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Autore: NeverAloneF    04/05/2014    7 recensioni
STORIA IN REVISIONE.
E se Jocelyn non avesse mai scoperto ciò che Valentine ha fatto a suo figlio? E se entrambi fossero stati ucciso dal conclave quando Clary e Jonathan erano ancora bambini? Cosa succederebbe se un Jonathan di sei anni dovesse prendersi cura di una Clary di uno?
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alec Lightwood, Clarissa, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Jonathan
Note: OOC, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La grotta in cui dormivamo da quasi più di due mesi era umida e scomoda. Le pareti di roccia fredda e bagnata gocciolavano regolarmente creando una catena di suoni infinita che mi stava facendo impazzire e che mi impediva di dormire. Ci eravamo nascosti in posti peggiori, ma non potevo comunque dire di stare bene. Da due giorni mangiavo a malapena e la poca acqua che avevo bevuto in tutto quel tempo proveniva dal soffitto sporco di terra che gocciolava ogni tre secondi. 
Non vedevo Jonathan da quando eravamo arrivati tre giorni prima e se non fosse stato la mia unica fonte di cibo, non sarei neanche stata troppo ansiosa di vederlo tornare. Mi diedi subito della stupida e affondai le unghie sporche terra nella pelle del polso come mi aveva insegnato mio fratello. Non devi lamentarti, mi ripetei, ma senza nulla da fare non potevo fare altro che quello, e in meno di un minuto dovetti di nuovo tornare a torturarmi la pelle. 
Quando qualcosa di umido, caldo e leggermente denso mi bagnò le dita soffocai un gemito di dolore e mi chiesi per l'ennesima volta perché dovessi subire una tale tortura. Che senso aveva? 
Avevo spesso pensato di scappare, ma non avevo dove andare. Sapevo che se il conclave avesse scoperto la mia identità, avrei passato il resto dei miei giorni in una cella della città di ossa solo per essere stata imparentata con mio padre. Jonathan me lo aveva ripetuto tante volte. E lì entrava spesso in gioco un'altra domanda: chi era mio padre? Cosa aveva fatto per essere così tanto odiato da tutti? Una volta lo avevo chiesto a Jonathan, ma lui si era arrabbiato con me per aver parlato senza il suo permesso. Rabbrividii a pensare allo schiaffo che aveva seguito ciò che aveva detto. O forse avevo rabbrividito per il freddo?

In quel momento avrei tanto desiderato avere una coperta, ma avremmo potuto spostarci da un momento e non avrei avuto dove metterla. 
E poi Jonathan era stato chiaro "devi imparare a resistere a tutto" aveva detto.  E così ero stata abituata per anni. Resistere a tutto. Alla violenza di Jonathan, alla solitudine, alla fame, al freddo. 

Freddo.


A volte mi chiedevo come sarebbe stata la mia vita se i miei genitori non fossero morti. Sicuramente meglio, o no? 
Se mio padre era così odiato da tutti non poteva essere un uomo così malvagio. Affondai di nuovo le unghie nella carne e mi diedi nuovamente della stupida. Certo che lo odiavano, areno tutti malvagi. Mostri.

Sapevo di avere dei nonni da qualche parte, ma Jonathan non aveva intenzione di affidarsi a loro e io non potevo controbattere. Non mi sarei mai permessa. 

Mi chiedevo perché mio fratello avesse deciso di venire a nasconderci ad Idris. Mi era sembrata un idea così stupida quando me lo aveva comunicato che stupidamente prima di collegare il cervello alla bocca avevo aperto la bocca per protestare e mi ero beccata un ceffone e tanta perdita di sangue dal naso. Me lo ero meritata in realtà, come avevo potuto essere così impertinente.
Non ci avevo quasi nemmeno fatto caso, oramai ero abituata. Mi aveva urlato che non avrei mai più dovuto contestare una sua idea e che fino alla sua morte avremmo fatto quello che diceva lui. Io mi ero limitata ad annuire come per dire che non sarebbe successo più. Lui mi aveva carezzato una guancia e sorriso, ed io ero rimasta ferma, tutti i muscoli del corpo tesi come corde di violino. 

Mi chiesi se un bambino fosse mai morto per la violenza che veniva riservata loro. Insomma, dal momento che a tutti i componenti di rango inferiore nella famiglia viene riservata una buona dose di violenza dal capo famiglia per insegnare loro come comportarsi - cosa che avevo sempre disapprovato, ma hey, è così che va il mondo - mi sembrava molto probabile che ci fosse stata più di una vittima a tutto ciò.

A volte mi sentivo terribilmente patetica. Piangevo spesso la notte perché mi sentivo sola o perché avevo freddo. Quando ero piccola mi ammalavo spesso ed ero un peso morto per Jonathan, ma lui non mi aveva mai lasciata indietro, e per questo le sarei sempre stata debitrice. 

Un rumore di passi rimbombò nella grotta, ed afferrai il pugnale che avevo di fianco. Avevo imparato a non essere mai troppo prudente. Il rumore si stava intensificando, e io mi alzai, senza badare al fatto che il dito mignolo della mano con cui tenevo l'arma aveva già ripreso a sanguinare grazie al fatto che premeva con forza contro la lama. Il mio cuore prese a battere freneticamente, ma riuscì a non farmi prendere dal panico. 

Fa che sia un animale, per favore, fa che sia un animale, fa che sia.. 

- Clary -

Fu la voce di Jonathan a sovrastare il battito del mio cuore che mi rimbombava nelle orecchie e sembrava volermi esplodere nel petto. 

- Ciao - risposi, tentando di mantenere la mia voce ferma. 


Lui ghignò e si buttò di peso per terra. Aveva una borsa in spalla che non aveva prima di uscire tre giorni prima. Si accorse che la fissavo perché se la sfilò dalle spalle e mi guardò con un sopracciglio alzato, ma senza ancora dire niente. 

La aprì e ne tirò fuori del pane. Me ne tirò un pagnotta e ne morse un'altra.

- grazie - dissi, la voce leggermente meno ferma di prima a causa della felicità nel poter finalmente mangiare qualcosa che non fosse erba o corteccia. Il pane emanava un profumo inebriante, ma non me ne curai. Le diedi un morso e fu come se per un momento tutto il resto scomparisse. Mi era già capitato diverse volte di arrivare all'orlo dello star male per la troppa fame, quindi decisi di rallentare e mangiare più lentamente, ma nonostante ciò, la finii dopo meno di un minuto. Avevo ancora fame, ma non glie ne avrei mai chiesta un' altra. Quando ebbe finito anche lui mi si avvicinò e mi cinse la vita. Io mi irrigidii, ma tentai di far notare il mio nervosismi il meno possibile. 

- mi sei mancata- sussurrò. 

Accennai un sorriso tirato e finto, senza parlare perché non mi era ancora stato dato il permesso di farlo, dal momento che ciò che aveva detto non era una domanda. 

Prese ad accarezzarmi la schiena ed io deglutii. 

- cosa hai fatto oggi? - mi sussurrò con voce roca all'orecchio. 

- ho studiato strategie - mentii - e tu? - domandai forse rischiando troppo. 

Lui si staccò da me e un po' di paura si dissolse, anche se adesso il freddo era tornato e ora arrivava in profondità fino alle ossa. 

- Niente che tu debba sapere - rispose scorbutico. - Adesso mettiti a dormire, perché domani ti allenerai tutto il giorno -

Annuii.  Avevo imparato che se avessi dimostrato anche un minimo di dispiacere, uno schiaffo avrebbe seguito il mio gesto. 
mi sdraia sul pavimento gelido e chiusi gli occhi. Tentavo di tremare il meno possibile, rilassando i muscoli per limitare il movimento, ma il tutto era inutile. Pensai al sole, il sole bollente d'estate, quel sole che ti fa desiderare di poter fare un bagno gelido, ma più ci pensavo, più volevo allontanarmi di lì e andarmene.Andare dove Clarissa? Non essere stupida.

- Combatti il freddo Clarissa - la voce arrabbiata di Jonathan mi arrivò alle orecchie, e il mio corpo si tese ancora di più. serrai gli occhi, sperando che quello potesse aiutarmi a controllare il tremore, anche se sapevo che era solo un riflesso incondizionato che mi preparava ad una violenza imminente. 
Lo sentì sbuffare irritato e il rumore di qualcosa strofinato contro la pietra. spalancai gli occhi e sentii che si era alzato e che si stava avvicinando. 
Lo vidi chinarsi su di me. 

- Alzati - mi ringhiò nell'orecchio.

Io obbedì.

- Visto che non hai intenzione di combattere contro il freddo -  sibilò - adesso correrai per tutta la notte. Farai tutto il perimetro della foresta di Brocedlin, e se qualcuno ti vede - mi afferrò un ricciolo sporco e lo tirò con forza - giuro che quella sarà la volta che mi liberò di te - concluse.

Deglutì rumorosamente. Non aveva mai minacciato di uccidermi, quel giorno doveva essere successo qualcosa che lo aveva fatto arrabbiare. E non poco, constatai

- Hai capito? - urlò. 

- Si - sussurrai. La sua mano colpì la mia guancia con una forza disumana e un gemito mi sfuggì dalle labbra. 

- Non ho sentito - ringhiò. 

- si - dissi più forte.

- Bene - disse più calmo.

Mi indicò l'entrata della grotta.

- prego -.


Iniziai a correre sotto la pioggia con il suo sguardo puntato sulle spalle.
Se mi fossi fermata, lo avrebbe saputo.
Se qualcuno mi avesse vista, lo avrebbe saputo.
Se mi fossi fatta male, lo avrebbe saputo, anche se ero piuttosto sicura che l'ultima non gli sarebbe importata più di tanto.

Dopo poco meno di un minuto, i miei capelli erano fradici e stavo tremando di nuovo. I piedi affondavano nel fango e avevo come l'impressione che qualcuno mi stesse seguendo. Inciampai, e ci misi qualche secondo per rialzarmi. Le braccia e i vestiti che non cambiavo da giorni, forse settimane, erano pieni di fango, esattamente come lo erano i capelli. Cominciai a singhiozzare dopo la terza volta che fui inciampata. Riuscii a malapena a rialzarmi e ricominciai a correre, sentendo che le gambe faticavano a sostenermi. 

Mezz'ora dopo inciampai di nuovo. tentai di rialzarmi, ma non ci riuscii. 
Sentii che i miei occhi si stavano chiudendo, e l'ultima cosa che sentii prima di svenire fu un forte dolore all'attaccatura dei capelli e un'imprecazione sussurrata contro di me. 




Mi risvegliai tutta dolorante. 
Riuscivo a stento a muovermi, e immaginai che le gambe e le braccia fossero coperte di graffi. La luce del sole mi impediva di tenere gli occhi completamente aperti. Avevo voglia di richiuderli, ma sapevo che avrei dovuto alzarmi. Ne aprii lentamente uno e poi l'altro. Mi portai una mano ai capelli, e li ritrovai straordinariamente puliti, così come i miei vestiti ed il resto del corpo. Strano. 

Il mio stomaco gorgogliò e lo maledissi in silenzio. 

- Ti sei svegliata finalmente -

La voce di Jonathan ruppe il silenzio creatosi nella grotta.

- Alzati - ordinò.

Io obbedì, trattenendo un gemito di dolore per le mie ossa doloranti e mettendoci più del dovuto a trovare una posizione anche solo simile allo stare in piedi. Lo lo guardai osservarmi disgustato. 

- Mi hai deluso - sputò - come ti sei permessa di addormentarti come se non fossi stata nel luogo più pericoloso del mondo per te? -

Abbassai lo sguardo, ero una delusione. 

- Guardami Clarissa - sibilò.

Alzai lo sguardo e lo puntai nei suoi occhi neri come la pece.

- Per questa vota sei perdonata, ma se dovesse succedere un'altra volta…- lasciò apposta la frase in sospeso.

Poi si chinò e tirò fuori dalla borsa un'altra pagnotta.

- Non te la meriteresti ma…-

Detto questo me la lanciò. 
La addentai subito. Era un po' dura e bagnaticcia per la pioggia, ma era comunque una delle cose più buone che avessi mai assaggiato in vita mia. Quando l'ebbi finita tornai a guardarlo. Lui sogghignò. 

- Bene -  disse - è arrivato il momento di addestrati -

Annuii, anche se dentro di me avrei voluto scoppiare a piangere solo al pensiero di ciò che mi aspettava. come aveva fatto il mondo a ridursi in quel modo? I più forti maltrattano i deboli. Lo trovavo ridicolo e mi chiedevo perché nessuno si fosse mai ribellato, ma Jonathan mi aveva detto che a tutti nel resto del mondo andava bene, e quindi sarebbe andato bene anche a me. Non che se non mi fosse andato bene mi sarei lamentata certo.

Mi condusse in uno spazio libero dagli alberi nella foresta e ci si fermò.
Sfilò una spada angelica dalla cintura delle armi e me la lanciò. La afferrai al volo e la osservai senza parlare. Ne sfilò un altra e ne sussurrò il nome. Poi il suo sguardo si posò su di me e alzò un sopracciglio.

- Clarissa - disse infastidito.

Guardai la spada dubbiosa e deglutii. Non mi piaceva combattere, non mi piaceva la violenza in generale. 

- Clarissa - sibilò arrabbiato - Usa. Quella. Spada.-

Feci ciò che mi aveva detto, perché ero troppo debole per subirmi un'altra sua sfuriata. Sussurrai il suo nome e quella si mostrò per tutta la sua lunghezza. 
Senza aspettare si fiondò su di me tentando un affondo. Io mi spostai di lato, e schivai la sua lama. Mi girai verso di lui infuriata, aveva veramente osato colpire prima di avvertire? 
Con un gesto svelto alzai la spada e mirai alla sua spalla, ma lui era veloce e fece cozzare le nostre lame. Con un ghigno alzò la sua spada con tanta forza che la mia, ancora appoggiata alla sua, per poco non volò via. Approfittò del mio momento di distrazione per mirare esattamente dove avevo fatto io e lasciarmi un profondo taglio sul braccio. Il dolore mi accecò e per qualche secondo non vidi più niente. Venni assalita da un conato di vomito e mi liberai sull'erba rinsecchita. 
Jonathan si esibì in una risata fredda.
La rabbia attutì il dolore, e mentre era distratto e non si aspettava una mia mossa, mi mossi e lo ferii al fianco. 
Smise di ridere di colpo e mi guardò infuriato. Non emise neanche un gemito di dolore, e la cosa fece perdere un battito al mio cuore per l'ansia di una sua punizione imminente. Non avevo paura però. 

- Brutta…- non lo lasciai finire e lo colpì di nuovo, ma questa volta intercettò la mia spada e la bloccò con la sua.
Liberò la spada e tentò un affondo verso il braccio sinistro, ma lo intercettai e gli ferii la mano. Poi col piatto della spada lo colpii al braccio con tutta la mia forza. La spada non gli cadde dalle mani, ma ebbi la soddisfazione di vedere una smorfia di dolore dipinta sul suo viso. 
Continuammo a combattere per altri due minuti, fino a quando Jonathan con un colpo men assestato riuscì a far perdere la presa sulla spada alla mia mano esausta, e a farla volare a cinque metri di distanza, dove non sarei riuscita a prenderla senza uscirne ferita gravemente. 
Jonathan scoppiò a ridere. 

- Sei ridicola sorellina. Non riesci neanche a tenere in mano una spada -  

Assottigliai lo sguardo e feci l'unica cosa a cui riuscii a pensare in quel momento: mi ci lanciai addosso, incurante della sua lama puntata contro di me, la quale mi ferì nuovamente il braccio, ma non ci feci caso. Le mie mani andarono a chiudersi contro il suo collo e i suoi occhi si spalancarono. 
Riuscì a colpirmi e farmi cadere di lato senza sforzi, visto il mio quasi inesistente peso, ma io afferrai la spada che aveva lasciato andare quando mi aveva tolta da sopra di lui e glie la puntai alla gola.

- Adesso chi è che non sa impugnare una spada fratellino? - gli rinfacciai.

Lui scoppiò a ridere ed io con il fiato corto scostai la spada dal suo collo, sicura che la sfida fosse ormai conclusa. Mi sbagliavo.
Si alzò con un movimento così veloce che quasi non lo vidi e mi si buttò addosso, facendomi così cadere a terra e battere la testa violentemente.

- Regola numero uno, Clarissa - disse sputando a qualche centimetro dai miei capelli - mai abbassare la guardia-.

Lo guardai senza dire nulla. Il sangue mi ribolliva nelle vene e la testa mi pulsava dove la avevo battuta. 

- Giusto. Hai vinto tu - sussurrai per togliermelo di dosso.

Lui si alzò e mi tese la mano. Strano, pensai, devo essere stata davvero brava per meritarmi tanta gentilezza.  
Feci per afferrarla, ma poi, con tutta la forza che avevo, mossi la mia gamba sotto ai suoi piedi facendolo così cadere a terra. Mi alzai velocemente e gli misi un piede sul petto. 

- questo è abbassare la guardia? - domandai con aria innocente.

- Esattamente - rispose lui.

Rimanemmo in quella posizione per quasi un minuto, il sangue delle mie ferite che gli gocciolava sulla divisa e gli occhi di lui che sembravano scavarmi dentro. 

- possiamo passare al lancio dei coltelli adesso - disse Jonathan schiarendosi la voce.

Annuii poco entusiasta all'idea, togliendo allo stesso tempo il piede dal suo petto. 
Mi scostai da lui traballando un po'. Avevo perso parecchio sangue e mi ero indebolita parecchio. La testa mi girava e così tutto quello che mi circondava. 

- Jonathan? - Lo richiamai incerta. 

- Cosa vuoi? -  rispose lui scorbutico.

Era arrabbiato per essere stato battuto dalla sua stessa allieva. Mi affondai le unghie nella carne del polso per aver pensato qualcosa di così sfacciato. 

- Io...- contegno Clarissa - potrei avere il tuo stilo? -

Aspettai un silenzio una sua risposta, affondando le ungie più a fondo nella carne. 

- Direi che te lo sei meritata - disse lanciandomelo e facendo spallucce.

Lo guardai sbalordita per un secondo, distogliendo lo sguardo velocemente e sperando che non avesse notato la mia esitazione. Mi feci qualche iratze e un paio di rune della forza e dalla precisione. 

- Grazie - dissi rilanciandoglielo.

Lui mi fece un cenno col capo che presi come un 'prego', anche se sapevo che mio fratello non avrebbe mai detto qualcosa del genere. 

- Sbrigati Clary-  sibilò poi - non abbiamo tutto il giorno -.

'Per fortuna' pensai prima di seguirlo verso l'albero su cui ci saremmo allenati a tirare coltelli. 

  
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