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Autore: luckily_mellark    31/05/2014    4 recensioni
Katniss è rimasta da sola, dopo la morte del padre la sua vita è lotta tra dolore e incubi. Due sole cose la rendono felice, il suo migliore e inseparabile amico, e il suo Arco. Ma qualcosa sta per cambiare irrimediabilmente. Riusciranno degli occhi azzurri e limpidi come l’acqua a spegnere il fuoco che in lei brucia?
In un altro mondo dove la ribellione e la guerra della trilogia sono stati sostituiti da amicizia, sport e sentimenti gli eroi di Panem, ancora ragazzi, si troveranno alle prese con l’inevitabile Amore con la A maiuscola.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Indossa un paio di pantaloni aderenti neri, una maglia e una felpa nere,bianche e rosse dove è stampato a caratteri cubitali il paese di provenienza nonché il logo di questa Quarter Quell. I ricci biondi cadono spettinati sulla fronte e sugli occhi, le sopracciglia aggrottate mi fanno insospettire. A cosa sta pensando?

 

 

É quando li vedo tutti, schierati davanti agli strateghi, coperti dagli stessi vestiti, che realizzo: tutto questo non può finire bene... e l'ha finalmente capito anche lui.

 

 

 

 

 

Oggi fa davvero un caldo infernale. Quando non piove, cioè praticamente mai, in questo posto si muore per il caldo e per il sole cocente, tanto che penso mi arrostirò come un pollo, se continuo questa mia oziosissima routine.

Da quando Peeta ha cominciato ad allenarsi è passato quasi un mese, e io, come ogni domenica, me ne sto sdraiata sulla piccola spiaggia assieme ad Effie a prendere il sole aspettando che quel pazzo del mio ragazzo e il suo ancora più scervellato mentore finiscano il loro giro di corsa e si uniscano a noi.

La domenica pomeriggio è l'unico sprazzo di tempo che Haymitch ci ha concesso per stare insieme, o meglio, è l'unico breve intervallo di tempo che ha per riposarsi prima di riprendere gli esercizi: ogni giorno, dopo la corsa delle sei del mattino Peeta fa colazione con me, poi esce per andare in palestra ad allenarsi, torna alle otto della sera sfinito e nervoso, tanto che l'unico modo che ho per farlo rilassare è del buon e appagante sesso. Sembra volgare, detta così, ma è esattamente quello che facciamo: non è fare l'amore, quello è per chi ha tempo ed energie a sufficienza, è qualcosa di romantico, lento, carezzevole. Noi appaghiamo il desiderio fisico, quello carnale di sentirci l'una tra le braccia dell'altro in modi sempre diversi, sempre più intimi, passionali e amorevoli al tempo stesso. Fa parte della routine di ogni giorno, ma cambia in continuazione, senza mai perdere il suo significato, ricordandomi continuamente quanto il nostro rapporto sia indelebile e profondo, quanto io lo ami, anche se non gliel'ho ancora detto apertamente. So che non aspetta altro che sentirmelo dire, d'altronde lui me lo ripete in continuazione quanto il suo amore nei miei confronti sia grande, ma quelle due parole proprio non vogliono sentire ragione di uscire dalla mia bocca.

Uno dei primi giorni qui, il mio padrino mi disse una cosa che al momento trovai irritante e offensiva ma che ora ho completamente rivalutato. Mi disse, con il suo tono scherzoso, ironico e invadente che avevo il via libera per stancare e mettere K.O Peeta a letto, perchè non c'è nulla di più riposante di un buon sonno ristoratore quando si è distrutti. All'inizio mi arrabbiai parecchio, poi però, vedendolo fresco e riposato come una rosa appena sveglio, ho capito che non sarebbe stata una cattiva idea, e nemmeno tanto spiacevole a dirla tutta. Assolutamente piacevole, ad essere sincera. Effie e il suo futuro sposo hanno addirittura deciso di chiudere la porta comunicante degli appartamenti, per lasciarci la nostra privacy, così dicono, anche se a mio parere è perchè o vogliono la loro, o sono stufi di sentirci mentre ci “diamo dentro”, perchè ogni tanto facciamo fatica a controllare addirittura le nostre voci, il che è irrimediabilmente imbarazzante per tutti e quattro.

Le domeniche come oggi però, sono tutt'altra storia.

Haymitch, sfidando il regolamento, allena personalmente Peeta per tutta la mattina senza lasciargli mezzo minuto di tregua. Lo distrugge in mezza giornata più di quanto non faccia in palestra in dieci ore da solo. E non batte la fiacca, questo è certo.

Tutto questo perchè, secondo la maggior parte degli strateghi, lui non ha alcuna speranza di vincere: troppo magro, troppo esile, troppo piccolo per affrontare anche solo il più scarso dei suoi palestratissimi avversari. Non l'hanno nemmeno visto combattere, e già sono certi, come me, che le speranze di un suo ritorno a casa integro, a meno che non si ritiri adesso, sono misere. Eppure lui e il suo mentore sono talmente cocciuti da voler continuare a provarci, lavorando ogni santo giorno come forsennati per trasformare ogni milligrammo di grasso in massa muscolare, per aumentare forza, resistenza, precisione e destrezza. Peeta mangia come un maiale nella speranza di mettere su qualche chilo, senza ottenere alcun risultato. Consuma tutto, e dimagrisce, il che aumenta la sua frustrazione e gli porta il morale sotto le scarpe. Continuo ad osservare il suo fisico cambiare, il suo peso aumentare e diminuire con sbalzi troppo repentini che lo porteranno ad ammalarsi, se non si da una regolata.

 

Io ed Effie li guardiamo vagliare ogni sorta di tecnica possibile davanti ai nostri occhi, sul prato al limitare della piccola spiaggia poco fuori città.

Durante la settimana io e la capitolina ce ne vaghiamo, finanziate anche da Haymitch tra i negozi del centro, facendo shopping, visitando musei e luoghi storici, facendo le turiste insomma.

Oggi la sabbia particolarmente morbida e il sole abbagliante mi costringono a starmene in panciolle sull'asciugamano, coperta solo da quell'indecente e striminzito bikini che Effie mi ha fatto comprare. È la prima volta che lo metto, e mi sento abbondantemente a disagio, perchè non ho nulla nel fisico che possa essere minimamente paragonabile a quello delle ragazze autoctone che si mangiano il mio ragazzo con gli occhi mentre il sudore gli imperla i pettorali sempre più scolpiti.

Più le guardo pavoneggiarsi e muovere il culo davanti a Peeta e più mi sale la rabbia, l'invidia e il malumore.

“Effie” la chiamo, cercando un consiglio che mai in vita mia ho chiesto. Ultimamente io ed Effie abbiamo stretto amicizia, e conoscendola meglio, tutto il mio disprezzo per lei è stato sostituito da un profondo rispetto per una donna in carriera in gamba e intelligente.

“dimmi cara” se ne sta sdraiata a pancia in su con gli occhi chiusi e le braccia esili dietro la testa

“tu che sai tutto in fatto di bellezza..” lodarla è il modo migliore per farsi aiutare, questo l'ho capito subito

“come posso fare per sbaragliare la concorrenza?” arrossisco violentemente e una risatina isterica mi esce dalle labbra

“oh tesoro, hai chiesto proprio alla persona giusta! Anche se non credo che tu abbia questo problema con quell'amore del tuo ragazzo” è entusiasta e ha aperto un occhio per guardarmi mentre continua il suo bagno di sole

“io credo di si invece” indico con il mento le oche troppo abbronzate che stanno starnazzando attorno a quell'ammasso di muscoli biondo che mi porto a letto, lei osserva la scena con interesse massaggiandosi le tempie e schioccando le labbra rosso ciliegia, come il costume

“Katniss cara, considerando che lui non le sta nemmeno guardando, inizierei col non preoccuparmi. Poi potresti alzarti e andare baciarlo, tanto per far capire chi comanda non credi?” non so se sia una buona idea, ma mi alzo e lo faccio, incoraggiata dal suo occhiolino complice.

 

Le loro facce sono state impagabili. Da quella stupita e divertita di Peeta, a quella esasperata di Haymitch, ma soprattutto quelle delle colombiane tutte tette e fondoschiena stupite, arrabbiate, sconfitte. Questa si, che è una vittoria personale.

 

 

 

 

È pomeriggio inoltrato quando, ormai distrutti, i ragazzi ci raggiungono mettendo i piedi finalmente sulla sabbia.

“Ragazze, vi va di andare a mangiare in qualche ristorantino tipico questa sera? Vorrei imparare a fare qualche piatto colombiano, prima di tornare a casa” chiede Peeta, ancora intento a sistemarsi affianco a me. L'idea mi sembra allettante, quindi annuisco, seguita a ruota dalla capitolina.

Il tempo di sedersi l'una affianco all'altro, e i due sposini si sono addormentati sotto il sole calante delle sette di sera.

Il tramonto qui, è ancora più spettacolare di quello che abbiamo visto assieme sulla baia di Mags, qualche tempo fa. Ora, seduti nella stessa posizione, con la mia schiena appoggiata al suo petto mi godo il brivido del suo respiro caldo sul collo e l'arancione screziato del cielo d'estate. Le piccole nuvolette disegnano strane forme dai contorni soffici e sfumati.

“amore “ ogni volta che mi chiama così un lento brivido di innocente piacere mi scorre dentro, creando una scia di calore che mi scalda il cuore. Giro la testa quel tanto che basta per posarla sulla sua spalla, stringendomi ancora di più a lui

“devi farmi una promessa. Promettimi che se le cose si dovessero mettere male, tu prenderai il primo aereo disponibile per tornare dalla tua famiglia ok?” lo guardo stranita,è agitato, gli tremano le mani. come può chiedermi di abbandonarlo? Non ha capito che non lo farei mai? Che qualunque cosa sia in mio potere di fare per proteggerlo, io la farei? Evito di rispondere e me ne sto zitta, rannicchiando le ginocchia al petto

“Katniss, è importante che tu me lo prometta. Non sono tranquillo, sapendoti qui, in pericolo e fuori dal mio controllo.”

non sono una brava bugiarda, ma non posso lasciarlo in ansia per colpa mia. Ho già visto che effetti può avere su di lui la tensione, lo stress di qualcosa che non può controllare.

“ok. Hai la mia parola” so che non sarà così, ma per il suo bene, devo prometterglielo. Scusami Peeta.

“Ora credo sia meglio svegliare quei due e andare, devo lavarmi e ho intenzione di rilassarmi un po'.” sottolinea il rilassarsi con un'occhiata maliziosa di cui ho imparato presto il significato: vuol dire, letteralmente, non vedo l'ora di toglierti quei vestiti di dosso, solo che lui, garbato com'è, trova sempre un sistema per non essere apertamente volgare.

 

 

 

 

 

Usciamo dal ristorante sazi, rilassati e felici. Era da molto che non provavo qualcosa di nuovo, e devo ammettere che quasi tutto quello che ho assaggiato era squisito,delizioso e non sarei affatto triste se a casa Qualcuno fosse in grado di riprodurre queste prelibatezze. Il locale ,confusionario e coloratissimo,aveva un che di rustico, come la tavola calda di Sae la Zozza dove la con la squadra di calcio andiamo a mangiare dopo ogni partita. Il mio padrino e la sua quasi- consorte sono ancora dentro il piccolo locale quando, girato l'angolo del buio viottolo dove abbiamo parcheggiato, ci affianca un grottesco ed immenso SUV dai finestrini oscurati. In un batter d'occhio, senza alcun apparente motivo, dall'auto scendono tre uomini incappucciati, i pantaloni corti di uno di loro lasciano scoperto il macabro dettaglio di un teschio tatuato sul polpaccio, troppo solido e scolpito per non essere intenzionalmente allenato.

Vorrei urlare, intervenire, con tutte le mie forze, ma nel rivedere Peeta piegato su se stesso dopo aver ricevuto un calcio sullo stomaco mi si congela il corpo. L'unica cosa che riesco a vedere ora, è il piccolo bambino che cerca di salvarmi da un branco di bulli, malmenato per essere intervenuto in mia difesa.

Quando finalmente riprendo possesso delle mie facoltà mentali, è già troppo tardi. A malapena riesco ad avvicinarmi al gruppo prima di essere violentemente spinta contro ad un lampione spento. L'impatto della mia schiena contro il ferro ghiacciato che mi fa accasciare a terra, si unisce al bruciore lancinante alla guancia per il pugno appena ricevuto.

L'urlo disperato di Peeta, mi trafigge le orecchie e mi costringe a riportare lo sguardo sulla lotta impari che sta avvenendo al buio di uno sporco vicolo

“lasciatela stare!”

Peeta risponde ai colpi, ferisce a sua volta, ma tre contro uno, è troppo anche per lui. In breve tempo il suo corpo è scosso dai calci e dai pugni dei suoi , dei nostri assalitori, senza avere la possibilità di rispondere.

Impietrita e alla costante ricerca di una fonte d'aria per uscire da quest'incubo, li vedo issarlo per il colletto della camicia azzurra e dargli il colpo di grazia.

Un pugno, ben assestato, sulle costole.

Peeta cade a terra, sanguinante, scosso dai tremori e dagli spasmi.

Annaspa perdendosi in quei piccoli sconnessi respiri superficiali, i suoi occhi mi cercano un'ultima volta, come per assicurarsi che io stia bene. Poi si ribaltano, e lui perde i sensi, abbandonandomi.

 

 

Vorrei urlare, gridare, vendicarlo per tutto il male ingiustificato che gli hanno appena fatto. Perchè a lui?

Le lacrime scendono sul mio viso senza che io possa fare nulla per fermale.

Sono solo una codarda. Lui mi avrebbe aiutato.

È come un dejavu, una scena che si ripete per la terza volta nella mia vita, qualcosa che avevo cercato di relegare nei meandri della mia coscienza e che sono costretta a rivedere nei miei sogni ogni volta che Peeta mi è lontano.

Gattono verso di lui, sbucciandomi le ginocchia sul selciato sconnesso del marciapiede lurido.

Lo raggiungo un passo alla volta, lentamente, barcollando sotto il peso dell'impotenza e della vergogna, dei sensi di colpa e della rabbia.

 

Registro a malapena la portiera del SUV sbattere e il rumore di passi che vengono nella mia direzione.

“Peeta” accarezzo il suo corpo steso a terra, intreccio le dita tra i suoi capelli, scompigliandoli dal gel, so che questo gli piace.

“Peeta ti prego” piagnucolo, bagnando con le mie lacrime la manica della sua camicia, l'altra, noto con disgusto, è colorata di rosso cremisi: sangue.

“Peeta” supplico, al corpo inerme del mio ragazzo “resta con me”

tremo come mai prima d'ora.

Un uomo, dietro di me, si schiarisce la voce.

“buongiorno signorina Everdeen” mi volto di scatto, perchè qui, nessuno mi conosce.

Ma quella faccia,anche nascosta nell'ombra del viottolo, la riconoscerei tra tutte. La barba decorata, tagliata finemente per creare i disegni più disparati non può che appartenere all'uomo che ho visto solo un paio di volte, al capostratega, Seneca Crane.

Il sangue mi si gela nelle vene.

“signorina Everdeen. Quale piacere è vederla” sorride soddisfatto, guardando prima me, poi l'opera che i suoi scagnozzi hanno sapientemente operato sul mio ragazzo.

“io e lei, abbiamo cosa molto importanti di cui parlare”

 

 

 

   
 
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