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Autore: Gabx    25/05/2014    5 recensioni
Erin è una ragazza sui vent'anni nella Londra degli anni '50 e di mestiere fa la cameriera al piano. Viene assunta in una prestigiosa villa grazie a delle sue conoscenze. Incontrerà chi le cambierà la vita, una contessa londinese affascinante e misteriosa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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Vento Di Cambiamenti
 
7 agosto 1953
 
Direi che non ero al massimo della felicità in quel momento.
Insieme al padre di Louise, eravamo andati dal suo famoso amico che mi avrebbe aiutata con questa faccenda. Ovviamente pensavo dovesse crearmi una qualche falsa identità e che quindi saremmo stati costretti a rivolgerci a un malvivente, e invece mi aveva portato all’ingresso di una villa ancora più fastosa di quella di Louise. Il cancello nero era alto più di quattro metri e ci torreggiava addosso. Fummo accolti da un maggiordomo, tutto impettito che  senza dire una parola, ci condusse per l’ingresso di quel maniero, antico e magnifico, e su per scale e saloni.
Mi guardavo intorno meravigliata da tanta bellezza e ricchezza. Ogni cosa luccicava e l’educazione  di tutti coloro che incontravamo erano strabilianti. Tutto sembrava perfetto. Per quanto la villa di Louise fosse stupenda, questa era magnifica.
Finalmente il maggiordomo si era fermato di fronte a una porta di mogano con disegni in oro.
Bussò tre volte e una voce che mi risuonò famigliare e allo stesso tempo sconosciuta, ci invitò ad entrare.
Entrò per primo il Conte e io lo seguii con discrezione. Non mi aveva dato istruzioni su cosa dire e fare, per cui supposi che il silenzio fosse da preferire.
Un uomo alto e dai capelli scuri ci dava le spalle e fissava qualcosa fuori dalla finestra, stagliandosi nella luce di quel pomeriggio di agosto.
“Il Conte di Blakelake e una cameriera sono venuti a porgerle visita, Marchese.”
Il maggiordomo finì di presentarsi e a un cenno di questo, uscì.
Eravamo nella casa di un Marchese? Non ci potevo credere. Il loro titolo è più in alto rispetto ai Conti. Dovevo essere il più cortese possibile.
Poi il Marchese si voltò e riconobbi subito il suo volto.
Samuel Cheshunt. Il figlio ribelle del Marchese di Cheshunt.
Ma se ora era lui il portatore del titolo, questo significava che ..
“Cari miei, prego accomodatevi.”
I suoi occhi color nocciola, che mi ricordavo così  caldi, erano più freddi e distaccati. Il sorriso non arrivava a contagiarli.
Ci sedemmo su delle comodissime poltrone in velluto rosso.
Continuavo a lisciarmi la gonna. Tenevo la testa china. Non sapevo come comportarmi.
“Puoi guardarmi, lo sai?”mi raggiunse la voce di Samuel. Quella era sempre la sua.
Il Conte ci guardava stupito e voltava la testa prima verso di me e poi verso Samuel con gesti meccanici.
“Non mi hai mai detto come ti chiamavi. Mi sembra doveroso ora.”continuò lui.
“Erin Johnson.”mi presentai e lo vidi illuminarsi per la prima volta.
“Anche mia nonna si chiamava Erin e mio padre , lui … lui ..”aveva iniziato a parlare con gioia ma presto questa si era trasformata in dolore.
“Lui amava quel nome ..”
Fece un breve sorriso. Uno di quelli che si stentano a fare per quanto uno ci provi.
“Mi dispiace per la Vostra perdita, Marchese.”pronunciai cortesemente e allo stesso tempo con partecipazione. Sapevo cosa voleva dire perdere un genitore e nel mio caso, entrambi.
Con la mano fece segno di non chiamarlo così.
“Quando ci sono altri, usa Marchese se proprio vuoi ma se siamo solo noi, usa pure Samuel.”
Lo fissai negli occhi e annuii.
“Mi dispiace per la tua perdita, Samuel..”
“Grazie, lo apprezzo.”
Cadde un silenzio greve. Ognuno immerso nei propri pensieri.
Poi Samuel batté le mani e fu come risvegliarsi da un momentaneo sonno.
“Come mai siete venuti qua?”chiese e questa volta, rivolgendosi al Conte.
“Prima di tutto, volevo farvi le condoglianze per la Vostra tragica perdita.  Così inaspettata e dolorosa.”
“Non se lo aspettava nessuno. Un incidente d’auto. Ma grazie per la vostra partecipazione. Lo apprezziamo, io e l’intera famiglia.”replicò con gentilezza.
Era mancato in questo modo? Non avevo letto la notizia ma forse mi era sfuggita.
“Avremmo bisogno di un favore, Marchese.”riprese il Conte.
“Ma potete chiamarmi anche voi, Samuel. Gli amici di Erin sono amici miei.”
Mi fece l’occhiolino. Sorrisi imbarazzata.
“Ehm va bene .. Samuel.”Era ancora sconvolto dal fatto che un uomo del suo rango si facesse chiamare per nome.
Iniziò a spiegargli la situazione, frapponendo episodi ad episodi e giungendo finalmente alla svolta di tre giorni prima.
Non capivo perché gli stesse raccontando tutto. Non avrebbe rischiato così la reputazione di sua figlia. Non era per questo che eravamo andati da lui?
Alla fine del racconto Samuel rimase in silenzio per alcuni minuti con le dita che si puntellavano le une sulle altre di fronte al viso.
Batté di  nuovo le mani e poi sorrise.
“So come aiutarvi. Anche se ovviamente tutto questo è contro la legge. Ne siete consapevoli? Se venisse scoperto, andreste nei guai e io non potrei proteggervi.”
Io e il Conte ci guardammo. Era ora di decidere. Se andavamo avanti, non potevamo tirarci indietro di fronte alle conseguenze.
Ero consapevole di quello che poteva accadere. E così annuii.
“Lo voglio fare.”
Si alzò e prese due fogli. Si risedette e iniziò a scrivere. Dopo un po’ ci guardò.
“Iniziamo dalla base. Come ti vuoi chiamare?”mi chiese.
Ci pensai un attimo. Poi il nome mi venne spontaneo.
“Logan.”
Era il nome di mio padre.
Appuntò e poi scrisse un cognome.
Stein.
“Gli Stein sono famosi in Germania. Un ramo della famiglia si è trasferita in Inghilterra circa due secoli fa, ormai estinta. Quindi farai parte di un ramo sopravvissuto. Infatti sei rimasta in Germania per poco. La tua famiglia voleva che crescessi come un inglese. Hai delle terre nel nord dell’Inghilterra. In realtà sono mie ma te le passo.  Direi che ti posso creare in poco tempo una nuova identità e lasciare quelle terre e quella villa a te. Conosco persone che lavorano all’interno del palazzo governativo. Ti creerò in breve tempo un attestato di nascita e vari documenti legali.
Ti va bene, Logan?”
Ero sbalordita. In non meno di dieci minuti aveva realizzato una storia di facciata per la mia identità. Non solo, mi dava anche alcune delle sue terre. Come potevo mai ringraziarlo? E perché faceva tutto questo?
“Io .. sì. Ma non capisco cosa ti viene in tasca. Voglio dire .. perché mi aiuti?”
Si voltò di nuovo verso la finestra. Rimase a fissarla ancora un po’, come a raccogliere la mente.
“Penso sia perché mi ricordi mia nonna, alla quale ero profondamente legato e in più hai portato gioia nella vita di Louise. Tu l’hai salvata. Il tuo amore per lei e il suo amore per te vi hanno tenuto in vita. Mi pare il minimo aiutarvi.”
Mi guardò intensamente.
Annuii. Mi alzai e senza alcuna esitazione, lo abbracciai. Anche lui ne fu sorpreso  ma strinse le sue braccia muscolose attorno a me. Ne aveva bisogno. Abbracciare è davvero rilassante e aiuta moltissimo.
Ritornai al mio posto e poi continuammo a studiare il piano.
“Ora dovremo pensare a come farti diventare uomo.”
Mi strozzai quasi nel tè che ci aveva gentilmente offerto.
“Spero non per davvero.”
Rise e scosse la testa.
“Ti insegnerò a muoverti e a parlare come un nobile. E chi meglio di me può insegnarti?”
Il Conte arrossì. Forse per la vergogna. Mi dispiacque un po’ ma poi dovetti pensare a tutt’altro. Ci spostammo nelle sue stanze private. Saremmo stati più comodi.
Ed ecco che camminavo con il petto in fuori, senza muovere troppo le braccia lungo i fianchi, a mento alto. Ci esercitammo tutto il giorno. Prima nella postura, poi nelle maniere di parlare.
 A quanto pareva gli Stein erano Conti. Per cui lo sarei stato anche io. Sarebbe stato disonorante per un Conte sposare qualcuno di rango inferiore.
Poi arrivò il momento di diventare un uomo. Quindi tagliare i miei bellissimi capelli e in qualche modo dare al mio viso un aspetto più da uomo.
Non ero affatto felice. Vedere i miei  meravigliosi boccoli cadere in terra sotto le forbici di Samuel, era uno strazio. A quanto pareva era un provetto barbiere e quindi tagliare i capelli a una ragazza non doveva essere troppo difficile.
Avevo paura a come sarei apparsa. Mi porse uno specchio dopo una mezz’oretta.
La bocca mi si spalancò. Aveva tagliato cortissimi i capelli ai lati della testa e reso la lunghezza omogenea. Non ero rasata ma abbastanza corti da far sparire il ricciolo naturale. La parte centrale invece l’aveva acconciata in modo da formare una piega ondulata, rivolta verso il retro della testa. Ovviamente dietro erano stati resi anch’essi corti. Non assomigliavo a una ragazza ma nemmeno a un uomo. Che cavolo aveva fatto?
Non fraintendetemi, mi piaceva come stavano ma decisamente non aveva l’accuratezza dovuta.
Mi fece poi una specie di basette finte. Bastava incollarle con un gel giusto e poi avrebbero tenuto fino a quando non avessi deciso di strapparle. Le sopracciglia le rese un po’ più irsute con una matita.
Alla fine assomigliavo ad un uomo. In più gli occhi chiari, mi rendevano una possibile discendente di una famiglia tedesca.
Passammo all’abbigliamento. Mi consegnò un suo abito formale, nero con una cravatta bianca. Aggiunse al pacchetto un cappello, anch’esso nero, un bastone da passeggio con nascosto al suo interno una lama, e un anello con una S rossa incisa sopra che infilai all’indice destro.
Quando mi rimisero davanti allo specchio, acconciata a quel modo, non mi riconobbi.
Certo, i lineamenti erano ancora delicati ma non si sarebbe potuto sospettare di me.
Forse avrebbe funzionato.
Doveva. Non avevo cambiato me stessa per niente.
“Ecco a voi, Logan Stein, Conte di Steinstorm.”
Mi presentai, provando la mia voce da uomo, leggermente arrochita ma non difficile da pronunciare.
I due presenti, il Conte e Samuel, si inchinarono. Poi vennero entrambi ad abbracciarmi.
“Ce la possiamo fare.”


10 agosto 1953
 
Non vedevo Erin da alcuni giorni. Nemmeno  mio padre a dir la verità.  Speravo si facessero vivi presto. Erin mi mancava  da morire.
Da quando Susan aveva saputo che ero sopravvissuta, non mi lasciava un momento in pace. Non che fossi infastidita, anzi, solo avrei voluto qualche momento di tranquillità, in modo da pensare alla mia riacquistata vita.
Fra un mese sarebbero ricominciati i corsi del secondo anno ma quello che mi occupava la mente era il mio matrimonio. Dio, ero così felice. Ci sarebbero potuti essere una montagna di guai ma quello che davvero importava, era lei. E sarei stata sua. Per sempre.
Susan era uscita con il suo promesso sposo e io ebbi finalmente la possibilità di andare a cercare il vestito da sposa di  mia madre.
Lo trovai in un vecchio armadio al secondo piano. Era stato fatto solo per contenere quell’abito.
Era di un bianco candido, nonostante fossero passati così tanti anni. Era molto semplice per essere il vestito da sposa di una nobile ma a me piaceva proprio per questo.
Aveva delle spalline sottili e  si apriva in una ampia gonna alla fine del busto. Ricamati sopra in oro, vi erano rose con i tralci che si intersecavano gli uni agli altri.
Era davvero magnifico. Volevo indossarlo il giorno del mio matrimonio.
Sentii che al piano di sotto era stato introdotto qualcuno. Forse era mio padre. Susan non poteva essere di sicuro.
Chiusi le ante dell’armadio e scesi lentamente le scale, ancora con l’abito nella  mente.
Mi ritrovai nell’ingresso. C’erano Burton e un giovane uomo di spalle, fasciato in un abito nero.
Burton mi vide e si inchinò brevemente prima di sparire.
Chi era mai questo? E perché Burton  mi lasciava da sola con uno sconosciuto?
Provai a presentarmi, con voce altera.
“Sono Louise Blake, Contessa di Blakelake. Lei è?”
Finalmente si voltò.
Mi si spalancarono gli occhi per la sorpresa e l’assurdità della situazione.
Era lei. Era Erin ma non era lei, almeno non le sembianze. Anche se riconoscevo i suoi occhi azzurri, inconfondibili.
“Molto piacere di conoscerla, Contessa. Mi chiamo Logan Stein, Conte di Steinstorm.”
La voce era la sua ma leggermente arrochita. Il nuovo taglio le stava molto bene. Ovviamente la preferivo a come era prima ma nemmeno così era male. Insomma è bella in qualunque modo.
Non resistetti e le saltai fra le braccia. Era lei. Quanto mi era mancata.
Inspirai il profumo della sua pelle e fu come la prima volta.
“Ti amo, Logan.”
“Ti amo, Louise.”
Mi fece volteggiare per la hall e poi finalmente mi baciò. E non mi importava di chi potesse vederci. 
  
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