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Autore: Meissa Antares    31/05/2014    2 recensioni
« C.M. Black » lesse sul fianco destro del baule rigido in pelle scura. « Dove sei diretta, piccola? »
« Oh, in un posto... » incrociò le braccia dietro la schiena, dondolandosi appena sui talloni e sfoderando un sorriso disarmante. Un sorriso che - Chace ne era certo - tra un paio d’anni avrebbe fatto stragi di cuori. [...] Trattenendo rumorosamente il fiato - cosa che fece voltare stizzite un paio di persone -, Chace si accorse che aveva preso la rincorsa, pronta a schiantarsi a folle velocità contro il muro formato da mattoni rossicci che mai - prima di allora - gli erano parsi così terribilmente solidi. Stava già per gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, immaginandosi seduto su un’ambulanza pronto a tenerle la mano, quando la bambina scomparve. Sì,sì esatto: scomparve. Inghiottita dalla barriera della stazione di King’s Cross, tra i binari nove e dieci.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fred Weasley, George Weasley, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Racconto20 - Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita.
Capitolo 1.
Sono quei cosiddetti incontri che ti cambiano la vita.

King's Cross

 

Ognuno di noi porta in se stesso il cielo e l’inferno.
(Oscar Wilde - Il ritratto di Dorian Gray)



1° Settembre 1989, ore 7:20
Brighton, Inghilterra.


Gli sembrava di avere appena posato la testa sul cuscino - e di essere caduto in un sonno profondo da soli cinque minuti - quando la sveglia suonò con un’insistenza tale da perforargli i timpani di entrambe le orecchie.
Con un mugolio seccato ed improperi decisamente poco adatti ad un pubblico al di sotto dei diciotto anni, allungò un braccio verso il malefico oggetto e lo spense grazie ad un colpo fin troppo secco e violento. Lanciò un’occhiata ai piedi del comodino e sbuffò sonoramente, facendo sollevare un ciuffo degli spettinati e corti capelli castano chiaro.

Grandioso, ora gli sarebbe anche toccato comprare una nuova sveglia.

Compiendo uno sforzo decisamente sovraumano - che è possibile paragonare soltanto alle dodici fatiche di Ercole - si diresse verso il bagno a tentoni, sperando in qualche aiuto divino per non incappare accidentalmente in un pericolo mortale lungo il breve tragitto. Purtroppo, e certa gente alle volte se lo sente, quella mattinata era cominciata nella maniera più sbagliata di tutte. Difatti, non si sa bene come e in che modo, in meno di un minuto inciampò in quello che doveva essere il graziosissimo tappeto che sua madre aveva comperato qualche settimana prima - con l’intento di rendere la stanza più accogliente - e si ritrovò lungo disteso sul pavimento.
Nel suo piccolo, il ragazzo credeva che niente sarebbe potuto andare peggio di così, ma si sbagliava. Si sbagliava di grosso. La porta della sua camera venne spalancata in un modo tale che gli ricordò terribilmente i vecchi film polizieschi, per intenderci una cosa del tipo: “Altolà, mani in alto!”, e sulla soglia comparvero tre figure in vestaglia da notte, le facce assonnate e l’aria imbronciata di chi è stato svegliato da un cataclisma imminente. E quel cataclisma poteva essere riassunto in due semplici parole: Chace Morgan.

« Santo cielo, Chace! » esclamò la donna, mettendo a fuoco la stanza. « Che cosa ti è successo? »

Sua madre, alle volte, non era esattamente quello che si definisce comemolto perspicace’. Ne attribuì la colpa al pessimo e traumatico risveglio.

Si sollevò velocemente in piedi, scrollandosi un po’ la maglia del pigiama leggermente stropicciata. « Niente mamma, sono soltanto caduto » borbottò, tenendo lo sguardo fisso sul pavimento di piastrelle chiare.
« Scommetto che sei inciampato nel tappeto » commentò suo padre, annuendo lievemente con il capo come a dare conferma delle sue stesse parole.

L’unico a non dimostrarsi minimamente preoccupato o dispiaciuto era suo fratello minore che, anzi, si stava letteralmente rotolando per terra, scosso da risate incontrollabili. Chace lo fulminò con lo sguardo, stringendo le braccia lungo i fianchi e trattenendosi dal prenderlo istantaneamente a pugni soltanto perchè era consapevole che non ne sarebbe mai uscito vincitore, in quanto suo fratello giocava come capitano nella squadra di calcio del liceo.

« Joshua » lo richiamò sua madre con tono severo, mettendosi le mani sui fianchi con l’intento di incutere ancora più timore di quanto già non facesse di solito. « Smettila » ordinò perentoria, guardandolo mentre si rialzava e si asciugava le lacrime dagli occhi. « Vado di sotto a preparare la colazione. Chace, tesoro, sbrigati o farai tardi a lavoro »

Come se gli avessero tirato uno schiaffo in pieno viso, il ragazzo controllò frettolosamente l’orologio al polso sinistro e per poco non cadde un’altra volta. Doveva darsi una mossa, o avrebbe perso il treno!

Probabilmente mai, in tutta la sua vita, era stato in grado di prepararsi così velocemente, il tutto sotto i commenti malevoli che il suo caro fratellino continuava a lanciargli al di fuori della porta del bagno. Prima o poi lo avrebbe ucciso nel sonno.

« Forse, avresti dovuto cercati un lavoro a Brighton anzichè a Londra » fu l’ultima cosa che udì pronunciare da Joshua, prima di precipitarsi al piano di sotto.

Distrattamente afferrò una brioche e se la portò alla bocca, agguantando con la mano sinistra la sua valigetta ventiquattrore in ecopelle - gentile regalo di sua madre, non appena aveva ottenuto un impiego - e con la destra le chiavi di casa.

« Chace non ti fermi a fare colazione? Non puoi mangiare per strada! É il pasto più importante della giornata, se lo salti poi non riesci a concentrarti sul lavoro e... »
« Ciao ma’! Ciao pa’! >> salutò con un urlo, ignorando palesemente le proteste della donna che lo aveva messo al mondo e respirando a pieni polmoni l’odore familiare di Brighton.

Odore di salsedine, odore di casa.



****



1° Settembre 1989, ore 10:05
treno diretto alla stazione di King’s Cross, Londra.


Odiava alzarsi presto quando era andato a dormire soltanto una manciata di ore prima. Odiava dover prendere quello stupido treno tutte le sacrosante mattine - da un mese a quella parte - per recarsi in ufficio. Odiava il suo odioso lavoro di assistente per una pazza squinternata, il cui unico scopo nella vita era torturarlo, spedendolo in tintoria a ritirare qualche suo abito firmato - di cui doveva assicurarsi il perfetto trattamento - o a comprarle un caffè-latte di soia amaro alla cannella - una roba talmente disgustosa che nessuna persona sana di mente avrebbe mai e poi mai introdotto nel proprio sistema digerente. Odiava il fetido odore di smog che lo investiva in pieno non appena arrivava a destinazione e sì: odiava clamorosamente la stazione di King’s Cross a Londra.

Al contrario di come la gente potrebbe immaginare, era uno di quei posti in cui potevi sempre notare un’affluenza di pendolari decisamente fuori dal normale e, molto spesso, erano la categoria più odiata poichè - se in ritardo - erano capaci di camminare sopra alle altre persone senza preoccuparsene più di tanto o senza nemmeno chiedere scusa.

Chace, sul suo treno da Brighton, aveva il fastidioso tic di controllare l’ora ogni cinque minuti, alternando occhiate preoccupate al suo orologio o al suo Blackberry. Una signora anziana gli lanciò uno sguardo compassionevole e si concesse un sospiro, cosa che il ragazzo notò perfettamente.

« Bella la vita da pensionati, eh? » si lasciò sfuggire, mentre le sue labbra si increspavano in un sorriso amaro.

La donna gli riservò un cipiglio risentito e scese alla stazione successiva borbottando un sommesso: “Ah, questi giovani d’oggi...”. Il ragazzo roteò gli occhi castani al cielo, maledicendo la sua linguaccia inopportuna. Dopotutto poteva sempre attribuire la colpa al pessimo modo in cui la sua giornata era cominciata.

« Stazione di King’s Cross, Londra. Capolinea » una voce femminile, metallica e del tutto priva del cosiddetto calore umano, annunciò la fermata a cui - proverbialmente - scesero tutti quanti, accalcandosi e spintonandosi come se dovessero arrivare primi ad una maratona olimpica.
Dopo essersi schiacciato per bene come una sardina in scatola, Chace riuscì a sentire nuovamente l’aria scorrergli nei polmoni e ne fu immensamente grato. Un giorno - ne era più che convinto - ci avrebbe rimesso la pelle. Con aria abbattuta poichè ripensava al suo comodo e caldo rifugio, denominato comunemente ‘letto’ e che aveva abbandonato parecchi chilometri più indietro, percorse a grandi falcate i corridoi della stazione, gremiti di gente, e - senza accorgersene - si scontrò contro qualcuno.

Una ragazza, direte voi. Ovviamente si chiederanno scusa a vicenda con aria imbarazzata, perchè - a causa della loro distrazione - erano troppo persi nei loro pensieri per fare caso a dove stessero realmente andando. Ovviamente si presenteranno e - perchè no - magari si daranno appuntamento per un caffè in quel bar tanto carino che non conosce praticamente nessuno. Questa, però, è un’altra storia.
In realtà, il povero Chace andò a sbattere contro una bambina che poteva avere all’incirca undici anni e non di più. Il carrello che conteneva i suoi effetti personali si era miseramente rovesciato per terra, così come lei stessa che mostrava un’espressione sofferente sul candido visetto di porcellana.

« Oh caz-... ehm, volevo dire cavolo! » balbettò sconnessamente, arruffandosi i capelli con una mano. « Mi dispiace tantissimo, sono proprio un imbranato. Ecco, lascia che ti aiuti » le tese il braccio, a cui lei si aggrappò saldamente.

I suoi occhi grigi e luminosi lo trafissero come una lama d’acciaio, lasciandolo stordito per un attimo di troppo. Non aveva mai visto, in tutta la sua vita, uno sguardo del genere.

« Ti... » si schiarì la voce, a disagio. « ...Ti sei fatta male? »
« No » rispose con voce armoniosa, scostandosi una ciocca di capelli biondi - di una tonalità spaventosamente simile al bianco -, cercando di capire se le dolesse qualche parte del corpo. « Sto bene, almeno credo »
« Ti do una mano a risistemare il tuo carrello » si chinò velocemente a raccoglierlo - soprattutto per sfuggire a quelle continue occhiate penetranti -, sistemandovi meglio che poteva il baule con incise le sue iniziali e una gabbia contente un gufo.

Un gufo?! Che diamine ci faceva un gufo lì, nel bel mezzo della stazione di Londra, senza che nessuno se ne accorgesse?

« Si chiama Hazel, che sarebbe il nome del fiore dell’albero di nocciole, ed è una civetta » spiegò, infilando un dito sottile nella voliera per tranquillizzare l’animale.

Quella bambina gli aveva confidato quelle cose senza che lui nemmeno le chiedesse anche se, grazie alla sua dannatissima curiosità, l’avrebbe poi fatto di lì a poco.

« Ehm... scusa la domanda inopportuna ma... per caso leggi nel pensiero? » si piegò sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Si era sempre lamentato di essere troppo basso rispetto ai suoi coetanei, ma lei gli arrivava a stento al petto.

Ridacchiò leggermente, coprendosi la bocca con una mano. Era un qualcosa di meraviglioso, come una cascata di campanelli argentini, e Chace avrebbe voluto ascoltarlo fino allo sfinimento perchè, quel suono, aveva la capacità di infondergli un senso di calore all’altezza esatta del cuore.

« Sono soltanto brava a leggere le emozioni altrui, tutto qua » scrollò le spalle, mentre un sorrisino arricciava le sue labbra rosee. « Avevi la faccia di uno che si stava domandando come mai ci fosse un animale tipico della fauna boschiva, in giro per Londra »

La sua mandibola, probabilmente, aveva toccato il pavimento sudicio della stazione: okay, quella bambina era una fottuta maga o qualcosa del genere.

« C.M. Black » lesse sul fianco destro del baule rigido in pelle scura. « Dove sei diretta, piccola? »
« Oh, in un posto... » incrociò le braccia dietro la schiena, dondolandosi appena sui talloni e sfoderando un sorriso disarmante. Un sorriso che - Chace ne era certo - tra un paio d’anni avrebbe fatto stragi di cuori.

Si guardò intorno, alla disperata ricerca di aiuto. Possibile che neppure una persona si fosse minimamente resa conto che c’era una bambina che viaggiava per la stazione da sola?! Che razza di genitori permettono una cosa del genere?!

« Non... non hai bisogno di uhm... un collaboratore? » cercò di aprire la bocca in un sorriso incoraggiante ma, più probabilmente, - a causa della sua espressione - dovette trattarsi di un’orribile smorfia. « Preferirei essere il tuo assistente piuttosto che di quella matta del mio capo » si imbronciò leggermente, mentre un sopracciglio biondo della ragazzina svettò inesorabilmente verso l’alto.
« So cavarmela benissimo da sola, grazie » incrociò le braccia al petto, manifestando tutto il suo orgoglio di bambina e la sua implacabile testardaggine.
« Scusa non volevo offenderti » le mostrò i palmi delle mani in segno di resa. « Volevo soltanto assicurarmi che sapessi dov’eri diretta » i suoi banalissimi occhi castani si scontrarono con quelle due immense pozze d’acqua ghiacciata, facendo sì che Chace rabbrividisse appena.
« Mi hanno perfettamente spiegato come raggiungere il binario » proseguì altezzosa, sollevando il mento con aria sostenuta. « Vivo a Londra da quando sono nata, conosco la città come le mie tasche »
« Oh, non lo metto in dubbio, piccola » si passò superficialmente una mano sulle guance perfettamente rasate. « Ma.. »
« Santo Merlino! » sbottò, guardando l’orologio della stazione e portandosi velocemente le mani alla bocca, come se avesse detto una grave bestemmia. « Sono in ritardo, devo andare! Arrivederci... ehm... »
« Chace » si presentò, precedendo la sua richiesta.
« Chi lo sa, magari ci rincontreremo » gli fece l’occhiolino, salutandolo allegramente con la mano e spingendo il carrello a tutta velocità verso la sua destinazione.

Con sguardo vigile e attento - cercando di non farsi scoprire per essere etichettato come ‘maniaco’ -, il giovane Morgan osservò la chioma bionda della bambina avvicinarsi furtivamente alla barriera tra i binari nove e dieci. Sentiva il dovere di vegliare su di lei, visto che non c’era nessuno da accompagnarla, sentendosi un po’ come un fratello maggiore piuttosto protettivo.

Lei si guardò intorno un paio di volte, sorridendo angelicamente ad un capostazione che passava lì vicino - che le rivolse un’occhiata di sbieco - e controllando freneticamente che nessuno la stesse osservando. No, erano tutti troppo indaffarati a farsi i fattacci loro, d’altronde.

Trattenendo rumorosamente il fiato - cosa che fece voltare stizzite un paio di persone -, Chace si accorse che aveva preso la rincorsa, pronta a schiantarsi a folle velocità contro il muro formato da mattoni rossicci che mai - prima di allora - gli erano parsi così terribilmente solidi. Stava già per gridare con tutto il fiato che aveva in corpo, immaginandosi seduto su un’ambulanza pronto a tenerle la mano, quando la bambina scomparve. Sì,sì esatto: scomparve. Inghiottita dalla barriera della stazione di King’s Cross, tra i binari nove e dieci.
Sbattè le palpebre più e più volte, sempre più freneticamente come se avesse uno strano ed inquietante tic con cui si guadagnò qualche sguardo perplesso e un po’ spaventato. Addirittura prese a sfregarsi insistentemente gli occhi con le nocche, sperando quasi che fosse stato frutto della sua più fervida immaginazione. Rimase fermo al centro della stazione per dieci minuti abbondanti, cercando di darsi una spiegazione logica per quanto accaduto.

Okay, Chace Morgan. La stanchezza gioca senz’altro brutti scherzi, quindi da stasera si comincia ad andare a letto presto.  






Angolo dell'autrice:

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

Salve a tutti! :) Come state? Spero bene. :)
Allora, che cosa dire d'altro? Per chi non mi "conoscesse", beh: benvenuto/a! :D Per chi invece avesse già avuto a che fare con me e i miei pensieri malati, beh... mi dispiace sinceramente per voi. AHAHAHAH. E-ehm, no okay, torniamo seri.
Dunque, dunque, dunque. Parliamo del capitolo. Onestamente penso che questa storia sia un'altra long-fic (non so se sono in grado di comporre cose brevi e leggere, tanto per intenderci). La sto pubblicando perchè... qualche capitolo è già bello che pronto, devo soltanto rivederlo e cambiare qualcosina (lo so, lo so, teoricamente dovrei riaggiornare le altre storie ma... ci sto lavorando su, lo giuro. T.T Purtroppo, tutti questi impegni mi uccideranno). Premetto che questo primo chapter dovrebbe rappresentare una specie di prologo ed è basato "dal punto di vista" di un Babbano. Ebbene sì, cari lettori! Un normalissimo e comunissimo Babbano ha avuto un brutale scontro (se così possiamo definirlo) con la magia! E, nonostante abbia visto scomparire una persona con i propri occhi, si dà una spiegazione a dir poco banale: andare a dormire prima, perchè la stanchezza provoca allucinazioni strane (se non mi sbaglio era stato il signor Weasley a raccontare ad Harry, Ron e co. nel 2° libro, che i Babbani - nonostante abbiano la magia proprio sotto al loro naso - fanno di tutto pur di darsi spiegazioni logiche che non comprendano neanche l'ipotesi "stregoneria").
Anyway, tornando al capitolo, facciamo la conoscenza con la nostra protagonista indiscussa: C.M.Black, che sta per Cassiopea Meissa Black (Cassiopea è il nome di una costellazione; Meissa è il nome di una stella e significa "splendente". Come ben sapete, è tradizione nella famiglia Black chiamare i propri figli/figlie con nomi di stelle/costellazioni/fiori).
Sì, lo so. Ho sconvolto la fenomenale narrazione di zia Row e chiedo umilmente perdono per lo scempio che ne verrà fuori. Come so anche perfettamente che ci saranno milioni di storie con un'ipotetica figlia dei Black ma... date tempo al tempo. Chissà, magari questa storia potrebbe anche piacervi. Insomma, credo che dalla data abbiate capito che Cassiopea non sarà propriamente nello stesso anno di Harry, Ron, Hermione e tutti gli altri. Il 1989... troppo presto per il nostro Golden Trio! ;D Ah, ci tenevo a dirvi un'altra cosa: Cassiopea, nella mia narrazione, prende praticamente il posto di Angelina Johnson, che qui non è mai esistita (scusami Angie! T.T). Bene, credo che per oggi sia tutto. Prossimamente, cercherò di mettere - qui nell'angolo autrice - i personaggi e come me li immagino. :)
Un bacione, grazie mille a tutti coloro che leggeranno/avranno voglia di recensire (per insultarmi o farmi sapere le proprie opinioni)/chi magari la metterà tra le preferite o le seguite o le ricordate (viaggio troppo con la fantasia?).
Vabbè, alla prossima!


Fatto il misfatto.

Giorgia.
 
   
 
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