Buonasera a tutti!
Non ho intenzione di dilungarmi troppo sull’inizio della
storia.
Avverto solo che ci saranno spoiler sia sulla prima che sulla
seconda stagione, perché ora iniziamo a lavorare seriamente su di esse!
Ringrazio chiunque abbia deciso di rimanere fedele alla
nostra Beatrice, arrivando a leggere anche il sequel!
Una nota tecnica: ho fatto un pasticcio linguistico e
culturale, in questo capitolo. Ho la fortuna di studiare antropologia delle Americhe (Vespuccie) – materia che
io adoro- e quindi ho inserito qualcosa sugli Aztechi (le parole in lingua quaecia, per farvi capire.)
Visto che gli sceneggiatori di DvD
hanno deciso di usare la cultura azteca in
contesto Inca –perché si sa che Machu Picchu fa figo- ho deciso anche
io di contaminare come una matta la cultura peruviana! Evviva!
Inoltre, sia il titolo che i titoli delle parti (prologo,
parte dalla prima alla quarta ed epilogo) sono frasi dette da Leonardo da Vinci
nel corso della sua vita. Le ho trovate bellissime e ho deciso di utilizzarle.
Grazie Leo! Grazie a te, mi do agli aforismi, oltre che alle
canzoni.
Bene, vi lascio alla lettura.
A presto,
Jessy
Amor onni cosa
vince
Prologo:
Meglio la piccola certezza, che la gran bugia.
Be strong, and hold my
hand.
Time becomes for us,
you'll understand.
We'll say goodbye today,
And were sorry how it
ends this way
https://www.youtube.com/watch?v=76WJJ57YoG0
*
La
leggenda narra che Pachamama, la Dea madre
dell’universo, fosse sposata a suo fratello, Pachakamac.
Dalla loro unione nacquero due gemelli, un maschio e una femmina, che
diventarono i pilastri della vita della Madre dopo la morte del consorte.
Rimasta
vedova con due figli, la donna scivolò nella tristezza e nella melanconia, lasciando
che il mondo venisse avvolto
dall’oscurità.
Così
nacque il caos, il male antico e insaziabile che divora l’uomo.
Esso
tocca solamente due dei tre piani in cui era suddiviso il mondo: il Kay Pacha, il mondo terreno, il ‘mondo di qui’ e il Uku Pacha, il mondo sotterraneo,
ove risiedono le anime dei morti e dei bambini mai nati.
Le
anime dei mortali passano da un piano all’altro, ambendo all’Hanan, il cammino degli Dei, il terzo e ultimo mondo. Lì,
il caos non esiste.
Il solo
modo per raggiungerlo era quello di immolarsi per le divinità stesse,
lasciandoli dissetarsi con il sangue e nutrirsi con il cuore.
Questo
è il sentiero che Pachamama ha insegnato ai suoi
figli, dopo averlo egli stessa compiuto facendosi divorare da Wakor, il custode della luce. Divenendo la madre del tutto,
della terra e dei viventi, Pachamama da ogni segno di
benevolenza verso ogni suo figlio, in particolare innanzi ad un’offerta o un
sacrifico fatti in suo nome.
Insieme
a Wiraqucha, Dio degli astri, mantiene l’ordine che è
stato duramente riportato grazie alla sua grande pazienza e benevolenza. Se il
sangue smettesse di bagnare la terra e le spighe di mais essa potrebbe
infuriarsi, cacciando via il Sole e le Stelle e facendo ricadere la terra nel
caos più supremo…
È
facile però tenerla paziente, con il sangue e con il cuore.
Con la
vita e con l’amore.
Perché
ogni atto d’amore è gradito a Pachamama.
27 ottobre 1478, Machu Pichu.
La voce di Ima si
interruppe bruscamente, mentre finiva di disegnarle degli anelli dorati lungo
il braccio destro.
Forse era stato il suo
tono basso, o l’italiano stentato ma chiaro che aveva usato, ma Beatrice aveva
perso la cognizione dello spazio e del tempo nell’esatto momento in cui la
Sacerdotessa aveva iniziato a raccontarle quel mito.
Il suo volto rimase duro,
impassibile, mentre un’altra donna si inginocchiava dietro di lei, iniziando ad
acconciarle i capelli.
Il tempo riprese a
scorrere molto velocemente, quando nella sala di pietra calò il silenzio.
Lasciò libertà alla Sacerdotessa, –visto che ogni scelta ormai le era stata
negata- che continuò a disegnare linee nere sul suo corpo e sul suo collo. Le
permise di vestirla con gli abiti tradizionali della loro gente e di truccarla
a festa.
Perché quella doveva
essere, un’occasione di gioia.
Gioia che la contessa non
condivideva affatto. “Ironico come qui
la morte si mescoli con la felicità.” Considerò, mentre Ima metteva fra i suoi
capelli un filo d’oro lungo il quale erano state assicurate molte piume. Quando
esse le sfiorarono l’orecchio, Beatrice avvertì un tuffo al cuore.
“La morte è solo un’altra
via.” Le rispose la sacerdotessa, sistemandole un copricapo dorato, in modo che
si in castrasse perfettamente con i capelli tenuti indietro da molte spille, ma
che le ricadevano sulla schiena, liberi. “Un altro modo per lasciare un segno
in questo mondo, prima di passare all’altro. Stai per andare in un luogo
infinitamente più bello e luminoso, devi ringraziare gli Dei per questo.”
L’altra donna, che era
rimasta quasi tutto il tempo con loro, le lasciò, andando chissà dove. La tenda
che fungeva da porta tornò ad essere immobile dopo il suo passaggio e solo in
quel piccolo frangente, la fiorentina ne
approfittò “Il bambino che porto in grembo, secondo la tua tradizione, finirà in
un mondo diverso da quello in cui andrò io, quando oggi morrò?” la voce le uscì
bassa, sottomessa. Così stanca, che quasi non la riconobbe come propria.
Ima sospirò, guardando il
ventre lievemente rigonfio della donna che le stava di fronte, prima di annuire
piano. Non le diede nemmeno la soddisfazione di una risposta definita, troppo
presa da ciò che aveva per le mani. Appoggiò una scatolino di osso sopra ad un
ripiano pieno zeppo di candele, prima di alzare gli occhi sul dipinto che
coinvolgeva l’intera parete innanzi a lei.
Il serpente piumato del
sole, Quetzalcoatl, percorreva la via dell’antica Teotihuacan,
conducendo sul suo dorso azzurro coloro che decidevano spontaneamente di donare
loro stessi agli Dei.
Beatrice tentò un ultimo
approcciò, affiancandosi a lei e studiando attentamente la superficie sulla
quale tutti i ninnoli erano stati disposti.
Dall’esterno, i tamburi
ripresero a cantare insieme ad un flauto, che però arrivava ovattato, appena
accennato. Alzò a sua volta il capo verso il dipinto, non cogliendone l’essenza
come invece stava facendo Ima, ma cercando in esso qualcosa che potesse
convincere la sacerdotessa “Tu potresti salvarmi, potresti salvarci tutti. Così
come Wakor ha risparmiato i figli di Pachamama. Mi hai scelta, quando avresti potuto lasciare
che mi portassero verso la morte o la schiavitù. L’hai fatto solo per darmi in
pasto ai tuoi Dei successivamente o per darmi una possibilità?”
L’impassibilità di Ima,
sommata alla musica sempre più incalzante, la stavano conducendo verso la
pazzia. La frustrazione raggiunse livelli troppo alti, tanto che decise
volutamente di allontanarsi dalla donna.
Passava da uno stato
all’altro. Da infuriata a triste, da rassegnata a risoluta e non poteva essere
solo a causa del suo stato. Portò le mani al volto, ritraendole e trovandole
sporche di polvere d’oro.
Aveva scelto lei di
seguire Leonardo, aveva scelto lei di andare avanti.
In un certo senso, aveva
scelto lei di morire.
Troppe cose però erano
cambiate, durante quel lungo viaggio.
Stava per parlare
nuovamente, quando Ima disse qualcosa nella sua lingua, voltandosi poi verso di
lei con un sorriso benevolo in volto. Pareva il ritratto di una Madonna,
esposto su di una pala d’altare, disposto a condannare così come ad assolvere.
“Avrai la possibilità di
decidere il destino di uno di loro. Solo uno, però.” Disse semplicemente, prima
di appoggiarle le mani alle spalle, attenta a non distruggere i cerchi
concentrici che aveva disegnato con precisione. “Ricorda le parole che dovrai dire e i gesti
che dovrai compiere.” Le ricordò, alludendo ai pochi insegnamenti che le aveva
dato in quelle ultime ore, per poi avviarsi verso la tenda. Indossò un pesante
copricapo, guardando la fiorentina un’ultima volta “Pachamama
ama tutti gli atti d’amore, ma tu dovrai fare una scelta, Beatrice de’Medici.”
La guardò sparire oltre la
tenda di un rosso sbiadito, aggiungendo solo un ‘se solo fosse facile’ fra sé e sé.
Aveva fatto qualcosa di
semplice, da quando era partita a quella parte? O da quando si era sposata?
Aveva vissuto una vita
serena, negli ultimi due anni? Assolutamente no.
E non avrebbe iniziato
quella notte, lasciandosi andare all’auto-commiserazione.
“Quaehuchi! Quaehuchi!
Quaehuchi!”
Dall’esterno, le urla
della folla presero ad alzarsi nell’esatto momento in cui strinse così forte le
mani da ferirsi con le unghie.
Si guardò attorno,
cercando qualcosa con cui distrarsi in quei pochi minuti che la separavano dal
suo ingresso trionfale. O almeno, così sarebbe dovuto sembrare agli occhi dei
suoi carnefici.
Notò che le donne avevano
lasciato i pigmenti a terra, così li
afferrò, andando verso il muro. Doveva lasciare un segno su quella terra? Bene.
Lo avrebbe fatto a modo
suo.
“Quaehuchi! Quaehuchi!
Quaehuchi!”
Le voci sembravano
alzarsi, ma lei decise volutamente di chiuderle fuori dalla sua testa. Immerse
un dito nel colore nero, iniziando a tracciare linee sulla parete accanto a
quella con il dipinto, all’altezza del suo viso, laddove tutti avrebbero potuto
vederlo.
“Collasuyu”
sussurrò piano, ricordando quel poco che aveva imparato durante quella folle
avventura.
Pensò a ciò che sarebbe potuto accadere di lì in avanti, alla
sua vita. Scoprì che non era poi così fondamentale, per la prima volta, la sua
presenza. Avevano aperto la Volta Celeste, vi erano entrati e avevano fallito.
Beatrice non era più indispensabile.
Leonardo ce l’avrebbe fatta, era in gamba e non aveva bisogno
di lei per salvarsi di nuovo la pelle. Forse era addirittura un intralcio.
Prese il rosso, disegnando cinque sfere prima di farne una
sesta e tingerla di blu.
“Cuntisuyu panaca Chinchasuyu” disse piano, stupendosi del tono che
assumeva la sua voce nel pronunciare parole che non le appartenevano.
Si alzò quindi in piedi, guardando la sua opera con fierezza.
Il blasone dei de’Medici avrebbe marchiato almeno per una notte quella terra
inospitale.
Si appoggiò alla parete, sentendo gli occhi velati dalle
lacrime e dalla stanchezza, per poi posare la fronte sulla superficie fredda
della roccia, accanto a quel simbolo famigliare.
“Mi dispiace così tanto, Alessandro. Non credo che riuscirò a
tornare a casa da te.”
Ripensare a tutti coloro che non avrebbe più riabbracciato la
stava uccidendo. Ancor di più, se poi si concentrava sulla vita che stava
crescendo nel suo ventre, così piccola e innocente. Istintivamente, portò la
mano sulla pancia, sentendola dura e rigonfia al tatto. Il solo fatto che con
tutto ciò che era accaduto non avesse perso quella creatura, era un chiaro
segno.
Non doveva arrendersi.
Si caricò di una nuova determinazione, mentre la tenda veniva
scostata di colpo da un soldato, con la pelle tinta di plumbeo e una mazza
nella mano.
La guardò burbero, indicando poi l’uscita come se avesse a
che fare con una stupida.
“Çinchi! Çinchi!”
Beatrice lo superò, camminando per il corridoio scavati nella
pietra grigia del monte.
“Mi manca Grunwald, quando mi urlava addosso in
tedesco …” disse ironicamente, sbrigandosi a tenere il passo. Quel bruto non si
sarebbe di certo preoccupato a spingerla, se necessario.
Intravide la luce dell’uscita e le si accapponò la pelle.
Sentì il cuore batterle così forte in petto da rischiare di farle venire un
mancamento. Lo stomaco le si rovesciò nell’esatto momento in cui mise un piede
all’esterno, notando davanti a lei la folla che gremiva ogni spazio libero
sotto all’altare.
Sembravano tante formichine pronte a divorarla, mentre
scendeva le scale cautamente, appoggiandosi alla roccia alla sua destra per
tenersi in equilibrio.
Gradino dopo gradino, ripassò ogni parola che aveva
precedentemente cantilenato fino alla nausea insieme ad Ima. Sarebbe dovuta
sembrare credibile, o l’avrebbero riportata in cella e uccisa lì, come un cane
in un angolo.
Meglio avere un pubblico.
Meglio dare un senso a quella fine.
Prese un respirò, alzando lo sguardo e credendosi pronta, ma
rischiò di dimenticare tutto quando i suoi occhi incontrarono quelli di
Girolamo. Accanto a lui, allo stesso modo meravigliato, c’era anche Leonardo.
“Quaehuchi! Quaehuchi!
Quaehuchi!”
La giovane si morse il labbro, mentre l’artista cercava di
muovere un passo verso di lei, risvegliandosi da quello sconcerto solo ad uno
strattone del guerriero che lo tratteneva.
Beatrice sarebbe rimasta immobile tutto il giorno a
guardarli, con il cuore che si infrangeva assieme ad ogni sua speranza, ma Ima
si mise nel suo campo visivo, fissandola intensamente.
Sapeva che li avrebbe trovati lì, anche se il suo cuore
sperava ardentemente di sbagliarsi.
Doveva farlo. Doveva tornare in sé.
Aveva una sola occasione per impressionare il Sacerdote del
Tempio e offrirsi a Pachamama. Poi avrebbe dovuto
compiere la scelta…
Scese anche l’ultimo gradino, fingendo di aver perso ogni
interesse per i due uomini e avanzò quindi verso la folla, fermandosi alle
spalle dei musicisti.
“Yntichuricuna!” gridò, alzando le braccia verso il cielo.
Immediatamente la folla si ammutolì, mentre il tamburo venne messo a tacere.
Deglutì, voltandosi verso il Sacerdote e lo guardò seria, prima di passarsi la
lingua sulle labbra. Un ultima, piccola indecisione, poi si lasciò del tutto
trascinare “Yupana Lloque sichi noh panaca
Guyan.”
L’uomo corazzato d’oro non disse nulla per secondi che
parvero durate in eterno. Beatrice non poteva nemmeno spiare una reazione del
suo viso, visto che questo era del tutto celato alla vista dalla possente
maschera.
Poi, lentamente, le si avvicinò, prendendole il mento fra
pollice e indice.
Riario, che era rimasto totalmente senza parole da quell’atto
dimostrativo, tentò di divincolarsi, imitato da Leonardo. “Lasciala stare!”
ringhiò, mentre sul suo volto rassegnato si dipingeva nuovamente l’ardore e la
rabbia.
Parole non comprese e largamente ignorate dal Sacerdote;
questi infatti lasciò andare Beatrice per sua scelta, prima di voltarsi verso
la folla, alzando il pugnale aureo al cielo.
“Hanan!” gridò, mentre la folla esultava
insieme a lui e la musica riprendeva, più energica e frenetica di prima.
“Quaehuchi! Quaehuchi!
Quaehuchi!”
Beatrice lo guardò avanzare verso la folla con ancora il
braccio alzando e quando egli levò anche l’altro, si voltò verso Ima. Un solo
cenno di assenso, seppur piccolo e quasi impercettibile, e subito la fiorentina
corse verso i due uomini.
La lasciarono fare in modo sorprendentemente docile.
Addirittura, il guerriero che teneva a sé Leonardo, nel vederla avvicinarsi,
abbasso l’arma facendo un passo indietro.
Lei non ci pensò due volte, abbracciandolo per una frazione
di secondo, prima di guardarlo e prendergli le mani legate fra le sue. Con
un’abilità che sicuramente un ladro le avrebbe invidiato, fece scivolare lo
spillone che l’artista teneva assicurato alla camicia sin dentro alla sua e lui
subito lo strinse nel palmo, senza battere ciglio.
“Cosa sta succedendo? Perché ti hanno vestita così?”
Era viva e incolume, nonostante le premesse che aveva avuto
riguardo il destino della ragazza non fossero rosee. Alzò le mani per
accarezzarle la guancia con il dorso, sporcandosi di polvere d’oro. Abbassò lo
sguardo sul ventre della giovane, socchiudendo le labbra come se volesse
chiederle qualcosa.
Ma non avevano tempo.
“Devi mantenere la tua promessa, Leonardo.”
I loro occhi si incontrarono e lui parve capire, tanto che il
panico iniziò ad uscire dalla sua bocca insieme a parole veloci.
“Cos-no, Beatrice! Cosa gli hai
detto?!”
“Non c’è tempo!” disse disperata la fiorentina, stringendogli
le mani fra le sue “Devi mantenere la tua promessa, hai capito? Io manterrò la
mia, sempre.”
Da Vinci non ebbe il coraggio di aggiungere altro, travolto
dalla melanconia che le parole di Beatrice portavano con loro. Si sporse in
avanti, incontrando le labbra della giovane e premendole con forza sulle sue,
in un bacio che sapeva di disperazione.
… E che sembrava un
addio.
Quando si separarono, Beatrice abbassò gli occhi umidi,
ricordandosi poi in quel momento che non era solo Leonardo quello a cui doveva
dire qualcosa.
Spostò lo sguardo su Girolamo, ma quello che vide fu solo un
volto celato da una gelida apatia. I loro occhi si incontrarono per un istante,
miele nell’azzurro, poi voltò il capo.
Quasi non si era accorta di Topa Inca, che ora la affiancava,
guardando i due uomini come se fossero solamente dei pezzi di carne da macello.
Quando indicò Girolamo con la punta della lama, Beatrice
sentì la terra mancarle sotto ai piedi. Guardo due uomini prenderlo per le
braccia, mentre lei era costretta a sposarsi di lato, accanto a Leonardo, per
permettere loro di passare.
Il panico le torse le budella, mentre pensava così veloce da
non comprendere cosa era meglio fare.
Doveva prendere la sua decisione, subito.
Come?! Come poteva decidere a quale dei due uomini
sostituirsi?
Girolamo venne fatto mettere in ginocchio e ciò bastò.
Senza quasi accorgersene, scattò.
“Nocha!”
gridò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, facendo voltare non solo Ima
che parve sorpresa, ma anche il sacerdote. La guardarono entrambi in silenzio, in
cerca di una conferma che non tardò ad arrivare. “Nocha patai.” Ripetè,
senza staccare gli occhi da Girolamo.
Ima fece un solo cenno e subito i soldati riportarono Riario
esattamente dove era prima. Lei, invece, prese per mano la fiorentina,
sorridendole incoraggiante mentre la conduceva al posto dell’uomo che aveva
scelto …
“C-cosa sta succedendo?” domandò
Riario confuso, mentre Beatrice rimaneva immobile davanti alla pietra dei
sacrifici, senza inginocchiarsi.
“Succede che ha preso il vostro posto …” la voce dell’artista
arrivò delicata come una brezza marina, sottile eppure bassa.
Se l’avesse gridato, però, avrebbe ottenuto il medesimo
risultato.
Il conte sbarrò con violenza gli occhi, iniziando a
divincolarsi “No, no!” gridò, ma un pugno nello stomaco e tre di quei bestioni dipinti
a trattenerlo bastarono a farlo desistere.
Uno di loro lo prese per i capelli, come se volesse in
qualche modo costringerlo a guardare quello che stava succedendo.
Uno sguardo, uno solo, e fu come una volta.
Si compresero.
La resistenza di Beatrice cessò, comprendendo che non avrebbe
mai ottenuto ciò che si era prefissata. Che forse Girolamo non le avrebbe mai
perdonato tutto ciò che aveva fatto, nemmeno mentre stava dando la sua vita per
riscattare la sua.
Nemmeno se, dentro agli occhi profondi del conte, poteva
ancora veder brillare dei sentimenti.
Che brutta storia, l’orgoglio.
“Çinchi cocha!”
Cadde sulle ginocchia, sentendo distintamente ogni piccolo
sassolino ferirla, mentre il sangue non ancora del tutto rappreso delle vittime
precedenti le sporcava il petto, appoggiato ora alla roccia.
Chiuse un istante gli occhi, prima di riaprirli con fierezza,
combattendo contro una singola lacrima che premeva per scorrerle lungo la
guancia. L’orgoglio non le permise di farla cadere.
China su quella pietra, con un pugnale puntato alla gola e la
morte ad un palmo dal naso, Beatrice si ritrovò a guardare i due uomini che
aveva amato con tutta se stessa, ma
venne contraccambiata solo da uno.
As we fade in the dark,
just remember
You will always burn as
bright…