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Autore: _Gajil_Redfox_    04/06/2014    2 recensioni
Se penso a Gajil e Levy mi immagino un po' la bella e la bestia. Insomma, lui arrogante e cattivo, lei che lo perdona e si innamora... Insomma, la solita cosa, ogni volta. Io però ho pensato: e se Levy non fosse così disponibile a perdonare il burbero dragon slayer? E se invece fosse lui a cercare perdono? Se la dolce e carina Levy fosse solo una copertura? E se Gajil si comporti da duro solo per nascondere le sue sofferenze? Ecco come è nata questa storia d'amore, intrighi, passati oscuri e anche tristezza e dolore. Se vi piace la coppia GaLe questa storia fa per voi.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Capitolo 12: Mostro
Gajil
Mi aveva stretto per un tempo che mi parve infinito: che diavolo le era preso, tutto d’un tratto? Va bene gli sbalzi d’umore femminili e tutto, ma questo va oltre i limiti della normalità! Non pensavo che gli esemplari di maghi femmina potessero essere così emotivamente instabili, soprattutto quella scripter: mi era sempre sembrata una persona posata e seria, sempre concentrata sui libri, e qualche volta sulle persone. Poi mi lasciò. Tirai un sospiro di sollievo per il disagio, però, in fondo in fondo, non mi aveva dato poi così fastidio sentire le sue esili braccia stringermi… Si stava sciugando gli occhi, tirando su con il naso.
«Hey… Tutto…Ok?» chiesi.
«Hum?» fece, come se fosse non mi avesse appena abbracciato in lacrime.
«Insomma… tutto questo… Stai bene?» feci, esitante.
«Ah, per quello… era solo uno sfogo, niente di che, va tutto bene.» si lisciò la gonna e mi rivolse uno di quei sorrisi angelici, e terribilmente, schifosamente falsi.
«Ok, ci credo poco… Dico sul serio, non è per niente a posto… quello che hai fatto…» parlai, senza capire davvero le mie parole: avevo il cervello impastato e lento.
«E io dico sul serio quando dico che sto bene, Gajil. Piuttosto pensiamo a cosa fare fino a che non verremo contattati dal capo…» disse, tornando nella stanza nella quale si era chiusa poco prima. Ok, mi dava parecchio sui nervi che mi volesse nascondere il suo dolore, però non potevo biasimarla: anche io avevo celato le mie sofferenze per anni. La seguii nella stanza: era grande, con un letto al centro e dei rustici mobili in legno tutto attorno. Assomigliava a uno chalet di montagna.
«Questa è la mia stanza… Che vuoi?» fece, quando si accorse di me.
«Ah, o scusa, avevo capito che… Vado.» dissi sconfitto, e seccato dal fatto che quando ero con lei tutte le mie difese,  e il mio caratteraccio andavano a farsi benedire e io rimanevo come un gamberetto. Uscii e mi chiusi la porta alle spalle, con un sospiro. Girovagai per la casa: ogni stanza era identica alla precedente, fatta eccezione per la cucina, che ovviamente aveva i mobili da cucina. Il salotto era buio e con un semplice divano e un tappeto, la stanza da letto rimasta era piccola la metà dell’altra, con un letto e una madia e per di più era cieca (senza finestre) .
«Bello schifo…» dissi, lasciando cadere la mia piccola valigia per terra. Mi sedetti sul letto, rimbalzando un paio di volte per capire quanto fosse morbido: molto. Troppo, pensai, per uno abituato a dormire per strada. Mi sdraiai con le braccia sotto la testa, a pensare. Che cosa le era preso? Prima aveva riconosciuto benissimo come orientarsi nel palazzo del duca, poi aveva sfoggiato un linguaggio formale. Aveva chiesto che mi avvicinassi per poi scoppiare a piangere e infine abbracciarmi. Va bene, magari a forza di leggere libri aveva imparato il galateo eccetera… Ok, basta scervellarsi, se non vuole parlarne, chissenefrega! Pensai, alzandomi e andando in cucina. Avevo fame, così aprii il cassetto delle posate, per trovare qualcosa di ferro. Presi una forchetta e la morsi.
«Mmm, buono, argento… è da tanto che non lo assaggiavo…» dissi tra me e me.
«Mi faccio del the, ne vuoi?» chiese Levy, facendomi sobbalzare.
«Che? Ah, no.» dissi, con la bocca piena. Mi sedetti al tavolo, con la testa appoggiata al freddo marmo. La guardai: con un movimento fluido aprì la teiera, versandoci d’acqua, la mise sul fornello e accese al massimo la fiamma. Le mani lavoravano veloci e con grazia. Aprì uno sportello sopra la sua testa e ne estrasse un filtro di the. Le braccia teste per riacciuffare lo sportello, erano lisce e sottili, ma anche forti. Con un piccolo aiuto della sua magia di fuoco l’acqua bollì in fretta e versò il liquido trasparente in una tazza, poi ci mise dentro il filtro e si sedette davanti a me. Ci soffiò, lanciandomi in faccia il suo alito fresco.
«Che vuoi?» chiese, senza alzare lo sguardo dalla tazza. L’acqua si stava colorando di rosso, probabilmente aveva scelto un the ai frutti di bosco.
«Niente.» dissi, freddo. Girai la testa dall’altra parte, sempre lasciandola appoggiata al tavolo. Mi seccava così tanto che si fosse accorta che la stavo osservando…
«Vuoi assaggiare?» chiese, inespressiva.
«No, non mi piacciono quelle cose da donnetta…» feci, con il nervoso: stare con lei mi piaceva, ma mi metteva un nervoso addosso, soprattutto quel giorno.
«Che c’è che non va, Gajil?» chiese, disinteressata, come se lo chiedesse perché era obbligata. Che palle!
«Dovrei chiederlo io a te! Insomma, dai! Prima scoppi a piangere come una poppante e mi abbracci per due ore, poi sorridi e sorseggi the come se non fosse successo nulla… Ma che cavolo hai? Sei pazza?» chiesi, sollevando la testa e guardandola. Aveva uno sguardo misto tra sgomento e paura.
«Non sono fatti tuoi, ok?» disse, riprendendosi.
«Come no… Certo che lo sono, se non te ne fossi accorta sono bloccato qui con te in questa casa finché quel cavolo di duca non ci dice qualcosa! E non posso sopportare di vederti fingere…» scoppiai, seccato: fare quella cosa insieme era stata un’idea pessima.
«Ah, è così? Tu sei bloccato qui con me?» chiese, alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo.
«Esatto! Non sono certo io a farmi venire questi scatti di isteria, per poi non dare spiegazioni!» replicai, alzandomi anche io. Le nostri voci si erano alzate da “chiacchiera” a “urla”.
«Certo, però sono io quella bloccata qui con quel mostro che mi ha picchiata, godendo del mio dolore, e che da un momento all’altro potrebbe farlo ancora!» gridò, con una tale rabbia che ammutolii.
 Sentii una fitta al petto, così forte che credetti di svenire. Strinsi i denti. Avevo pensato che con quella missione le avrei mostrato il mio cambiamento e ci avevo provato, seriamente. Ma in quel momento capii che, benché avesse detto tutte quelle cose sul perdono, Levy non sarebbe mai riuscita a perdonarmi, non avrebbe mai dimenticato davvero cosa le avevo fatto. Qualunque cosa avessi fatto per cambiare, per lei sarei sempre stata il MOSTRO di quella notte. Prima che me ne accorgessi, una lacrima mi uscì dall’occhio destro.
«Ma che…  Stai bene?» chiese lei, con una voce lieve e sconvolta. Mi pulii la guancia e aprii gli occhi: questo è troppo!
«Come osi chiedermi se sto bene dopo avermi dato del mostro?! Vaffanculo! Tu e le tue paranoie. Se davvero pensi che potrei rifare quelle cose allora vattene! Non voglio più sentirti rivangare cose del passato. Sai usare solo colpi bassi. Ho sbagliato una volta e me lo rinfaccerai per sempre, l’ho capito! Ti comporti come una santarellina, mi odi per ciò che ti ho fatto…e mi sta bene! Fa pure come vuoi! IO ci rinuncio!» gridai, con una tale violenza da farla sobbalzare.
Poi mi diressi alla porta, uscii e me la sbattei alle spalle. Avevo chiuso con quella cazzata dell’essere carino e sopportare. Non era servito a nulla. Accantonai il nuovo me stesso e decisi che sarei tornato il vecchio, menefreghista, freddo, cupo, sadico, cattivo, crudele, mostruoso Gajil di una volta. Mi inoltrai nel bosco che circondava la casa, nella speranza di trovare qualcuno da prendere a pugni.
Levy
Aveva sbattuto la porta così forte che aveva fatto tremare le pareti. Quel suo ultimo pensiero, quella frase, sputata fuori con un odio indescrivibile, l’aveva distrutta. Gli avevo detto di nuovo che era un mostro, benché mi fossi ripromessa di non farlo più. L’avevo fatto in un momento di rabbia, anche solo per avere ragione, più che perché lo pensassi davvero. Non avevo più paura di lui, eppure quella cattiveria mi era uscita così spontanea, naturale, che mi facevo paura da sola. Aveva stretto i denti, come se sentisse male, poi avevo visto una lacrima. Oh, cazzo, una lacrima! Gajil stava… piangendo? Gli avevo chiesto come stesse, e ancora prima di accorgermi della gaffe, lui era esploso. Mi aveva gridato delle cose cattive. Ma aimè vere. Gli avevo dato del mostro per poi chiedergli se stesse bene, gli avevo di nuovo ricordato il suo passato. L’avevo di nuovo guardato per quello che aveva fatto, non per quello che è ora. L’avevo di nuovo giudicato solo per il suo passato, quando sono io la prima ad avere un passato di merda. E lui se l’era presa. Ed il bello è che me la sarei presa anche io, al suo posto. Le gambe mi tremavano per l’ansia e la paura. Non di lui, ma del fatto che intendesse davvero non tornare più. Mi sedetti sulla sedia, stanca e col cuore pesante.
«Sono una merda…» dissi, appoggiando la testa al tavolo.
«Hai ragione…»
Mi girai. Pensai che fosse Gajil ma mi sbagliavo. Il panico si impossessò di me, le gambe pesanti, il cuore a mille.
«Che c’è, sorellina, hai paura?» fece, inclinando il capo con un’espressione triste.
«Jakal… ma che? Come puoi essere qui? Sto dormendo?» chiesi, dandomi un pizzico alla coscia. No.
«Oddio, sorellina, sei divertente… Sono qui per darti ragione… Non è questo che hai sempre voluto?» chiese. Stava appoggiato alla parete, i capelli argentei e gli occhi d’oro lo facevano apparire come un angelo. Era rimasto all’età che aveva quando successe quello, ovvero 15 anni.
«Sorellona.» dissi, piano.
«Cosa?» chiese, con un ghigno.
«Sorellona.» ripetei più forte. «Ora sono io la maggiore.» scoppiò a ridere. Una risata angelica, ma diabolica insieme. Mi fece accapponare la pelle.
«Sei proprio una sfigata, sorellina. Avevi un amico affianco, un Dragon Slayer, per la precisione, e te lo sei lasciato sfuggire… nulla mi fermerà ora. Potrò tormentarti in ogni momento.»
«Ma sei vivo?» chiesi, cupa.
«No, sono solo uno spirito, fantasma. Ma ogni tanto riesco ad assorbire il potere magico delle persone e per un piccolo lasso di tempo posso tornare ad essere vivo. Potrò toccarti. Non vedo l’ora. Mi basta solo un altro po’ di magia…» disse «Poi potrò tornare vivo abbastanza a lungo da poter fare come ai vecchi tempi… ti va?» chiese, poi si mosse. Mi venne vicino. Non riuscivo a muovermi per la paura… ero paralizzata: se avevo capito bene dai suoi discorsi sconnessi e da pazzi, poteva avvicinarsi ame solo se ero sola, e poteva tornare vivo assorbendo il potere magico delle persone… Allora perché non aveva preso quello di Gajil? Mi sfiorò la guancia, ma non sentii il suo tocco.
«Non vedo l’ora di sentire di nuovo la tua pelle liscia…» disse, annusandomi i capelli. Non potevo fare nulla per fermarlo, in quanto essere incorporeo.
«perché non ha preso il potere di Gajil?  È molto forte…» dissi, anche se sapevo già la risposta. Mi guardò seccato.
«Sai già la risposta, vero , sorellina? Sei sempre stata molto sveglia… ebbene si, non posso avvicinarmi ai Dragon Slayer, in quanto detentori di una magia così forte e pura da essere veleno per noi spiriti… quindi di conseguenza non posso assumere la loro magia, anche se un solo Dragon Slayer potrebbe farmi avere tanta magia da poter tornare in vita per mesi…» e detto ciò mi si sedette in braccio, e benché non sentissi per nulla la sua presenza, vederlo era abbastanza. Mi alzai e mi allontanai.
«Credi di poter scappare a uno spettro?» chiese, seguendomi. Non muoveva i piedi. Era inquietante. Mi chiusi in camera, col cuore a mille: non poteva toccarmi o farmi del male, vero, ma anche solo vederlo mi faceva male. Mi voltai verso la finestra e lo vidi.
«Eddai, sorellina, non hai mai letto un libro sui fantasmi? Posso attraversare i muri….»
Tremai all’idea di non poter sfuggire al suo sguardo neppure in bagno, o a letto! Dovevo trovare un modo per allontanarlo, per avere un minimo di privacy! MA anche per ritrovare il controllo sulla mia vita, che, quando ero con lui, andava in pezzi, riportandomi alla mente ricordi sgradevoli. Entrai in bagno e chiusi la porta con rabbia: passato lo shock e la paura inziali, ero stata invasa da un senso di impotenza e rabbia devastante. Mi voltai e lo vidi seduto sul wc.
«Mi lasci in pace almeno in bagno?!» gridai, scocciata.
«Perché l’hai fatto?» chiese, senza rispondere.
«Fatto cosa?» chiesi, stringendo gli occhi  per calmare il mal di testa che mi era venuto.
«Perché hai rovinato tutto di nuovo?»
«Di nuovo?» chiesi, cupa.
«Si. Hai rovinato la nostra famiglia, tempo fa, e ora hai rovinato anche il tuo unico amico.» abbassai la testa, triste «Lo hai offeso, bistrattato, usato per sfogarti… non mi sorprenderebbe se non tornasse più… bhe diciamo che non mi darebbe nemmeno troppo fastidio…» continuava a parlare, ma non lo ascoltavo più. In che situazione del cavolo ero? In un bagno, a parlare con mio fratello morto e che per di più dice delle cose sensate! In fondo era vero: l’avevo trattato come fosse un mostro e non una persona. E se… non fosse tornato davvero? Sentivo il ronzio smorzato delle chiacchiere di Jakal in sottofondo ma il mio cervello era nel panico: perché mi spaventava tanto l’idea di perdere Gajil?
«….E poi comunque qualunque cosa tu faccia lui…» fece Jakal, ma lo interruppi.
«Adesso basta !! Vattene da qui! Vattene da questa città, vattene da questo mondo! E taci! Taci, per Giove!!!» gridai, stufa delle sue chiacchiere inutili. «Quando sarai umano potrai venire qui e torturarmi ma ora sei solo un cavolo di fantasma, senza corpo e senza cuore, quindi vattene e torna quando potrai uccidermi una volta per tutte!»
Sembrò sorpreso, poi sparì. Pensai che le mie parole lo avessero convinto, ma capii il vero motivo per il quale se ne era andato: Gajil era tornato! Dalla cucina proveniva rumore di posate, e chi altro sarebbe andato a mangiare le posate se non lui? Corsi fuori, euforica: non mi aveva abbandonata per davvero!
«Oh Gajil, sei…tornato…» dissi con entusiasmo ma mi smorzai quando vidi una figura nera con un enorme sacco di juta sulle spalle: era un ladro!
«Cazzo!» gridò, con una voce maschile profonda.
«Iron!» gridai, materializzando un blocco d’acciaio sulla testa dell’uomo, che la scansò facilmente.
«FAST» gridò quello. Una scritta comparve davanti a lui e, toccandola, sparì. Sia la scritta che il mago.
«Sei uno scripter come me?» chiesi, preparandomi alla battaglia. Non aveva usato l’incremento di velocità per scappare, ma per corrermi intorno, senza che lo potessi mirare.
«Non mi paragonerei a te… Io sono di livello superiore.»
Era vero: usare attacchi non fisici (come fuoco, ferro, vento) ma chimici (come incrementare la velocità e la forza) era un livello più alto, molto più del mio. Sono messa male, pensai.
«IRON WIND» fece. Ebbi un attimo di pace, poi fui investita da una folata di vento fortissima. Dopo un attimo arrivò il dolore: il vento trasportava frammenti di ferro, che, scagliati a grandissima velocità, mi graffiavano e infilzavano. Mi coprii gli occhi con le mani, per evitare di diventare cieca.
«Ahaaaa!!!» gridai, dolorante. Poi si fermò. Caddi a terra, ferita in ogni punto del corpo. Ansimavo per il dolore.
«Allora, ammettilo, sono il mago più forte del mondo…» disse, e si fermò davanti a me. Era alto.
«Questo tuo spiffero non è nulla paragonato al soffio di ferro di Gajil!» dissi, dolorante, ma con rabbia: io lo sapevo bene.
«Ah, si?» chiese, chinandosi in ginocchio fino ad avere il viso all’altezza del mio, coperto di sangue.
«Già» dissi, e quando mi tirò uno schiaffo voltai il capo verso di lui e gli sputai. «Non sei nulla in confronto a Gajil, se fosse qui ti batterebbe in meno di un…» non potei finire la frase, che fui sollevata per il collo.
«Non vedo l’ora che arrivi.» disse. Poi mi prese, mi legò a una sedia e si sedette davanti a me.
«Perché lo fai? Se sei un ladro, perché rischiare la vita aspettando il nemico?» chiesi, pino, per il dolore delle corde sui tagli.
«Stai zitta, sei sempre un ostaggio, se non te ne fosti accorta.» disse, con stizza.
Nella penombra della casa non riuscivo a vedergli il viso, ma potevo vedere la casa devastata: i mobili rotti, tagliati dal suo attacco di vento e ferro… Come potevo essere ancora viva se quell’attacco era stato in grado di tagliare il legno e di scalfire la pietra del tavolo?
«Hey…»
Mi voltai, con le lacrime agli occhi.
«Gajil…» dissi, piano.
Gajil
Mi ero inoltrato nel bosco per prendere a pugni qualcuno, o qualcosa. Ovviamente non trovai nessuno, così picchiai il tronco di un albero, ferendomi le nocche e aumentando il mio malumore. Ok, ci ero rimasto davvero, davvero di merda. Perché, dopo tutto il mio impegno, dopo le mie buone azioni, dopo averla abbracciata (cavolo!) mi considerava ancora come un mostro? È una questione di Levy o è una cosa che pensava tutta la gilda? Mi sedetti ai piedi dell’albero. Più che essere arrabbiato ero deluso: da Levy, da me, da tutto. E inoltre avevo capito che per quanto fossi cambiato la gente mi avrebbe considerato sempre per ciò che ero, perciò avrei smesso di impegnarmi. Mi alzai. Ero deciso ad andare a prendere le mie cose a casa e di tornare a Magnolia. Quando però arrivai nelle vicinanze della casa, vidi quel maledetto vetro rotto. Cazzo, pensai. Mi avvicinai e sbirciai dentro: Levy era legata a una sedia, e ricoperta di sangue, mentre un tizio in nero le stava seduto davanti. Vederla in quello stato, ferita e legata, mi fece venire voglia di entrare come una furia e di pestare quel tipo a sangue, ma mi trattenni: dovevo ricominciare a comportarmi in modo freddo. Mi appollaiai sulla finestra, fregandomene delle schegge di vetro, come un falco o… un corvo.
«Hey…» feci, freddo, per attirare l’attenzione del tipo. Levy aveva le lacrime agli occhi, non so se per le ferite o per cosa. Mi montò una rabbia dentro che mi trattenni a fatica.
«Chi sei?» chiese quello, alzandosi.
«Chi sei tu, stronzo! Entri in casa mia, distruggi i miei mobili, ferisci i miei… amici e hai pure il coraggio di chiedermi chi sono io?!» chiesi, con i canini sporgenti per la rabbia. In quel momento la mia voce sembrava più il ringhiare sommesso di un vero drago.
«Interessante, sei bravo a parole, ma vediamo cosa sai fare davvero.» disse quello, muovendosi. Lo precedetti e con un pugno lo atterrai.
«Ice»
Lo sentii, ma lo disse così piano che un uomo non lo avrebbe udito. Un vento gelido e bagnato prese a soffiare, rendendo l’aria ancora più fitta e buia.
«Stà attento, Gajil, è bravo!» disse Levy, fuori dalla mia vista nella densa neve.
«Taci, gamberetto, devo concentrarmi! Hey, idiota, credi che un po’ di neve possa fermarmi? IO sono un drago, non ho solo una buona vista!» detto ciò mi voltai e colpii il tipo allo stomaco, proprio poco prima che potesse colpirmi lui.
«Cazzo…» imprecò, piegandosi. La bufera cessò all’istante.
«Ghi hi hi…tanto vanto per cosa? Non sai fare nulla se non creare neve?» chiesi, con le mani sui fianchi: che scarso.
«No… Non proprio!» con uno scatto mi fece lo sgambetto, facendomi cedere. Poi mi venne sopra, schiacciandomi a terra.
«IRON WIND!!!!» gridò.
«Gajil!!!» gridò Levy, con la voce angosciata: doveva essere un attacco forte… Un vento freddo e tagliente mi investì.
Levy
Aveva usato di nuovo il suo attacco di vento e ferro! Avevo cercato di avvisarlo,, ma non avevo fatto in tempo. Era stato colpito a una distanza così ravvicinata, e per di più vicino al viso e senza essersi coperto gli occhi!
«Gajil!!! Ti prego, Gajil, vivi!!!» gridai con le lacrime: non poteva morire senza che gli avessi chiesto scusa. Mi mossi, facendo cadere la sedia in avanti. Sbattei la faccia, e le ferite mi dolettero tantissimo. Strisciai in avanti, terrorizzata. Poi, però, vidi il vento… turbinare. Un rumore di aspirazione proveniva da Gajil. Poi il vento sparì e Gajil parlò.
«Buono questo ferro, grazie, ma in quanto a forza sei scarso!» aveva il corpo ricoperto di scaglie di ferro ed evidentemente aveva mangiato il vento di ferro! Fantastico!! Con un pugno lo ribaltò, spingendolo contro il muro.
«E ora guarda un vero attacco! Soffio… del drago di ferro!» gridò, gonfiando le guance per poi lanciare. Guardandolo capii che il suo potere era anche maggiore di quanto pensassi. Quando si fermò il tipo era sparito. Fece un cenno col capo, poi mi guardò. Si avvicinò con calma e sollevò la sedia, rimettendola in piedi. Slegò le corde, ignorando i miei gemiti di dolore. Mi ero immaginata quella scena un po’ diversa: lui che mi salvava, in lacrime per la preoccupazione.. Che cazzata. Mi sollevai, gemendo per il piccoli tagli ovunque. Uno sulla ciglia sanguinava più degli altri.
«Aspettami.» disse e sparì in camera sua. La stanza era un disastro: mobili distrutti, finestre rotte…
«Come lo spiego al duca…» bisbigliai.
«Fregatene, del duca.» rispose secco. Non lo avevo visto arrivare. Mi venne così vicino che per un attimo ebbi paura: sembrava più cupo del solito, ma lo capivo. Lo avevo offeso, e per di più, una volta tornato aveva pure dovuto salvarmi. Avvicinò le mani al mio viso. Chiusi gli occhi. Li riaprii quando sentii qualcosa di freddo sulla fronte: mi stava lavando le ferite con un fazzoletto umido. Gemetti, ma lo lasciai fare e in 10 minuti ero a posto. Poi mi mise un cerotto sul taglio peggiore, sul sopracciglio. In quei dieci minuti, però, pensai, e la conclusione fu una sola.
«Sono una merda. Non solo ti ho offeso e trattato di merda, ma sono pure venuta in questa missione per proteggere qualcuno, quando l’unica a dover essere protetta sono io. Mi faccio pena da sola. Dovresti prendere le tue cose ed andartene, ora, finchè puoi. È un consiglio da amica… se davvero lo siamo.» dissi, a testa bassa.
Gajil
Aveva detto quella cosa. L’aveva detta. Non erano proprio scuse ma poteva accontentarmi: per quel giorno ero stato duro abbastanza. Vederla depressa e delusa di sé stessa i fece sentire in colpa, anche se non ne avevo motivo. Feci l’unica cosa che mi venne in mente: la abbracciai. Me ne fregai del fatto che forse le davo fastidio. Ciò che non sapevo dire a voce lo dissi con quell’abbraccio.
«Scusa, Gajil. Non sei tu il mostro. Sono io.» disse, tra le lacrime.
«No, non è vero, sei solo… eri solo arrabbiata… Può capitare.» dissi, mogio.
«No, non hai capito. IO sono  un mostro. Ho ucciso mio fratello!» scoppiò. La lasciai andare, con un brivido di paura.

Angolo scrittrice
Ciao raga... era da un pò che non aggiornavo, eccovi qui un bel capitolozzo... che ne pensate, vi piace come idea? Chi è che ha ancora dei dubbi sul passato di Levy? C'è qualche intelligentone che, rileggendo il prologo e pensando a Jakal e Bazar è riuscito a capire qualcosa?? Se si ditemelo, se no, meglio!
  
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