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Autore: writinglove    10/06/2014    3 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Between the hungry

La spedizione .

Quella notte,dopo giorni più o meno sereni,sognai di nuovo. Ma fu diverso. Camminavo in un bosco. L’odore della corteccia e del muschio s’ infilava prepotentemente nelle mie narici. Gli unici colori che i miei occhi scorgevano erano il verde ed il marrone. Le fronde degli alberi coprivano il cielo,ma lasciavano lo spazio sufficiente a far sì che la luce risplendesse chiara e limpida su ogni cosa,avvolgendola delicatamente. Qualche goccia d’acqua scivolava giù da alcune foglie e luccicava a contatto con i raggi solari. Era un paesaggio ed un atmosfera così incantevole,che m'infondeva nell’animo gentilezza,sciogliendo i muscoli perennemente rigidi e lasciando il respiro tranquillo,senza intaccare il suo ritmo lento e sereno. Mi sentivo bene lì in mezzo. La natura era una sicurezza,una sorta di ampolla di vetro nella quale ero racchiusa e protetta da tutto quel che c’era all’esterno. Non smettevo di camminare,però. Non potevo farlo e non sapevo il perché. Come al solito,non c’era mai troppa certezza in quelle breve ed intense visioni nelle quali mi perdevo. Erano belle,erano brutte,ma troppo spesso ignote. Scavalcai un tronco che m’intralciava il cammino ; aveva un forte odore di terra fresca ed era ricoperto dal muschio. Poi,osservando i miei piedi,mi accorsi di percorrere un sentiero. Non c’era erba sulla quale poggiavano le suole dei miei stivali,ma terra di un marrone vivo,tendente al rossastro,ben definito in mezzo a quel verde che lo accompagnava con delicatezza. Sì,mi sentivo bene. Non avevo coltelli nelle scarpe,non c’erano affamati,né visi impressi nella memoria e divorati dal tempo. Solo natura,solo l’infinità del verde e la carezza della luce. Quando smisi di guardarmi i piedi,mi accorsi che il bosco stava finendo. Potevo vedere gli alberi fare spazio a dell’erba verde,ed il sentiero cessare. C’era un enorme prato al di fuori di lì ed era proprio la destinazione di quel sentiero. Dovevo preoccuparmi? No,non potevo. Accelerai il passo,improvvisamente curiosa. Quando sfiorai la corteccia dell’ultimo albero,lo vidi. Un’enorme distesa verde si estendeva dinanzi a me,chiara e vivida. Ma i miei occhi furono catturati da qualcos’altro : un lago. I raggi del sole sbattevano sul pelo cristallino dell’acqua e rimbalzavano regalando dei magnifici bagliori a decorare l’aria. Dio,era meraviglioso. Più guardavo quell’enorme bacino limpido,più avevo voglia di tuffarmi e fare una nuotata. Dovevo farlo,diamine,dovevo! Cominciai a correre e quando giunsi sulla riva,mi chinai ed immersi la mano nell’acqua. Non era fredda,ma neppure calda. Era così bella…riuscivo a vedere il fondo e sembrava che mi stesse pregando di tuffarmi.

«E va bene» dissi,sorridente.

Mi tolsi gli stivali,poi i calzini e poi feci scivolare giù i pantaloni di quella tuta logora. L’aria era meravigliosamente tiepida ; mi ricordava un po’ la primavera dell’Ohio. Quando toccò il momento di togliermi la felpa,una figura mi lasciò interdetta.

«Brittany?» chiesi stupita.

Lei sorrise e si avvicinò alla sponda del lago. Da dove era sbucata?

«Non dovrebbe essere troppa fredda» disse,accennando all’acqua.

«Che ci fai qui?» chiesi ancora confusa.

Lei mi guardò e sorrise di nuovo,incurante «pensi che questo posto sia solo il tuo?Non fare la prepotente,San» mi rimbeccò,scherzosa.

Socchiusi appena gli occhi e cominciai a fissarla. Era raggiante. Si avvicinava con quel suo passo svelto e leggero,come quello di una bambina felice di rivedere qualcuno. Quando mi raggiunse,sorrise di nuovo.

«Sai che giorno è oggi?» mi domandò con quell’aria sbarazzina.

La guardai accigliata «che giorno è?»

«Lo scoprirai» rispose,facendo spalluce.

Si tolse le scarpe e si tirò giù i pantaloni prima ancora che me ne rendessi conto. Poi mi guardò,sempre sorridente,e si avvicinò. Era diversa,ne ero convinta. Mi concessi per un istante il lusso di guardare le sue gambe chiare e chilometriche,e allora accade qualcosa che mi costrinse a spostare gli occhi da lì.

«Non fa freddo» affermò,togliendosi rapidamente il maglioncino bianco «che aspetti a spogliarti?»

«D’accordo» dissi,afferrando i due lembi di stoffa.

I suoi occhi si fermarono sul mio corpo e all’improvviso sentii le guance colorarsi. Era imbarazzo quel che provavo?Perché mai avrei dovuto provare imbarazzo?

«Hai un bellissimo corpo,Santana» affermò,continuando a guardarmi.

Fu allora,che anch’io la guardai. La pelle era così chiara,così morbida e liscia…così invitante. Il reggiseno nero le avvolgeva delicatamente il seno e lo sollevava,quasi stesse mostrandomelo. L’addome tonico,dal colore candido e delle sottili linee che ne tracciavano la consistenza. Poi quell’ombellico e quel piccolo disegno che spuntava da sotto la stoffa delle mutandine in pizzo…e quelle gambe,di nuovo. Avrei dovuto dire qualcosa,avrei dovuto farlo,ma non volevo. C’era qualcosa di così perfetto in quel silenzio che sapeva di curiosità ed eccitazione,e le parole lo avrebbero sporcato. Brittany si avvicinò,e allora i miei occhi tornarono sui suoi seni,inevitabilmente. Guardai le gambe,e si avvicinò ancora. Guardai il profilo del collo,e si avvicinò di nuovo,sino a che non sentii il suo respiro sul mio viso.

«Non resistermi» sussurrò seducente contro la mia pelle «lo sai che mi desideri» aggiunse poco dopo.

Quando allontanò il viso,la guardai ancora. Bellissima,ma troppo vicina. Un brivido mi percorse la schiena velocissimo,e allora mi morsi un labbro. Brittany avvicinò le sue labbra alle mie e ,nel momento in cui le toccò,non ci staccammo più.

                                                                                                               *

Corsi al gazebo e mi sciacquai la faccia nella bacinella piena d’acqua. Maledizione,era gelida! Sollevai il viso e soffiai via le gocce che mi ricoprivano le labbra. Sbattei un paio di volte gli occhi e poi li richiusi,inspirando.

«Cazzo…cazzo…cazzo!» borbottai tra me e me,proibendomi severamente di aprire gli occhi «E’ tutto ok. E’ tutto ok. Cristo…»

Spalancai gli occhi di scatto e sospirai. Era stato solo un sogno,un maledettissimo sogno come quelli che ormai facevo abitualmente : quelli strani e senza senso. No,quello però era diverso. Troppo diverso. Insomma,era comunque e solo un sogno,ma allora perché mi sentivo in quel modo?Era paura quella che provavo,o confusione?Era eccitazione,o desiderio?Cosa diavolo era?!

Quando decisi di esser sufficientemente calma e pronta per tornare in tenda,qualcosa catturò il mio sguardo.

«Ehi,Lopez» mi salutò Alex,facendo un cenno con la mano.

Il sole sorgeva in quel momento ed ero convinta che non ci fosse nessun’altro sveglio,oltre a me. Che ci faceva in piedi a quell’ora?

«Ehi!Già in piedi?»

Lei fece spallucce «non sono abituata a dormire molto» si limitò a dire.

Estrasse un pacchetto di Marlboro dalla tasca e si accese una sigaretta.

«Ne vuoi una?» mi chiese,cordiale.

Scossi la testa «più tardi,grazie».

«Come vuoi» rispose,facendo ancora spallucce.

Si avvicinò un po’ e mi guardò. Non aveva affatto una bella cera. Aveva due occhiaie scure sotto gli occhi dall’aspetto stanco,il viso pallido ed imperlato da qualche goccia di sudore. Si passò una mano sulla fronte e fece un tiro di sigaretta. Era cambiata dal momento in cui l’avevamo conosciuta a New York,e non avrei saputo dire se il suo fosse stato un cambiamento unicamente estetico,o…o anche interiore. Era più trascurata,nonostante i suoi occhi continuassero ad esser decorati da quei tratti scuri e decisi di matita. Era sempre affascinante,ma i suoi capelli erano quasi sempre in disordine e la sua pelle ultimamente appariva spesso diafana e sofferente,così come la sua espressione. Avrei potuto giurare che ci fosse qualcosa che non andasse,ma magari mi sbagliavo. Magari soffriva anche lei come tutti gli altri,solo che non gradiva darlo a vedere. Non poteva essere la ragazza impassibile e menefreghista che sembrava,indossava certamente una maschera.

 «Senti…» cominciò poi,improvvisamente seria «mi dispiace di non averti chiesto come stavi quando,sì,beh,quando hai avuto quella “cosa”».

Mi lasciò stupita. Quella non me l’aspettavo.

«Oh,ma no…non preoccuparti. Non ce n’era bisogno».

Lei sorrise appena,ma parve triste «so bene cosa sembro. Se mi guardassi da fuori,mi definirei una stronza insensibile e menefreghista. Sì,insomma» continuò guardando verso il basso «me ne sto lì a fumare tutto il tempo,a lanciare frecciatine,ma sappi che mi interessa davvero di questo gruppo».

Le feci un sorriso sincero e le misi una mano sulla spalla «tranquilla,davvero».

La capivo bene. Un tempo ero stata anch’io come lei,ero stata anch’io la stronza impassibile che non riusciva a darsi pace. La guardai per un istante negli occhi e quella volta li trovai spenti e vuoti,persi chissà dove.

Lei annuì,frenando l’impulso di sussurrare un grazie e andò via,dritta in tenda. Forse non mi sbagliavo.

                                                                                                               *

Guardai ancora una volta quei cinque volti come facevo ormai da lunghi minuti. Steven guardava le armi poste sopra il tavolo,le sollevava,le rimetteva a posto e controllava più e più volte che fossero cariche. Era un tipo minuzioso. Alex,invece,si guardava attorno con lo stesso sguardo perso di quella mattina,fumando la sua sigaretta. Lucas appariva visibilmente stanco,forse aveva dormito poco. Dormivamo tutti poco quando giungeva il momento. A volte,mentre tenevo gli occhi chiusi,fingendo di dormire,li potevo sentire uscire dalla tenda e lamentarsi,camminando avanti e indietro sull’erba umida. L’ansia diventava una sorta di rituale inevitabile,che ti catturava sino al momento in cui potevi tirare un sospiro di sollievo. Non era ancora ora e per questo la sentivo viva dentro di me ; più viva di qualunque altra cosa. Anche Noah era con noi quel pomeriggio. Non parlava,non guardava nessuno con gli occhi,e forse non era nemmeno così presente. Brittany,invece, si mangiava le unghie o si mordeva le labbra sino a farsi uscire il sangue. Quello era il suo rituale e,nonostante più volte l’avessi rimproverata di fermarsi,non c’era stato verso di impedirle che quella sua agitazione trovasse sfogo in quel modo. Eravamo tutti agitati,lo eravamo sempre. Ormai vedevo le spedizioni come una sorta di prova,come una sfida. Non potevamo restare troppo a lungo nella tranquillità,ci avrebbe nociuto. Ma più li guardavo,più guardavo i loro volti,e più sentivo quell’ansia crescere sino a sfociare nella paura. La tensione era palpabile e quando abbassai lo sguardo,mi feci scrocchiare le dita.

«Sarà come al solito» disse Steven,passando gli occhi su ognuno di noi «abbiamo bisogno di quanto più scatolame è possibile prendere e di molta acqua. Questa volta sarà veloce,prenderemo solo cose primarie. Dei vestiti ed altre sciocchezze di questo genere ci occuperemo nella prossima spedizione. Visiteremo il supermarket della scorsa volta e poi torneremo il più rapidamente possibile dritti al campo».

Inspirai a fondo,osservando il ragazzo che parlava.

«Tutto chiaro?»

Annuimmo.

                                                                                               

Quando salimmo sul Wrangler rosso e ci lasciammo l’accampamento alle spalle,provai il solito senso di malinconia. Era come se ogni volta,con lo sguardo,gli sussurrasi un addio. Se mi fossi soffermata a lungo a pensarci,avrei trovato che fosse una cosa assolutamente patetica. Come si può dire addio a qualcosa che non è realmente tuo?A qualcosa a cui non tieni? Forse era quello il punto : quel campo era casa mia,che lo volessi o no. Brittany mi guardò un momento e scosse la testa sconsolata.

«Non devi preoccuparti. Andrà tutto bene,questa volta sarà facile» le dissi,con una convinzione che lasciava abbastanza a desiderare.

Lei in tutta risposta si passò le mani sul visoe,quando le lasciò ricadere sul sedile,le presi la mano sinistra. Mi guardò.

«Non ci succederà niente,vedrai».

Girò la mano,senza rispondere,ed intrecciò le dita alle mie. Il mio cuore accelerò il battito.

Si voltò e mi sorrise «lo spero».

Quando gettai lo sguardo verso il finestrino,incontrai gli occhi di Lucas. Mi guardava,guardava le mani strette l’una all’altra,con un’espressione indecifrabile e non so perché,ma d’impulso lasciai le dita di Brittany e mi riportai la mano sulla coscia. Lucas continuò a guardarmi,si sforzò di addolcire il viso,ma l’unica cosa che riuscivo a leggere su quel volto di un adolescente costretto a crescere troppo in fretta,era l’angoscia.

Raggiungemmo la piccola città di Rochester poco dopo. Percorremmo le strade vuote rapidamente e poi il fuoristrada si fermò davanti al supermarket dall’aspetto non proprio accogliente. Quel piccolo agglomerato di case,fornito solo del necessario per sopravvivere e vivere come se fossero stati al di fuori del mondo,non doveva essere particolarmente grazioso neppure prima dell’apocalisse. Puckerman ed Alex scesero per primi,poi seguirono Steven e poi noi tre. Non appena misi un piede sull’asfalto,sentii un brivido freddo percorrermi rapidamente la schiena e lo stomaco venire sopraffatto da una tremenda agitazione. Steven estrasse un borsone dall’auto e tirò fuori le armi. Diede il fucile a Noah,la pistola alla sorella e l’altra a Lucas. Poi s’infilò un coltello nell’anfibio,un altro nella cinta dei pantaloni e lo stesso facemmo io e Brittany.

«Presto cercheremo un’armeria dove poter recuperare altre armi» affermò,guardando me e la bionda «per adesso facciamoci bastare queste. Tenete gli occhi aperti,mi raccomando».

Prendemmo delle borse vuote ciascuno e,con passo svelto ma silenzioso,entrammo dalla vetrina rotta. Quando misi i piedi sui frammenti di vetro,sentii uno scricchiolio soffocato sotto la suola dello stivale e Brittany si voltò a guardarmi. Alzai le spalle ed allargai le braccia e lei mi guardò con un’eloquace espressione. Avanzammo lentamente ed una volta entrati ci guardammo attorno. Non c’erano rumori strani,era tutto silenzioso,anche troppo. Steven camminava in testa al gruppo,con il coltello in mano,scrutando in ogni direzione. Poi si girò e mimò un «dividiamoci».

Io,Brittany e Noah ci dirigemmo in una direzione e gli altri tre in un'altra. Finimmo subito nel reparto delle bevande. Noah prese sei bottiglie d’acqua e le infilò nella sacca spaziosa. Io ne presi altre cinque e Brittany prese del latte. Poi,sempre camminando velocemente e senza fiatare,finimmo nel reparto alimentari. Infilai quanti più pacchi di pasta fui in grado di far entrare nella sacca,ma dovevo ammettere che cominciava a pesare. Brittany prese scatolame di ogni tipo e,senza neppure rendercene conto,avevamo finito.

«Forza,usciamo» sussurrò Noah quel tanto che bastasse a farsi ascoltare.

Avevo il braccio indolenzito per il peso della sacca e fui costretta a passarla a quello sinistro. Era meno forte ed avvertii subito lo sforzo dei muscoli. Era finita. Stranamente,era finita. Uscimmo rapidamente dal supermarket e calpestai di nuovo i vetri,ma quella volta Brittany non si voltò. Noah aprì il portabagagli del Wrangler e posammo le sacche lì dentro.

«Perché gli altri non sono già fuori?» chiesi,rivolgendomi a Puckerman.

Lui mi guardò e scosse la testa «staranno recuperando più roba».

Tornò il silenzio subito dopo e non so come,ma io e Brittany finimmo per guardarci a vicenda. Avevo voglia di sorriderle,ma il momento non era dei migliori. Proibivo al mio intero corpo il lusso di rilassarsi. I suoi occhi azzurri scrutarono attentamente il mio viso e sembrarono dolci. Ricambiai lo sguardo ; era il minimo che potessi fare. Indossava una maglietta grigia a manica corta con una scollatura a V e dei pantacollant neri. I capelli,sciolti,ricadevano morbidi sulle linee chiare del collo. Quel collo era…bellissimo. Il collo…il sogno. Spostai gli occhi immediatamente,ma quando lo feci,lei mi sfiorò la mano di proposito e allora tornai a guardarla.

«C’è qualcosa che non quadra» disse Puckerman,camminando nervosamente avanti e indietro.

Mi concentrai a malincuore sulla figura di Noah.

«Pensi sia normale che ci stiano mettendo tutto questo tempo?»

Neppure mi guardò.

«Vado dentro a dare un’occhiata. Restate qui» disse,prima di entrare a passo spedito nell’edificio.

Allora l’ansia tornò prepotente ad irrigidirmi e non potei farei a meno di guardare la figura di Puckerman varcare la soglia del supermarket. C’era mio fratello lì dentro,maledizione! Era lì e percepivo una sensazione spiacevole. Sì,qualcosa non quadrava. Ma cosa?

Scossi la testa preoccupata «non possiamo restare qui. Dobbiamo andare dentro anche noi».

Brittany mi guardò e le bastò un secondo per osservare l’agitazione sul mio viso.

«Va bene» rispose,prima di mordersi nuovamente le labbra.

Poi,prima ancora che le mie gambe cominciassero a muoversi,il rumore di uno sparo si levò nell’aria. Secco e deciso,infrangendo ogni cosa. Il cuore accelerò il battito rapidamente e allora tutto divenne surreale. Non mi abituavo mai a quella sensazione,alla percezione del pericolo e al sapore che avvertivo sulla lingua. L’amaro mischiato alla saliva,i muscoli pronti a scattare,la mente attenta ad individuare il pericolo.

Corsi sui vetri e questi scrocchiarono di nuovo sotto il mio peso. Ma non c’era tempo per concentrarsi sull’inutilità di quel suono e,quando entrai,il sangue affluì veloce alla testa,ed avvertii in ogni centimetro dell’organismo un semplice messaggio : “pericolo”.

«Ma che cav…»

Quando percorsi l’entrata e mi ritrovai nell’ingresso principale,trovai il caos. Brittany sfoderò immediatamente il coltello,ma io non ero ancora pronta per farlo. Tutto roteava nella mia mente così velocemente,che il cervello ed i muscoli non avevano il tempo per reagire simultaneamente. L’unica cosa che capii,fu che c’erano degli affamati. Forse cinque,forse sei,forse quattro. Il loro verso,che per un momento avevo dimenticato,tornò prepotente a risuonarmi nella testa.

«Togliti da lì!» urlò Noah.

Un istante dopo,Brittany gridò e quel grido mi risvegliò improvvisamente dalla trance.

Un affamato,che si trascinava a terra,l’aveva afferrato per la caviglia. La teneva stretta tra quelle sue mani scheletriche e si divincolava per morderle la carne. Rimasi paralizzata. Forse fu una frazione di secondo,forse un secondo intero,ma quell’attimo bastò a farmi tremare sino all’inverosimile. Scattai immediatamente verso di lei,che ancora teneva il coltello tra le dita e spaventata a morte tirava dei calci per farsi lasciare.

«Fa’ qualcosa!» mi urlò Noah,mentre spaccava il cranio a un altro affamato.

Fu tutto così rapido…troppo rapido. Strappai il coltello dalle mani di Brittany e lo piantai dritto nella fronte dell’affamato nel momento stesso in cui le sue mandibole stavano per chiudersi sulla carne della ragazza. Feci forza per staccarlo dal cranio disgustoso dell’essere e poi mi rialzai. Cos’era successo? Avevo il fiatone.

«Tutto ok?» chiesi a Brittany con la voce ridotta ad un sussurro.

Lei mi guardò,con gli occhi ancora sgranati,ed annuì.

Avrei voluto tranquillizzarla,ma prima mi concentrai sul resto. Erano tutti lì. Steven aveva la maglia sporca di sangue e la fronte velata di sudore. Alex stringeva ancora la pistola e il suo viso era ancor più pallido di quella mattina : aveva lo stesso colore di un foglio di carta. Lucas ansimava e mi guardava fisso e Noah scuoteva la testa. Era finito? Mi guardai attorno ancora una volta. C’erano tre cadaveri di affamati,abbandonati sul pavimento e il solo suono dei nostri respiri. Cos’era successo?

«Ma che cazzo ti è saltato in mente?!» urlò Steven alla sorella,afferrandola per un braccio.

La ragazza abbassò lo sguardo e scosse la testa «lasciami» biascicò priva di forze.

Il ragazzo la scosse ancora per il braccio e allora Alex gli diede una spinta.

«Smettila!» intervenne Noah,fulminandolo con lo sguardo.

Steven mollò la presa e si passò le mani sul viso,agitato.

«Che cazzo volevi fare,eh?!» urlò furioso.

Alex lo guardò,ma non aveva neppure la forza di ammonirlo con lo sguardo. Io ero confusa. Aveva davvero un pessimo aspetto ; era inguardabile. Le occhiaie che avevo notato quella mattina erano notevolmente aumentate. La pelle pallida,il viso appariva più scarno ed era velato dal sudore. I capelli disordinati e la matita attorno agli occhi sbafata. Abbassò lo sguardo e si passò il dorso della mano a strofinare il naso,poi alzò gli occhi al cielo,e il suo viso sofferente venne rigato da una lacrima.

«Mi spiegate cos’è successo?» chiesi,distraendo Steven da quel suo sguardo terribile.

«Fatti i cazzi tuoi,messicana!» mi urlò la ragazza,avviandosi poi verso l’uscita.

La guardai di sbieco e per un istante pensai di prenderla a schiaffi. Ancora non capivo.

Steven camminò avanti e indietro,non mi rispose,e poi corse dalla sorella con quella sua aria schifata e allo stesso tempo adirata.

«Ehi!» urlò Noah,all’altro.

Steven non rispose e continuò a correre.

«Alex ha aperto una porta nel magazzino del negozio e sono venuti fuori gli affamati» mi rispose Lucas,ancora con il fiatone «a quanto pare qualcuno li aveva chiusi lì dentro e…lei li ha fatti uscire».

Noah si avviò vero l’uscita,con l’aria preoccupata.

Annuii. Guardai mio fratello,guardai gli affamati e guardai Brittany ; solo allora mi accorsi che piangeva.

«Vai dagli altri» dissi a Lucas «vi raggiungiamo subito».

Era rimasta immobile nella sua posizione e guardava fisso il pavimento. Non si asciugava neppure le lacrime,paralizzata e scioccata com’era. Aveva visto la morte in faccia,ed io avevo visto la sua. Se solo ripensavo a quell’attimo,se solo ripensavo a quello che sarebbe potuto succedere,se solo…

«Stavo per morire» biascicò tra un crescendo di singhiozzi.

Fu allora che l’abbracciai. L’abbraccia stretta stretta e quasi potevo sentire il suono del suo cuore che se non fosse stato incastrato nel petto,sarebbe volato via. Mi staccai un attimo e le accarezzai una guancia,poi le portai via una lacrima con il pollice e le accarezzai uno zigomo. Ci guardammo fisse negli occhi. Lessi la paura nella sua anima,lessi il terrore nei suoi occhi e il panico che ancora scorreva assieme al sangue. Muoveva le labbra screpolate,se le mordeva. Le asciugai un’altra lacrima delicatamente,quasi avendo paura di ferirla. Le misi un braccio dietro la schiena,poi spostai le mani sulla sua vita e la cinsi. Non volevo allontanarmi da lei. Non volevo e non potevo lasciarla. Io…io…maledizione. Era così bella e delicata,troppo per quel mondo che ancora non riusciva a trasformarla in una creatura senz’anima. Non potevo lasciare che la sua luce si spegnesse,non potevo. Sentivo di avere un ruolo in tutto ciò : dovevo tenerla in vita. Appoggiai la fronte sulla sua e allora respirammo a vicenda il calore dei nostri corpi e sentimmo gli odori fondersi. Il suo fiato sulle mie labbra,sulla mia pelle. Lei era mia. Lei era mia,ed era così vera quella frase,così concreta,che ogni cosa perdeva consistenza mentre la ripetevo nella mia mente. Non l’avrei mai lasciata,non potevo lasciarla,perché lei mi apparteneva.

«E’ finito tutto» le sussurrai sul viso,spostandole una ciocca di capelli.

Scosse la testa impercettibilmente e un’altra lacrime le percorse una guancia. L’asciugai,di nuovo.

«Non posso farcela» rispose in un tremolio «morirò prima ancora di poter dire di aver vissuto».

Avvertii un groppo in gola. 

«Non ti azzardare a dirlo».

Alzò la testa e la scosse ancora,questa volta più forte.

«Santana,io…» replicò lei.

«Shhh…» l'azzittii portandole un dito sulle labbra «non parlare» sussurrai dolcemente.

Mi avvicinai a quel viso e presto la distanza divenne poco meno che nulla.

Lei era mia. Maledizione,era mia!

«Non c’è bisogno che tu dica niente» aggiunsi.

«Grazie» rispose in un fremito.

Il suo odore,la sua voce. Un brivido mi attraversò veloce e furioso,come una scarica di energia inverosimile e meravigliosa che risvegliava i sensi. A quel punto,ne fui certa : volevo quella ragazza. La volevo con tutta me stessa. Le mie labbra si avvicinarono alle sue,mentre le tenevo la mano,e le diedi un piccolo bacio all’angolo della bocca : delicato e straziante. Il cuore batté forte,troppo forte,ed avvertii un calore nel petto.

«Non morirai mai» respirai sulla sua pelle «mai».


Salve gente! Ed eccoci qui con un altro capitolo di "Beteween the hungry". 

Come avete potuto leggere,i nostri protagonisti sono alle prese con il problema chiamato : "sopravvivenza". Ma vogliamo parlare dei sogni di Santana?Secondo voi sono indicativi di qualcosa? Vi accenno soltanto una cosa : questo capitolo sarà davvero importante per i futuri scenari della ff...sto cominciando a lasciare in giro indizi per una situazione che tra non molto vedrete sbucare fuori.

Abbiate un po' di pazienza,vi assicuro che non ve ne pentirete. E' una promessa!

Alla prossima cari lettori,vi aspetto nelle recensioni!

  
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