Tre maggio: lettere vuote.
Mi rannicchio in me stessa e intanto scrivo;
scrivo parole e parole e ancora parole
che nessuno leggerà mai;
frasi e frasi e ancora frasi
che tu non leggerai mai.
Scuoto la testa, vergognosa,
ed arrossisco, infantile,
perché tutto sembra solo un sogno così fragile, così vacillante;
cammino in punta di piedi tra i miei stessi pensieri;
scruto con curiosità e gelosia i tuoi sguardi;
accolgo i nonostante tutto, i ma, e i no;
rimango ore intere e interminabili
– il tempo e i luoghi s’interrompono, spariscono,
seduta su questo piccolo tavolo a sorseggiare un tè
ormai raffreddato e insapore, aspettando una telefonata,
un cenno, un sussurro: ma nulla.
E quindi scrivo;
ti scrivo parole mute e senza realtà.
E forse dovrei anche chiederti scusa.
*