Between the hungry
La spedizione .
Quella
notte,dopo giorni più o meno sereni,sognai di nuovo. Ma fu
diverso. Camminavo
in un bosco. L’odore della corteccia e del muschio
s’ infilava prepotentemente
nelle mie narici. Gli unici colori che i miei occhi scorgevano erano il
verde
ed il marrone. Le fronde degli alberi coprivano il cielo,ma lasciavano
lo
spazio sufficiente a far sì che la luce risplendesse chiara
e limpida su ogni
cosa,avvolgendola delicatamente. Qualche goccia d’acqua
scivolava giù da alcune
foglie e luccicava a contatto con i raggi solari. Era un paesaggio ed
un
atmosfera così incantevole,che m'infondeva
nell’animo gentilezza,sciogliendo i
muscoli perennemente rigidi e lasciando il respiro tranquillo,senza
intaccare
il suo ritmo lento e sereno. Mi sentivo bene lì in mezzo. La
natura era una
sicurezza,una sorta di ampolla di vetro nella quale ero racchiusa e
protetta da
tutto quel che c’era all’esterno. Non smettevo di
camminare,però. Non potevo
farlo e non sapevo il perché. Come al solito,non
c’era mai troppa certezza in
quelle breve ed intense visioni nelle quali mi perdevo. Erano
belle,erano
brutte,ma troppo spesso ignote. Scavalcai un tronco che
m’intralciava il
cammino ; aveva un forte odore di terra fresca ed era ricoperto dal
muschio.
Poi,osservando i miei piedi,mi accorsi di percorrere un sentiero. Non
c’era
erba sulla quale poggiavano le suole dei miei stivali,ma terra di un
marrone
vivo,tendente al rossastro,ben definito in mezzo a quel verde che lo
accompagnava con delicatezza. Sì,mi sentivo bene. Non avevo
coltelli nelle
scarpe,non c’erano affamati,né visi impressi nella
memoria e divorati dal
tempo. Solo natura,solo l’infinità del verde e la
carezza della luce. Quando
smisi di guardarmi i piedi,mi accorsi che il bosco stava finendo.
Potevo vedere
gli alberi fare spazio a dell’erba verde,ed il sentiero
cessare. C’era un
enorme prato al di fuori di lì ed era proprio la
destinazione di quel sentiero.
Dovevo preoccuparmi? No,non potevo. Accelerai il passo,improvvisamente
curiosa.
Quando sfiorai la corteccia dell’ultimo albero,lo vidi.
Un’enorme distesa verde
si estendeva dinanzi a me,chiara e vivida. Ma i miei occhi furono
catturati da
qualcos’altro : un lago. I raggi del sole sbattevano sul pelo
cristallino
dell’acqua e rimbalzavano regalando dei magnifici bagliori a
decorare l’aria.
Dio,era meraviglioso. Più guardavo quell’enorme
bacino limpido,più avevo voglia
di tuffarmi e fare una nuotata. Dovevo farlo,diamine,dovevo! Cominciai
a
correre e quando giunsi sulla riva,mi chinai ed immersi la mano
nell’acqua. Non
era fredda,ma neppure calda. Era così
bella…riuscivo a vedere il fondo e
sembrava che mi stesse pregando di tuffarmi.
«E va
bene»
dissi,sorridente.
Mi tolsi gli
stivali,poi i calzini e poi feci scivolare giù i pantaloni
di quella tuta logora.
L’aria era meravigliosamente tiepida ; mi ricordava un
po’ la primavera
dell’Ohio. Quando toccò il momento di togliermi la
felpa,una figura mi lasciò
interdetta.
«Brittany?»
chiesi stupita.
Lei sorrise e
si avvicinò alla sponda del lago. Da dove era sbucata?
«Non
dovrebbe essere troppa fredda» disse,accennando
all’acqua.
«Che
ci fai
qui?» chiesi ancora confusa.
Lei mi
guardò e sorrise di nuovo,incurante «pensi che
questo posto sia solo il tuo?Non
fare la prepotente,San» mi rimbeccò,scherzosa.
Socchiusi
appena gli occhi e cominciai a fissarla. Era raggiante. Si avvicinava
con quel
suo passo svelto e leggero,come quello di una bambina felice di
rivedere
qualcuno. Quando mi raggiunse,sorrise di nuovo.
«Sai
che
giorno è oggi?» mi domandò con
quell’aria sbarazzina.
La guardai
accigliata «che giorno è?»
«Lo
scoprirai» rispose,facendo spalluce.
Si tolse le
scarpe e si tirò giù i pantaloni prima ancora che
me ne rendessi conto. Poi mi
guardò,sempre sorridente,e si avvicinò. Era
diversa,ne ero convinta. Mi
concessi per un istante il lusso di guardare le sue gambe chiare e
chilometriche,e allora accade qualcosa che mi costrinse a spostare gli
occhi da
lì.
«Non
fa
freddo» affermò,togliendosi rapidamente il
maglioncino bianco «che aspetti a
spogliarti?»
«D’accordo»
dissi,afferrando i due lembi di stoffa.
I suoi occhi
si fermarono sul mio corpo e all’improvviso sentii le guance
colorarsi. Era
imbarazzo quel che provavo?Perché mai avrei dovuto provare
imbarazzo?
«Hai
un bellissimo
corpo,Santana» affermò,continuando a guardarmi.
Fu
allora,che anch’io la guardai. La pelle era così
chiara,così morbida e
liscia…così invitante. Il reggiseno nero le
avvolgeva delicatamente il seno e
lo sollevava,quasi stesse mostrandomelo. L’addome tonico,dal
colore candido e
delle sottili linee che ne tracciavano la consistenza. Poi
quell’ombellico e
quel piccolo disegno che spuntava da sotto la stoffa delle mutandine in
pizzo…e
quelle gambe,di nuovo. Avrei dovuto dire qualcosa,avrei dovuto farlo,ma
non
volevo. C’era qualcosa di così perfetto in quel
silenzio che sapeva di
curiosità ed eccitazione,e le parole lo avrebbero sporcato.
Brittany si
avvicinò,e allora i miei occhi tornarono sui suoi
seni,inevitabilmente. Guardai
le gambe,e si avvicinò ancora. Guardai il profilo del
collo,e si avvicinò di
nuovo,sino a che non sentii il suo respiro sul mio viso.
«Non
resistermi» sussurrò seducente contro la mia pelle
«lo sai che mi
desideri» aggiunse poco dopo.
Quando
allontanò il viso,la guardai ancora. Bellissima,ma troppo
vicina. Un brivido mi
percorse la schiena velocissimo,e allora mi morsi un labbro. Brittany
avvicinò
le sue labbra alle mie e ,nel momento in cui le toccò,non ci
staccammo più.
*
Corsi al
gazebo e mi sciacquai la faccia nella bacinella piena
d’acqua. Maledizione,era
gelida! Sollevai il viso e soffiai via le gocce che mi ricoprivano le
labbra.
Sbattei un paio di volte gli occhi e poi li richiusi,inspirando.
«Cazzo…cazzo…cazzo!»
borbottai tra me e me,proibendomi severamente di aprire gli occhi
«E’ tutto ok.
E’ tutto ok. Cristo…»
Spalancai gli
occhi di scatto e sospirai. Era stato solo un sogno,un maledettissimo
sogno
come quelli che ormai facevo abitualmente : quelli strani e senza
senso.
No,quello però era diverso. Troppo diverso. Insomma,era
comunque e solo un
sogno,ma allora perché mi sentivo in quel modo?Era paura
quella che provavo,o
confusione?Era eccitazione,o desiderio?Cosa diavolo era?!
Quando
decisi di esser sufficientemente calma e pronta per tornare in
tenda,qualcosa
catturò il mio sguardo.
«Ehi,Lopez»
mi salutò Alex,facendo un cenno con la mano.
Il sole
sorgeva in quel momento ed ero convinta che non ci fosse
nessun’altro
sveglio,oltre a me. Che ci faceva in piedi a quell’ora?
«Ehi!Già
in
piedi?»
Lei fece
spallucce «non sono abituata a dormire molto» si
limitò a dire.
Estrasse un
pacchetto di Marlboro dalla tasca e si accese una sigaretta.
«Ne
vuoi
una?» mi chiese,cordiale.
Scossi la
testa «più tardi,grazie».
«Come
vuoi»
rispose,facendo ancora spallucce.
Si
avvicinò
un po’ e mi guardò. Non aveva affatto una bella
cera. Aveva due occhiaie scure
sotto gli occhi dall’aspetto stanco,il viso pallido ed
imperlato da qualche
goccia di sudore. Si passò una mano sulla fronte e fece un
tiro di sigaretta.
Era cambiata dal momento in cui l’avevamo conosciuta a New
York,e non avrei
saputo dire se il suo fosse stato un cambiamento unicamente
estetico,o…o anche interiore.
Era più trascurata,nonostante i suoi occhi continuassero ad
esser decorati da
quei tratti scuri e decisi di matita. Era sempre affascinante,ma i suoi
capelli
erano quasi sempre in disordine e la sua pelle ultimamente appariva
spesso
diafana e sofferente,così come la sua espressione. Avrei
potuto giurare che ci
fosse qualcosa che non andasse,ma magari mi sbagliavo. Magari soffriva
anche
lei come tutti gli altri,solo che non gradiva darlo a vedere. Non
poteva essere
la ragazza impassibile e menefreghista che sembrava,indossava
certamente una
maschera.
«Senti…»
cominciò poi,improvvisamente seria
«mi dispiace di non averti chiesto come stavi
quando,sì,beh,quando hai avuto
quella “cosa”».
Mi
lasciò
stupita. Quella non me l’aspettavo.
«Oh,ma
no…non preoccuparti. Non ce n’era
bisogno».
Lei sorrise
appena,ma parve triste «so bene cosa sembro. Se mi guardassi
da fuori,mi
definirei una stronza insensibile e menefreghista.
Sì,insomma» continuò
guardando verso il basso «me ne sto lì a fumare
tutto il tempo,a lanciare
frecciatine,ma sappi che mi interessa davvero di questo
gruppo».
Le feci un
sorriso sincero e le misi una mano sulla spalla
«tranquilla,davvero».
La capivo
bene. Un tempo ero stata anch’io come lei,ero stata
anch’io la stronza
impassibile che non riusciva a darsi pace. La guardai per un istante
negli
occhi e quella volta li trovai spenti e vuoti,persi chissà
dove.
Lei
annuì,frenando
l’impulso di sussurrare un grazie e andò
via,dritta in tenda. Forse non mi
sbagliavo.
*
Guardai
ancora una volta quei cinque volti come facevo ormai da lunghi minuti.
Steven guardava
le armi poste sopra il tavolo,le sollevava,le rimetteva a posto e
controllava più
e più volte che fossero cariche. Era un tipo minuzioso.
Alex,invece,si guardava
attorno con lo stesso sguardo perso di quella mattina,fumando la sua
sigaretta.
Lucas appariva visibilmente stanco,forse aveva dormito poco. Dormivamo
tutti
poco quando giungeva il momento. A volte,mentre tenevo gli occhi
chiusi,fingendo
di dormire,li potevo sentire uscire dalla tenda e lamentarsi,camminando
avanti
e indietro sull’erba umida. L’ansia diventava una
sorta di rituale
inevitabile,che ti catturava sino al momento in cui potevi tirare un
sospiro di
sollievo. Non era ancora ora e per questo la sentivo viva dentro di me
; più
viva di qualunque altra cosa. Anche Noah era con noi quel pomeriggio.
Non
parlava,non guardava nessuno con gli occhi,e forse non era nemmeno
così
presente. Brittany,invece, si mangiava le unghie o si mordeva le labbra
sino a
farsi uscire il sangue. Quello era il suo rituale e,nonostante
più volte
l’avessi rimproverata di fermarsi,non c’era stato
verso di impedirle che quella
sua agitazione trovasse sfogo in quel modo. Eravamo tutti agitati,lo
eravamo
sempre. Ormai vedevo le spedizioni come una sorta di prova,come una
sfida. Non
potevamo restare troppo a lungo nella tranquillità,ci
avrebbe nociuto. Ma più
li guardavo,più guardavo i loro volti,e più
sentivo quell’ansia crescere sino a
sfociare nella paura. La tensione era palpabile e quando abbassai lo
sguardo,mi
feci scrocchiare le dita.
«Sarà
come
al solito» disse Steven,passando gli occhi su ognuno di noi
«abbiamo bisogno di
quanto più scatolame è possibile prendere e di
molta acqua. Questa volta sarà
veloce,prenderemo solo cose primarie. Dei vestiti ed altre sciocchezze
di
questo genere ci occuperemo nella prossima spedizione. Visiteremo il
supermarket
della scorsa volta e poi torneremo il più rapidamente
possibile dritti al
campo».
Inspirai a
fondo,osservando il ragazzo che parlava.
«Tutto
chiaro?»
Annuimmo.
Quando
salimmo sul Wrangler rosso e ci lasciammo l’accampamento alle
spalle,provai il
solito senso di malinconia. Era come se ogni volta,con lo sguardo,gli
sussurrasi un addio. Se mi fossi soffermata a lungo a pensarci,avrei
trovato
che fosse una cosa assolutamente patetica. Come si può dire
addio a qualcosa
che non è realmente tuo?A qualcosa a cui non tieni? Forse
era quello il punto :
quel campo era casa mia,che lo volessi o no. Brittany mi
guardò un momento e
scosse la testa sconsolata.
«Non
devi
preoccuparti. Andrà tutto bene,questa volta sarà
facile» le dissi,con una
convinzione che lasciava abbastanza a desiderare.
Lei in tutta
risposta si passò le mani sul visoe,quando le
lasciò ricadere sul sedile,le
presi la mano sinistra. Mi guardò.
«Non
ci
succederà niente,vedrai».
Girò
la
mano,senza rispondere,ed intrecciò le dita alle mie. Il mio
cuore accelerò il battito.
Si
voltò e
mi sorrise «lo spero».
Quando
gettai lo sguardo verso il finestrino,incontrai gli occhi di Lucas. Mi
guardava,guardava
le mani strette l’una all’altra,con
un’espressione indecifrabile e non so
perché,ma d’impulso lasciai le dita di Brittany e
mi riportai la mano sulla
coscia. Lucas continuò a guardarmi,si sforzò di
addolcire il viso,ma l’unica
cosa che riuscivo a leggere su quel volto di un adolescente costretto a
crescere troppo in fretta,era l’angoscia.
Raggiungemmo
la piccola città di Rochester poco dopo. Percorremmo le
strade vuote
rapidamente e poi il fuoristrada si fermò davanti al
supermarket dall’aspetto
non proprio accogliente. Quel piccolo agglomerato di case,fornito solo
del
necessario per sopravvivere e vivere come se fossero stati al di fuori
del
mondo,non doveva essere particolarmente grazioso neppure prima
dell’apocalisse.
Puckerman ed Alex scesero per primi,poi seguirono Steven e poi noi tre.
Non appena
misi un piede sull’asfalto,sentii un brivido freddo
percorrermi rapidamente la
schiena e lo stomaco venire sopraffatto da una tremenda agitazione.
Steven
estrasse un borsone dall’auto e tirò fuori le
armi. Diede il fucile a Noah,la
pistola alla sorella e l’altra a Lucas. Poi
s’infilò un coltello
nell’anfibio,un altro nella cinta dei pantaloni e lo stesso
facemmo io e
Brittany.
«Presto
cercheremo un’armeria dove poter recuperare altre
armi» affermò,guardando me e
la bionda «per adesso facciamoci bastare queste. Tenete gli
occhi aperti,mi
raccomando».
Prendemmo
delle borse vuote ciascuno e,con passo svelto ma silenzioso,entrammo
dalla
vetrina rotta. Quando misi i piedi sui frammenti di vetro,sentii uno
scricchiolio soffocato sotto la suola dello stivale e Brittany si
voltò a
guardarmi. Alzai le spalle ed allargai le braccia e lei mi
guardò con
un’eloquace espressione. Avanzammo lentamente ed una volta
entrati ci guardammo
attorno. Non c’erano rumori strani,era tutto silenzioso,anche
troppo. Steven
camminava in testa al gruppo,con il coltello in mano,scrutando in ogni
direzione.
Poi si girò e mimò un
«dividiamoci».
Io,Brittany
e Noah ci dirigemmo in una direzione e gli altri tre in un'altra.
Finimmo
subito nel reparto delle bevande. Noah prese sei bottiglie
d’acqua e le infilò
nella sacca spaziosa. Io ne presi altre cinque e Brittany prese del
latte.
Poi,sempre camminando velocemente e senza fiatare,finimmo nel reparto
alimentari. Infilai quanti più pacchi di pasta fui in grado
di far entrare
nella sacca,ma dovevo ammettere che cominciava a pesare. Brittany prese
scatolame di ogni tipo e,senza neppure rendercene conto,avevamo finito.
«Forza,usciamo»
sussurrò Noah quel tanto che bastasse a farsi ascoltare.
Avevo il
braccio indolenzito per il peso della sacca e fui costretta a passarla
a quello
sinistro. Era meno forte ed avvertii subito lo sforzo dei muscoli. Era
finita.
Stranamente,era finita. Uscimmo rapidamente dal supermarket e calpestai
di
nuovo i vetri,ma quella volta Brittany non si voltò. Noah
aprì il portabagagli
del Wrangler e posammo le sacche lì dentro.
«Perché
gli
altri non sono già fuori?» chiesi,rivolgendomi a
Puckerman.
Lui mi
guardò e scosse la testa «staranno recuperando
più roba».
Tornò
il
silenzio subito dopo e non so come,ma io e Brittany finimmo per
guardarci a
vicenda. Avevo voglia di sorriderle,ma il momento non era dei migliori.
Proibivo al mio intero corpo il lusso di rilassarsi. I suoi occhi
azzurri
scrutarono attentamente il mio viso e sembrarono dolci. Ricambiai lo
sguardo ;
era il minimo che potessi fare. Indossava una maglietta grigia a manica
corta
con una scollatura a V e dei pantacollant neri. I
capelli,sciolti,ricadevano
morbidi sulle linee chiare del collo. Quel collo
era…bellissimo. Il collo…il
sogno. Spostai gli occhi immediatamente,ma quando lo feci,lei mi
sfiorò la mano
di proposito e allora tornai a guardarla.
«C’è
qualcosa che non quadra» disse Puckerman,camminando
nervosamente avanti e
indietro.
Mi
concentrai a malincuore sulla figura di Noah.
«Pensi
sia
normale che ci stiano mettendo tutto questo tempo?»
Neppure mi
guardò.
«Vado
dentro
a dare un’occhiata. Restate qui» disse,prima di
entrare a passo spedito
nell’edificio.
Allora
l’ansia tornò prepotente ad irrigidirmi e non
potei farei a meno di guardare la
figura di Puckerman varcare la soglia del supermarket. C’era
mio fratello lì
dentro,maledizione! Era lì e percepivo una
sensazione spiacevole.
Sì,qualcosa non quadrava. Ma cosa?
Scossi la
testa preoccupata «non possiamo restare qui. Dobbiamo andare
dentro anche noi».
Brittany mi
guardò e le bastò un secondo per osservare
l’agitazione sul mio viso.
«Va
bene»
rispose,prima di mordersi nuovamente le labbra.
Poi,prima
ancora che le mie gambe cominciassero a muoversi,il rumore di uno sparo
si levò
nell’aria. Secco e deciso,infrangendo ogni cosa. Il cuore
accelerò il battito
rapidamente e allora tutto divenne surreale. Non mi abituavo mai a
quella
sensazione,alla percezione del pericolo e al sapore che avvertivo sulla
lingua.
L’amaro mischiato alla saliva,i muscoli pronti a scattare,la
mente attenta ad
individuare il pericolo.
Corsi sui
vetri e questi scrocchiarono di nuovo sotto il mio peso. Ma non
c’era tempo per
concentrarsi sull’inutilità di quel suono e,quando
entrai,il sangue
affluì veloce alla testa,ed avvertii in ogni centimetro
dell’organismo un
semplice messaggio : “pericolo”.
«Ma
che
cav…»
Quando
percorsi l’entrata e mi ritrovai nell’ingresso
principale,trovai il caos.
Brittany sfoderò immediatamente il coltello,ma io non ero
ancora pronta per
farlo. Tutto roteava nella mia mente così velocemente,che il
cervello ed i muscoli
non avevano il tempo per reagire simultaneamente. L’unica
cosa che capii,fu che
c’erano degli affamati. Forse cinque,forse sei,forse quattro.
Il loro verso,che
per un momento avevo dimenticato,tornò prepotente a
risuonarmi nella testa.
«Togliti
da
lì!» urlò Noah.
Un istante
dopo,Brittany gridò e quel grido mi risvegliò
improvvisamente dalla trance.
Un
affamato,che si trascinava a terra,l’aveva afferrato per la
caviglia. La teneva
stretta tra quelle sue mani scheletriche e si divincolava per morderle
la
carne. Rimasi paralizzata. Forse fu una frazione di secondo,forse un
secondo
intero,ma quell’attimo bastò a farmi tremare sino
all’inverosimile. Scattai
immediatamente verso di lei,che ancora teneva il coltello tra le dita e
spaventata a morte tirava dei calci per farsi lasciare.
«Fa’
qualcosa!» mi urlò Noah,mentre spaccava il cranio
a un altro affamato.
Fu tutto
così rapido…troppo rapido. Strappai il coltello
dalle mani di Brittany e lo
piantai dritto nella fronte dell’affamato nel momento stesso
in cui le sue
mandibole stavano per chiudersi sulla carne della ragazza. Feci forza
per
staccarlo dal cranio disgustoso dell’essere e poi mi rialzai.
Cos’era successo?
Avevo il fiatone.
«Tutto
ok?»
chiesi a Brittany con la voce ridotta ad un sussurro.
Lei mi
guardò,con gli occhi ancora sgranati,ed annuì.
Avrei voluto
tranquillizzarla,ma prima mi concentrai sul resto. Erano tutti
lì. Steven aveva
la maglia sporca di sangue e la fronte velata di sudore. Alex stringeva
ancora
la pistola e il suo viso era ancor più pallido di quella
mattina : aveva lo
stesso colore di un foglio di carta. Lucas ansimava e mi guardava fisso
e Noah
scuoteva la testa. Era finito? Mi guardai attorno ancora una volta.
C’erano tre
cadaveri di affamati,abbandonati sul pavimento e il solo suono dei
nostri
respiri. Cos’era successo?
«Ma
che
cazzo ti è saltato in mente?!» urlò
Steven alla sorella,afferrandola per un
braccio.
La ragazza
abbassò lo sguardo e scosse la testa
«lasciami» biascicò priva di forze.
Il ragazzo
la scosse ancora per il braccio e allora Alex gli diede una spinta.
«Smettila!»
intervenne Noah,fulminandolo con lo sguardo.
Steven
mollò
la presa e si passò le mani sul viso,agitato.
«Che
cazzo
volevi fare,eh?!» urlò furioso.
Alex lo
guardò,ma non aveva neppure la forza di ammonirlo con lo
sguardo. Io ero
confusa. Aveva davvero un pessimo aspetto ; era inguardabile. Le
occhiaie che
avevo notato quella mattina erano notevolmente aumentate. La pelle
pallida,il
viso appariva più scarno ed era velato dal sudore. I capelli
disordinati e la
matita attorno agli occhi sbafata. Abbassò lo sguardo e si
passò il dorso della
mano a strofinare il naso,poi alzò gli occhi al cielo,e il
suo viso sofferente
venne rigato da una lacrima.
«Mi
spiegate
cos’è successo?» chiesi,distraendo
Steven da quel suo sguardo terribile.
«Fatti
i
cazzi tuoi,messicana!» mi urlò la
ragazza,avviandosi poi verso l’uscita.
La guardai
di sbieco e per un istante pensai di prenderla a schiaffi. Ancora non
capivo.
Steven
camminò avanti e indietro,non mi rispose,e poi corse dalla
sorella con quella
sua aria schifata e allo stesso tempo adirata.
«Ehi!»
urlò
Noah,all’altro.
Steven non
rispose e continuò a correre.
«Alex
ha
aperto una porta nel magazzino del negozio e sono venuti fuori gli
affamati» mi
rispose Lucas,ancora con il fiatone «a quanto pare qualcuno
li aveva chiusi lì
dentro e…lei li ha fatti uscire».
Noah si
avviò vero l’uscita,con l’aria
preoccupata.
Annuii.
Guardai mio fratello,guardai gli affamati e guardai Brittany ; solo
allora mi
accorsi che piangeva.
«Vai
dagli
altri» dissi a Lucas «vi raggiungiamo
subito».
Era rimasta
immobile nella sua posizione e guardava fisso il pavimento. Non si
asciugava
neppure le lacrime,paralizzata e scioccata com’era. Aveva
visto la morte in
faccia,ed io avevo visto la sua. Se solo ripensavo a
quell’attimo,se solo
ripensavo a quello che sarebbe potuto succedere,se solo…
«Stavo
per
morire» biascicò tra un crescendo di singhiozzi.
Fu allora
che l’abbracciai. L’abbraccia stretta stretta e
quasi potevo sentire il suono
del suo cuore che se non fosse stato incastrato nel petto,sarebbe
volato via.
Mi staccai un attimo e le accarezzai una guancia,poi le portai via una
lacrima
con il pollice e le accarezzai uno zigomo. Ci guardammo fisse negli
occhi.
Lessi la paura nella sua anima,lessi il terrore nei suoi occhi e il
panico che
ancora scorreva assieme al sangue. Muoveva le labbra screpolate,se le
mordeva.
Le asciugai un’altra lacrima delicatamente,quasi avendo paura
di ferirla. Le
misi un braccio dietro la schiena,poi spostai le mani sulla sua vita e
la
cinsi. Non volevo allontanarmi da lei. Non volevo e non potevo
lasciarla. Io…io…maledizione.
Era così bella e delicata,troppo per quel mondo che ancora
non riusciva a
trasformarla in una creatura senz’anima. Non potevo lasciare
che la sua luce si
spegnesse,non potevo. Sentivo di avere un ruolo in tutto ciò
: dovevo tenerla
in vita. Appoggiai la fronte sulla sua e allora respirammo a vicenda il
calore
dei nostri corpi e sentimmo gli odori fondersi. Il suo fiato sulle mie
labbra,sulla mia pelle. Lei era mia. Lei era mia,ed era così
vera quella
frase,così concreta,che ogni cosa perdeva consistenza mentre
la ripetevo nella
mia mente. Non l’avrei mai lasciata,non potevo
lasciarla,perché lei mi
apparteneva.
«E’
finito
tutto» le sussurrai sul viso,spostandole una ciocca di
capelli.
Scosse la
testa impercettibilmente e un’altra lacrime le percorse una
guancia.
L’asciugai,di nuovo.
«Non
posso
farcela» rispose in un tremolio «morirò
prima ancora di poter dire di aver
vissuto».
Avvertii un
groppo in gola.
«Non
ti
azzardare a dirlo».
Alzò
la
testa e la scosse ancora,questa volta più forte.
«Santana,io…»
replicò lei.
«Shhh…»
l'azzittii portandole un dito sulle labbra «non
parlare» sussurrai dolcemente.
Mi avvicinai
a quel viso e presto la distanza divenne poco meno che nulla.
Lei era mia.
Maledizione,era mia!
«Non
c’è
bisogno che tu dica niente» aggiunsi.
«Grazie»
rispose in un fremito.
Il suo
odore,la sua voce. Un brivido mi attraversò veloce e
furioso,come una scarica
di energia inverosimile e meravigliosa che risvegliava i sensi. A quel
punto,ne
fui certa : volevo quella ragazza. La volevo con tutta me stessa. Le
mie labbra
si avvicinarono alle sue,mentre le tenevo la mano,e le diedi un piccolo
bacio all’angolo
della bocca : delicato e straziante. Il cuore batté
forte,troppo forte,ed
avvertii un calore nel petto.
«Non morirai mai» respirai sulla sua pelle «mai».
Salve gente! Ed eccoci qui con un altro capitolo di "Beteween the hungry".
Come avete potuto leggere,i nostri protagonisti sono alle prese con il problema chiamato : "sopravvivenza". Ma vogliamo parlare dei sogni di Santana?Secondo voi sono indicativi di qualcosa? Vi accenno soltanto una cosa : questo capitolo sarà davvero importante per i futuri scenari della ff...sto cominciando a lasciare in giro indizi per una situazione che tra non molto vedrete sbucare fuori.
Abbiate un po' di pazienza,vi assicuro che non ve ne pentirete. E' una promessa!
Alla prossima cari lettori,vi aspetto nelle recensioni!