla porta. Non rispose, non voleva vedere nessuno. Ma la porta si era già aperta e Hermione lo stava guardando, in attesa di un cenno. “Beh, ormai sei dentro” fu l’unica cosa che ottenne. Ma Hermione non si lasciò scoraggiare. “Ehi George… Mi servirebbe il tuo aiuto.”
George, che fino a quel momento non l’aveva nemmeno guardata, si voltò sorpreso: “Tu hai bisogno di me?” Cos’è, una nuova trovata di mia madre per tenermi impegnato?” sbuffò. Hermione vacillò un attimo, ma da buona Grifondoro qual era, prese il coraggio a due mani e disse: “Senti George, io sono venuta da te perché mi serve una mano per una missione per conto del Ministero. Credevo di poter contare sul tuo aiuto, ma a quanto pare… Vorrà dire che ne farò a meno. Non sono venuta qui perché mi fai pena.” E così dicendo girò i tacchi per andare via.
“Aspetta! Scusami… Beh, dimmi. Vedrò cosa posso fare.” disse George cercando di riprendersi dalla brutta figura appena fatta.
Hermione, in effetti, era l’unica che non si era mostrata diversa da prima nei suoi confronti. Non lo trattava con riguardo e non cercava di consolarlo come facevano tutti gli altri. E George di questo le era grato. Almeno lei non lo faceva sentire un caso pietoso.
“Hai detto che ti serviva aiuto per una missione per conto del Ministero, di cosa si tratta?” disse George, vedendo, con sua grande sorpresa, che Hermione era tornata indietro. “Ovviamente non ti posso raccontare i dettagli, ma sospettiamo che ci siano degli infiltrati al Ministero e sto cercando un modo “discreto” per scovarli.”
Era nata così la loro strana “collaborazione”. Hermione, che aveva passato tutto il suo anno da Prefetto a rimproverare i gemelli per i loro scherzi e per la vendita dei “Tiri Vispi”, adesso si trovava coinvolta nella creazione di un nuovo prodotto. Certo, era tutto a fin di bene. Il tempo passato insieme a lavorare faceva bene a George, lo teneva impegnato, aveva meno tempo per stare male.
 

 
George vagava senza meta con la bottiglia in mano, ormai quasi vuota. Doveva tornare a casa, cominciava a fare freddo. Di lì a poco avrebbe nevicato. Decise di smaterializzarsi, ma, quando ricomparve, davanti a sé non vide la Tana, ma il quartiere di una periferia babbana in cui era stato soltanto un'altra volta. 
Hermione sentì un rumore nel vialetto di casa sua. Scostò la tendina per vedere a cosa fosse dovuto e rimase spiazzata da ciò che vide. George giaceva bocconi su un’aiuola, con la faccia sprofondata nella neve. Di corsa prese il cappotto e uscì fuori. “George, George, mi senti?” Niente, nessuna reazione. Hermione pensò al peggio. “George, allora, svegliati!” ormai urlava. “Che c’è? Chi sei?” disse lui con la bocca impastata dall’alcool. “Ma sei scemo?? Mi hai fatta morire di paura!” Vedendo che il ragazzo non collaborava, Hermione lo fece levitare fino dentro casa. Se fosse rimasto un altro po’ fuori avrebbe rischiato l’assideramento. “Mi spieghi cosa ci facevi mezzo svenuto nel vialetto di casa mia?” chiese Hermione, sull’orlo di una crisi di nervi. Ma George si era già addormentato sul divano su cui l’aveva fatto appoggiare.
Esasperata, Hermione lo sistemò un po’ meglio. Mandò un gufo alla Tana, sicuramente erano preoccupati, e tornò dal suo insolito ospite.
Si sedette sul bordo del divano per guardarlo meglio. Aveva bevuto, di questo ne era certa. E anche tanto. Perché doveva ridursi sempre così? Hermione non aveva mai mostrato di provare pena nei suoi confronti. Aveva capito che in quel modo lui si sarebbe sentito peggio. Allora aveva deciso di trattarlo come sempre, nessun gesto di cortesia diverso dal solito, nessuna emozione lasciata trasparire. Era sempre stata molto brava a nascondere le sue emozioni. Ma anche lei stava male. Molto male. Ogni giorno pensava a tutte le persone che era morte durante la guerra, al dolore di chi era rimasto. Ron e Harry dovevano ancora finire l’addestramento da Auror ed erano all’estero da mesi, lei aveva preso a lavorare al Ministero e si sentiva terribilmente sola.
Vendendo George in quelle condizioni, non poté fare a meno di intenerirsi. Lui stava dormendo, sicuramente non si sarebbe accorto che lei lo stava accarezzando piano, né tanto meno avrebbe notato le lacrime che le rigavano il volto.
Passarono delle ore. Hermione si era addormentata sulla poltrona leggendo un libro, con una mano teneva quella di George.
George aprì piano gli occhi. Dove si trovava?  Provò ad alzarsi, ma una forte fitta alla testa lo fece desistere. Aveva preso davvero una bella sbornia. Poi la vide. Che ci faceva lì, Hermione? Anzi no, cosa ci faceva lui a casa di Hermione? Era stato lì soltanto una volta, quando le aveva dovuto consegnare l’ordine delle Caramelle della Verità, aveva riconosciuto quel luogo guardando fuori dalla finestra. E, soprattutto, come mai era nel suo letto? Ricordò vagamente se stesso a Hogsmeade che si smaterializzava e il freddo della neve sulla faccia. Poi, il vuoto.
Hermione si svegliò. “Ehi…” disse piano. “Come ti senti?” “Beh, ho i postumi di una sbornia, se ti dicessi bene, mentirei”. George provò ad alzarsi, ma il senso di nausea lo colse all’improvviso, così ci rinunciò. “Aspettami qui, vado a prenderti qualcosa” disse Hermione uscendo. Tornò poco dopo con un bicchiere fumante. “Cos’è? Non è che mi vuoi avvelenare, Granger?” “E’ una pozione di mia invenzione. Bevila tutta, su!” George la bevve un po’ titubante. “Che schifo! Sembra fango!” “Cosa ti aspettavi? Succo di zucca? E poi dopo tutto lo schifo che hai bevuto stanotte, cosa vuoi che sia!” disse Hermione con tono di rimprovero. George la guardò. Perché lo stava aiutando?  
“Non so perché mi trovo qui.” Fu l’unica cosa che riuscì a dire, come per giustificarsi. “Dormi adesso, non ci pensare”. Era una fortuna che ci fosse Hermione piuttosto che sua madre lì. Lei non aveva fatto domande, non l’aveva rimproverato. L’aveva solo aiutato. E con questo pensiero sprofondò in un sonno senza sogni.
 



Era ormai mattina. Hermione era in cucina a preparare la colazione per sé e per il suo ospite. Aveva ricevuto un gufo da Molly che la ringraziava e la invitava a pranzo. Sentì dei rumori provenire dal piano di sopra, George si era svegliato. Poco dopo lo vide spuntare in cucina, la faccia stravolta. “Buongiorno George” disse con un tono di voce volutamente alto. “Granger, ma cosa urli? Mi scoppia la testa!” “Così impari a sbronzarti come una spugna e spuntare in piena notte mezzo morto a casa mia!” “Scusami per il disturbo, vado via subito!” risposte stizzito George. “No, fermati, dove vai? Ti ho preparato la colazione! E’ solo che mi hai fatta preoccupare stanotte.”  Mangiarono in silenzio, nessuno dei due sapeva bene cosa dire. Fu Hermione la prima a parlare: “Tua madre sa che sei qui. Ci ha invitati a pranzo.” George trasalì: “Hai detto a mia madre che mi hai trovato sbronzo nel vialetto?” “Non sono una stupida, le ho detto che siamo usciti e abbiamo fatto tardi, così ti ho chiesto di rimanere a dormire qui per non farti guidare. A proposito, spero che l’auto di tuo padre se la sia passata meglio di te stanotte…”
“Per le mutande di Merlino! L’auto!”
Hermione rideva di gusto, l’aveva fatto apposta. "Stai tranquillo, Lee l’ha riportata qui mezz’ora fa."
“Da quando sei diventata così spiritosa, eh, Granger? “
“Da quando ho a che fare con un ubriacone screanzato come te!” disse divertita.
Rise anche George. Per quanto tutta quella situazione potesse sembrare surreale, era felice di essere piombato per sbaglio a casa della Granger.
 

 
Certe notti, se sei fortunato, bussi alla porta di chi è come te.
Quelle notti da farci l'amore fin quando fa male fin quando ce n'è.


Erano passati sei mesi da quella notte. Si era creata una strana complicità tra Hermione e George. Tutti alla Tana l’avevano notato e l’avevano attribuita a quella famosa serata in cui Hermione e  George erano "usciti” insieme. Forse era stato proprio a causa della necessità di mentire su quella serata che si erano avvicinati. O forse non  era solo questo.
Hermione aveva visto George toccare il fondo quella sera ed era decisa più che mai ad aiutarlo. L’indifferenza non bastava più, bisognava cambiare strategia. E così era nata la loro strana amicizia.
Si facevano bene a vicenda. Lui la aiutava con le Caramelle della Verità, lei lo aiutava a non crollare.
Non era raro che la sera George passasse da casa di Hermione con un fagotto di cibo preparato da Molly (che era felice dell’effetto che Hermione faceva al suo Georgie) e rimanesse a cena da lei. Ormai si potevano definire amici.

 
George stava chiudendo il negozio. Era il 2 Maggio, una data che non avrebbe mai dimenticato. Perso nei suoi pensieri, si incamminò verso la strada del cimitero. Ci andava tutte le settimane, rimaneva un po’ a parlare con il fratello di ciò che gli succedeva, del negozio. Era un rito a cui non sapeva rinunciare.
Erano passati due anni e lui ci stava male come il primo giorno.
Si smaterializzò alla Tana, ma non trovò nessuno, solo un biglietto in cui c’era scritto che erano dovuti correre a Villa Conchiglia, stava per nascere la figlia di Bill e Fleur. Era felice per il fratello, certo, ma non se la sentiva di raggiungerli.
Si smaterializzò  nella stessa periferia babbana in cui era capitato per sbaglio, o per uno scherzo del destino, sei mesi fa. Bussò incerto alla porta. Hermione, in pigiama e con il mascara che le colava per tutto il viso gli si presentò davanti. Scossa dai singhiozzi, non riuscì a dire niente. Lui, senza pensarci, la abbracciò. E iniziò a piangere anche lui. Rimasero sulla porta abbracciati a piangere per un tempo che sembrò infinito. Senza parlare, entrarono in casa.
Si erano accoccolati sul divano. Lui l’aveva guardata a lungo, perso nei sui pensieri. E poi George capì. Capì che non era stato un caso se quella notte si era smaterializzato proprio lì: Hermione l’aveva aiutato a risalire da quel baratro in cui era sprofondato, lei era riuscita dove tutti gli altri avevano fallito. Perché, nonostante lui stesse ancora male, adesso aveva un motivo per andare avanti, aveva lei. Hermione si sentì osservata e si decise a parlare. “Scusami George, io non dovevo. Anche tu stai male e non è giusto. Cosa penserai adesso…”
Non poté continuare a parlare perché le labbra di George si erano posate sopra le sue. “Shhh, va bene, va bene così. E’ giusto così” disse lui. E lei si abbandonò a quel bacio.
Perché erano uguali, in fondo. Tutti e due stavano male, condividevano un dolore che solo insieme potevano lenire. E, adesso che entrambi l’avevano capito, vedeva una speranza per il futuro.
Quella notte fecero l’amore. Piangendo, donandosi completamente l'uno all’altra, fidandosi, svelando una parte di loro che nessun altro avrebbe conosciuto mai.



Quelle notti son proprio quel vizio che non voglio smettere, smettere, mai.
  
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