BETWEEN THE HUNGRY
Britt .
Quando aprii
gli occhi quella mattina,Brittany era ancora al mio fianco.
Le prime
luci di quel debole sole che penetrava a stento le nubi,mi accarezzava
il
viso,quasi con affetto. Non mi ero accorta di essermi addormentata. Non
avevo
mai pensato potesse essere possibile. Eppure,era successo. La punta
degli
stivali sfiorava quel che rimaneva della legna che la sera prima mi
aveva
regalato il dolce rumore dello scoppiettio. Ero avvolta in una pesante
coperta,con la testa sull’erba e il calore di un braccio
sulla schiena. Dormivo da più di una settimana con
Brittany,eppure quella mattina avvertii
qualcosa di diverso nel contatto tra i nostri corpi stanchi. Mi voltai
lentamente,per non svegliarla,ma il suo braccio finì
bruscamente sul terreno
ricoperto d’erba,e allora lei aprì gli occhi.
«Scusa»
biascicai mortificata «non volevo svegliarti».
Lei,in tutta
risposta,sbadigliò sul mio viso e si stampò sulle
labbra un sorrisetto
compiaciuto.
«Buongiorno»
mi disse,sollevando il busto e strizzando forte gli occhi.
«Buongiorno
a te» risposi,sorridendo dolcemente.
Lei
ricambiò
il sorriso.
Oltre ai
nostri due corpi che si nascondevano goffamente nella coperta,stesi
sull’erba,non c’era nessun altro al di fuori delle
proprie tende. Era ancora
presto e neppure il nostro capogruppo si era alzato con
l’assurda pretesa di
“addestrarci”. Quel giorno Steven avrebbe dovuto
insegnarci a sparare,e a quel
pensiero sentivo una perversa sensazione di entusiasmo pervadermi.
L’aria
era
maledettamente gelida e mi si stampava sulla pelle come una serie di
cazzotti
in pieno viso. Forse aiutava a svegliarci,ma mi sentivo completamente
intirizzita e ancor più frastornata. Io e Brittany ci
eravamo addormentate
forse qualche ora prima,e,in conclusione,quella notte non avevo chiuso
occhio.
Avrei avvertito i postumi di quell’insonnia dovuta
all’incubo,ne ero
certa.
«Andiamo
in
tenda?» chiesi alla ragazza che si stropicciava gli occhi.
Lei mi
guardò e sbadigliò di nuovo. «In teoria
non potrei lasciare la postazione sino
a che qualcun altro non si svegli…» mi rispose
lei,storcendo la bocca.
«Credo
che
tra poco si alzerà Steven. E poi se dovesse venire qualche
affamato,con questo
silenzio lo sentiremmo avvicinarsi. Qui fuori si gela»
affermai,stringendomi
nelle braccia.
«D’accordo»
rispose lei convinta.
Non appena
misi un piede sul materiale verde e inamidato della tenda,mi sentii
immediatamente al riparo da quel freddo fastidioso. Ovviamente era solo
una mia
impressione,perché in quel fragile ammasso di sottile
tela,sorretto da uno
scheletro alquanto instabile,faceva freddo esattamente come fuori.
Eppure,quello
stupido ammasso,era ormai una casa per me. Quando
guardavo quella tenda,dall’esterno,non vedevo una semplice
tenda,ma un
“rifugio” ricoperto dall’illusione della
sicurezza. In quel campo non solo
stavamo cercando di ricostruire una vita,ma anche la speranza di
riuscire a
vivere. Sensazioni,emozioni,desideri,pensieri,angoscia e sofferenza
erano
concentrate in quella distesa verde,che tutto aveva meno che
l’immagine delle
nostre vecchie città.
«Come
ti
senti?» mi chiese Brittany,sedendosi sul materasso e
avvolgendosi nella
coperta.
Guardai a
terra e sospirai «sto bene,credo».
Quando alzai
gli occhi ed incrociai i suoi,notai qualcosa di diverso nel suo viso.
Osservai
bene le labbra pallide per il freddo,le guance chiare e morbide,poi il
naso,gli
occhi che ancora assonnati mi guardavano a loro volta,la fronte,i
capelli…ma
niente. Allora mi allontanai un po’ e la guardai per
intero,mi stampai la sua
figura nella testa,per potervi riflettere senza metterla a disagio.
Forse era
già tardi,perché lei sorrideva
divertita,scuotendo la testa e poi
infilandola sotto
l’ammasso di lana.
«Dai,smettila
di guardarmi e vieni qui» mi ordinò con il viso
nascosto.
Mi avviai
lentamente,non so perché. Poi mi tolsi gli stivaletti e mi
sedetti sul
materasso,con il suo corpo affianco al mio,completamente nascosto,come
quello
di una bambina che non vuol farsi trovare. Presi un lembo della
coperta,lo
sollevai e mi coprii le gambe. Lei si scoprì il viso e
avvicinò le sue alle
mie,lasciando che i nostri calori ci scaldassero reciprocamente. Un
brivido mi
percorse immediatamente.
«Perché
mi
guardavi prima?» mi chiese con un sorrisetto sulle labbra.
Spostai lo
sguardo dal suo viso e sorrisi a mia volta. Perché la
guardavo…perché la
guardavo?
«Io…i-io…non
so,hai qualcosa di diverso questa mattina».
Lei
socchiuse leggermente gli occhi «può
darsi».
Scossi la
testa e sorrisi.
Mi
guardò
così a lungo,che cominciavo quasi a sentirmi a disagio. I
suoi occhi erano così
limpidi,che sentirli sul mio viso mi faceva provare uno strano senso di
timore.
Non volevo che mi guardasse con così tanta insistenza,forse
perché in quel
momento non sarei stata in grado di reggere la potenza di quello
sguardo con il
mio. Lei si avvicinò di più col corpo,e allora un
altro brivido mi percorse con
prepotenza. Era strano,Dio,se era strano…così
strano,che quando spostai i miei
occhi sul suo viso,mi si accorciò il respiro e tremai per un
istante.
«Sono
contenta che ti sia confidata con me» mi sussurrò
troppo vicina.
«Perché
piangevi?» le chiesi,non smettendo di guardarla.
«Perché
ero
triste» si limitò a dire lei,con
sincerità.
Non so
perché,ma in quel momento le accarezzai la guancia con il
dorso della
mano,delicatamente. Sentii la sua pelle morbida e liscia sulla mia,e
lei
sorrise.
«Non
devi
piangere per me. Io posso farcela,sono forte» dissi,con la
voce debole.
Lei si morse
un labbro,spostò gli occhi dal mio viso,e poi li
riportò nei miei.
«Piangevo
per tutto. Essere umani,adesso,non è un
peccato…è un privilegio»
sussurrò lei
in risposta.
Accennai un
mezzo sorriso ed annuii «già».
All’improvviso
la zip della tenda si aprì,e noi sussultammo.
«Dovresti
essere lì fuori» affermò una voce
maschile,severa «che diavolo ci fai
qui,Brittany?»
Steven ci
guardava con un misto di stanchezza e disappunto sul viso. Aveva due
grandi
occhiaie bluastre al di sotto degli occhi,le labbra serrate e
l’aspetto
disordinato. Il pizzetto che aveva dal momento in cui
l’avevamo incontrato per
la prima volta,si confondeva con il resto della barba,e lo invecchiava
di
parecchio.
«Sì,hai
ragione…scusami!Mi sono allontanata dieci minuti fa
perché avevo freddo»
rispose la ragazza,ormai lontana dal mio corpo.
Steven
chiuse gli occhi per un istante e scosse un poco la testa.
«E’
stata
colpa mia» aggiunsi io «questa notte ho avuto gli
incubi e lei si è preoccupata
per me. Mi ha trovata sveglia e mi ha chiesto come stavo,tutto
qui».
Brittany mi
diede un calcio da sotto le coperte.
«D’accordo,ma
la prossima volta che sei di turno sarebbe meglio che non ti
allontanassi» affermò
il ragazzo passandosi una mano sul viso.
«Ok».
«Questa
mattina niente colazione» aggiunse prima di uscire
«il cibo sta finendo e
presto dovremo andare in spedizione. Andremo avanti per qualche altro
giorno,giusto il tempo che impariate ad usare una pistola per
difendervi,e poi
organizzeremo un gruppo».
Richiuse la
tenda alle sue spalle e uscì con uno sbadiglio.
L’idea di una spedizione
cominciava ad agitarmi. Era tranquillo lì,in quel campo
freddo,ma in città non
era lo stesso.
«Perfetto,»
disse Brittany sospirando ed alzandosi di scatto dal letto
«presto saremo tutti
di nuovo là fuori in quella merda».
«E’
necessario» aggiunsi io.
«Lo
è,»
rispose lei,infilandosi le scarpe bruscamente «ma
c’è sempre il rischio che
qualcuno di noi venga ammazzato».
«Avete
capito tutti?» domandò Steven,alzando la pistola
sopra la sua testa ed
agitandola un po’.
Nonostante
il vento freddo al mio risveglio,dalle nuvole si era destato un sole
caldo ed
accogliente che mitigava l’aria,rendendola piacevole. Ci
eravamo allontanati
dal campo di un bel po’,per non rischiare che il rumore degli
spari avvicinasse
gli affamati all’accampamento. Persino Noah,dopo suppliche e
discussioni
varie,aveva deciso di venire con noi. Non sarebbe stato saggio
lasciarlo solo
in quella tenda,né sarebbe stato umano da parte nostra. Era
parte integrante
del gruppo,che lo volesse o no,ed era giunto il momento che si
risvegliasse da
quel dolore che lo teneva stretto in una morsa. Lo guardai per un
istante,mentre
imbracciava il fucile ed osservava Steven muoversi e spiegare ancora
una volta
come si ricaricasse una pistola. Se ne stava immobile,rigido come una
statua,e
gli occhi persi in chissà quale altra dimensione. Forse
rivedeva sua madre
morire,o forse riascoltava le parole di quella lettera che teneva
ancora con
sé. Lucas mi aveva raccontato che ogni notte,prima di
addormentarsi,accendeva
una torcia e puntava la luce su quel pezzo di carta scritto dal
fratello. Jake
aveva allegato una foto alla lettera in cui sorrideva e stringeva un
braccio
attorno alle spalle della madre. Mi aveva raccontato che spesso,a notte
fonda,veniva svegliato dal rumore di alcuni singhiozzi,e che richiudeva
gli
occhi fingendo di dormire. Noah era un tipo orgoglioso e Lucas sapeva
bene che
non gli gradiva affatto mostrarsi debole di fronte ad altri occhi. Era
una
brutta situazione la sua. C’era chi preferiva
reagire,attivandosi in qualche
modo come Steven. C’era chi fingeva di esser felice e
menefreghista come Alex.
C’era chi la notte si svegliava fradicio di lacrime,come me.
E c’era chi invece
veniva così sopraffatto dal dolore,che non aveva nemmeno
più la forza di
parlare o di mangiare,come Puckerman. Avrei voluto fare qualcosa per
tirarlo sù
di morale,qualsiasi cosa. Ma sapevo che per aiutarlo in qualche
modo,avrei
dovuto avere la capacità di leggergli nel pensiero. Non mi
parlava,non parlava
con nessuno. Di tanto in tanto usciva dalla tenda,si guardava
attorno,prendeva
la sua razione di cibo,e poi tornava nel suo piccolo e fragile
rifugio,estraniandosi
da tutto e tutti. Nel mondo normale,in quello in cui la
civiltà esiste ed è
fondamentale,qualcuno l’avrebbe definito
“depresso”. Non era così che volevo
definirlo io,non era la parola giusta. Io lo definivo
“sconfitto”,sconfitto da
tutto,sconfitto dalla vita…per il momento.
«Alex»
la
chiamò il fratello «passa la tua pistola a Lucas.
Proverete uno per volta,così
potrò guardarvi come si deve».
«Ai
tuoi
ordini fratellone!»
Da due aste
di legno,conficcate nella terra,da cui pendeva un filo legato alle due
estremità,con
tre bottiglie di plastica attaccate. Steven,poche ore prima,aveva preso
tutto
il necessario ed era giunto in quel posto per prepararlo al nostro
addestramento. Si impegnava davvero molto,questo bisognava
concederglielo.
Lucas
impugnò l’arma,la scrutò per
bene,l’agitò un po’ per soppesarla,e poi
si
avvicinò un poco ai bersagli. Era preoccupato,potevo
leggerglielo nel viso.
«Tienila
come ti ho fatto vedere prima» suggerì Steven
«così colpirai verso il basso.
Devi impugnarla come si deve per sperare di beccare i
bersagli».
Mio fratello
strizzò appena gli occhi,si asciugò il sudore
sulla fronte e strinse l’arma con
tutte e due le mani,ponendo le braccia perpendicolari al busto.
«Ora
va
bene. Manda indietro il carrello».
Lucas
obbedì.
«Mira
e
spara» disse ancora Steven.
Lucas
guardò
attentamente le bottiglie,socchiuse gli occhi per l’eccessiva
concentrazione,e
poi sparò. Mancato.
«Prova
ancora».
Fece un
grande respiro,ricaricò l’arma,mirò e
sparò di nuovo.
Immediatamente
mi scappò un sorriso e cominciai a battergli le mani,assieme
agli altri. Aveva
preso in pieno la seconda bottiglia.
«Bravo
ragazzo!Hai sparato un bel colpo» lo elogiò
Steven,dandogli una pacca sulla
spalla.
«E’
un
Lopez!» esclamai,ridendo «è bravo in
tutto».
Lui mi
sorrise e si lasciò abbracciare,con una punta di imbarazzo
sul viso.
Riprovò
altre tre volte,di cui due colpi andarono a buon fine,poi fu il turno
di Noah.
«Sei
sicuro
di voler sparare con il fucile?Penso che dovresti provare con la
pistola» gli
disse Steven.
Puckerman
non lo guardò nemmeno in viso. Si allontanò di
una quindicina di metri e
cominciò a fissare,con quella sua espressione dura,la prima
bottiglia. Caricò,imbracciò il fucile a dovere,e
poi sparò. Presa in pieno. Nessuno di noi
parlò. Caricò,imbracciò il
fucile,guardò la seconda bottiglia e sparò. Presa
in
pieno,anche quella. Fece lo stesso e sparò alla terza. Presa
in pieno.
«Wow»
biascicò Brittany stupita,al mio fianco.
La guardai
ed annuii,ma non c’era stupore dentro di me,bensì
preoccupazione.
«Complimenti,amico»
si congratulò Steven,guardandolo con ammirazione
«non sei niente male».
Puckerman
annuì,non rispose,e si sedette a terra,a braccia conserte.
Poi fu il
mio turno. Quando Lucas mi passò la pistola e sentii il suo
peso,uno strano
brivido mi si scatenò dentro. Fu come se qualcuno mi avesse
dato un cazzotto
allo stomaco e poi mi avesse fatto una carezza. Desideravo ardentemente
sparare,ma allo stesso tempo mi tremavano le gambe
nell’impugnare l’arma.
«Non
la stai
impugnando correttamente» disse Steven con aria di
rimprovero,avvicinandosi.
Aggrottai le
sopracciglia e continuai a fissare la pistola. Cosa stavo sbagliando?
«Questa
devi
metterla così» mi suggerì il
ragazzo,spostandomi la mano sinistra sotto l’arma
«devi tenerla saldamente»
continuò,stringendo le sue mani attorno alle mie da
dietro la mia schiena. Potevo vedere i bicipiti tendersi e i muscoli
ingrossarsi. Il suo viso era di fianco al mio,e
il suo respiro soffiava sulla pelle del collo. Era vicino,troppo vicino.
«Ok»
dissi
secca.
Lui si
staccò,ed io fissai i suoi grandi occhi,interdetta.
«Adesso
prova» mi disse,tenendo improvvisamente lo sguardo basso.
Sì,ero
confusa. Era attrazione quella che avevo scorto in quelle iridi?
Caricai
l’arma,tirai
indietro il carrello,mirai e sparai. Sbagliato.
«Riprova»
mi
incitò Steven.
Mi
irrigidii. Tirai indietro il carrello e sparai di nuovo. Sbagliato
anche
quello.
«Avanti,concentrati!»
insisté il ragazzo che continuava ad osservarmi. Tutti mi
osservavano.
Feci un
grande respiro. Tirai indietro il carrello dell’arma,mirai e
sparai. Niente.
«Cazzo!»
sbottai lanciando la pistola a terra.
Brittany si
avvicinò immediatamente,così come Steven
«ehi,è tutto ok. Non fa niente. E’ la
prima volta,farò schifo anch’io» mi
disse la ragazza con una mano sulla spalla.
«Lo
so,lo
so!» risposi dura.
«E
allora
qual è il problema?» mi chiese con quella dolcezza
nella voce.
Non risposi
e mi allontanai.
«Va
tutto
bene?» domandò Steven che mi guardava preoccupato
«Non c’è bisogno di
innervosirsi. Alex c’ha messo mesi solo per imparare a
caricarla».
«'Fanculo»
borbottò la ragazza seduta a terra,mentre fumava.
«Sì,sì…è
tutto ok. Devo solo…devo» inspirai a
fondo,chiudendo gli occhi.
Merda.
«Stai
bene?»
mi chiese lui,mentre ancora tenevo gli occhi chiusi.
Annuii,perché
non sarei stata in grado di parlare. Lo sentivo,di nuovo. Aprii gli
occhi e
cominciai a camminare,allontanandomi.
«Dove
vai?»
Maledizione.
Sentivo il sole soffocarmi la pelle,impedirmi di respirare. Cocente
inveiva
sulla nuca e silenzioso rideva di me. Guardavo fisso per terra e vedevo
i miei
piedi muoversi e all’improvviso incrociarsi,sino a che non
sentii l’erba sulla mia pelle. Mi portai le mani sul viso,poi
le spostai sul petto,ma lo sentivo
comunque. Stavo soffocando,non riuscivo a respirare e il cuore batteva
così
veloce che pensavo sarebbe scappato via,abbandonandomi. Tutto si fece
improvvisamente sfocato,lontano,come se non mi appartenesse.
All’improvviso,ne
fui certa : stavo morendo.
«Che
cos’ha?» chiese mio fratello,mentre ansimavo a
terra «San!»
Vedevo i
loro volti,ma non li vedevo veramente. Erano avvolti dalla luce di quel
sole
che mi stava uccidendo e parevano sfocati come fossero stati le figure
di un
sogno,o angeli immaginari. Vidi Brittany che si mordeva un labbro
preoccupata,osservandomi. Poi c’era Alex al fianco di
Steven,e poi ancora Lucas
che si agitava in preda al panico.
Contrassi il
viso in una smorfia di dolore e chiusi gli occhi. Non respiravo. Non
respiravo
e stavo morendo. Mi girava la testa,mi veniva da vomitare,ma la cosa
peggiore
era l’angoscia che avvertivo dentro. Ero così
debole…così vulnerabile e così
….stavo morendo.
Steven mi
prese da terra e provò a sollevarmi,ma io scossi la testa e
piangendo,gli dissi
di lasciarmi stare. Erano tutti attorno a me,tutti mi guardavano,ma io
non
guardavo loro. Vedevo altro…vedevo niente,ascoltavo soltanto
il battito
impazzito e il respiro che mi si strozzava in gola. Mi portai una mano
sul
petto,faceva male.
«Levatevi!»
esclamò una voce familiare.
Noah si fece
spazio nel cerchiò e ordinò agli altri di
allontanarsi. Era lui. Si mise in
ginocchio e mi guardò attentamente,sempre con
quell’espressione dura. Mi mise
una mano sotto il mento e lo sollevo,sino a che i miei occhi non si
ritrovarono
nei suoi. Erano così vuoti,così
spenti…sentivo quell’angoscia crescere
anziché
diminuire.
«Ascoltami,Santana»
cominciò con un filo di voce dolce e calda,in contrasto con
la sua espressione
«va tutto bene. Va tutto bene. Non c’è
niente di cui aver paura,non c’è niente
che tu debba temere. Sei al sicuro,ci sono io qui con te».
Scossi la
testa e un’altra lacrima scese giù velocissima.
Soffocavo,soffocavo!
«Guardami!»
continuò lui. Obbedii. «Adesso chiudi gli occhi.
Ricordi quel posto
bellissimo?Torna lì e respira. Respira,lentamente. Tu sei
viva,senti la pace…la
senti?»
Annuii.
Ero
lì di
nuovo,ma tutto era diverso. Non c’erano più fiori
e la cascata aveva smesso di
scendere giù,cristallina e piacevolmente rumorosa. I
contorni del lago si
facevano lentamente più indefiniti,fino a scomparire. Quando
sentii un’altra
fitta impadronirsi di me,allora lo vidi. Non era rimasto
nient’altro che un
campo : il campo.
Aprii gli
occhi di scatto e mi portai le mani sul viso. Non era ancora
finita,insisteva a
divorarmi e farmi sua.
«Posso
provare?»
chiese una voce dolce,vicino a Noah.
«Questa
volta è più forte» affermò
il ragazzo,facendo spazio a Brittany.
«Non
è la
prima volta che le succede?»
Noah scosse
la testa.
Brittany si
chinò al mio fianco e mi prese il viso con entrambe le mani.
Non disse nulla,mi
guardò soltanto ed io guardai lei. Quegli occhi,quella
pelle,quelle labbra. Ci
fissammo per un po',poi lei mi sorprese dandomi un bacio sulla fronte.
«Tranquilla»
mi sussurrò,portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio «sta
passando. Passa tutto,prima o poi. Torna
da me,non lasciare che s’impadronisca di te».
La guardai e
la guardai e la guardai e…mi resi conto di esser tornata a
respirare con
regolarità. Singhiozzai ancora e Brittany mi
asciugò le lacrime con il dorso
della mano. Avrei voluto fare una cosa in quel
momento,ma…non potevo. Non
potevo perché…non potevo e basta. Quando mi
rialzai da terra,aiutata da
Puckerman e Brittany,non ero ancora del tutto lucida. Mi sentivo debole
e
inerme,come se mi avessero svuotata di ogni cosa. Era successo di
nuovo,ma
quella volta era stato peggio.
«Grazie»
biascicai,rivolgendomi ad entrambi.
Brittany mi
sorrise triste e Noah si limitò ad annuire. Il sole
splendeva alto nel cielo e
fu in quel momento che capii di aver solo immaginato quel calore
soffocante. Se
ne stava lì,in mezzo a quelle nuvole,quasi a dire
:” esisto ancora”. Sentivo
qualcosa dentro di me,di inverosimile. Lo sentivo,ma non volevo
sentirlo. Era
strano,diverso,potente…si stava presentando,ma non volevo
ascoltare il suo
nome.
«Britt»
sussurrai debolmente.
Lei si
voltò
con un gran sorriso «come mi hai chiamata?»
«Britt»
ripetei,sforzandomi di sorridere.
«Che
c’è?»
mi chiese,sempre sorridendo.
«Niente»
risposi,tenendo gli occhi fissi sul
suo viso.
Mentivo. Se
fossi stata sincera,le avrei detto : “ Sto solo ripetendo il
nome che sento
nella mia testa”.
Britt .
Carissimi,eccoci qui. Con questo nuovo capitolo spero di aver fatto breccia nel vostro cuore almeno un po'. La storia si evolve,le vicende si evolvono,il brittana si evolve...
ATTENZIONE : presto assistere ad un qualcosa...non specifico cosa,ma lascio alla vostra immaginazione l'elaborazione di questa frase criptica.
Non abbandonatemi,mi raccomando!Ogni mia promessa verra' mantenuta.
Allora,che ne pensate?
Sembra che santana sia sempre piu' affezionata alla nostra cara Brittany. Nel frattempo Steven va avanti con la sua idea di addestramento,ma la nostra protagonista viene sopraffatta da un altro attacco di panico. E' chiaro : l'apocalisse non lascia illeso nessuno. Si riprendera' noah? Povero...mi fa molta tristezza.
Come al solito lascio a voi
il piacere di esaminare questa mia piccola creazione e di rendenermi
partecipe con i vostri pareri. Carissimi,alla prossima!Preparatevi...