III
#Incubi
“Allora,
cosa hai deciso di fare per il tuo compleanno?”
L’avevo
guardato per alcuni istanti, prima di alzare le spalle. Non ne avevo idea, e a
dirla tutta non avevo voglia di festeggiare. Era così importante, dopotutto?
“Mi
piacerebbe passare una serata tranquilla.”
Dalla sua
espressione, capii di averlo sorpreso, eppure mi conosceva sin troppo bene; non
ero una persona che amava le feste, e neanche lui. Eravamo una coppia perfetta nel nostro essere assolutamente asociali.
“Non credo
che i Weasley te lo lasceranno fare.”
“Potrebbero
anche regalarmi un momento di pace!”
Mi aveva
accarezzato la testa, prima di chinarsi e di baciarmi sulla guancia. “Te lo meriteresti. Posso far parte di
quel momento?”
Chiusi gli
occhi, respirando a pieni polmoni la sua vicinanza: era qualcosa capace di
scacciare via ogni pensiero e di rilassarmi, come nessun altro sapeva fare.
Forse solo mio padre era capace di avere quel potere su di me: quando non
riuscivo a prendere sonno e continuavo a rigirarmi sul letto, allora arrivava
lui che mi rimboccava le coperte e mi accarezzava il viso. Un semplice gesto
che però mi rassicurava e mi permetteva di addormentarmi e di sognare, a volte.
“Vieni qua” dissi, prima di tuffarmi tra le sue braccia. Era così caldo. Così vivo.
Quando ero piccola c'era un solo luogo in
cui mi sentivo protetta e dove passavo la maggior parte del tempo. Mia madre
non capiva il perché di quella strana scelta, lamentandosi del fatto che una
ragazzina della mia età avrebbe preferito la compagnia di un'amichetta e non la
solitudine in una chiesa. Neanche io sapevo bene perché tutti i pomeriggi al
ritorno da scuola mi rifugiassi in quel luogo, piuttosto che in un parco
giochi, forse perché in quel luogo e al cospetto di quell'Uomo riuscivo a
smettere di piangere, fino ad accettare me stessa.
A quell'epoca non avevo al fianco Harry e Ron, e nonostante i
mille sforzi dei miei genitori per farmi sentire amata, non avevo confidenti o
amici.
Hermione Granger era l'unica che non veniva
mai invitata alle feste e ai pigiama party, perché era una secchiona che non
aiutava mai nessuno.
Solo in chiesa riuscivo a calmare la mia tristezza e a fare pace
con me stessa, perché Lui mi ricordava che dovevo solo aspettare e che il mio
tempo sarebbe arrivato.
E così mi sedevo su una delle panche in fondo alla sala e leggevo;
c'era così tanto silenzio che mi sembrava da stupidi
non approfittarne per la cosa che amavo di più.
A casa c'era sempre mamma che cercava di riempire i miei silenzi
con le sue mille domande.
“Com'è andata a scuola?” Come ieri, mamma.
“Ho incontrato la mamma di Liz, domani è il suo compleanno. Vuoi andarci?” Liz mi odia e se anche mi presentassi alla sua
porta, me la chiuderebbe in faccia.
“Che ne dici di fare una passeggiata in centro domani?” Voglio
finire questo libro, scusa.
Mio padre era più comprensivo, forse perché avevamo lo stesso
carattere introverso e capiva il mio desiderio di rimanere sola. Quando le
attenzioni di mia madre diventavano troppo pressanti e fastidiose, mi rifugiavo
da lui che mi mostrava gli arnesi del suo mestiere e mi spiegava come passare
il filo interdentale. Eravamo una coppia strana, però in quei suoi piccoli
gesti mi sentivo davvero felice, non avevo bisogno di parlare o di fare
conversazione perché mi bastava ascoltarlo e imitare i suoi gesti.
Perché una bambina preferiva il silenzio di un'enorme Chiesa? Non
saprei, però fui grata di quei momenti perché potei prepararmi a quello che
successe dopo.
Durante i miei anni a fianco di Harry ero convinta che quel Dio,
quell'uomo così buono che aveva passato i pomeriggi
con me, lo proteggesse sempre perché meritava di vivere.
Forse era per queste mie sbagliate
convinzioni che mi stavo dirigendo verso quel luogo: avevo bisogno di sapere
che cosa era cambiato perché Harry si meritasse di rimanere imprigionato in quello
stato. Non si era già sacrificato abbastanza?
Non
avevo già perso troppe persone importanti nella vita? Non lui, non Harry:
l’unica persona che mi capiva anche senza parlare, che riusciva a entrare dentro la mia mente e a lenire ogni mia sofferenza con un
suo semplice sorriso.
Mi inginocchiai su quel marmo freddo e pregai Dio di
restituirmelo, di smettere di giocare con lui. Non era giusto, no, niente in
quegli anni lo era stato e ora volevamo solo godere quegli attimi di pace.
Volevo
vivere con lui. Svegliarmi al suo fianco e addormentarmi tra le sue braccia,
come in un sogno in cui non avrei mai messo la parola fine.
Perché
Dio era così ingiusto da portare via l’unica persona che io avessi mai amato?
Perché?
Per
la prima volta dopo parecchi giorni riuscii finalmente a piangere, mentre
urlavo al cielo la mia rabbia e la mia disperazione.
Perché
doveva sentirmi e ascoltarmi, avevo preparato il mio discorso ed era
impossibile negare quanto avessi ragione e Lui torto. Perché doveva riconoscere
i suoi sbagli e riportarmelo, altrimenti l’avrei ripreso io. Con la forza e la
mia fede. Non in Lui, ma nell’unica persona che mi aveva salvato la vita senza
neanche conoscermi.
Come
in passato, raggiunsi una delle ultime panche e mi sdraiai alla ricerca di un
po’ di pace o forse, semplicemente perché mi ero stancata di scappare dal
dolore e avevo solo voglia di affogare in esso.
Chiusi
gli occhi, smettendo di scalciare e di graffiare e arrendendomi agli incubi
che, ogni sera, mi torturavano e mi svuotavano di ogni ricordo felice.
Chiusi
gli occhi e chiesi a Dio di portarmi da Harry.
NdA: ed
eccoci al terzo capitolo! Come sempre scena fluff +scena secamentum
venarum, perché altrimenti non sarei la scrittrice sadica
e strunz che voi conoscete e amate (mi amate, vero??? ahaha). Dal prossimo capitolo,
scoprirete il motivo di quel “sorpresa” tra i
personaggi della storia. Siete pronti al grande viaggio che ci porterà da
Harry?
A giovedì!