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Autore: LunaMoony92    03/06/2014    1 recensioni
E' passato più di un anno dalla morte di Fred. George è distrutto e, per l'ennesima volta, decide di affogare il suo dolore nell'alcool. Ma qualcosa succede quella sera. Per uno strano scherzo del destino o per chissà cosa, George si ritrova a casa di Hermione. Questo è l'inizio della nostra storia...
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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SBAM.
Il rumore della porta chiusa.
Il pugno al muro dall’altra parte.
Il “Pop” della sua smaterializzazione.
I suoi singhiozzi.
 
 
La porta.
Il pugno.
George.
Il vuoto.
 
 
Perché l’aveva fatto?
 
Hermione si era materializzata a casa sua. Scossa dai singhiozzi, non aveva nemmeno notato di essersi “spaccata”. Un rivolo di sangue rosso le scendeva giù sulla guancia.
Non sapeva cosa pensare. Le parole di George le continuavano a vorticare in testa.
“Non è tempo per noi Hermione” le aveva detto, prima di chiuderle la porta in faccia. E poi, prima di smaterializzarsi, l’aveva sentito bene il pugno che George aveva dato al muro. Cosa voleva dire?
Da quando avevano preso a passare del tempo insieme, Hermione aveva scoperto con sua sorpresa di essersi affezionata molto a George. Dopo la notte passata insieme poi, aveva capito che non poteva stare senza di lui. Ma era stato quella notte a Villa Conchiglia, quando lui era scappato via, che lei aveva capito di amarlo.
Si era sentiva vuota, persa, sola.
George aveva riempito quel vuoto che la guerra aveva lasciato in lei, quel vuoto alimentato dalla lontananza di Harry , Ron e dei suoi genitori. Hermione aveva bisogno di George e aveva creduto che anche per lui fosse lo stesso, ma le sue parole, a cui si era rifiutata di  credere in un primo momento, facevano capolino nella sua mente: “La cosa tra noi due non può funzionare. Siamo troppo diversi, io ho troppi casini e non voglio che tu debba sempre pensare di tirarmici fuori. Tu meriti di meglio, Hermione e io adesso non posso offrirti niente.”
Una gocciolina di sangue le cadde sulla mano. Si avvicinò allo specchio e vide il taglio irregolare che le circondava l’orecchio sinistro.
L’orecchio.
George.
Sospirò e fece cadere sulla ferita quattro gocce di essenza di dittamo. In un attimo la pelle aveva già iniziato a riformarsi. Peccato che il dittamo non funzionasse anche con i cuori spezzati.
Aveva visto gente morire durante la guerra. Aveva visto famiglie distrutte, aveva rischiato la vita più volte di quanto potesse ricordare, ma si era illusa di aver superato tutto, di non poter vivere niente di peggio di quello che aveva già passato. E allora perché adesso si sentiva così, come se il mondo le fosse crollato addosso? Perché si sentiva impotente, capace soltanto di piangere? Forse perché la vita le aveva fatto passare di tutto, ma non era mai stata innamorata prima d’ora.
Scese in cucina, decisa a cercare di alleviare le sue sofferenze.
George probabilmente avrebbe scelto l’alcool, lei aveva qualcosa di meglio. Aprì lo sportello sotto al lavandino e lesse: Pozione SonnoSenzaSogni. Girò il tappo e la vuotò in un sorso. Per un po’ sarebbe riuscita a spegnere la sua mente.
 
 
 
 
Aveva dormito un giorno e mezzo da quello che diceva il giornale che aveva trovato sotto la porta.
Dovevano essere le 7 passate, era ancora in tempo per andare a lavoro.
Svogliatamente si trascinò in cucina, dove una pila di lettere, un gufetto di sua conoscenza e un barbagianni del Ministero la attendevano impazienti.
Si avvicinò al barbagianni per staccare la lettera che teneva ancora legata alla sua zampa. Era mancata due giorni dal lavoro senza avvisare, sicuramente non erano buone notizie.
“Gent.ma Signorina Granger,
a seguito della sua assenza ingiustificata dal posto di lavoro per n° 2 giorni consecutivi, la preghiamo di recarsi il prima possibile presso l’ufficio del Ministro della Magia, Kingsley Shacklebolt”


Ecco, come aveva immaginato.
Leotordo, il gufetto di Ron, saltellava nel portafrutta, picchiettando ogni tanto una mela.
“Ehi tu, calmati! Adesso leggo anche la tua lettera!” disse Hermione.
Era di Ron.
“Cara Hermione,
come va? Ti ho vista un po’ scossa l’altra sera a Villa Conchiglia. Spero di non averti fatta arrabbiare dicendoti quelle cose. Sono cresciuto, sai. Ho capito che provi qualcosa per mio fratello e che non posso importi di amarmi. Poi ho conosciuto una ragazza qui al corso. Si chiama Annie, è molto simpatica, vorrei che la conoscessi. Volevo dirti solo che ti voglio bene, come prima e come sempre e che non voglio perderti.
PS: Se mio fratello ti tratta male, fammi un fischio. Sono quasi un auror adesso, gliela farò vedere io.
Con affetto, Ron.”


Ron.
Negli anni scorsi era riuscito a farla piangere soltanto di nervosismo, per una battuta sbagliata o per la sua gelosia ingiustificata. Si, era cresciuto  davvero. Adesso l’aveva fatta piangere dall’emozione.
George.
Aver dormito per tutto quel tempo le era servito a fermare il dolore, ma adesso, dopo aver letto di lui nella lettera di Ron, era tornato, più forte di prima.
Continuò a leggere la posta. C’era una lettera dei suoi genitori, una di Harry, una di Kingsley che le diceva di andare a lavoro normalmente e una di Ginny, che le comunicava, senza possibilità di replica, che sabato sarebbero uscite insieme.
 
 
 
 
Il pensiero di George non l’aveva abbandonata mai durante la settimana. Aveva cercato di metterlo a  tacere fiondandosi a capofitto nel lavoro, ma l’unico momento in cui riusciva a disfarsene era la notte, quando prendeva la sua dose di pozione.
Il mattino era sempre il momento peggiore. Il volto di George, il volto sconvolto di quella notte che si era smaterializzato nel suo vialetto o l’espressione dura di quella mattina che l’aveva cacciata dal suo appartamento, la aspettavano per darle il buongiorno, non appena l’effetto della pozione svaniva.
E poi c’era il suo orecchio. L’essenza di dittamo aveva fatto ricrescere la pelle dove si era lacerata, ma era rimasta una piccola cicatrice e a Hermione sembrava fosse lì per fare di tutto per ricordarle George.
E poi arrivò il sabato.
Non doveva andare a lavoro e decise di prendere una dosa più consistente di pozione, che le garantisse un po’ di pace in più.
Il rumore fuori dalla porta la fece risvegliare dallo stato catatonico in cui era caduta. Qualcuno stava bussando così forte da rischiare di buttare giù la porta. Si stropicciò gli occhi e capì subito chi era che stava per buttare giù la porta.
Ginny. Se l’era completamente dimenticato.
“Chi è?” disse con voce tremante.
“Sono io, Ginny! Ti decidi ad aprirmi si o no?”
“Eccomi! Che impazienza!”
“Ma dico? Ti pare corretto lasciarmi fuori dalla porta?” disse Ginny scherzando e si avvicinò per salutare l’amica. Notò subito gli occhi rossi di Hermione, ma non disse nulla.
“Scusami, mi sono svegliata tardi stamattina. Corro a sistemarmi e partiamo.”
“Ok… Ma sbrigati!”
Hermione salì nella sua camera e si sedette sul letto a fissare il vuoto.
Ginny, la sua unica amica. Forse a lei l’avrebbe potuto dire, lei l’avrebbe capita.
Però Ginny era anche la sorella di George. E se glielo avesse detto? No, meglio non dire nulla. Se la stava cavando, no? No, decisamente no, però non voleva dare a George la soddisfazione di sapere che le aveva spezzato il cuore, così, dopo essersi cambiata, indossò il suo sorriso finto migliore e raggiunse l’amica.
“Dove andiamo?” chiese, fingendosi entusiasta, non convincendo né Ginny né se stessa.
“Che ne dici di Diagon Alley? Devo fare un salto da Madama Mc Clan e poi devo lasciare questo pacchetto al negozio…”
Hermione le avrebbe voluto urlare di no. Diagon Alley, proprio dove si trovava il negozio di George. Pessima, pessima idea. Ma come avrebbe giustificato il suo rifiuto? Dopotutto, George non era quasi mai in negozio, perché avrebbe dovuto esserci proprio oggi?
“Ok, andiamo allora.”
Le due amiche uscirono dalla casa di Hermione, raggiunsero un cespuglio alto in giardino e si smaterializzarono.
Entrarono al Paiolo Magico, salutarono Tom, il barista, e uscirono dal retro dove il familiare muro di mattoni le attendeva.
Diagon Alley era tornata allo splendore che l’aveva sempre contraddistinta. Tutti i negozi che erano stati chiusi o distrutti durante la guerra, adesso erano pieni di gente impegnate nelle compere e si respirava la familiare aria dei tempi di Hogwarts, quando andavano a comprare l’occorrente per la scuola.
“E’ bello vederla così, vero?” disse Ginny.
“Si, è proprio bello.”
“Forza Herm, andiamo a fare shopping!”
Passarono la mattinata nel negozio di Madama Mc Clane, con una Ginny desiderosa di trovare il vestito perfetto per lei e per Hermione per il battesimo di Victoire.
“Sono la zia! Devo essere perfetta. E anche tu sei la zia, si può dire!”
Hermione arrossì violentemente. Che lei sapesse già?
“Per.. Perché?” balbettò
“Come perché? Sei mia sorella, no?”
Hermione fece un sospirò di sollievo e, sorridendo, entrò nel camerino per provare l’ennesimo vestito che Ginny aveva scelto per lei.
 
 
 
Tutte queste luci , tutte queste voci , tutti questi amici, tu dove sei!?
 
 
 
Dopo aver finalmente lasciato il negozio di abbigliamento, erano uscite per andare a mangiare qualcosa. Per strada avevano incontrato Hanna Abbot, una Tassorosso che adesso stava con Neville e si erano fermate a chiacchierare. Poi, alla tavola calda, avevano incontrato Katie Bell insieme ad Angelina. Entrambe aveva intrapreso la carriera nel Quiddich, come Ginny del resto ed erano finite a pranzare allo stesso tavolo. Tutto andava bene, fino a quando Angelina chiese: “E George? E’ un po’ che non lo vedo al negozio.”
Ad Hermione andò di traverso il boccone e riuscì ad uscire in cortile con la scusa di prendere un po’ d’aria.
“E’ un po’ che non lo vedo al negozio” aveva detto Angelina.
Che fine aveva fatto? Dal cortile della tavola calda, poteva vedere l’ingresso del negozio di scherzi. Era aperto. Sicuramente c’era Lee…
A distrarla dai suoi pensieri, fu Ginny che era uscita a vedere come stava.
“Tutto ok, Herm?”
“Si, si tutto ok. Sto bene.”
“Ok, allora che ne dici di salutare le ragazze, così passo al negozio e andiamo a casa? Ho detto a mamma che saremmo tornare nel pomeriggio.”
Salutarono le ragazze e si avviarono verso il negozio. Per strada, Hermione continuava a guardarsi attorno, come se George potesse spuntare all’improvviso da qualunque angolo della strada.
Come aveva immaginato, ad accoglierle fu Lee Jordan.
“Ehi Ginny! Grazie per essere passata! Non so come avrei fatto, quello scemo di tuo fratello mi ha lasciato nei guai, stavo finendo le scorte di caramelle Mollelingua!”
Quindi era vero, George non c’era. Ma dov’era?
“Figurati Lee, se hai bisogno, mandaci un gufo.”
Salutarono e uscirono.
Ginny notò che Hermione era decisamente strana da quando l’aveva salutata a casa sua.
Aveva aspettato che fosse lei a dirle qualcosa, ma l’amica si era limitata a parlarle del lavoro e delle lettere di Ron ed Harry, così decise di agire.
“Herm, cos’hai? Sei strana oggi…”
“Nulla, te l’ho già detto.”
Poi, mordendosi le labbra, Hermione prese coraggio e fece la domanda che la assillava: “Come mai Lee ha detto che George l’ha lasciato nei guai?”
La domanda di Hermione incuriosì Ginny. Certo, i due erano amici, ma il modo in cui gliel’aveva posta aveva un non so che di sospetto.
“E’ partito, non te l’ha detto?”
Hermione non rispose.
“E’ andato da Charlie per un po’. E’ partito il giorno dopo della festa a Villa Conchiglia.” finì Ginny.
La faccia di Hermione era una maschera. Si sforzava di trattenere le lacrime e di non lasciar trasparire nessuna emozione, ma era tutto inutile.  Dai suoi occhi traspariva chiaramente la voglia di piangere che aveva e il tremolio delle sue mani certo non la aiutava.
Ogni particella del suo corpo avrebbe voluto chiedere tutto a Ginny, se lei sapesse il perché fosse andato via, se gli aveva detto qualcosa.
Era andato via. Era scappato via da lei.
Un leggero singhiozzo le sfuggì. Provò a mascherarlo con un colpo di tosse ma quello non sfuggì a Ginny, che ormai iniziava a capire.
“Herm, cosa c’è? disse.
“Scusami, mi sono ricordata di dover scrivere una relazione per Kingsley, devo scappare. Mi dispiace Ginny.” disse Hermione e si smaterializzò.
La rossa rimase li, davanti al negozio, con le mani piene di pacchetti e un obiettivo: scoprire cosa aveva combinato suo fratello. Perché era sicura, qualcosa aveva fatto. Anche se Hermione era scappata via, lei l’aveva vista, stava piangendo.




Tutto questo tempo
pieno di frammenti
e di qualche incontro
e tu non ci sei…

 


Si era materializzata a casa, o almeno così credeva.
No, quella non era casa sua, era l’appartamento di George. Se era uno scherzo del destino, pensò, beh, che senso dell’umorismo di merda aveva.
A terra c’era di tutto: maglioni, riviste, bicchieri rotti, quadri. Sembrava fosse passato un uragano, forse erano stati i ladri. Dopotutto George mancava da quanto, una settimana? Avrebbero avuto tutto il tempo per svaligiare l’appartamento. Cosa doveva fare? Avvertire Ginny o Molly? E poi, perché? Non aveva nessun obbligo nei confronti di George.
Lui era scappato via, era in Bulgaria. Aveva messo tra loro un paio di stati di distanza, giusto per stare sicuro che lei non lo cercasse.
Stava cercando di districarsi in quella giungla di rifiuti quando vide una lettera abbandonata sul tavolo. “Sono partito con mio fratello, scusa se  non te l’ho detto prima. Il negozio è nelle tue mani, le chiavi sai dove sono.
Ps: Non fare caso al casino in casa, non sono stati i ladri.”


Un problema in meno, pensò Hermione. La scoperta della lettera inviata a Lee l’aveva fatta infuriare ancora di più. Era lei l’unica a non sapere che George era partito. Un rumore alle sue spalle la fece trasalire.
Era Lee.
“Scusa se ti ho fatta spaventare. Ho sentito un rumore e sono venuto a controllare. Tutto ok?”
Hermione non si aspettava di essere vista lì, non sapeva cosa dire. Non era mai stata brava a inventare scuse.
“Si, tutto ok. Cercavo, cercavo un libro. Si, l’avevo prestato a George qualche mese fa e mi serviva. Ma non lo trovo, così… Vado. Ciao Lee.”
Girò su se stessa e tornò a casa.
Un libro. Un libri prestato a George. Era la scusa meno plausibile che avesse mai inventato. Ma non le importava.
Era distrutta. Il dolore che si era sforzata di tenere lontano, adesso la pervadeva completamente e nessuna pozione l’avrebbe fatta stare meglio.
Non era il dolore del rifiuto, no. E nemmeno l’orgoglio ferito.
Stava male perché aveva bisogno di lui, stava male perché la persona che l’aveva ferita era anche l’unica che l’avrebbe potuta fare stare bene.




Tutto questo posto , forse troppo visto deve avere un guasto: tu non ci sei.


 
 
 
Hermione ormai viveva quasi al Ministero. Passava ogni momento libero lì, a lavorare.
Tornava a casa solo per cambiarsi, leggere la posta e fare una doccia.
Si sentiva male in casa sua. Il divano, quel divano su cui aveva passato tanti momenti con lui. Il letto, quel letto dove avevano passato la notte insieme. La cucina, dove spesso avevano mangiato insieme.
Ogni stanza, ogni oggetto le ricordava lui, era lì, pronto a sottolineare che lui non era lì.  
Erano passate due settimane da quel pomeriggio passato con Ginny. L’amica l’aveva cercata più volte, per sapere come stava. Lei aveva risposto sempre allo stesso modo. “Sto bene, stai tranquilla. Ci vediamo presto.”
Ma quel “presto” non era ancora arrivato.
Era una mattina di Giugno. Il cielo era azzurro e si sentiva l’aria estiva che stava arrivando. Era sabato, gli uffici erano chiusi, ma come sempre lei stava andando a lavorare.
Stava per smaterializzarsi, quando una mano la strinse forte al braccio e si ritrovò nel mezzo di una materializzazione congiunta insieme a Ginny.


Dopo le settimane passate a leggere le lettere di Hermione, in cui lei sosteneva di stare bene e ogni lettera sul foglio sembrava che volesse gridare il contrario, Ginny aveva deciso di agire.
Erano arrivate a Villa Conchiglia.
“Ginny, ma che cavolo! Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Mi ringrazierai dopo. Ora vieni con me.”
“Ma hai sentito quello che ho detto?”
Hermione era nervosa. Non avrebbe retto ad un interrogatorio di Ginny. E poi perché erano a Villa Conchiglia?
Entrarono nella Villa. Ad accoglierle arrivò  Fleur, con in braccio la piccola Victorie. Era diventata ancora più bella dalla prima volta che l’aveva vista. I capelli biondissimi le incorniciavano il viso e somigliava sempre di più alla madre. Alla vista della bambina, Hermione dimenticò la sua arrabbiatura e si avvicinò.
“Ciao Fleur. Ciao piccola. Ma sei diventata bellissima!”
“Ciao Hermione! Prondila, dai!” disse Fleur, che sparì poco dopo in cucina.
“Allora, perché mi hai portata qui?” disse Hermione a Ginny, mentre giocava con la bambina.
“Perché hai bisogno di una pausa.”
“Una pausa? E da cosa?”
“Da te stessa.” disse seria la rossa.
Hermione strabuzzò gli occhi.
“Ma cosa dici??”
“Hermione, ti conosco. Hai continuato a scrivermi che stavi bene per due settimane. La stessa lettera per due settimane. Ho parlato con Kingsley, dice che lavori anche 18 ore al giorno, che praticamente vivi al Ministero. Io non pretendo di sapere cosa ti succede, ma sono tua amica e non ti permetterò di distruggerti. Se non vuoi parlare con me, stai un po’ con Victorie. Io vado ad aiutare Fleur.”


Hermione non riuscì a dire niente. I suoi occhi si riempirono di lacrime, che prontamente ricacciò indietro quando si accorse che anche Victorie era prossima al pianto.
“Eh no piccola, nessuna di noi due piangerà oggi!” le disse e iniziò a farle il solletico.
Era incredibile come un bambino potesse cambiare l’umore.
Hermione, dopo settimane, si sentiva serena e spensierata. Victorie era una bambina dolcissima. L’aveva addormentata leggendole una fiaba babbana e l’aveva posata nella sua culla.
Aveva fatto un respiro  profondo e aveva raggiunto le due ragazze.
“Victoire dorme.” disse a Fleur.
“Oh, grassie per averla messa a letto!” disse Fleur e uscì dalla stanza.
Hermione si sedette sul divano.
“Grazie Ginny.” disse poi.
“Tu l’avresti fatto per me. Siamo sorelle, ti ricordi?” le disse la rossa sorridendo.
Le lacrime che Hermione aveva trattenuto, tornarono su con una tale velocità da lasciare spiazzata persino lei. Ginny le si avvicinò e, senza dire nulla, la abbracciò.
“Io.. scusa, volevo dirtelo. Ma poi George… Oh, scusa Ginny, sono patetica.” continuava a ripetere Hermione tra i singhiozzi.
L’amica la teneva stretta e le accarezzava i capelli.
“Shh, stai tranquilla. Io sono qui. So tutto. Andrà tutto bene.”
 
 

Quante volte sei mancato, quante volte mancherei. Un colpo al cerchio ed un colpo all'anima.
 
  
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