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Autore: peluche    26/05/2014    11 recensioni
Il ghiaccio ha bisogno del fuoco per abbandonare il suo stato di paralisi,
il fuoco ha bisogno dell'acqua per placare le sue fiamme imponenti.
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«Hannah! - disse a un tratto Aria – Quello non è..» prima che potesse finire la frase,un tizio ci passò accanto,scioccato quanto noi.
«Harry Styles ci degna nuovamente della sua presenza,quale onore.» I brividi. Lo fissai nel suo giubbotto di pelle,nei suoi riccioli scomposti e sulla sua moto nera petrolio. Il tizio che qualche minuto prima ci era passato accanto era Zayn Malik. Zayn Malik,il ragazzo più inaffidabile su questo pianeta,dopo Harry Styles,ovviamente.
«Non era finito in riformatorio?» Mi sussurrò Aria.
«Si, - risposi io in una specie di trance – infatti.» Non riuscivo a levargli gli occhi di dosso. Zayn gli si avvcinò e si diedero un affettuoso abbraccio. Il duo-idioti era tornato. Non poteva rimanere lì dov'era? Perchè dopo cinque anni in riformatorio aveva deciso di rimettere piede qui? Perchè era tornato nella sua vecchia scuola?
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ice on fire

capitolo 13

 

La mattina dopo mi svegliai presto. Avevo preparato una borsa con le cose essenziali, preparato dei soldi sulla scrivania e per tutta la notte avevo cercato una scusa da dire ai miei. L'unica plausibile che riuscii a tirar fuori fu quella “sono dovuta rimanere a scuola per un corso”. Ero una secchiona, potevano bersela. Avevo chiesto l'aiuto di mio fratello, al quale non avevo detto nulla, e con Liam questa balla non avrebbe tenuto. Si sarebbe insospettito non essendo a conoscenza di un corso, e magari sarebbe andato a curiosare a scuola stessa. Per Liam quindi avevo chiesto l'aiuto di una campionessa nel dire le bugie. A una persona che ne ripeteva così tante e ne aveva inventate di così strane che ormai mentire era diventato un gioco da ragazzi.
«Non posso!» mi aveva detto la mia amica, una volta venuta a conoscenza del mio piano.
«Ti prego Aria, - la supplicai – questa è l'ultima volta!»
«Liam non si merita tutte queste bugie Hanna! - mi ammonì – E' un bravo ragazzo, perchè non gli dici semplicemente la verità?»
«Se potessi lo farei, ma questa cosa è più grande di me stessa.»
Dopo una manciata di minuti di suppliche e di spiegazioni, Aria accettò a malincuore. Non volevo mentire a Liam, giuro, ma non potevo dire a nessuno del padre di Harry. 
Così, dopo aver sistemato per bene tutti quanti, mi vestii in fretta e prendendo la borsa, sgattaiolai al piano di sotto e mi avvicinai alla porta.
«Torna presto.»
Mi venne quasi un colpo. Mi voltai e trovai Louis vicino al divano.
«Dio! - portai una mano al petto – Mi hai fatto venire un infarto!»
«Un infarto te lo farà venire papà se entro stasera non sei a casa.»
«Torno presto, promesso.» Gli scoccai un bacio in guancia.
«Stà attenta.» mi urlò.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi incamminai verso casa di Harry. Il sole non era ancora sorto del tutto e il cielo era uno spettacolo di colori. Andavano dal viola all'arancio. Provai un senso di serenità e di pace immenso, e respirai l'aria fresca del mattino. Mi avvicinai al cancelletto di legno e lo aprii, entrando nel giardino esterno. Vidi Harry di spalle osservare con cura la sua moto nera metallizzata. Chissà se avrebbe mai guardato una ragazza allo stesso modo. Nonostante fossimo in pieno dicembre, lo trovai in canottiera. Aveva le spalle larghe, perfette. Poi qualcosa attirò la mia attenzione. Un tatuaggio che prima non avevo notato, sulla spalla destra. Era confuso, forse erano lettere, o simboli. Era impossibile decifrarlo senza guardarlo attentamente. E prima che potessi farlo, Chester scodinzolò versò di me, saltellando.
«Buongiorno piccolino!» dissi.
Harry si voltò, sorpreso, e mi osservò accarezzare il cucciolo.
«Ti piace svegliarti presto?» chiese, con sarcasmo.
«Quando ho qualcosa in programma si.»
«Non c'è niente che io possa fare per farti restare dove sei?»
Feci finta di pensarci su e poco dopo agitai la testa in segno di no con forza.
«Fantastico! - mentii – Muoviamoci allora.»
Mi passò il casco, portò Chester dentro e si infilò la giacca di pelle. Montò sulla moto e io feci lo stesso.
«Che hai da ridere?» chiesi, sentendolo ridacchiare.
«Qualche mese fa mi minacciasti dicendo che per nessuna ragione al mondo saresti mai salita su questa moto, - disse – e con oggi è la seconda volta che sali di tua spontanea volontà.»
«Anche per questa, come quella, si tratta di un'emergenza!» risposi.
«Ricordami di insegnarti a trovare scuse migliori.» mi stuzzicò.
«Pensa a guidare!» risposi, scocciata.
Gli circondai la vita con le braccia e accellerò. Sentii l'aria fredda punzecchiarmi la faccia, ma a differenza dell'ultima volta non avevo paura, e guardavo il sole che a poco a poco si era fatto sempre più alto, dando un caloroso buongiorno a Bristol. Era dicembre, ma ancora era possibile sentire il calore dei raggi del sole. La neve non si era proprio vista e anche la pioggia sembrava scomparsa. I telegiornali dicevano che il brutto tempo sarebbe arrivato all'improvviso e sarebbe stato perfido. “Perfido” secondo diversi punti di vista. Gli studenti non ritenevano le scuole chiuse un comportamento “perfido”, ma i danni che poteva fare la natura si, quello si che era perfido. Ma perchè pensare al maltempo, quando la città si risveglia ancora con un sole caldo così?

 

Harry guidò almeno per due ore. Tenevo gli occhi chiusi perchè mi infastidiva il vento, ma a volte gli aprivo e vedevo cambiare il paesaggio di continuo. Eravamo arrivati in un paesino isolato, quasi sconosciuto. I negozi per la maggior parte erano chiusi e non si vedeva gente in giro.
«Sei sicuro che questo sia il posto giusto?» gli chiesi, una volta scesa dalla moto.
«Se fossi un fuggitivo, dove te ne andresti?»
«Qui, - dissi osservando un ubriacone sdraiato su una panchina – decisamente qui.»
«Andiamo in quella bottega a chiedere informazioni.»
Lo seguii, guardandomi attorno.
I muri erano pieni di graffiti, la strada piena di sporcizia e le case avevano tutte le serrande abbassate. Entrammo in una bottega, con l'insegna a penzoloni. Alla cassa una signora un po' grassottella era intenta a guardare la televisione e il cane accanto a lei se ne stava sdraiato, con gli occhi semi chiusi.
«Buongiorno!» salutò Harry.
«Buongiorno figliuoli, - salutò la signora cortesemente – cosa posso fare per voi?»
Quando ci vide, il cane alzò di scatto la testa e ci scrutò.
«Stavamo cercando l'Hotel Dolphin, può aiutarci?» domandò Harry.
Mentre lui era intento ad ascoltare le indicazioni della signora, io gironzolai tra gli scaffali domandandomi se ci fosse qualcosa di non scaduto e di commestibile. Ma che razza di posto era?
«...ma non credo sia il posto adatto a una cara coppia come la vostra.» riuscii a sentire.
«Oh no!» la corresse subito Harry.
«Noi non siamo..» lo aiutai.
«..fidanzati insomma.» finì lui.
Tornai vicino a loro e sorrisi, imbarazzata.
«Scusatemi.» si scusò lei.
«Non si scusi, - la rassicurò Harry – grazie per l'aiuto Annabel.»
Uscimmo dalla bottega e seguii Harry.
«L'Hotel è qui dietro..» disse.
Invece di ascoltarlo, osservai un gruppo di vagabondi che circondavano un cassonetto da cui fuoriusciva del fuoco. Si strofinavano le mani tra di loro per cercare di riscaldarle e ritiravano il collo per evitare brividi di freddo. Avrei voluto tanto aiutarli.
«Ehi dolcezza, - un tale mi afferrò dal braccio – non vedevo una così bella ragazza da troppo tempo.»
Sentivo la puzza di alcool che fuoriusciva dalla bocca e vedevo i denti completamente ingialliti, per il troppo tabacco forse.
«Ehi! - Harry gli fece mollare la presa – Levati di torno.»
L'uomo lo guardò con disgusto e poi se ne andò.
«E' possibile che non mi posso distrarre un attimo che ti trovo nei guai?» mi rimproverò.
«Ma hai visto in che posto siamo? Tuo padre n..»
«Ci penso io a mio padre Hanna! - mi zittì – Ecco perchè dovevi rimanere a casa!»
Lo guardai per un attimo, piena di rabbia. Avrei voluto tirargli un pugno in piena faccia e rovinargli quel visino perfetto.
«Eccolo.» tagliai corto.
Lo superai e andai verso un edificio con in cima la scritta Dolphin. Mancava la i, che era sicuramente caduta, ma il posto era quello. Purtroppo. Un odore di fritto e di cipolla mi investì una volta entrata e vidi la luce della reception spegnersi e accendersi di continuo.
«Di prima classe.» feci notare.
Harry mi superò e andò dritto dritto verso un tizio che se ne stava seduto su una sedia dietro un bancone, mani intrecciata sulla pancia, occhi chiusi e bocca semiaperta.
«Mi scusi! - lo richiamò Harry – Signore!»
«Porto io i bambini a scuola!» urlò di colpo il panciuto, sussultando.
Una volta visto Harry, si ricompose.
«Salve, - disse – benvenuti al Dolphin.»
«Si, salve io volevo sapere se poteva dirmi se Marcus Styles alloggia qui.» disse Harry.
Io me ne stavo poco più indietro, curiosando un po' in giro.
«Mi spiace ragazzo ma non possiamo dare questo tipo di informazioni.»
«La prego! - insistette – E' davvero importante.»
«Abbiamo delle regole ben precise a riguardo.» Continuò pinco panco.
«Lei non capisce, - Harry iniziò ad agitarsi – io devo sapere se si trova in questo hotel!»
Sbattè la mano sul bancone, facendo sussultare sia me che il panciuto.
«Quello che mio fratello sta cercando di dire Erik, - intervenni e lessi il nome del nostro amico sulla targhetta – è che abbiamo bisogno di sapere se nostro padre si trova in questo hotel, è molto importante.»
Sbattei un po' gli occhi, mi toccai un po' i capelli e cercai di essere più seducente possibile.
«Se è davvero così importante, - ci ripensò Erik – posso dare una controllata.»
Si precipitò a guardare lo schermo del computer e a digitare qualche strano codice o cos'altro. Poco dopo tornò a guardarci.
«Mi spiace, - riconfermò – non c'è nessun Marcus Styles.»
«Ne è sicuro?» domandò Harry.
Erik annuì.
«Ma ci deve essere! - Harry sbattè nuovamente la mano sul bancone – Deve essere per forza qui, controlli meglio!»
«Harry! - lo ammonii – Ci scusi, grazie mille.»
Lo trascinai fuori dall'hotel e si scrollò le spalle per la rabbia.
«Devi darti una calmata!» gli urlai.
«Quello mente! - urlò – Deve essere per forza qui!»
«Ma tu credi davvero che tuo padre sia così stupido da usare il suo vero nome? - gli feci notare – Può essersi spacciato per chiunque!»
Harry mi dava ancora le spalle. Teneva la testa abbassata e con il piede calciava via dei sassolini. Le mani in tasca e sapevo che avrebbe tirato molto volentieri un pugno a qualcuno. Visto che non si degnava di calcolarmi, lo superai colpendolo con la spalla.
«Dove vai?» mi urlò.
«A cercare un posto decente dove mangiare, - gli risposi – ho fame!»
«Hanna aspetta!»
Lo sentii correre alle mie spalle e in un attimo fu al mio fianco. Senza dire una parola, senza riprendere il discorso. Sapeva che avevo ragione.

 

«Stranamente è buono!» osservai, con la bocca stracolma di cibo.
Harry continuava a starsene con il muso, sempre allerta e non aveva ancora tocca cibo. Il panino era rimasto intatto sul piatto in cui l'avevano portato e lui aveva solo fatto una smorfia quando glielo avevano servito.
«Magari non ti sta cercando, - dissi a un tratto – ci hai mai pensato?»
«Non hai avuto il piacere di conoscerlo, fortunatamente.»
«Non credo che adesso hai cose più importanti a cui pensare? Tua madre rimarrà in ospedale Harry, dovresti passare del tempo con lei invece di rincorrere fantasmi.»
«E' per questo che sei venuta vero? - disse sorridendo – Per assumere il ruolo di grillo parlante.»
«No, - mi asciugai le labbra con un tovagliolo – sono venuta per non farti fare stronzate!»
Harry rise e io con lui, ma sapeva benissimo che avevo ragione. Grazie alla mia presenza avrebbe evitato di cacciarsi in situazioni pericolose, commettere delle sciocchezze o fare qualcosa di cui si sarebbe pentito. Avevo un potere strano su di lui. Quando era in mia compagnia cercava sempre di evitare pericoli e, ahimè, anche di evitare situazioni imbarazzanti.
«Prova ad assaggiarlo, - lo incitai – il gusto è migliore dell'aspetto.»
«Non mi va.» disse, di getto.
«Di cosa hai paura veramente?» gli chiesi a un tratto.
Harry mi guardò confuso, come se cadesse dalle nuvole.
«Tua madre è in ospedale, - continuai – il che vuol dire che è in massima sicurezza, qual'è il problema?»
Sbuffò.
«Perchè non vuoi capire?»
Questa volta quella confusa ero io. Lo guardai, in quell'espressione di stanchezza, frustrazione e un pizzico di paura. Mi lanciò uno sguardo dolce, diverso dal solito, e capii.
«Tu hai paura che tuo padre possa fare del male a me?» gli chiesi.
Non rispose. Guardò il panino e il suo aspetto che peggiorava mano a mano che il tempo passava.
«E' ridicolo! - mi lamentai – Non mi vedi da anni, non mi riconoscerebbe nemmeno.»
«Se stessi con me lo farebbe.» disse.
Rimanemmo in silenzio. Io finii lentamente il mio panino. Ormai anche io avevo perso l'appetito. Harry giocherellava con l'insalata, punzecchiandola con la forchetta. Lo guardai, divertita. Era straordinario il fatto di come molti aspetti del suo viso, del suo carattere, mi ricordassero il bambino che era stato un tempo. Avevo passato la maggior parte di quella giornata a osservarlo, a litigarci, a prenderlo in giro e mentre pensavamo a punzecchiarci in quella sorta di fast food, non mi ero neanche accorta dell'arrivo della sera e della neve che aveva ricoperto le strade.
«Guarda, - dissi entusiasta – c'è la neve!»
Harry si voltò di scatto verso la vetrata e anche lui, come me, solo in quell'istante si accorse di quanto tempo avevamo passato lì dentro. Ma a me non importava.
«Da quanto siamo qui?» chiese, alzandosi di scatto.
SI infilò la giacca e andò verso il televisore posizionato accanto alla cassa.
Sembra che la prima nevicata porti con se anche la prima tempesta di neve dell'anno..
mi avvicinai anche io, fissando la signorina al telegiornale.
«Può alzare?» chiese con freddezza Harry a una cameriera.
..secondo la guardia forestale sarà una delle tempeste più violente e per questo è stato rilasciato il divieto assoluto del circolo in strada e si avverte i cittadini di rimanere nelle proprio case.
Avvertii dei versi di stupore e di paura tra i pochi clienti del locale. Vidi Harry correre verso l'uscita e una volta aperta la porta un'ondata di neve lo investì, seguita da una pioggerellina sottile.
«Harry! - gli urlai, seguendolo – Cosa facciamo?»
Lo vidi guardarsi prima a destra e poi a sinistra, per poi tornare su di me.
«Dobbiamo trovare riparo!» urlò, avvicinandosi.
Io annuii e prendendomi per mano lo seguì per le strade, fino ad arrivare all'hotel in cui eravamo stati questa mattina. Erik non era più dietro al bancone, al suo posto c'era una ragazza fin troppo giovane, avvolta da un piumone.
«Oh cielo!» esclamò, vedendoci infreddoliti e ricoperti di acqua e neve.
«Salve! - disse Harry, rabbrividendo – E' possibile affittare una macchina o trovare un pullman che arrivi a Boston?»
«Mi dispiace ma nessuno si muove per stanotte, - disse lei – avete sentito il telegiornale?»
«Si ma vede noi..» cercò di continuare lui.
«Harry..» sussurrai io, rabbrividendo.
I miei denti sbattevano tra di loro, sentivo le dita dei piedi gelide e facevo faticare a respirare. Harry mi guardò e avvicinandosi, mi cinse le spalle con un braccio e cercò di riscaldarmi, ma sentivo tremare anche lui.
«Sentite, - iniziò la ragazza – siamo preparati per questo tipo di emergenze. Abbiamo tante camere a disposizione, dove potrete riscaldarvi e riposare.»

Sentivo il respiro faticoso di Harry sul collo e i brividi di freddo che gli andavano lungo il corpo. Non avevamo altra scelta. La tempesta sarebbe finita non prima di domani mattina e noi potevamo solo rimanere a dormire in quell'hotel.
 

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Buona sera :) Scusate il ritardo!
Questo capitolo ero pronto già da un pò ma non ho avuto internet per ora per alcuni lavori che stiamo facendo a casa!
Francamente spero davvero che questa storia vi stia piacendo.. vedo pochi commenti e la cosa mi demoralizza molto perchè magari sbaglio in qualcosa e non piace per questo.. Mi dispiacerebbe molto sospenderla perchè ho davvero grandi idee per Harry e Hanna. Spero possa andare meglio:)

 
  
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