Serie TV > Glee
Segui la storia  |       
Autore: writinglove    03/06/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

BETWEEN THE HUNGRY

Britt .

Quando aprii gli occhi quella mattina,Brittany era ancora al mio fianco.

Le prime luci di quel debole sole che penetrava a stento le nubi,mi accarezzava il viso,quasi con affetto. Non mi ero accorta di essermi addormentata. Non avevo mai pensato potesse essere possibile. Eppure,era successo. La punta degli stivali sfiorava quel che rimaneva della legna che la sera prima mi aveva regalato il dolce rumore dello scoppiettio. Ero avvolta in una pesante coperta,con la testa sull’erba e il calore di un braccio sulla schiena. Dormivo da più di una settimana con Brittany,eppure quella mattina avvertii qualcosa di diverso nel contatto tra i nostri corpi stanchi. Mi voltai lentamente,per non svegliarla,ma il suo braccio finì bruscamente sul terreno ricoperto d’erba,e allora lei aprì gli occhi.

«Scusa» biascicai mortificata «non volevo svegliarti».

Lei,in tutta risposta,sbadigliò sul mio viso e si stampò sulle labbra un sorrisetto compiaciuto.

«Buongiorno» mi disse,sollevando il busto e strizzando forte gli occhi.

«Buongiorno a te» risposi,sorridendo dolcemente.

Lei ricambiò il sorriso.

Oltre ai nostri due corpi che si nascondevano goffamente nella coperta,stesi sull’erba,non c’era nessun altro al di fuori delle proprie tende. Era ancora presto e neppure il nostro capogruppo si era alzato con l’assurda pretesa di “addestrarci”. Quel giorno Steven avrebbe dovuto insegnarci a sparare,e a quel pensiero sentivo una perversa sensazione di entusiasmo pervadermi.

L’aria era maledettamente gelida e mi si stampava sulla pelle come una serie di cazzotti in pieno viso. Forse aiutava a svegliarci,ma mi sentivo completamente intirizzita e ancor più frastornata. Io e Brittany ci eravamo addormentate forse qualche ora prima,e,in conclusione,quella notte non avevo chiuso occhio. Avrei avvertito i postumi di quell’insonnia dovuta all’incubo,ne ero certa.

«Andiamo in tenda?» chiesi alla ragazza che si stropicciava gli occhi.

Lei mi guardò e sbadigliò di nuovo. «In teoria non potrei lasciare la postazione sino a che qualcun altro non si svegli…» mi rispose lei,storcendo la bocca.

«Credo che tra poco si alzerà Steven. E poi se dovesse venire qualche affamato,con questo silenzio lo sentiremmo avvicinarsi. Qui fuori si gela» affermai,stringendomi nelle braccia.

«D’accordo» rispose lei convinta.

Non appena misi un piede sul materiale verde e inamidato della tenda,mi sentii immediatamente al riparo da quel freddo fastidioso. Ovviamente era solo una mia impressione,perché in quel fragile ammasso di sottile tela,sorretto da uno scheletro alquanto instabile,faceva freddo esattamente come fuori. Eppure,quello stupido ammasso,era ormai una casa per me. Quando guardavo quella tenda,dall’esterno,non vedevo una semplice tenda,ma un “rifugio” ricoperto dall’illusione della sicurezza. In quel campo non solo stavamo cercando di ricostruire una vita,ma anche la speranza di riuscire a vivere. Sensazioni,emozioni,desideri,pensieri,angoscia e sofferenza erano concentrate in quella distesa verde,che tutto aveva meno che l’immagine delle nostre vecchie città.

«Come ti senti?» mi chiese Brittany,sedendosi sul materasso e avvolgendosi nella coperta.

Guardai a terra e sospirai «sto bene,credo».

Quando alzai gli occhi ed incrociai i suoi,notai qualcosa di diverso nel suo viso. Osservai bene le labbra pallide per il freddo,le guance chiare e morbide,poi il naso,gli occhi che ancora assonnati mi guardavano a loro volta,la fronte,i capelli…ma niente. Allora mi allontanai un po’ e la guardai per intero,mi stampai la sua figura nella testa,per potervi riflettere senza metterla a disagio. Forse era già tardi,perché lei sorrideva divertita,scuotendo la testa e poi infilandola  sotto l’ammasso di lana.

«Dai,smettila di guardarmi e vieni qui» mi ordinò con il viso nascosto.

Mi avviai lentamente,non so perché. Poi mi tolsi gli stivaletti e mi sedetti sul materasso,con il suo corpo affianco al mio,completamente nascosto,come quello di una bambina che non vuol farsi trovare. Presi un lembo della coperta,lo sollevai e mi coprii le gambe. Lei si scoprì il viso e avvicinò le sue alle mie,lasciando che i nostri calori ci scaldassero reciprocamente. Un brivido mi percorse immediatamente.

«Perché mi guardavi prima?» mi chiese con un sorrisetto sulle labbra.

Spostai lo sguardo dal suo viso e sorrisi a mia volta. Perché la guardavo…perché la guardavo?

«Io…i-io…non so,hai qualcosa di diverso questa mattina».

Lei socchiuse leggermente gli occhi «può darsi».

Scossi la testa e sorrisi.

Mi guardò così a lungo,che cominciavo quasi a sentirmi a disagio. I suoi occhi erano così limpidi,che sentirli sul mio viso mi faceva provare uno strano senso di timore. Non volevo che mi guardasse con così tanta insistenza,forse perché in quel momento non sarei stata in grado di reggere la potenza di quello sguardo con il mio. Lei si avvicinò di più col corpo,e allora un altro brivido mi percorse con prepotenza. Era strano,Dio,se era strano…così strano,che quando spostai i miei occhi sul suo viso,mi si accorciò il respiro e tremai per un istante.

«Sono contenta che ti sia confidata con me» mi sussurrò troppo vicina.

«Perché piangevi?» le chiesi,non smettendo di guardarla.

«Perché ero triste» si limitò a dire lei,con sincerità.

Non so perché,ma in quel momento le accarezzai la guancia con il dorso della mano,delicatamente. Sentii la sua pelle morbida e liscia sulla mia,e lei sorrise.

«Non devi piangere per me. Io posso farcela,sono forte» dissi,con la voce debole.

Lei si morse un labbro,spostò gli occhi dal mio viso,e poi li riportò nei miei.

«Piangevo per tutto. Essere umani,adesso,non è un peccato…è un privilegio» sussurrò lei in risposta.

Accennai un mezzo sorriso ed annuii «già».

All’improvviso la zip della tenda si aprì,e noi sussultammo.

«Dovresti essere lì fuori» affermò una voce maschile,severa «che diavolo ci fai qui,Brittany?»

Steven ci guardava con un misto di stanchezza e disappunto sul viso. Aveva due grandi occhiaie bluastre al di sotto degli occhi,le labbra serrate e l’aspetto disordinato. Il pizzetto che aveva dal momento in cui l’avevamo incontrato per la prima volta,si confondeva con il resto della barba,e lo invecchiava di parecchio.

«Sì,hai ragione…scusami!Mi sono allontanata dieci minuti fa perché avevo freddo» rispose la ragazza,ormai lontana dal mio corpo.

Steven chiuse gli occhi per un istante e scosse un poco la testa.

«E’ stata colpa mia» aggiunsi io «questa notte ho avuto gli incubi e lei si è preoccupata per me. Mi ha trovata sveglia e mi ha chiesto come stavo,tutto qui».

Brittany mi diede un calcio da sotto le coperte.

«D’accordo,ma la prossima volta che sei di turno sarebbe meglio che non ti allontanassi» affermò il ragazzo passandosi una mano sul viso.

«Ok».

«Questa mattina niente colazione» aggiunse prima di uscire «il cibo sta finendo e presto dovremo andare in spedizione. Andremo avanti per qualche altro giorno,giusto il tempo che impariate ad usare una pistola per difendervi,e poi organizzeremo un gruppo».

Richiuse la tenda alle sue spalle e uscì con uno sbadiglio. L’idea di una spedizione cominciava ad agitarmi. Era tranquillo lì,in quel campo freddo,ma in città non era lo stesso.

«Perfetto,» disse Brittany sospirando ed alzandosi di scatto dal letto «presto saremo tutti di nuovo là fuori in quella merda».

«E’ necessario» aggiunsi io.

«Lo è,» rispose lei,infilandosi le scarpe bruscamente «ma c’è sempre il rischio che qualcuno di noi venga ammazzato».

                                                                                   

«Avete capito tutti?» domandò Steven,alzando la pistola sopra la sua testa ed agitandola un po’.

Nonostante il vento freddo al mio risveglio,dalle nuvole si era destato un sole caldo ed accogliente che mitigava l’aria,rendendola piacevole. Ci eravamo allontanati dal campo di un bel po’,per non rischiare che il rumore degli spari avvicinasse gli affamati all’accampamento. Persino Noah,dopo suppliche e discussioni varie,aveva deciso di venire con noi. Non sarebbe stato saggio lasciarlo solo in quella tenda,né sarebbe stato umano da parte nostra. Era parte integrante del gruppo,che lo volesse o no,ed era giunto il momento che si risvegliasse da quel dolore che lo teneva stretto in una morsa. Lo guardai per un istante,mentre imbracciava il fucile ed osservava Steven muoversi e spiegare ancora una volta come si ricaricasse una pistola. Se ne stava immobile,rigido come una statua,e gli occhi persi in chissà quale altra dimensione. Forse rivedeva sua madre morire,o forse riascoltava le parole di quella lettera che teneva ancora con sé. Lucas mi aveva raccontato che ogni notte,prima di addormentarsi,accendeva una torcia e puntava la luce su quel pezzo di carta scritto dal fratello. Jake aveva allegato una foto alla lettera in cui sorrideva e stringeva un braccio attorno alle spalle della madre. Mi aveva raccontato che spesso,a notte fonda,veniva svegliato dal rumore di alcuni singhiozzi,e che richiudeva gli occhi fingendo di dormire. Noah era un tipo orgoglioso e Lucas sapeva bene che non gli gradiva affatto mostrarsi debole di fronte ad altri occhi. Era una brutta situazione la sua. C’era chi preferiva reagire,attivandosi in qualche modo come Steven. C’era chi fingeva di esser felice e menefreghista come Alex. C’era chi la notte si svegliava fradicio di lacrime,come me. E c’era chi invece veniva così sopraffatto dal dolore,che non aveva nemmeno più la forza di parlare o di mangiare,come Puckerman. Avrei voluto fare qualcosa per tirarlo sù di morale,qualsiasi cosa. Ma sapevo che per aiutarlo in qualche modo,avrei dovuto avere la capacità di leggergli nel pensiero. Non mi parlava,non parlava con nessuno. Di tanto in tanto usciva dalla tenda,si guardava attorno,prendeva la sua razione di cibo,e poi tornava nel suo piccolo e fragile rifugio,estraniandosi da tutto e tutti. Nel mondo normale,in quello in cui la civiltà esiste ed è fondamentale,qualcuno l’avrebbe definito “depresso”. Non era così che volevo definirlo io,non era la parola giusta. Io lo definivo “sconfitto”,sconfitto da tutto,sconfitto dalla vita…per il momento.

«Alex» la chiamò il fratello «passa la tua pistola a Lucas. Proverete uno per volta,così potrò guardarvi come si deve».

«Ai tuoi ordini fratellone!»

Da due aste di legno,conficcate nella terra,da cui pendeva un filo legato alle due estremità,con tre bottiglie di plastica attaccate. Steven,poche ore prima,aveva preso tutto il necessario ed era giunto in quel posto per prepararlo al nostro addestramento. Si impegnava davvero molto,questo bisognava concederglielo.

Lucas impugnò l’arma,la scrutò per bene,l’agitò un po’ per soppesarla,e poi si avvicinò un poco ai bersagli. Era preoccupato,potevo leggerglielo nel viso.

«Tienila come ti ho fatto vedere prima» suggerì Steven «così colpirai verso il basso. Devi impugnarla come si deve per sperare di beccare i bersagli».

Mio fratello strizzò appena gli occhi,si asciugò il sudore sulla fronte e strinse l’arma con tutte e due le mani,ponendo le braccia perpendicolari al busto.

«Ora va bene. Manda indietro il carrello».

Lucas obbedì.

«Mira e spara» disse ancora Steven.

Lucas guardò attentamente le bottiglie,socchiuse gli occhi per l’eccessiva concentrazione,e poi sparò. Mancato.

«Prova ancora».

Fece un grande respiro,ricaricò l’arma,mirò e sparò di nuovo.

Immediatamente mi scappò un sorriso e cominciai a battergli le mani,assieme agli altri. Aveva preso in pieno la seconda bottiglia.

«Bravo ragazzo!Hai sparato un bel colpo» lo elogiò Steven,dandogli una pacca sulla spalla.

«E’ un Lopez!» esclamai,ridendo «è bravo in tutto».

Lui mi sorrise e si lasciò abbracciare,con una punta di imbarazzo sul viso.

Riprovò altre tre volte,di cui due colpi andarono a buon fine,poi fu il turno di Noah.

«Sei sicuro di voler sparare con il fucile?Penso che dovresti provare con la pistola» gli disse Steven.

Puckerman non lo guardò nemmeno in viso. Si allontanò di una quindicina di metri e cominciò a fissare,con quella sua espressione dura,la prima bottiglia. Caricò,imbracciò il fucile a dovere,e poi sparò. Presa in pieno. Nessuno di noi parlò. Caricò,imbracciò il fucile,guardò la seconda bottiglia e sparò. Presa in pieno,anche quella. Fece lo stesso e sparò alla terza. Presa in pieno.

«Wow» biascicò Brittany stupita,al mio fianco.

La guardai ed annuii,ma non c’era stupore dentro di me,bensì preoccupazione.

«Complimenti,amico» si congratulò Steven,guardandolo con ammirazione «non sei niente male».

Puckerman annuì,non rispose,e si sedette a terra,a braccia conserte.

Poi fu il mio turno. Quando Lucas mi passò la pistola e sentii il suo peso,uno strano brivido mi si scatenò dentro. Fu come se qualcuno mi avesse dato un cazzotto allo stomaco e poi mi avesse fatto una carezza. Desideravo ardentemente sparare,ma allo stesso tempo mi tremavano le gambe nell’impugnare l’arma.

«Non la stai impugnando correttamente» disse Steven con aria di rimprovero,avvicinandosi.

Aggrottai le sopracciglia e continuai a fissare la pistola. Cosa stavo sbagliando?

«Questa devi metterla così» mi suggerì il ragazzo,spostandomi la mano sinistra sotto l’arma «devi tenerla saldamente» continuò,stringendo le sue mani attorno alle mie da dietro la mia schiena. Potevo vedere i bicipiti tendersi e i muscoli ingrossarsi. Il suo viso era di fianco al mio,e il suo respiro soffiava sulla pelle del collo. Era vicino,troppo vicino.

«Ok» dissi secca.

Lui si staccò,ed io fissai i suoi grandi occhi,interdetta.

«Adesso prova» mi disse,tenendo improvvisamente lo sguardo basso.

Sì,ero confusa. Era attrazione quella che avevo scorto in quelle iridi?

Caricai l’arma,tirai indietro il carrello,mirai e sparai. Sbagliato.

«Riprova» mi incitò Steven.

Mi irrigidii. Tirai indietro il carrello e sparai di nuovo. Sbagliato anche quello.

«Avanti,concentrati!» insisté il ragazzo che continuava ad osservarmi. Tutti mi osservavano.

Feci un grande respiro. Tirai indietro il carrello dell’arma,mirai e sparai. Niente.

«Cazzo!» sbottai lanciando la pistola a terra.

Brittany si avvicinò immediatamente,così come Steven «ehi,è tutto ok. Non fa niente. E’ la prima volta,farò schifo anch’io» mi disse la ragazza con una mano sulla spalla.

«Lo so,lo so!» risposi dura.

«E allora qual è il problema?» mi chiese con quella dolcezza nella voce.

Non risposi e mi allontanai.

«Va tutto bene?» domandò Steven che mi guardava preoccupato «Non c’è bisogno di innervosirsi. Alex c’ha messo mesi solo per imparare a caricarla».

«'Fanculo» borbottò la ragazza seduta a terra,mentre fumava.

«Sì,sì…è tutto ok. Devo solo…devo» inspirai a fondo,chiudendo gli occhi.

Merda.

«Stai bene?» mi chiese lui,mentre ancora tenevo gli occhi chiusi.

Annuii,perché non sarei stata in grado di parlare. Lo sentivo,di nuovo. Aprii gli occhi e cominciai a camminare,allontanandomi.

«Dove vai?»

Maledizione. Sentivo il sole soffocarmi la pelle,impedirmi di respirare. Cocente inveiva sulla nuca e silenzioso rideva di me. Guardavo fisso per terra e vedevo i miei piedi muoversi e all’improvviso incrociarsi,sino a che non sentii l’erba sulla mia pelle. Mi portai le mani sul viso,poi le spostai sul petto,ma lo sentivo comunque. Stavo soffocando,non riuscivo a respirare e il cuore batteva così veloce che pensavo sarebbe scappato via,abbandonandomi. Tutto si fece improvvisamente sfocato,lontano,come se non mi appartenesse. All’improvviso,ne fui certa : stavo morendo.

«Che cos’ha?» chiese mio fratello,mentre ansimavo a terra «San!»

Vedevo i loro volti,ma non li vedevo veramente. Erano avvolti dalla luce di quel sole che mi stava uccidendo e parevano sfocati come fossero stati le figure di un sogno,o angeli immaginari. Vidi Brittany che si mordeva un labbro preoccupata,osservandomi. Poi c’era Alex al fianco di Steven,e poi ancora Lucas che si agitava in preda al panico.

Contrassi il viso in una smorfia di dolore e chiusi gli occhi. Non respiravo. Non respiravo e stavo morendo. Mi girava la testa,mi veniva da vomitare,ma la cosa peggiore era l’angoscia che avvertivo dentro. Ero così debole…così vulnerabile e così ….stavo morendo.

Steven mi prese da terra e provò a sollevarmi,ma io scossi la testa e piangendo,gli dissi di lasciarmi stare. Erano tutti attorno a me,tutti mi guardavano,ma io non guardavo loro. Vedevo altro…vedevo niente,ascoltavo soltanto il battito impazzito e il respiro che mi si strozzava in gola. Mi portai una mano sul petto,faceva male.

«Levatevi!» esclamò una voce familiare.

Noah si fece spazio nel cerchiò e ordinò agli altri di allontanarsi. Era lui. Si mise in ginocchio e mi guardò attentamente,sempre con quell’espressione dura. Mi mise una mano sotto il mento e lo sollevo,sino a che i miei occhi non si ritrovarono nei suoi. Erano così vuoti,così spenti…sentivo quell’angoscia crescere anziché diminuire.

«Ascoltami,Santana» cominciò con un filo di voce dolce e calda,in contrasto con la sua espressione «va tutto bene. Va tutto bene. Non c’è niente di cui aver paura,non c’è niente che tu debba temere. Sei al sicuro,ci sono io qui con te».

Scossi la testa e un’altra lacrima scese giù velocissima. Soffocavo,soffocavo!

«Guardami!» continuò lui. Obbedii. «Adesso chiudi gli occhi. Ricordi quel posto bellissimo?Torna lì e respira. Respira,lentamente. Tu sei viva,senti la pace…la senti?»

Annuii.

Ero lì di nuovo,ma tutto era diverso. Non c’erano più fiori e la cascata aveva smesso di scendere giù,cristallina e piacevolmente rumorosa. I contorni del lago si facevano lentamente più indefiniti,fino a scomparire. Quando sentii un’altra fitta impadronirsi di me,allora lo vidi. Non era rimasto nient’altro che un campo : il campo.

Aprii gli occhi di scatto e mi portai le mani sul viso. Non era ancora finita,insisteva a divorarmi e farmi sua.

«Posso provare?» chiese una voce dolce,vicino a Noah.

«Questa volta è più forte» affermò il ragazzo,facendo spazio a Brittany.

«Non è la prima volta che le succede?»

Noah scosse la testa.

Brittany si chinò al mio fianco e mi prese il viso con entrambe le mani. Non disse nulla,mi guardò soltanto ed io guardai lei. Quegli occhi,quella pelle,quelle labbra. Ci fissammo per un po',poi lei mi sorprese dandomi un bacio sulla fronte.

«Tranquilla» mi sussurrò,portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio  «sta passando. Passa tutto,prima o poi. Torna da me,non lasciare che s’impadronisca di te».

La guardai e la guardai e la guardai e…mi resi conto di esser tornata a respirare con regolarità. Singhiozzai ancora e Brittany mi asciugò le lacrime con il dorso della mano. Avrei voluto fare una cosa in quel momento,ma…non potevo. Non potevo perché…non potevo e basta. Quando mi rialzai da terra,aiutata da Puckerman e Brittany,non ero ancora del tutto lucida. Mi sentivo debole e inerme,come se mi avessero svuotata di ogni cosa. Era successo di nuovo,ma quella volta era stato peggio.

«Grazie» biascicai,rivolgendomi ad entrambi.

Brittany mi sorrise triste e Noah si limitò ad annuire. Il sole splendeva alto nel cielo e fu in quel momento che capii di aver solo immaginato quel calore soffocante. Se ne stava lì,in mezzo a quelle nuvole,quasi a dire :” esisto ancora”. Sentivo qualcosa dentro di me,di inverosimile. Lo sentivo,ma non volevo sentirlo. Era strano,diverso,potente…si stava presentando,ma non volevo ascoltare il suo nome.

«Britt» sussurrai debolmente.

Lei si voltò con un gran sorriso «come mi hai chiamata?»

«Britt» ripetei,sforzandomi di sorridere.

«Che c’è?» mi chiese,sempre sorridendo.

 «Niente» risposi,tenendo gli occhi fissi sul suo viso.

Mentivo. Se fossi stata sincera,le avrei detto : “ Sto solo ripetendo il nome che sento nella mia testa”.

Britt .


Carissimi,eccoci qui. Con questo nuovo capitolo spero di aver fatto breccia nel vostro cuore almeno un po'. La storia si evolve,le vicende si evolvono,il brittana si evolve...

ATTENZIONE : presto assistere ad un qualcosa...non specifico cosa,ma lascio alla vostra immaginazione l'elaborazione di questa frase criptica. 

Non abbandonatemi,mi raccomando!Ogni mia promessa verra' mantenuta.

Allora,che ne pensate?

Sembra che santana sia sempre piu' affezionata alla nostra cara Brittany. Nel frattempo Steven va avanti con la sua idea di addestramento,ma la nostra protagonista viene sopraffatta da un altro attacco di panico. E' chiaro : l'apocalisse non lascia illeso nessuno. Si riprendera' noah? Povero...mi fa molta tristezza.

Come al solito lascio a voi il piacere di esaminare questa mia piccola creazione e di rendenermi partecipe con i vostri pareri. Carissimi,alla prossima!Preparatevi...

  
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: writinglove