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Autore: LunaMoony92    27/05/2014    2 recensioni
E' passato più di un anno dalla morte di Fred. George è distrutto e, per l'ennesima volta, decide di affogare il suo dolore nell'alcool. Ma qualcosa succede quella sera. Per uno strano scherzo del destino o per chissà cosa, George si ritrova a casa di Hermione. Questo è l'inizio della nostra storia...
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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SBAM.
Il rumore della porta chiusa.
Il singhiozzo di Hermione dall’altra parte.
Il “Pop” della sua smaterializzazione.
L’urlo di George.
 
 
La porta.
Il singhiozzo.
Hermione.
Il vuoto.
 
 
Cosa aveva fatto?
 
 
Continuava a urlare George, come a voler allontanare via da sé con quell’urlo tutto il dolore che sentiva, come a volersi liberare anche di se stesso.
Urlava George, sentendo che era l’unica cosa che poteva fare, stanco di tenersi tutto dentro.
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
Un altro urlo, sempre più forte, sempre più straziante,  colmo di rabbia e di sofferenza.
Tremava.
L’appartamento era ridotto ad un campo di guerra. Ogni oggetto che prima aveva avuto una posizione verticale, si trovava adesso a terra, spezzato, distrutto, divelto.
Lampade, portafoto, piatti e persino i quadri, erano sparpagliati a terra, distrutti dalla furia di George.
Provò ad urlare ancora una volta, ma non uscì fuori nessun suono.
Anche il suo corpo si era stancato di lui, si rifiutava di collaborare.
Un pugno contro il muro.
E poi un altro e un altro ancora.
Epilogo già visto, storia già vissuta.
Solo contro tutto, solo contro se stesso, come dopo la morte di Fred.
Esausto, si prese la testa tra le mani. La fronte sudata, gli occhi sgranati, le mani tremanti, espressione di chi è sceso all’inferno ed è ritornato.
Poi si voltò e finalmente trovò quello che cercava. Per fortuna la sua furia l’aveva risparmiata.
Prese la bottiglia di Whiskey Incendiario che era rotolata sotto la poltrona e si abbandonò all’oblio che solo lei poteva regalargli.
Chiuse gli occhi e il mondo cessò di esistere.
 
 
 
 
Si risvegliò che era pomeriggio. Il solito mal di testa che lo accompagnava dopo ogni sbronza, lo salutava ormai come avrebbe fatto un amico con cui ci si vede spesso.
Tentò di alzarsi, ma inciampò in tutto il ciarpame che aveva sbattuto a terra quella mattina.
Sul tavolo c’era un biglietto, era di Lee. Doveva essere entrato a prendere le chiavi del negozio.
“Apro io. Quando ti riprendi fammi un fischio che ti gonfio. Lee”
George accennò un sorriso. Lee cercava di fare del suo meglio per stargli vicino, ma non gli avrebbe raccontato cosa era successo. Probabilmente non l’avrebbe mai raccontato a nessuno.
L’alcool gli aveva annebbiato un po’ i ricordi ed era quello che aveva ardentemente desiderato, ma adesso aveva bisogno di trovare una via d’uscita più “radicale.”
Un gufo picchiettò alla finestra. Era Errol. Aprì e subito il vecchio gufo di famiglia andò a sbattere contro la pila di mondezza che si era creata vicino al divano.
George tirò via la lettera dalla zampa del gufo e lesse. Era di Ginny.
“Non so cosa ti sia successo ieri, non voglio saperlo. Voglio solo dirti che Charlie parte stasera. Se vuoi venirlo a salutare, ci trovi a Villa Conchiglia.”
George sbuffò. Non aveva voglia di vedere nessuno, non dopo la mattinata che aveva passato.
Ma poi gli venne un’idea. Si, sarebbe andato, quella era la sua occasione per scappare via, per ricominciare. Lee se la sarebbe cavata anche da solo. Dopotutto, lo faceva già da un po’.
Raccolse da terra qualche maglietta, un paio di scarpe e qualche pantalone, li richiuse in una valigia che teneva sotto al letto e si smaterializzò, dimenticandosi persino di chiudere la porta.
 
 
 
 
 
 
L’aria della spiaggia vicino Villa Conchiglia gli riempì i polmoni e gli fece riacquistare un po’ di lucidità.
Non si era lavato.
Sua madre avrebbe subito capito che aveva bevuto di nuovo ed era certo che il suo caro mal di testa non avrebbe apprezzato le sue urla. Non sapendo bene che fare, getto la valigia sulla spiaggia e si tuffò in acqua.
L’acqua era gelida, ma George parve non accorgersene a primo impatto. Piano piano il suo corpo si svegliò dall’intorpidimento che l’alcool aveva provocato e iniziò a bramare calore. I brividi lo scuotevano da capo a piedi ma lui si ostinava a rimanere in acqua, cercando di risvegliarsi del tutto, cercando di capire cosa avrebbe detto una volta in casa.
Una mano bianca e piccola lo trascinò via dai suoi pensieri.
“Ma che cavolo fai?” una Ginny fradicia e arrabbiatissima lo guardava con gli occhi ridotti a due fessure.
“Faceva un bagno” tentò George, cercando di risultare simpatico, cosa che, ovviamente, non funzionò.
“Se era un tentativo di lavarti via l’odore dell’alcool, devo annunciarti che hai fallito, fratellino. Vieni qui che ti sciugo, dai” e, rassegnata, iniziò ad asciugarlo facendo uscire un getto di aria calda dalla sua bacchetta.
Era incredibile come Ginny passasse dall’arrabbiatura all’apprensione in meno di 10 secondi. Dopotutto, però, era la figlia di Molly Weasley. I geni avevano fatto bene il proprio lavoro, niente da ridire.
Dopo averlo asciugato e aver fatto lo stesso con se stessa, disse:
“Cosa è successo stavolta?”
“Niente Ginny, tranquilla. Sto bene” Era così abituato a quella bugia, che ormai nemmeno ci pensava, le parole arrivavano alle sue labbra da sole.
Ginny gli voleva molto bene. Voleva bene a tutti i suoi fratelli ma da sempre aveva avuto un rapporto speciale con i gemelli, che, insieme a Bill, erano i suoi fratelli preferiti.
Il silenzio di George le faceva male, avrebbe voluto aiutarlo. Dopo la morte di Fred, con George era così: un passo avanti e poi due indietro. Quando le sembrava di essere riuscita a scalfire il muro che George aveva eretto attorno a sé, lui la allontanava di nuovo.
“Ok…” disse soltanto. Lo guardò, vedendo nei suoi occhi quella tristezza che da quel maledetto 2 Maggio non  l’aveva più abbandonato e decise di proseguire il suo discorso.
“Non dirò niente a mamma, però voglio che tu sia sincero con me d’ora in poi. Ho cercato di starti vicino in questo periodo in tutti i modi, ma quando mi illudo che ci sto riuscendo, tu continui ad allontanarmi. Ti voglio bene, lo sai?”
George non riuscì a dire niente, sorpreso dalla schiettezza della sorella. Si limitò ad abbracciarla forte, sperando che quell’abbraccio sarebbe riuscito a trasmetterle quello che non riusciva a dirle a parole. Avrebbe cercato di includere di nuovo Ginny nella sua vita. Dopotutto, era la sua sorellina, non poteva vivere senza di lei.
“Entriamo dai, Charlie sta per partire.” disse Ginny, ma si interruppe, notando un particolare che le era sfuggito.
“Perché hai una valigia?”
George decise di inaugurare il ritrovato rapporto con la sorella rendendola partecipe dell’idea che l’aveva colto al suo risveglio.
“Beh… Voglio partire con lui.”
Ginny aprì più volte la bocca e la richiuse, senza riuscire a dire niente. Poi disse soltanto:
“Ok… Scrivimi però.” E lo abbracciò forte.
Ginny era sempre una sorpresa. Era davvero incredibile la forza che aveva. Aveva affrontato un anno terribile ad Hogwarts quando Harry, Ron e Hermione erano alla ricerca degli Horcrux, con i Carrow al potere. Poi la guerra, la perdita di Fred, il lutto e il conseguente allontanamento di George. E ancora, la partenza di Harry, quell’amore a distanza che la logorava e adesso anche questo.
Ma non aveva pianto. No, lei era forte. L’aveva abbracciato, lo voleva appoggiare perché sapeva che nessun altro l’avrebbe fatto, forse Bill. Magari in una lettera, George, prima o poi, le avrebbe spiegato perché l’aveva fatto.
Si sciolsero dall’abbraccio ed entrarono in casa insieme. Nel salotto della villetta, tutti i Wesley chiacchieravano animatamente. Molly, come al solito, era agitatissima.
“Stamattina tuo fratello Ron e Harry, adesso tu! Ma che premura hai? Mica i tuoi draghi scappano!” Stava dicendo a Charlie, mentre gli sistemava il colletto della giacca.
“Mamma te l’ho detto! Holly è in ferie, devo tornare subito!”
George si schiarì la voce per annunciare la sua presenza.
“Oh Georgie, sei arrivato!”
 Molly gli corse in contro e lo abbracciò alla sua solita maniera.
Poi lo annusò e disse: “Ma cos’è questa puzza?”
George non aveva pensato a nessuna scusa, così si limitò a rimanere in silenzio. Arthur, desideroso di evitare nuove scenate, sviò il discorso.
“Allora Charlie, a che ora è prevista la passaporta?”
“Alle 17. Mancano solo 10 minuti, sarà meglio che inizi con i saluti.”
George non sapeva bene come dirlo, allora decise di farlo e basta.
“Posso venire con te, Charlie? In Romania intendo.”
Il chiacchiericcio della stanza cessò di colpo. Tutti guardavano George, spostando di tanto in tanto lo sguardo da Molly a Charlie.
La prima a parlare, ovviamente, fu proprio Molly.
“COME, SCUSA? Cosa ci devi andare a fare tu in Romania?”
Il sensore da mamma iperprotettiva era in allarme, allarme rosso! Due figli lontani erano già un duro colpo per lei, adesso anche il suo Georgie?
George aveva previsto questa reazione, ma non era pronto ad affrontarla.
“Beh… E’ da tanto che non ci vado e ho pensato che Charlie poteva aver bisogno di una mano.”
Pessima scusa, ma l’unica che l’alcool che ancora aveva in corpo misto alla paura gli permetteva di formulare.
In suo aiuto, intervenne Bill.
“Mamma ma che male c’è? Al negozio resta Lee, giusto George?”
“Si, si… Per lui non è un problema.” disse George, rivolgendo uno sguardo pieno di gratitudine al fratello.
Charlie ancora non aveva parlato, aspettava un qualche cenno dalla madre. Non avrebbe mai voluto andarle contro a dieci minuti dalla sua partenza.
Si intromise anche Arthur.
“Molly cara, non credo sia un’ idea malvagia. Georgie ha bisogno di prendere un po’ di aria… Vedrai, gli farà bene.”
“Ma sarà lontano da me! Non solo Ron e Charlie, anche lui! E Bill che vive qui… “
Come era prevedibile, le lacrime affiorarono agli occhi di Molly.
George guardava implorante Ginny che passò un bracciò sulle spalle della madre e la strinse a sé.
“Ma ci sono io mamma! E anche Percy quando si ricorda di tornare a casa da lavoro!”
“Charlie, allora?”
George era impaziente. Mancavano solo pochi minuti alla partenza della passaporta.
“Ma certo fratello, ti pare!”
 E gli batté una mano sulla spalla.
“Bene! Allora è deciso!” disse Arthur. “E’ meglio che ci salutiamo in fretta. Mancano solo 5 minuti.”
Tutti i Weasley si salutarono, con la promessa di tante lettere e di vedersi presto. George lasciò per ultimi Bill e Ginny.
“Bill ti devo un favore.” disse.
Bill lo guardò serio.
“Sono tuo fratello, l’unica cosa che mi devi è tornare ad essere anche tu il mio fratellino di sempre.” e lo abbracciò. Infine fu il turno di Ginny.
“Ricordati che mi hai promesso delle lettere.. “ disse lei.
“Certo sorellina, ogni promessa è debito!”
La lampada ad olio iniziò a  lampeggiare con la consueta luce azzurrina, Charlie e George la toccarono e iniziarono a vorticare, in direzione della Romania.
 
 
 
 
 
 
 
La casa di Charlie era molto simile alla capanna di Hagrid, un po’ più grande certo, ma ugualmente piena di strane gabbie, piante  e libri sugli animali.
“Me l’ha mandato Hagrid quello” disse infatti Charlie, indicando la foto di uno schiopodo sparacoda poggiata sul camino che George stava guardando.
“L’avevo immaginato” disse sorridendo.
Era contento della sua decisione. Partire, lasciare tutto e tutti alle spalle. Solo lui, Charlie e i draghi.
Si ricordò però di dover scrivere una lettera a Lee. Nella fretta della partenza, aveva dimenticato di avvertirlo.
“Hai un gufo Charlie?”
“Cos’è scrivi già alla ragazza che ti manca?”
“Pessima battuta fratello.”
L’umore di George che era un po’ migliorato, scese di nuovo ai minimi storici.
Resosene conto, Charlie uscì per andare a richiamare il suo gufo e lasciarlo un po’ da solo.
Dopo aver inviato la lettera, Charlie e George si avviarono al recinto dei cuccioli di drago.
C’erano i figli di Norberta, l’ex drago di Hagrid, dei “piccoli” petardi cinesi, e un grugnocorto particolarmente scontroso.
“Non sono bellissimi?” gli disse Charlie mentre gli dava da mangiare.
“Se non fossi sicuro che sei mio fratello, penserei forse mamma abbia avuto un flirt con Hagrid ai tempi di Hogwarts” gli rispose e si misero a ridere.
Si, decisamente era stata una buona idea seguire Charlie. Insieme a Bill e Ginny era di sicuro il suo fratello preferito, dopo Fred, ovviamente. Non era mai andato molto d’accordo con Percy e Ron invece, uno troppo serio, l’altro non sapeva mai stare agli scherzi.
Da quando Charlie era partito per la Romania si erano un po’ persi, ma quando si rincontravano era sempre una festa, come se non fosse mai andato via.
“Grazie Charlie per avermi voluto con te.”  gli disse poi, riemergendo da questi pensieri.
“Figurati fratello, sono contento di avere un po’ di compagnia.”
“E io che pensavo preferissi i draghi!”
 Era facile scherzare con Charlie, gli ricordava molto Fred…
 
 
 
 
 
 
 
Le giornate passavano veloci tra i boschi della Romania. George scoprì che i draghi non erano affatto male come pensava, i cuccioli erano addirittura simpatici. Tranne il grugnocorto, certo.
Cercava di rimanere occupato il più possibile, per allontanare i pensieri che ogni tanto  si insinuavano serpeggianti nella sua mente.
Hermione. Le urla. I singhiozzi. La porta che sbatte.
Erano passate già due settimane, quando arrivò un gufo.
“E’ mamma!” annunciò Charlie. “Ci ha mandato dei biscotti, ne vuoi?”  disse porgendogli l’involto.
“Ah, questa è di Ginny, è per te!”
Ginny! Cavolo! Le aveva promesso che le avrebbe scritto.
Aprì la lettera un po’ spaventato e lesse.


“Come immaginavo, non mi hai scritto, così l’ho fatto io. Sei sempre il solito. Come stai tra i draghi? Ti manco almeno un po’? E’ passato Lee ieri, ha detto che ha saputo che andavi via e gli lasciavi il negozio da gestire solo dopo la tua partenza. C’è qualcosa che desideri dirmi, per caso? E in questo qualcosa, sempre per caso, c’entra Hermione? L’ho vista la scorsa settimana, era distrutta ma non mi ha detto perché. So solo che quando le ho detto che eri partito con Charlie, è scappata via in lacrime. Spero solo che tu non c’entri niente e sia stato solo un caso. Esigo una risposta.
Con amore (perché se non fosse per amore che lo faccio, ti lascerei in balia di te stesso), Ginny.”


Giorni interi spesi a cercare di dimenticare sfumati in un attimo.
Ginny l’aveva riportato alla realtà. Non poteva scappare per sempre dai suoi pensieri. Forse era arrivato il momento di riordinarli.
“Cos’ ha detto Ginny? E’ tornato Harry?” chiese Charlie.
“No, voleva solo avvertirmi che Lee ha l’influenza e chiude per una settimana il negozio” mentì George.
“Ok, io esco… Sai, con Holly. Ti dispiace, George?”
“Ma che dici! Divertiti fratello, che aspetti ad andare? Io rispondo a mamma e a Ginny prima che ci mandino una strillettera!”
Charlie uscì. Si sentiva un po’ in colpa a lasciare il fratello da solo, proprio adesso che lo vedeva più sereno. Holly però aveva insistito tanto e così aveva dovuto cedere.
George scrisse una risposta standard a Molly (Stiamo bene, mangiamo abbastanza, i draghi non ci hanno ucciso e Charlie non si è ancora fidanzato e no, ancora non torno) e poi si dedicò alla lettera di Ginny. Aveva deciso che l’avrebbe utilizzata come occasione per riflettere. Non poteva più rimandare.
Intinse la piuma nell’inchiostro e iniziò a scrivere:


“Cara Ginny,
lo so, sono sempre il solito, hai ragione. Mi dispiace non averti scritto prima ma sono stato impegnato.”


Cancellò subito quella prima riga. In fondo, le aveva promesso sincerità. Le sue bugie non facevano bene a nessuno.
 
 
 La verità è una scelta.
 
 
 Prese un altro foglio e ricominciò.
 
“Cara Ginny,
mi dispiace non averti scritto subito come promesso, ma ho cercato di mantenere la mente più impegnata che potevo per evitare di pensare alle cose da cui sono fuggito via. Si, perché, come avrai immaginato, io stavo fuggendo. Non proprio da qualcuno… Ok, forse si, ma soprattutto da me.
Io.. Io no ce la facevo più a rimanere li, mi sentivo oppresso, perennemente nervoso e triste. Ho pensato che qui sarei stato meglio, lontano da tutto per un po’. Charlie è sempre stato buono con me, mi ricorda tanto Fred, cerca sempre di farmi ridere...
Però non è tutto qui. Scappavo anche da qualcuno e credo che a te posso dirlo.”
 
 
George si fermò un attimo. Il momento della verità era vicino e si sarebbe trovato faccia a faccia con le sue azioni, con i suoi errori e con il dolore che per tutto quel tempo aveva cercato di chiudere in un angolo lontano della sua mente.
Respirò a fondo e continuò.
 
 
“E’ successo qualcosa con Hermione. Come sai, ultimamente ci eravamo avvicinati. Eravamo diventati amici e ci vedevamo spesso. Poi, il giorno che è nata Victoire, che era anche il giorno dell’anniversario di tu sai cosa…”
 
Si dovette fermare di nuovo. Ogni parola gli costava una fatica enorme, ogni parola era la prova che tutto era successo e che adesso era anche finito.
 
 
“Beh sono andato da Hermione, ero distrutto. Anche lei stava parecchio male e siamo finiti a letto.
Non sapevo cosa significava, ma lei mi era stata vicina come nessun altro era riuscito e io ho sperato che significasse qualcosa, che fosse un segno che magari sarei potuto essere di nuovo felice.
Eravamo d’accordo sul non dire niente a nessuno. Poi, quando siamo venuti a Villa Conchiglia, sono andato sulla spiaggia da solo, mentre voi festeggiavate. C’ho pensato…”
 
  
Senza accorgersene, aveva iniziato a piangere. Silenziose lacrime scendevano dagli occhi di George, si facevano strada sulle sue guance e terminavano il loro percorso sulla pergamena.
 
 
 
E’ dura non essere al sicuro e vedere sempre un po’ più piccolo il futuro.
E sai che fine fanno gli innocenti.


 
Si fece forza e continuò.
 
“Dicevo, ci ho pensato. E ho capito che non poteva funzionare. Non le posso offrire niente, capisci?
Se guardo avanti, non vedo niente, nessun futuro. Vedo solo me e il vuoto che mi circonda e non è questo che voglio per lei. Ho pensato a Fred. Ho visto anche una stella cadente e per un attimo mi sono illuso che fosse lui. Capisci? Capisci come sono ridotto? Non riesco a rassegnarmi per la sua perdita, vivo male. Non sono la persona adatta a lei.
Così ho deciso di mentirle. Volevo usare la scusa di Ron, ma avevano già parlato e mi è sembrato di capire che per lui non era un problema.
Così le ho rifilato la scusa del “siamo troppo diversi, non può funzionare” ma, evidentemente, non deve aver abboccato perché la mattina dopo è venuta nel mio appartamento a chiedermi spiegazioni e io le ho detto di andare via, di lasciarmi in pace.
Le ho detto l’unica cosa che sapevo l’avrebbe fatta andare via. Le ho detto che è stata solo una notte….”
 
 
George batté forte i pugni sul tavolo. Rivivere quei momenti aveva riacceso quella rabbia che si era sforzato di contenere in quelle settimane. Ce l’aveva col mondo, che era così ingiusto, con Hermione che era tornata da lui quella mattina, ma soprattutto con se stesso, che l’aveva mandata via con una bugia.
 
 
La verità è una scelta la verità è un'impresa


 
“E poi sono venuto a Villa Conchiglia e il resto lo sai già. Questo è tutto. So già quello che mi dirai.
Ti dirò, hai ragione. E se mi chiedi perché l’ho fatto. Beh, a te posso dirlo e forse è ora che lo ammetta anche a me stesso: ho paura, Ginny.
Si, io, George Weasley, ho una paura folle di stare male. E so che così starò male lo stesso, ma non credo che dirle la verità sarebbe la cosa giusta.
Se come hai detto, sta male anche lei, le passerà. Si dimenticherà di me e andrà avanti. E’ per questo che l’ho fatto. L’ho allontanata perché ci tengo a lei e non voglio che soffra per me.
Credo sia tutto. Non farne parola con nessuno.
Ti voglio bene.
George.”
 
 
 
Chiuse con cura la lettera e per assicurarsi che non avrebbe avuto ripensamenti, la legò subito alla zampa del gufo e lo lasciò volare via. Sarebbe passato qualche giorno prima di avere una risposta da Ginny.
Aprì la credenza e trovò soltanto una bottiglia di idromele.
“Andrà bene.” disse tra sé e sé.
“Qualunque cosa è meglio di questo schifo di realtà.
 
 

Ogni tanto non ci pensi vuoi soltanto andare avanti e schivare tutti gli incidenti.
La verità è una scelta, la verità è un'impresa.
 
 
 
  
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