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Autore: francy91    08/08/2008    3 recensioni
Ciao a tutti! Questa storia sembrerebbe la vicenda di un amore qualunque, ma come può essere stabile il rapporto fra una dolce, tenera e leale ragazzina e uno scontroso, ironico e, tuttavia, bellissimo ragazzo? E' difficile seguire il proprio cuore e, fra ricordi, sogni e malintesi, un amore non può diventare sereno e stabile. Un nuovo Shaoran, moooolto strano! Se volete saperne di più, leggete e commentate anche negativamente! :)
Genere: Commedia, Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un pò tutti
Note: OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Senza nome 1

Blanda. Una vita blanda e stropicciata come il viso di un bimbo addormentato.

Sentivo il calore sul collo e sulla schiena, ma ero sicura che non fosse il sole. I suoi raggi pomeridiani lambivano i miei occhi o, meglio, le mie palpebre rendendole arancioni al mio sguardo apparentemente imprigionato nel buio. Ma allora cosa rendeva la mia pelle così calda? Lo sapevo, oh, lo sapevo benissimo. Era vergogna, ignobile e ignominiosa vergogna. Per cosa? Che ovvietà, per me stessa.

Ero stesa su un asciugamano, mentre la sabbia si raffreddava con l’avvento del tardo pomeriggio e la confusione della spiaggia ottenebrava paradossalmente alla mia mente l’intero mondo esterno.

Che tristezza, nuova, neonata, sconosciuta. Avrei preferito essere depressa, avere il coraggio di tentare il suicidio piuttosto che stanziarmi in questo bivalente limbo senza uscita, un labirinto con mura intonacate, tutte uguali, tutte ruvide, tutte candide e un soffitto, unico, irraggiungibile, impenetrabile.

Tutti gli altri stavano facendo il bagno in quel mare ormai quasi roseo, a parte me e Tomoyo che non potevamo per sanguinosi  motivi, ma in quel momento quest’ultima stava telefonando a Eriol.

Aprii gli occhi e li richiusi subito. Che frustrazione: non riuscivo a captare alcun segnale dall’esterno senza che questo mi ricordasse che ero sola. Assurdo, si potrebbe pensare, ma vero. Tomoyo era ormai troppo lontana, me ne rendevo conto. Quel consistente spicchio di vita che non avevamo condiviso era stato troppo importante per essere ignorato. Non che l’avessi voluto io, ma era inevitabile rendersene conto e inutile negarlo; le volevo bene, ma l’affetto non bastava a dare alla luce la fiducia. Essa era eccessivamente preziosa per essere spicciolamente sottovalutata e per giunta per me era fondamentale, proprio ora che non sapevo cosa fare, come agire, a chi rivolgermi.

Mi dispiaceva per la mia amicizia con Tomoyo, certo, però sinceramente non riuscivo nemmeno a immaginare fra noi la confidenza che c’era stata tempo prima né il cieco affidamento con cui donavo ogni mia decisione alla sua Corte, come se fosse il giudice di ogni mia scelta, frivola o pesante che fosse. Una realtà troppo malsana e viziata da riproporre: non ne avevo alcuna voglia. Prendermi le mie responsabilità era stato terribilmente difficoltoso ma istruttivo ed edificante: purtroppo mi era toccato ferirmi improvvisamente e profondamente invece che lasciare ai lembi di quel taglio il tempo di rimarginarsi per poi crearne subito un altro.

Sentivo che anche le mie gambe stavano arrossendo al pensiero della mia vita passata; ma come avevo potuto desiderare di tornare come quella bambina beota, ingenua, raggirabile come un ostacolo afflosciato al suolo, aperta ai coltelli e ai disinfettanti altrui? Di questo mi vergognavo: della mia essenza e del mio anelito. Forse allora Yamazaki aveva proprio ragione: meglio scorbutica, brontolante e sveglia che infantile, dolciastra e vuota. Vuota come un cranio ghignante.

Percepii dei passi sulla sabbia polverosa e immaginai fosse Tomoyo. Il corpo si sedette sull’asciugamano accanto al mio e solo odorando un raschiante profumo di sale e aprendo gli occhi realizzai la presenza di Rori. Giocherellava con la sabbia asciutta, mentre mille gocce simili a pestilenziali bisce le solcavano con la violenza di un aratro la pelle così diafana da sembrare trasparente al tenue fulgore solare, ormai in caduta libera senza paracadute su un mare che avrebbe attutito il suo pregiato fuoco fino ad esaurirlo e conservarlo nelle proprie viscere.

Ero molto curiosa riguardo a quella ragazza per svariati motivi: innanzi tutto perché non capivo il motivo per cui volesse passare del tempo con quella belva chiamata Shaoran. O forse lo stavo sopravvalutando? Ma quale belva, era solo un egoista malvagio, sadico ed edonista. Peggio per lui. Inoltre, il carattere, le maniere, il viso, gli occhi sognanti di quella ragazza mi parevano così familiari… In definitiva, volevo conoscerla per salvarla? Certo, senza dubbio, anche se non ero sicura che avrebbe sofferto quando, al più presto, ne ero certa, Shaoran l’avrebbe abbandonata. In realtà non sapevo nemmeno se lei lo amasse. Rori era per me un punto grigio nella nebbia, una stella corvina derelitta in un cielo tenebroso, una scaglia di cristallo fra mille simili di ghiaccio e vetro: irriconoscibile, non individuabile.

Cercai freneticamente un argomento sul quale intavolare un discorso e apprendere qualcosa, qualsiasi cosa, del suo carattere e del motivo per cui era fidanzata con Shaoran senza avergli spaccato un vaso da fiori in testa.

-Allora…-, cominciai indecisa, ma nella foga del momento mi sovvenne qualcosa da chiederle: -Come hai conosciuto Shaoran?-.

Con estremo imbarazzo mi accorsi che non mi stava nemmeno ascoltando, dato che il suo sguardo era perso apparentemente fra i ghirigori dell’ombrellone che ci si stagliava di fronte. In realtà, però, ero convinta che stesse riflettendo, data l’opacità e l’assente vitalità degli occhi.

Le sfiorai piano la spalla per farla voltare verso di me: la pelle era fresca e lucida, bagnata e leggermente ruvida per la salsedine, unico dono del mare. A quel contatto mi spaventai. Ero a disagio in sua presenza, perché… Perché? Presumevo qualcosa, forse che in lei esistesse un lembo di Shaoran, seppur minuscolo e ben ripiegato; in effetti era così: Rori portava in sé, nel suo sguardo, sulle sue labbra violacee, sulla sua chioma stillante sangue di mare e leggermente scomposta, un frammento di ciò che stavo rifuggendo testardamente, che già dalla visita di Yamazaki avevo cercato di distanziare e stigmatizzare con l’etichetta PASSATO, riconoscendo fin troppo bene che esso è fatto di ricordi, i ricordi di emozioni, le emozioni di impulsi, gli impulsi di vita. E la vita non si rinnega né si allontana, ma si apprende.

Una radio vicina gracchiò qualche romantica melodia di Utada Hikaru. Alzai gli occhi al cielo e proseguii a fissare la ragazza, che non aveva ancora dato segni di vita.

-Ho sentito, sto solo cercando di ricordare.-, replicò un attimo dopo il mio tocco fugace. La sua voce, sebbene sommessa, mi fece sussultare: troppo calma, consapevole e saggia per essere fidanzata con Shaoran. Dov’erano finiti l’isteria, la trasognatezza e l’immaturità? Erano forse stati solo una mia prerogativa? Mia e di molte altre, ma sua no. Era possibile che a quattordici anni si potesse essere così maturi da accettare compromessi con persone del genere? Io non lo ero stata e non lo ero nemmeno in quel momento, forse. Che ragazza strana.

All’improvviso la sua ultima frase mi ispirò: probabilmente anche lei era come Shaoran. Possibile? Beh, non ricordava nemmeno l’occasione in cui si erano conosciuti, logico che fosse così. No, c’era qualcosa di essenzialmente diverso, sostanzialmente cangiante e faticosamente percepibile. Solo uno sciocco avrebbe confuso l’eccepibilità di Shaoran con… la profondità di Rori, nonostante non la conoscessi e non potessi dunque esprimere opinioni. Tuttavia, era indispensabile notare la diversità dei due, l’assenza di quello sfrenato edonismo che caratterizzava lui e mancava in lei, come del resto l’insincerità del ragazzo e l’apparente disponibilità e franchigia della fidanzata. Solo una sciocca come me  aveva osato confondere la sfacciataggine di Shaoran con sincerità.

-Ah, sì: l’ho conosciuto ad una festa la settimana scorsa. Mi ha dato un passaggio a casa con la sua Nissan rosso metallizzato.-.

Sorvolando sul fatto che l’auto non fosse sua, ma di Tomoyo, che non gliel’avrebbe mai prestata, ergo  Shaoran l’aveva sottratta di nascosto, la sua frase fu molto concisa e pulita. Sincera, insomma.

Fui spiazzata da tanta chiarezza e dalla sua telegrafica risposta, così cercai subito una nuova domanda da porle per coinvolgere in qualche modo la sua fredda attenzione. Bruscamente ricordai che una settimana prima io e Shaoran eravamo ancora “fidanzati”, per così dire, e io non sapevo nulla di quella festa. Sorrisi laconica: me lo sarei aspettata, tipico del suo gioco. Scacciai quelle constatazioni amare e mi concentrai ancora per ideare un altro quesito.

-E… da quanto siete fidanzati?-, domandai piatta.

Questa volta mi rispose celermente e spontaneamente, alzando impercettibilmente un sopracciglio, forse la prima vera reazione da quando l’avevo conosciuta.

-Non siamo fidanzati.-.

Lo confessò come se fosse un’ovvietà, una realtà affatto inimmaginabile, troppo verosimile per non essere effettivamente vera. Mi lasciò interdetta: mi ero ormai preparata molte domande da porle, ad esempio come fosse successo. E invece? Una considerazione mi sovvenne brutalmente: il mio interesse nella loro storia era perfettamente combaciante con quello che avevo provato nei confronti di quella di Yamazaki e Chiharu? In un certo senso sì, in un altro no: da entrambe avrei dovuto scoprire qualcosa, ma la curiosità che mi capeggiava era differente. Mi interessavo a Yamazaki perché desideravo aiutarlo, forse, far mie tutte le colpe per rendermi utile. Avere un ruolo nella sua vita, in questo caso di antagonista, dato che avevo depredato un terreno già da tempo fertilizzato e bonificato. Qualunque ruolo ricoprissi per me era rilevante. Certo, se fosse stato un ruolo positivo… Ma ero la strega cattiva che aveva avvelenato con il frutto proibito un’incantevole e favoloso amore che tutti credevano ineluttabile, invincibile, imbattibile. E invece io ce l’avevo fatta, ma senza alcuna soddisfazione, come invece succede spesso alle streghe quando allontanano per capriccio la bella principessa. L’unica mia consolazione era stata la pietà del principe, la sua compassione: aveva compreso il sostrato di sofferenza che impolvera assassini, sadici, stupratori, violenti: la disperazione, la palese impossibilità di salvarsi o essere salvati. Il principe aveva abbandonato la principessa per correre in difesa della malvagia progettatrice di piani insensatamente diabolici e l’aveva soccorsa, le aveva insegnato ad accettare sé stessa, la sua malignità e l’umanità ormai seppellita sotto immisurabili vangate di polvere. Quello era il coraggio, quella era la vera e cruda temerarietà: non scavalcare le onde, bagnare il deserto, prosciugare le acque per cercare e liberare una dama rapita o entrare nell’oltretomba come Orfeo per recuperare la sposa spirata. No, in confronto a quel  coraggio il propulsore che aveva spinto Yamazaki era pura pazzia, come scambiare il cielo con la terra, seminare un campo celeste e immaginare mutevoli nuvole sul selciato, in un mondo dove avere i piedi per terra era da matti e gli occhi erano puntati verso di noi, che abitavamo la volta fatata.

 Aprii la bocca, non per parlare, ma Rori credette che le stessi per porre un’altra domanda e mi anticipò con mia enorme sorpresa:

-A dire il vero lui mi aveva detto di essere fidanzato, ma disse che né a lui né alla sua fidanzata sarebbe importato qualcosa.-.

Certo che non mi sarebbe importato, tanto immaginavo che mi avesse tradita. Crescendo si peggiora, avrei asserito qualche giorno prima, ma in quel momento non ne ero così assolutamente sicura.

-Quindi eri la sua… amante, per così dire?-, chiesi stringendomi le ginocchia con le braccia per frenarle.

-Sono la sua amante, se così mi vuoi chiamare.-. Sentivo che si stava aprendo sempre di più, anche se lentamente, e ne fui estremamente lieta.

A giudicare dalla parole di Rori, Shaoran non le aveva ancora confessato di aver lasciato la sua fidanzata – incredibile come fosse esilarante quella parola – ma perché? Forse quella ragazza era solitaria e disimpegnata, dunque non desiderava stringere rapporti di fedeltà, per quanto potesse essere fedele una relazione con Shaoran? E per questo il ragazzo le aveva tenuto tutto nascosto, probabilmente perché credeva che lei fosse innamorata di lui e volesse rimpiazzare il mio ruolo? Era l’unico motivo che mi veniva in mente in quel momento e anche il più confacente ai due caratteri, nonostante Rori non paresse affatto innamorata.

La domanda più fondamentale e impertinente mi solleticò la lingua, per poi perdere sensibilità al mio imperioso ordine. La tentazione però era insopportabile, insormontabile… Non resistetti, come un’ape che vola su uno splendido fiore con il timore che, posandovisi, ne incenerirebbe la magnificenza.

Fissai gli occhi celesti, di una sfumatura cristallina che mi ricordava il colore dell’acqua clorata delle piscine pubbliche, e notai la loro vivacità, così parlai:

-Perché frequenti una persona così… Shaoran?-. Un’altra tentazione, quella di far sgusciare innumerevoli e orribili appellativi, mi stava per annientare, ma la trattenni: a che pro confessare apertamente di essere una sua ex? Completamente vano, nonché controproducente e patetico.

Aspettò qualche attimo prima di replicare; quell’attesa mi innervosì: credevo di essere stata troppo pretenziosa e irriguardosa, ma alla fine non mi interessava così smaniatamente, anzi.

Si stese sul suo asciugamano rosa – un terribile flashback me ne rigettò uno simile che ero stata solita portare al mare verso i tredici anni – e si spruzzò sulla mano della crema protettiva contro i raggi solari da una bottiglietta a forma di rosa nera attorcigliata intorno ad un leccalecca. L’imboccatura era posta su un petalo del fiore che sgocciolò un denso liquido rosso che imporporò il latteo palmo della sua mano, dopodiché si spalmò il prodotto sulle braccia, sul collo e sulla pancia, fino ai margini del costume rosa – immancabilmente – con grandi fragole viola. La crema venne assorbita dopo due o tre secondi e di quel fluido vermiglio non ci fu più traccia.

-Perché Shaoran mi accontenta sempre, rimpinza i miei capricci fino a farli scoppiare, mi vizia in continuazione affinché io faccia qualcosa che lui gradisce, senza accorgersi che alla fine piace anche a me. Tuttavia preferisco che mi tratti come una brava bambina, che mi appaghi sempre. È così stupido e megalomane da credere di essere lui il vittorioso, ma in realtà comando io, a me va tutto il piacere, a lui vengono sottratte fatiche su fatiche… A volte vengo descritta come una stratega infantile, ma non capiscono che proprio la mia infantilità mi è favorevole e non mi ostacola affatto.-. Per la prima volta vidi i suoi occhi ravvivarsi, prima che fossero chiusi dai sempre più fragili raggi solari. Ciononostante, il suo primo sorriso, un ghigno beffardo, non abbandonò il suo marmoreo volto.

-Non sono cattiva, non voglio illuderlo o fargli del male, per questo ho scelto lui, perché è insensibile alle emozioni, a quanto pare. Se fosse stata una persona diversa l’avrei forse amato, oltre che sfruttato, ma lui è così e anch’io. Compromessi del genere sono inevitabili.-. Quasi per riscattare quell’improvvisa apertura e loquacità, tacque definitivamente restando immobile a prendere il sole, con la testa leggermente flessa su un lato e le trecce sulle rispettive spalle.

Sì, era proprio l’amante perfetta per Shaoran.

 

***

My song is love
My song is love unknown,
But I'm on fire for you, clearly
You don't have to be alone
You don't have to be on your own

(Coldplay, “A message”)

 

Percepii dei passi felpati e attutiti dalla sabbia alla mia destra.

-Come va?-, mi sentii chiedere da una voce leggermente argentina.

Aprii piano gli occhi e scoprii che era ormai sera, anche se un brillante bagliore baluginava dietro le lontane onde del mare, che ormai scorrevano pigre e svogliate, quasi fossero insonnolite e aspettassero che quel filo colloso e iridescente le lasciasse invisibili e confondibili con il cielo oscuro per addormentarsi beatamente.

In verità non mi ero accorta che fosse passato molto tempo da quando Rori aveva taciuto, ma evidentemente mi sbagliavo. Un po’ intorpidita per essere stata stesa tutto il pomeriggio, mi alzai prima a sedere e poi, con fatica, mi misi in piedi con un leggero barcollamento, subito soppresso.

Notando il mio traballamento, la voce che riconobbi come quella di Yamazaki mi ammonì scherzosamente:

-Calma e sangue  freddo.-.

Affilai lo sguardo nella semioscurità, accorgendomi per la prima volta che il chiasso e la confusione del pomeriggio erano drasticamente decrementati.

-Yamazaki… Non me lo sarei aspettato da te.-. esclamai con finto risentimento per la sua battuta allusiva. Con una seconda occhiata mi resi conto che in riva al mare Tomoyo cercava di lavar via la sabbia dalla sedia sdraio gialla – che al semibuio sembrava arancione – mentre Shaoran e Rori erano poggiati al cofano della Nissan parcheggiata poco lontano e si baciavano profondamente.

Mi apprestai a piegare il mio asciugamano assaporando con il tatto la sabbia quasi gelata che si stringeva alle mie mani chiedendomi aiuto, volendo gustare anche lei qualche parte di me per seguirmi testarda.

-Vuoi smetterla di chiamarmi per cognome? Io sono Takashi, non Yamazaki!-, asserì con enfasi. Ne fui leggermente stupita, ma, mettendo l’asciugamano nella borsa di Tomoyo, concordai:

-Se ti fa piacere… Takashi. A cosa devo tutto questo sprizzo di vitalità?-, domandai accorgendomi della sua quasi invisibile espressione briosa.

-Oh, nulla.-, si incupì sensibilmente.

Mi strinsi tra le spalle perplessa e mi incamminai verso l’auto, intenzionata a sedermi sul sedile posteriore ignorando le prestazioni di Rori e Shaoran.

Non mi accorsi che Yamazaki, oh, pardon, Takashi mi stesse seguendo finché non ridacchiò sommessamente con un grugno nasale.

In quel momento non stavo pensando a nulla, né ero poco disposta alla conversazione: semplicemente, volevo estraniarmi, non riflettere sul fatto che probabilmente Rori aveva reagito molto meglio di me, che quindi era stata più matura e distaccata. A che sarebbe servito seviziarmi ancora con inutili paragoni fino allo stremo? Non sapevo come avesse fatto, ma Yamazaki – non ce la facevo proprio a chiamarlo per nome – aveva insegnato qualcosa a quell’essere liscio e compatto come marmo e quindi impermeabile che ero: io ero io, nessuno avrebbe potuto negarlo, modificarlo, infrangerlo, impoverirlo, nemmeno io. O almeno lo speravo.

Entrai in auto e richiusi la porta con slancio, mentre Yamazaki apriva quella opposta e si sedeva sul sedile con goffaggine. Io mi trovavo dietro al sedile del guidatore, lui dietro a quello del passeggero, ai due estremi dei sedili posteriori. Un attimo di pausa dopo la scrosciante chiusura della portella e:

-Sai, da piccolo ero convinto che le stelle fossero tanti occhi, tantissimi occhi con cui il cielo ci guardava e ci spiava per conto degli alieni, che però non erano cattivi, ma solo curiosi del nostro mondo pazzo. Sui loro pianeti era tutto governato da regole precise, imprescindibili, ineccepibili e incontestabili, dai caratteri binari dei computer, da una matematica infrangibile. Le idee erano semplici combinazioni di numeri, come l’HTML. Era tutto monotono e perfetto e nessuno se ne lamentava. Ma poi hanno visto noi e non hanno creduto possibile una realtà fatta di immagini, suoni, parole, sensazioni che non corrispondessero a caratteri precisi, a segni e leggi scritte e regolate. Per questo ci sorvegliano, per capire come facciamo a essere così diversi da loro e a riuscire a vivere comunque. I soffitti non ci proteggono, sai? No, perché una parte del nostro cervello, quella più libera, quella di cui ci accorgiamo solo quando stiamo scalfendo il comune senso del pudore o la morale o le nostre stesse regole autoimposte, quella illimitata che corre dappertutto senza muovere un passo, pensa sempre alle stelle, le proietta nel nostro cervello cosicché gli alieni ci osservino anche a nostra insaputa, come il Grande Fratello di 1984. E nemmeno dormire per sempre ti nasconde dal loro sguardo attento: sogniamo le stelle, vogliamo le stelle, guardiamo le stelle ed esse guardano noi. Ho trascorso metà della mia esistenza a credere a questa storia assurda, ci pensi?-, terminò fissando il poggiatesta davanti a lui.

Era la prima volta che mi parlava così a lungo, che mi confessava qualcosa di veramente suo, che riguardasse lui e basta e… mi piacque. Mi piacque molto, sì. Mi resi conto di quanto i miei pregiudizi mi avessero incatenata e imprigionata fino a credere che Yamazaki fosse solo un ragazzino allegro, fantasioso e burlesco. Quanto ero stata il errore… Imperdonabilmente, forse.

Comunque, rimasi esterrefatta  da quel racconto, dalla sua fantasia non infondata, ma intelligente e perspicace. Non era solo fantasy, era vita. Sì, certo, magari le stelle non erano altro che ammassi di gas e altri materiali, magari gli alieni non esistevano o non conoscevano la matematica, o magari coloro che ci controllavano non erano poi così lontani… Eravamo noi, semplicemente noi, regolatori di noi stessi, limitatori lamentanti. Noi credevamo nella speranza, ma sopprimevamo le nostre; noi creavamo un nostro mondo, ma non ne accettavamo le leggi da noi stessi ideate; noi avevamo uno sviluppato istinto di sopravvivenza, ma rischiavamo ogni giorno di morire strangolati dalle nostre stesse mani fratricide. E allora? Cosa fare? Abbandonarsi a sé stessi? Incredibile come da una storia così bizzarra potessero nascere riflessioni del genere.

-Non è assurda, mi piace: è poetica e geniale.-, mormorai concentrandomi anch’io sul poggiatesta che mi antecedeva.

-Non dovrei essere io a ricoprire il ruolo del consolatore in questa storia?-, sussurrò ancora più tenuemente di me, abbassando il capo.

Alla luce di un forte lampione vicino notai le sue sopracciglia aggrottate e l’espressione pensante, non autocommiserata.

-Tu non sei il mio consolatore, tu sei Yamazaki.-, ribadii sorpresa da quel comportamento: non era offeso, ma sembrava che… che mi volesse dire qualcosa.

-Takashi.-, mi corresse.

-Takashi.-, sospirai scimmiottando la sua voce.

Scoppiammo a ridere contemporaneamente come due bambini che tirano una torta in faccia al maestro troppo esigente. Ammirai i capelli scompigliati, bagnati dal buio e gocciolanti ancora acqua salata, mentre continuava a ridere quasi mostrando le gengive. I suoi occhi risaltavano per lo splendore di una luce chiarissima, forse il riflesso del lampione che torreggiava accanto ad un pino, nei pressi dell’auto.

In quell’attimo giunse Tomoyo con la borsa e la sdraio, fece bruscamente spostare Shaoran e Rori dal bagagliaio per infilarci il carico e, saliti tutti sull’auto, ripartimmo.

Disattenta, la mia attenzione vagava frusciando fra le fronde di un albero fino a raggiungere le stelle.

Ritorniamo sulle stelle, pensai distrattamente, Ritorniamoci.

 

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Salve a tutti! Ecco i ringraziamenti:

Faffy: oh venerabile Plinia! Sono davvero commossa per tutti complimenti che mi hai fatto – soprattutto quello sulla psicologia interessante, sono rimasta estasiata come un criceto in agonia (ma non ti avevo detto di limitare le similitudini??? Ndte). Scusa se rispondo così deficientemente alla tua magnifica recensione (direi più bella della storia), ma tu mi conosci… Spero che Rori ti sia piaciuta; ho riflettuto sui motivi che potessero spingerla a stare con Shaoran e ho concluso che secondo me un po’ di strategia non avrebbe guastato (o almeno spero…). Grazie ancora per la recensione (ricorda di scriverla su Word, te lo dirò ad ogni capitolo!), ciao Diocleziana!

Sakura182blast:ciao Alacazip! In effetti nemmeno Sakura, come avrai letto, ripone molta fiducia in Tomoyo: il tempo guarisce, sì, ma spesso crea ferite i cui lembi non si possono proprio riunire (per dirla alla Sakura). A volte rileggo i primi capitoli della fan fiction e mi rendo conto di quanto la prima Sakura (che poi sarebbe uguale a quella originale) sia davvero poco sveglia, per non essere volgarità! Insomma, non voglio essere triviale, ma, come ben sai, non capiva un pene di nulla! Spero che Rori ti sia piaciuta e che l’abbia ritratta abbastanza realisticamente. Grazie mille per la recensione, non vedo l’ora di risentirti ancora, ciao! Uobafet ti manda un bacio!

Sakura93thebest: beh, non è che Sakura avesse dubbi riguardo ad un’altra (o forse più) relazione di Shaoran. Spero che Rori ti sia piaciuto come personaggio. Per il pistacchio sono fortemente d’accordo… Io direi un semino di uva! Grazie per la recensione, ciao!

Bene, allora grazie anche a chi ha solo letto, a prestissimo!

Francy

   
 
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