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Autore: leila91    08/05/2014    10 recensioni
Con questa piccola fanfiction, volevo provare a raccontare la mia versione della storia d'amore tra Faramir Tuc e Cioccadoro Gamgee.
Ho sempre amato questa idea di Tolkien di unire le famiglie di Sam e Pipino, ed ecco cos'è saltato fuori :)
Enjoy!
[Eventi Post LOTR | New Generation Hobbit | Old!Faramir | Old!Eowyn]
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cioccadoro Gamgee, Eowyn, Faramir, Faramir Tuc, Sam
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Shire Folk'
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L'IMPORTANZA DI UN NOME:

“Ripetilo se ne hai il coraggio!!”                                                                           
“Ma certo che te lo ripeto! Hai un nome ridicolo! ‘Faramir’! Cosa avevano bevuto i tuoi genitori quando sei-”
 
Ma Rudy Serracinta non potè continuare oltre: l’insulto ai suoi genitori fu la goccia che fece traboccare il vaso, e che portò Faramir Tuc a scagliarsi contro il suo aguzzino.
Non era la prima volta che i suoi coetanei di Tucboro lo tormentavano, e in genere, finiva sempre in quattro contro uno. Quel giorno però, Rudy non girava con la solita banda di bulletti di cui amava credersi il capo e così, Faramir cercò di approfittarne.          
Dopo averlo atterrato, cominciò a colpire il ragazzino in qualunque parte del corpo fosse possibile raggiungerlo, con una rabbia inconsueta per lui; forse da troppo tempo repressa.                                                              
 
“Lasciami andare moccioso!!” urlava l’altro, tentando di difendersi; tirando graffi e mordendo le braccia del Tuc.
“Amir, no! Cosa stai facendo?!” Una vocina terrorizzata sembrò riscuotere Faramir, che si voltò e scorse Goldilocks alle sue spalle.
Lei lo guardava a bocca aperta; c’era paura nei suoi grandi occhi nocciola, quasi come se non riconoscesse più il suo amico. Approfittando di quell’attimo di distrazione, Rudy lo colpì al volto, e sfuggendo alla sua stretta, balzò in piedi, trafelato.
“Ecco, dai retta alla tua amichetta!”,urlò, “Stai pur certo che lo dirò a mio padre” aggiunse poi, allontanandosi di corsa.
“Schifoso piccolo codardo” mugugnò Faramir, mentre lo guardava allontanarsi.
“Amir, stai sanguinando!” esclamò Goldilocks visibilmente preoccupata.
 
Il ragazzo aveva i pantaloni strappati e un taglio lungo la coscia sinistra.
 
“Sto benissimo, grazie!”, borbottò lui, rosso in viso. “Non ho bisogno del tuo aiuto, io..”: non riuscì a continuare.
La tensione sembrò piombargli addosso tutta all’improvviso, e iniziò a singhiozzare, senza riuscire a fermarsi.
Goldilocks allora, gli prese dolcemente la mano e lo fece sedere su un muretto poco distante.
Limitandosi poi, a stringerlo forte, carezzandogli teneramente i capelli finché non si fu calmato.
“Ti aspettavo alla Vecchia Quercia come d’accordo” mormorò titubante, “cosa è successo?”.                                                                                               
“Il mio nome non è ridicolo! Io..io sono onorato di chiamarmi così! Tuo padre diceva..”                                                                                 
 “Ma certo che non è ridicolo! E’ questo che ti ha detto quell’idiota?!”, sbottò la bambina indignata.
“Faramir, il tuo è un nome così bello! E ha un suono così dolce...” Goldilocks arrossì e ammutolì di colpo: l’aveva detto davvero ad alta voce?!
“Il mio nome invece è così banale… riccioli d’oro, capirai! Metà delle bambine che conosco hanno i capelli biondi” continuò, come tra sé e sé.
“Non essere sciocca, il tuo nome è perfetto per te!”, rispose bruscamente Faramir, pentendosi subito dopo del tono usato.
 Avrebbe voluto aggiungere tante altre cose; avrebbe voluto dirle che lei non era semplicemente bionda, no signore!                             
 “Gold”, le avrebbe detto, se solo quella maledetta lingua si fosse scollata dal palato, “tu non sei semplicemente bionda. I tuoi capelli sono incredibili; sono come il sole nella giornata più bella d’estate. Sono come il grano nei campi a primavera ed io non riesco a immaginare un nome, che sia più adatto per te di quello che hai già”.
Ma non riuscì a trovare né la voce, né il coraggio, e quelle parole non dette, gli rimasero come un piccolo peso sul cuore; senza che sapesse tuttavia, spiegarsi bene il perché.
Incurante del suo tormento, Goldilocks gli sorrise serena; un sorriso innocente e sincero, che lui non poté non ricambiare.
“Bene. Sarò orgogliosa del mio nome, se tu continuerai a esserlo del tuo” gli disse lei.
“Ma certo!” promise lui, “Però…Gold” le disse poi, il tono tornato quello allegro di sempre, “Guarda laggiù! I miei occhi s’ingannano, o quella là in fondo è una marmaglia di orchi?!”                                        
 “Avete ragione, capitano Faramir! Difendiamo i nostri confini!”         
“Per la Contea!” urlò Faramir, e ridendo come un matto, si lanciò a rotta di collo giù dalla collina, subito imitato dall’amica.
La zuffa con Rudy sembrava non essere mai avvenuta, come pure il turbamento improvviso, che li aveva colti poco prima in quell’inaspettato momento di intimità. Ora c’erano solo due piccoli Hobbit scatenati, che si divertivano come a volte solo i bambini sanno fare,degli orchi da combattere e una casa da difendere. 
 
Di essere nei guai, Faramir lo dava già per scontato. Il taglio lungo la gamba sinistra, i calzoni strappati, e l’ematoma sul volto, dovuto al pugno di quel vigliacco di Rudy, parlavano praticamente da soli.
Quello che non si aspettava però, rincasando quella sera, era di trovare suo padre, e non sua madre, ad attenderlo sulla soglia di casa.
Un cipiglio decisamente severo, attraversava il volto, di solito bonario, di Peregrino Tuc.
“Lo sceriffo è appena andato via” sibilò non appena suo figlio fu abbastanza vicino, “pare che il suo piccolo Rudy abbia qualche costola rotta, per non parlare del naso!”
Faramir fece un respiro profondo prima di rispondere:
”Non sono stato io a cominciare!”
“Però sei stato tu a finire!” lo rimbeccò suo padre, “Faramir Tuc, non ti ho insegnato proprio niente?! Rudy Serracinta è forse l’Hobbit più spocchioso e arrogante di Tucboro, ma cosa diavolo può mai averti fatto per doverlo ridurre così?! Azzuffarsi in quel modo, come foste degli Orchetti!”
 
Faramir non aveva mai visto suo padre così infuriato. Per tutta la vita era sempre stato il suo complice, il suo confidente, il papà buffo e spiritoso che amava far arrabbiare o ridere sua moglie, e che difendeva sempre il suo figlioletto dalle sfuriate della madre. Il giovane allora, si rese conto di averlo davvero deluso per la prima volta nella vita, e fu questa consapevolezza, più che la sfuriata in sé, a portarlo sull’orlo delle lacrime. Pipino rimase del tutto spiazzato: Faramir era un bambino solare (dopotutto aveva ereditato molto del suo carattere!) e non piangeva mai; soprattutto non davanti a lui! Incerto su come muoversi, aspettò che fosse il ragazzo a parlare. La risposta che arrivò, tuttavia, non era decisamente quella che si aspettava:
 
“Padre.. perché mi hai dato un nome così..così diverso ecco? Quasi tutti dicono che è ridicolo. No!” aggiunse, vedendo che Pipino stava per ribattere, “Non mi fraintendere, sono felice di chiamarmi così! Vorrei solo… ecco..”                                                               
“Saperne di più su Faramir?”, finì per lui Pipino, il volto ormai raddolcito.                                                                                       
“Sì! Mastro Sam parlava di lui nelle sue storie, so che era un capitano di grande valore ma..”                                                              
“Innanzitutto non ‘era’, bensì ‘è’!” lo interruppe Pipino, “E’ ancora il Sovrintendente del regno di Gondor, e spero lo rimanga per molti altri anni.”                                                                                          
“Gondor..” mormorò Faramir, lo sguardo improvvisamente sognante.
“Già”, rispose suo padre con un sorriso. “Coraggio rientriamo! La cena è già pronta e parleremo meglio a stomaco pieno. E’ giusto che tu conosca la storia di uno degli uomini più valorosi che io abbia mai conosciuto, e del quale devi essere fiero di portarne il nome!”.
 
Così dicendo, Pipino rientrò in casa seguito da Faramir, mentre le prime stelle si accendevano luminose nel limpido cielo d’occidente.

 
 
 
 
   
 
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