Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: MadLucy    08/06/2014    6 recensioni
Sono passati ormai otto anni dalla prematura morte di re Joffrey; ora sul Trono di Spade siede Tommen Baratheon, bello quanto ignaro, manovrato con fine astuzia dall'intraprendente moglie, Margaery Tyrell. Al Nord regna Bran Stark: il suo improvviso ritorno è avvolto in una caligine di mistero, così come il sinistro e devastante potere grazie al quale ha conquistato il comando; al suo fianco c'è la moglie Meera, ma a corte tutti sanno che il re passa le notti nel letto del suo consigliere più fidato. Quando, per vendicare i torti subiti dalla sua famiglia in passato, il principe barbaro Rickon Stark si sporca le mani di sangue Lannister e rapisce la principessa Myrcella, non si può più tornare indietro: è guerra. Che parte interpreteranno Sansa Stark, Yara Greyjoy e Gendry Waters in tutto questo? Tra amori conflittuali, alleanze strategiche e scandali a palazzo, i nuovi concorrenti possono schierare le pedine: e che il gioco del trono abbia inizio.
(Bran/Jojen; Rickon/Myrcella; Gendry/Arya)
Genere: Generale, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bran Stark, Myrcella Baratheon, Rickon Stark, Shireen Baratheon, Tommen Baratheon
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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XII. Nero fu il giuramento.






C'era molta più luce: innanzitutto, Bran prese atto di questo. Era ancora nel Parco degli Dèi -non c'erano esattamente indizi che facessero manifestamente intendere ciò, ma lui ne era quasi certo- eppure la visione era diversa da quella a cui aveva assistito, in un punto non meglio precisato del prima rispetto a quel lungo ed incomprensibile che adesso stava vivendo, respirando. Gli alberi, tutti i begl'alberi del cuore che aveva sempre potuto ammirare, non c'erano più: forse era proprio questo il motivo di tanta luce. I colori parevano definirsi a fatica, vinti dall'opalescente tendenza ad un chiarore annientante -quasi accidentali e pallidi riflessi d'un diamante crudo, esposto alla pienezza dei raggi del sole.
Il secondo dettaglio che stupì sinceramente Bran fu la sua stessa presenza. Non aveva fatto altro che contemplare passivamente la visione precedente, che si presentava come disegnata sulla pagina di un libro; in quel momento, invece, Bran era lì. Si portò una mano alla testa e la passò fra i capelli; le sue gambe, inutili come sempre, erano solo un peso inerte di fianco a lui. Poi si guardò intorno, senza che i suoi occhi riuscissero a soffermarsi su qualcosa: nemmeno Grande Inverno era all'orizzonte.
La scena era pervasa da un senso di sospensione, come se lì l'immobilità cangiante d'ogni elemento impedisse all'anima di misurare il tempo, confondendo gli spettatori in un torpore tranquillo. V'era persino qualcosa di minaccioso, nell'aria, e forse l'allarme era suscitato proprio dall'apparente assenza di qualsiasi rischio, dalla quiete stagnante che si profilava in un presente-passato-futuro indistinguibile. Tutto era troppo fermo -fermato. Tutto era troppo luminoso -illuminato. Una presenza impalpabile presidiava a tutto quanto, ma Bran, nonostante formulasse con assoluta lucidità tali riflessioni, non aveva paura.
Al posto del consueto stagno v'era un ruscello, dal corso lento e placido, senza fretta nè violenza. Era scarsamente profondo, tanto che Bran sarebbe riuscito a contare tutti i ciottoli rotondi disseminati sul fondale limaccioso, se solo glie ne fosse venuto il capriccio. A questo punto, chissà mai per quale motivo era ancora convinto di essere al Parco degli Dèi.
Non ebbe il tempo di pensarci, perchè la sua attenzione venne attirata: gli era sembrato di vedere qualcosa nell'acqua. Bran aguzzò lo sguardo e si sporse dalla riva verso la superficie, affondando i palmi delle mani nell'erba e facendo leva con le braccia. Quel qualcosa che aveva visto non era un oggetto, bensì un barbaglio di luce colorata, ammiccante, che prese forma fino a delineare delle immagini.
E, fra le lievi onde della corrente del fiume, Bran vide una tavola imbandita a festa. Scorse Robb, con i suoi ricci ramati e la barba folta sulle guance, più adulto rispetto all'ultima volta ch'egli l'aveva salutato. Sedeva al fianco d'una donna dall'aria esotica, con la pelle ambrata e lunghi capelli corvini, di cui però Bran non avrebbe saputo indovinare precisamente la provenienza. Era la consorte di suo fratello, e questo si comprendeva facilmente dal tenero modo in cui le loro mani si toccavano sul tavolo. Theon Greyjoy, arrogante e vigoroso com'era anni prima -non quello scheletro spolpato che dicevano fosse divenuto- stava ridendo sguaiatamente per una battuta sconcia, che di sicuro era stato lui a raccontare, e intanto lanciava sguardi laidi alla moglie di Robb. C'erano anche Eddard Stark, con i capelli ingrigiti dal tempo ma sempre con il solito sorriso saldo e pacato, e Catelyn: gli occhi azzurri accesi di gioia rendevano il suo viso incredibilmente bello e giovane, nonostante le rughe e i segni degli anni. Bran riconobbe addirittura se stesso, un adolescente che dimostrava metà dell'età che aveva e stava appollaiato sul ramo di un albero lì vicino, intento ad evitare le mele che Arya gli stava lanciando contro. I suoi occhi erano puliti di quasiasi dolore, proprio come quando aveva dieci anni, ed egli stava dondolando le gambe con indolenza: gambe che funzionavano. Nel frattempo a tavola un'irriconoscibile Meera, vestita come una vera lady, stava rispettosamente ascoltando Benjen Stark, che raccontava della sua ultima escursione al di là della Barriera: era evidentemente annoiata a morte, però non aveva il coraggio di liquidarlo. Jon Snow, intanto, si divertiva a scompigliare i capelli di un bambino di all'incirca cinque o sei anni; il piccolo si divincolò, scese con un balzo dalle sue ginocchia e corse a strattonare il mantello del nonno, per farsi prendere in braccio.
-Ned! Cosa fai? Comportati da bravo!- esclamò Talisa Maegyr al figlio, arrossendo ed evitando lo sguardo del suocero, dal quale pareva messa in soggezione.
-Non c'è problema.- rideva Eddard Stark, sollevando il bambino. -È legittimo che sia un po' viziato, non è vero, giovanotto?-
Robb scuoteva la testa, divertito. -Quando gli nascerà il fratellino, dovrà spartirsi le attenzioni di suo nonno... sarà geloso come un matto.-
-Bran, scendi da quell'albero, una volta per tutte! Arya, piantala di lanciare il cibo!- rimbrottava intanto Catelyn, alzando gli occhi al cielo. Il Bran appeso all'albero replicò con uno sguardo malizioso, mentre Arya si gettava all'attacco, tentando di trascinarlo giù per i piedi. A quel punto, Meera si voltò a guardarlo e si complimentò a gran voce con lui per i suoi riflessi. Bran avvampò in una maniera in cui egli credeva di non essere più capace.
-Fagli mangiare la polvere, Arya!- ridacchiava un ragazzino che Bran a prima vista non identificò. I boccoli bronzei gli si arricciolavano dolcemente all'altezza delle orecchie, e i suoi occhi erano uguali a quelli di Catelyn, d'un celeste diafano e gentile. L'intuizione che si trattasse di Rickon fu al pari di un pugno nello stomaco. Nessuna cicatrice sfigurava quel viso bianco e giovane, e lui sorrideva sereno -sorrideva, non
sogghignava- vicino ad una fanciulla dalle trecce verdi come l'erba fresca, elegantemente acconciate sul capo.
E dietro di loro c'erano altre persone, il maestro Luwin, la vecchia Nan tutta accartocciata su se stessa, Hodor che trascinava un tronco canticchiando
Hodor hodor hodor hodor, e Robb e sua moglie che si scambiavano un bacio fra i fischi di Theon e sotto lo sguardo intenerito di Jon...
Bran percepì una lacrima tiepida tagliargli lo zigomo. Basta, basta, stava implorando una voce nella sua mente, basta. Era una tortura. Non avrebbe guardato nemmeno per un istante di più, altrimenti gli sarebbe venuta la tentazione di allungarsi verso quella felicità irraggiungibile fino ad affogare. Quanto dolore sarebbe stato risparmiato. A lui, a Rickon, a Robb e Arya e Meera...
All'improvviso, provò la sgradevole sensazione d'essere osservato. Quando Bran voltò il capo verso sinistra, si accorse d'un tratto di non essere solo: stagliata contro il cielo terso, una fanciulla era come lui affacciata alle acque del ruscello. Il suo viso era molto grazioso, ma l'espressione era così austera da lasciare interdetti. Sembrava rinchiusa nella freddezza di un dolore esclusivo quanto intransigente, che nessun altro al mondo avrebbe potuto comprendere nè condividere. Le labbra erano piene e carnose, gli occhi scuri come il carbone e gli zigomi alti e pronunciati; il disegno dei capelli era un complesso, morbido scorrere di arabeschi e spirali, abbandonati con incuranza sulla schiena, a crescere come importuni rampicanti. La sconosciuta era appunto china sullo specchio d'acqua, proprio come lui; aveva le ginocchia a terra, a schiacciare l'erba e sporcarle la gonna, e il viso chino verso il basso, a sfiorare il petto flettendo il lungo collo. Bran si chiese cosa vedesse. Sulla superficie dell'acqua galleggiavano, lenti e pigri, avvizziti petali blu, dai margini frastagliati, deteriorati dal tempo, chiazzati di macchie giallastre.
-È quello che sarebbe stato.- La voce della ragazza risuonò alta e sferzante come il vento del Nord. -Quello che non avrebbe mai potuto essere.-
Bran la guardò, ma lei non alzò il capo. Non diede nemmeno segno di starsi rivolgendo a lui, però erano gli unici ad essere lì, quindi non c'era possibilità di fraintendimento.
-Come hai detto?- domandò lui.
-Anche io lo vedo spesso. Cosa sarebbe successo, intendo.- La ragazza s'ostinava a non sollevare il mento. Il suo sguardo vagava nelle profondità più recondite del torrente, ma le sue parole erano piatte ed asciutte. -Vediamo storie diverse, io e te, eppure il nostro dolore è lo stesso. Siamo destinati ai medesimi rimpianti. Il passato non ci lascerà mai andare.-
L'orlo blu della sua veste si protendeva largo nell'erba, stoffa sontuosa del colore del cielo estivo. Una corona di nudi sterpi, di spine aggrovigliate, giaceva di traverso sulla sua nuca.
Bran si accorse che, gradatamente, l'acqua prima cristallina aveva assunto una tinta rosata. Ben presto, il feroce odore del sangue giunse netto, definito ed inconfutabile alle sue narici. I suoi occhi scrutarono la superficie, per poi rivolgersi di nuovo al volto della donna, ponderatamente guardinghi.
-Tu sei mia zia Lyanna,- chiese cautamente, -vero?-
Impossibile non riconoscere quei tratti, quelle caratteristiche; impossibile non riconoscere la ragazza che aveva fatto dipingere in una delle sale di Grande Inverno. Il fantasma di suo padre, un personaggio di fiaba.
Lei non reagì. Rimase algida, impassibile, l'ombra bianca dell'amarezza calata sul viso e una fissità lontana nello sguardo scuro.
-Molti anni fa rispondevo a questo nome.- ammise a voce bassa, insondabile. -Amai un uomo, anche. La nostra non fu una storia che si racconta volentieri. Sono state tramandate molte bugie... ma ormai è troppo tardi.-
Lyanna immerse una mano nell'acqua, fino al gomito: quando la estrasse stringeva fra le dita un rubino dal colore abbagliante, in cui il sole si specchiò impunemente. Bran era sbalordito: lo stupore che gli colmava il petto lo fece sentire più leggero, più libero, più giovane, e gli ricordò di più il ragazzino che aveva visto nelle acque del ruscello anzichè il re del Nord ch'era diventato.
La fanciulla lasciò ricadere la pietra nell'acqua, con un fioco schiocco. Una tristezza inossidabile le pietrificava le iridi.
-Io sono morta, Brandon Stark. Quel che vedo in queste acque mi perseguiterà fino alla fine dei miei giorni. Ma tu sei vivo... e puoi ancora fare pace con il tuo presente. Puoi ancora perdonargli di non essere il futuro che volevi.-
D'un tratto, a pelo d'acqua affiorò qualcosa che inizialmente Bran non seppe riconoscere: sembravano argentei gambi di fiore. Poi Lyanna si chinò e la trasse fino a poggiarla in grembo. Il ragazzo inorridì nel realizzare che si trattava d'una testa: sì, una testa umana, il bianco viso d'un uomo dai fluenti capelli d'argento, dalle palpebre calate in un sonno eterno. Lyanna raccolse con una mano alcune ciocche dei capelli bagnati di Rhaegar Targaryen, le lisciò, le arrotolò, le lisciò ancora. Una tenerezza tristissima ed inesprimibile le inumidiva le ciglia.
-Puoi ancora ringraziare il cielo di averlo, un futuro.-
Bran fuggì lo sguardo struggente di sua zia, quasi spaventato da quel dolore. Lanciò un'occhiata al ruscello, quasi disperatamente, bramando per un'ultima volta quell'idillio da cui era inevitabilmente escluso. Le acque s'erano infrante e non mostravano più nulla, se non l'espressione angosciata di Bran.
Per la prima volta, lo sguardo di Lyanna e quello di Bran s'incrociarono.
-Se il fato ti vuole morto, devi morire. Ma se il fato ti vuole vivo... allora tu devi vivere, Brandon.- Qualcosa di simile ad un malinconico sorriso le incurvò le labbra. -Adesso sai cosa fare.-
Bran provò una specie di calore all'altezza del petto. 
-Credo di sì.-
Lyanna scomparve, in una nuvola di petali blu, mentre le note della melodia d'un'arpa si disperdevano nelle nebbie del tempo, riecheggiando nella polvere dei secoli. La risata di Rickon Stark annegò nelle acque del ruscello, che spazzavano via il passato come fa il vento con le foglie d'autunno.
***
Tyrion aveva sempre provato una strana titubanza di fronte a Sansa, anche se non era mai riuscito a spiegarselo. Aveva dovuto ammetterlo con sè stesso.
La sua opinione aveva un'inusuale rilevanza per il Folletto; inconsapevolmente, si era ritrovato spesso a chiedersi cosa la ragazza Stark pensasse di lui, per poi ricordarsi che non avrebbe dovuto importargli affatto. Al tempo in cui l'aveva sposata, si guardava con i suoi occhi e si vedeva tozzo, deforme, grottesco come un guitto, e -al contrario di come succedeva nella stragrande maggioranza delle volte- si sentiva in colpa di questo nei suoi confronti. Sansa meritava di meglio, solo questo riusciva a pensare: poco importava se non era stato lui a decidere tutto ciò. La razionalità aveva poco a che fare. E Tyrion riteneva che non esistesse nulla di peggio di vergognarsi di sè.
I giorni al fianco della sua giovanissima moglie erano stati insostenibili per entrambi. Lei masticata dalle mandibole di un dolore devastante, lui costantemente vincolato dal proprio imbarazzo. Quando Sansa era fuggita, era stato quasi un sollievo: e Tyrion, segretamente, aveva proseguito a pensare che l'avesse fatto a causa sua, a causa del disgusto che provava per il suo marito nano. E anche se fosse stato? Sansa era solo una sciocca, frivola, sprovveduta ragazzetta di sedici anni. Il suo giudizio non avrebbe dovuto nemmeno sfiorarlo.
Il tempo era trascorso, la giovane Stark era diventata una donna. Il Folletto aveva spesso vagheggiato riguardo il suo destino, s'era chiesta dove fosse, come stesse... per poi ricordarsi che non avrebbe dovuto importargli affatto.
Aveva temuto quel confronto per molto tempo, e allo stesso tempo aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe avvenuto. Invece, ora che stava realmente accadendo, Tyrion provava soltanto una sorta di imprudente astio, di derisoria rabbia. La strana umiliazione che lo aveva sempre afflitto, per modo di dire a causa sua, riaffiorò come una vecchia ferita stuzzicata.
Fissò la ragazza di fronte a sè, serrando gli occhi in due fessure.
-Voi Stark dovreste cambiare il nome della vostra casata in A volte ritornano. Fra un po', arriverà anche tuo padre senza testa a chiedere vendetta. Ce n'è almeno uno, della tua famiglia, che sia morto sul serio?- Quel salace sarcasmo inasprì le labbra della sua interlocutrice in una smorfia rigida.
-A volte ritornano, sicuramente non grazie ai Lannister.- Sansa lo corresse con freddezza. -Non prenderti gioco di me. L'avete già fatto troppe volte. Non posso più tollerarlo.-
Persino la sua voce era diversa da come la ricordava -ovvio che era diversa. Era più simile al graffiante stridio del ferro sugli scudi, alle dita dell'inverno lungo la spina dorsale. Una crudeltà che non le era mai appertenuta -che non le sarebbe mai dovuta appertenere- s'era impossessata di lei come un morbo.
Tyrion parlò come se non avesse udito. -A Nido dell'Aquila, Ditocorto ti ha nascosta così bene che non sono riuscito a trovarti. Dov'eri? Lo chiedo così, per curiosità intellettuale.-
Sansa scosse il capo, gli occhi ancora affilati. -Tutto questo non ha più la minima importanza, Folletto.-
-Oh, adesso non sono più "il tuo lord"?- Tyrion scoppiò a ridere, e le sue stesse orecchie riconobbero quel suono come un concentrato d'amarezza. -Adesso sono il Folletto.- 
La fanciulla rispose con una fermezza che, un per solo istante, parve intristirla e velarle le iridi, in un breve ma appassionato conflitto fra il dolore dei ricordi e la necessità di quella forza che non doveva abbandonarla.
-Adesso, e per sempre, sarai un Lannister. Tanto mi basta.-
Il silenzio era tremendamente ostile.
-Cosa volevi fare ai miei nipoti, Sansa Stark?- domandò Tyrion, mentre il suo sguardo inquisiva gli occhi della ragazza con una franchezza crudele.
Ma Sansa non si lasciò prendere alla sprovvista così facilmente, nonostante quell'accusa fosse funesta ed implacabile come solo l'autentica espressione della verità può essere.
-La stessa cosa che tuo fratello voleva fare al mio dieci anni fa.- proferì prontamente, senza distogliere lo sguardo.
-Sangue innocente per sangue innocente? È così che vuoi giocare questa partita?- Tyrion era disgustato. -Vuoi rimediare ad un'ingiustizia con un'ingiustizia doppiamente spietata?-
-Solo ed esclusivamente la vittima di un'ingiustizia ha una qualche motivazione per volerne compiere una.- osservò lei, a voce piatta.
Il Folletto sogghignò beffardo. -Quindi, in fondo, non sei tanto migliore di mia sorella Cersei. Perchè stai facendo proprio quello che faceva lei, no? Uccidere indiscriminatamente ogni minaccia per la propria famiglia... anche nel caso in cui questa minaccia sia rappresentata da un bambino in fasce.-
-Non cercare di rifilarmi il tuo moralismo da quattro spicci, Folletto!- Sansa scattò come una fiera a cui fosse stata pestata la coda. Il suo viso avvampò di dispetto. -Sappiamo entrambi perfettamente che tipo di minaccia può essere un bambino in fasce. Io sto semplicemente vendicando il sangue dei miei familiari. Quello che tutti a questo mondo fanno!- Tentò di controllarsi, sebbene il suo cuore martellasse fervido d'indignazione. Assunse l'espressione più altera che le riuscì. -Se il tuo intento è farmi credere di essere dalla parte del torto, sei rimasto con il pensiero a otto anni fa. Non sono più la bambina che voi Lannister vi rigiravate fra le mani come vi andava comodo.-
Quasi a sottolineare la veridicità di quelle parole, uno stuolo di soldati avanzò alle spalle di Tyrion, impedendogli di retrocedere.
-Vendetta dopo vendetta, neonato dopo neonato, dove arriveremo?- Il Folletto sospirò, ignorando i nuovi venuti. -Lionel e Nathaniel non sono qui. Si trovano fuori città, al sicuro dalle vostre grinfie. Cosa intendi farmi ora, Sansa? Avanti, sono un arcimaledetto Lannister, sono solo ed indifeso. È il momento perfetto. Cosa aspetti, liberati di un problema e fammi tagliare dal collo questa brutta testa deforme.- Non si era nemmeno accorto di come la sua voce si fosse progressivamente caricata di rabbia.
Sansa lo fissò a lungo, quasi stesse valutando l'intera sua figura. Nel suo sguardo non c'era nè esitazione nè subbuglio, nè pentimento nè commozione, solo una lapidaria calma. I soldati attesero trepidanti i suoi ordini, pronti a sfoderare le spade. Prima che lei parlasse passono istanti lunghi, quasi infiniti.
-Il Nord non dimentica. Allo stesso modo, io non dimentico. Nè coloro che mi hanno fatto soffrire, nè chi è stato gentile con me. Per questo ti concedo dieci minuti per sparire dalla Fortezza, prima che arrivi mio fratello Rickon e ti faccia fuori.-
-Mi concedi dieci minuti? Ma che gentile.- Tyrion la sfregiò con lo sguardo. -Io farei un po' più attenzione a quel che succede a quell'altro tuo fratello, piuttosto che cercare di uccidere i figli infanti degli altri.-
Secondo ordine di Sansa, gli uomini lo lasciarono passare. Mentre usciva dalla stanza e si allontanava nel corridoio, egli non udì nulla. La voce di lei squillò sospettosa soltanto quando Tyrion ormai era sulle scale.
-Aspetta, cosa intendi?-
Nel frattempo un furioso Loras, i riccioli follemente spiegazzati dietro la nuca e la fronte luccicante di sudore, insanguinato da capo a piedi dalle viscere dei nemici che aveva squartato, s'era imbattuto in una bizzarra comitiva: Tommen, scosso ma illeso, sua sorella Margaery, infiammata dall'adrenalina, e Brienne di Tarth, che come al solito resisteva stoicamente agli eventi: servivano gli sforzi congiunti di tutti e tre per immobilizzare una ragazzina che si dimenava come una bestia in trappola, e che Loras, non senza impegno, identificò infine e con sconcerto come Myrcella Lannister.
-Come ti è saltato in mente di scappare via di nascosto dalla mia sorveglianza?! Mio re, la tua vita è immensamente preziosa, ed la tua è stata una pazzia!- lo apostrofò, atterrito all'idea del pericolo che il suo sovrano aveva corso, ed allo stesso tempo sollevato all'idea che tutti sembrassero illesi. -Cosa diamine è successo?-
Tommen s'era effettivamente staccato dal fianco di Loras ed era fuggito senza dirgli nulla, per poter andare nella torre ad avere la sua rivincita su Rickon.
Margaery gli sorrise, illuminandosi a vederlo. -Bello vederti, fratellino.-
-E tu cosa ci fai qui?!-
-Pensavi sul serio che me ne sarei rimasta buona buona in cella?- fu la risposta che da lei ottenne, accompagnata da un'occhiata scettica.
-Rickon Stark è morto.- rivelò Tommen, tutto d'un fiato, euforico. -Brienne l'ha ucciso.-
Loras rimase senza parole per qualche istante.
-Morto? Davvero... morto?- Era tentato di scoppiare a ridere, ma sarebbe stata una risata decisamente isterica. Uno dei loro avversari più temibili era fuori gioco, e così non avrebbe più potuto far male a nessun Lannister e nessun Tyrell... però il castello era sotto assedio, perciò cos'altro si poteva comunque fare?
-Dobbiamo scappare, Maestà.- gli ricordò precipitosamente il Cavaliere di Fiori. -Ho promesso a tuo zio Jaime che ci saremmo incontrati e saremmo fuggiti insieme, con lui e Tyrion.-
-Myrcella non potrà andare lontano.- intervenne Brienne, cupa. -Credo che stia male.-
Tommen rivolse lo sguardo alla sorella, che nel frattempo era scivolata a terra. Myrcella stava ansimando rumorosamente, le mani paonazze colte da un tremito convulso, piantate sul pavimento come sostegno; il capo oscillava, scuotendo i lunghi capelli sporchi di polvere, e dalle labbra sgranate dai gemiti febbrili sgusciavano parole altissime e disarticolate.
-Voi... io vi ucciderò tutti. Tutti. Vi ucciderò... tutti. Dov'è?! Dov'è? Voi! Ancora del male, gli avete fatto ancora... del male... non gli avevate fatto abbastanza male?! Dovevate... dovevate anche... siate maledetti!-
Tommen sfiorò inavvertitamente il sottile graffio, ancora orlato da un filo di sangue vivo, che Myrcella aveva aperto sul suo petto, e provò ad immaginare cosa sarebbe stato se Brienne non avesse disarmato la fanciulla in tempo. Myrcella aveva tentato di ucciderlo... e quando l'aveva fatto, c'era la follia di Rickon Stark nei suoi occhi animati di furore.
Margaery aggrottò la fronte. -Ho ancora dei soldati di mio padre, che so rimarranno fedeli alla nostra causa. Non appena usciremo di qui, io e Myrcella potremmo rimanere nei loro accampamenti, mentre voi trovate un modo per fuggire da Approdo del Re.-
-Non appena usciremo di qui.- ripetè Loras, beffardo. -È una parola...-
-Fuggire da Approdo del Re? Impossibile, temo, mia signora.- commentò Brienne, rigidamente. -Se fosse così semplice, non saremmo nei guai. Scommetto che la prima cosa a cui il Re Metamorfo ha provveduto è assicurarsi che nessun componente della vostra famiglia sopravviva all'assedio, e che quindi abbia messo sotto controllo tutte le uscite.-
Ma furono le parole di Tommen quello che ferirono la donna più a fondo. -E poi, per quale motivo dovrei fidarmi di te? Tutto quello che è successo non mi ha certo fatto dimenticare che tu sei stata la prima a tradirmi, Margaery.-
Lei abbassò lo sguardo, quasi vergognandosi di fronte a quella verità. -Non posso negarlo. Però davvero, marito mio... forse non mi presterai fede, però... da quando sono nati i bambini, mi sembra che sia passato un secolo. Tenerli fra le braccia mi ha fatto capire molte cose... O meglio, ha ridimensionato molte cose. Finalmente mi sono resa conto di quanto irrisorio fosse-
-Mi dispiace interrompere un discorso così commovente, ma dobbiamo assolutamente raggiungere Jaime.- sbuffò Loras, facendo loro segno di darsi una mossa. Aveva la netta impressione che Margaery stesse solo recitando, come al solito: era troppo inusuale sentirla parlare così. La sua redenzione gli pareva un bluff. La spiegazione, l'unica che avesse un senso, era che la sorella semplicemente aveva valutato quale posizione sarebbe stato più vantaggioso assumere e si era comportata di conseguenza.
Controvoglia, Tommen annuì e fece cenno alle due donne di seguirli. Non sapeva se fidarsi di Margaery fosse saggio, però voleva farlo così disperatamente che magari avrebbe potuto anche cascarci di nuovo. Che razza di re è, quello che si lascia abbindolare dalla sua regina, pendendo dalle sue labbra e obbedendo come una marionetta? Già prima si era comportato da sciocco, quando Margaery gli aveva afferrato devotamente le mani e gli aveva chiesto dove fossero i loro figli, e lui era rimasto così folgorato dalla bellezza di quel nostri da arrossire di gioia e cinguettare una risposta, come se nulla fosse, come se non avesse dei buoni motivi per odiarla. Si era fatto incantare da lei come un cretino, ma... non doveva accadere più.
Ignorò gli occhi gonfi di supplica di sua moglie e avanzò, confuso. D'un tratto, deprecò il fatto che sua madre non fosse accanto a lui, a indicargli la strada giusta. Sentiva un tremendo bisogno di aggrapparsi ad uno scoglio -ed attorno a sè vedeva solo il mondo andare alla deriva.
***
Tyrion ricordava le ultime parole che aveva rivolto a suo fratello Jaime; così, dopo aver attraversato nuovamente la calca della battaglia, scese fino ai piani inferiori e finalmente, un moto di sollievo ad avvincergli il respiro, pose la mano sulla porta dell'ingresso secondario delle stalle.
Quando entrò, molti sguardi scattarono verso di lui. Jaime fu il primo a parlargli, alzandosi dal mucchio di selle impilate l'una sopra l'altra.
-Dov'eri finito?! Non ci speravo più, ormai...-
-Pagavo un debito, come un vero Lannister.- Tyrion si limitò ad un sorriso sghembo, senza dare ulteriori spiegazioni, nonostante lo sguardo esplicativo di Jaime lo incalzasse da questo punto di vista. -Myrcella è qui...? Rickon Stark non è salito sulla torre?-
Tommen raggiunse lo zio a rapide falcate e lo abbracciò, felice di vederlo. Sorrise trionfante. -È salito, invece. Ed è anche morto.-
Un gemito prolungato e cruento, dal sapore del sangue e della cenere, squarciò la bocca di Myrcella, mentre lei sollevava il capo, esponendo la gola. Poi s'abbandonò di nuovo al suolo, mentre i singhiozzi le percuotevano la gola, risuonando come una supplica ormai monocorde e lamentosa.
Il Folletto spostò lo sguardo dalla nipote al re, troppo distratto da quella notizia per prestare attenzione al triste spettacolo, e sgranò gli occhi sgomento.
-Come hai detto?! E chi è stato?!-
-Brienne. Sapevo che metterla come guardia per Myrcella era una buona idea.- replicò Jaime, lanciandole un'occhiata di approvazione.
Tyrion sentì il cuore accelerare sotto il farsetto. Rickon Stark, tolto di mezzo per sempre... il suo sangue, spanto per asciugare quello di Tywin e Cersei Lannister. Era il meglio che potesse capitare loro. Myrcella incolume, ancora lì, e quel piccolo bastardo fuori dalle scatole... adesso bisognava soltanto far sì che la seconda parte del suo piano avesse successo.
Tommen rinsaldò la presa sulle spalle dello zio. -Come faremo a scappare dalla città? Brienne dice che è impossibile...-
-Infatti è così. Insieme siamo una comitiva che attira troppo l'attenzione, da soli moriremmo dispersi. È per questo che non fuggiremo.-
Margaery s'indignò. -Il fermento della guerra ti ha forse fatto perdere il senno, lord Tyrion? Stai consigliando di lasciarci morire qui?!-
-Anche se non è granchè, ci tengo alla mia miserabile vita.- ribattè Tyrion, intimandole di ascoltare. -Stavo dicendo che anch'io ho una notizia per voi. Brandon Stark è stato rapito.-
-Cosa?- esclamò Tommen.
-E Jaime lo salverà.- aggiunse suo zio.
-Cosa?- gli fece eco Loras, sbalordito.
-L'unico modo per sopravvivere è ottenere il perdono dal nostro nuovo re bastardo, e di conseguenza dal suo alleato.- spiegò il Folletto. -Se Jaime salverà il re del Nord, lui in seguito si sentirà in dovere nei suoi confronti e lo risparmierà... e c'è da supporre che lo stesso farà con tutti noi. D'altronde, sappiamo dove lo storpio è tenuto prigioniero.-
Tommen lo interruppe. -Perchè deve farlo lo zio Jaime?! Non posso occuparmene io?-
Si sentiva un po' offeso dal fatto che nessuno avesse pensato di includerlo, che non l'avessero nemmeno preso in considerazione, che non si fossero disturbati a chiedergli se avesse voglia di farlo. Dopotutto, suo zio era più esperto, ma anche più vecchio. Si fidavano così poco del suo coraggio e del suo valore? Sì, forse non era il combattente migliore dei Sette Regni, però... però odiava l'idea che tutti, così come Myrcella aveva detto, lo considerassero un re ottuso ed incapace.
-È molto pericoloso, Tommen.- s'azzardò a dire Jaime, cautamente. -Non sappiamo nemmeno esattamente con chi abbiamo a che fare. Forse è meglio se lasci fare a me e Brienne. Se noi morissimo, infatti, voi ci piangereste un po' e basta. Se tu morissi, sarebbe la fine per tutti noi. Hai sedici anni, sei l'erede dei Lannister, padre di due creature appena nate... Non possiamo farti correre un rischio simile.-
Tommen esitò per pochi istanti, poi annuì timidamente. -Certo, zio. Scusa se ho parlato come un bambino capriccioso.-
Decise di tacere e tenere per sè i propri tentennamenti, ma Tyrion intuì ugualmente la sua delusione. 
-Se proprio ci tieni a renderti utile, nipote, potresti sempre offrire il culo a Bran Stark e diventare il consigliere numero due.- gli propose affabilmente. -Dopotutto, sei un bel ragazzino. Ed ecco, sarebbe l'ennesimo dei miei problemi risolto con la prostituzione...-
Tommen avvampò sulle guance ed abbassò lo sguardo, imbarazzato. -Zio Tyrion, non essere sgradevole.-
Il Folletto chiese venia con un ghigno. Loras era dubbioso.
-Dunque quali saranno le nostre prossime mosse?-
-Io, Tommen, Margaery e Myrcella raggiungeremo gli accampamenti dei soldati Tyrell, e lì rimarremo. Loras, tu ci scorterai: non si è al sicuro da nessuna parte, in questa dannata città. In quanto a voi, vi dirigerete al luogo dove tengono Brandon Stark rinchiuso. Brienne, Jaime e i pochi uomini che ci restano attenderanno il momento propizio per salvare il ragazzo... e poi si vedrà.-
Tyrion, dopo aver pronunciato quelle parole, pensò a Shae e Cailee, lontane a Castel Granito. Chissà se sentivano la sua mancanza come lui sentiva la loro, e chissà se le avrebbe riviste... tutto sarebbe dipenso dall'esito di quell'impresa. Chi avrebbe immaginato che sarebbero arrivati a quel punto? A dover salvare i propri stessi nemici per sopravvivere? Come gli era già capitato un'ora prima, immaginò lo sprezzante moto d'orgoglio che avrebbe impedito a Cersei di agire in maniera ragionevole. Lei non si sarebbe mai piegata a salvare uno Stark, a chiedere pietà strisciando sotto il trono del bastardo d'un uomo indegno. Avrebbe preferito morire ammazzata dai soldati del Nord nel tentativo di evadere dalle mura di Approdo del Re, o, ancora meglio, fermata mentre alzava un pugnale contro Arya e Sansa. Cersei non avrebbe mai smesso di combattere. Cersei si sarebbe comportata come una vera leonessa. E Cersei sarebbe morta. Invece Tyrion e Jaime sarebbero rimasti vivi, avrebbero usato l'ingegno al servizio della spada. Avrebbero salvato Tommen e Myrcella e i due piccoli gemelli. La dolcezza di quella speranza rammentò a Tyrion fino a che punto fosse stanco: le palpebre erano quasi cascanti. Quanto tempo era che non prendeva sonno?
-Dobbiamo agire in fretta.- lo riscosse Jaime. -Non cincischiamo.-
Myrcella cacciò un urlo intriso di panico. -No! No! Non potete...! Lui vi ucciderà! Vi ucciderà tutti... lui deve uccidervi tutti... Lui è forte. Più forte di chiunque altro. Perchè volete fargli ancora del male?!- Portò le ginocchia al petto, rannicchiata, sdraiata sul fianco contro la paglia. -Vi ucciderò tutti... vi ucciderò...-
-Fatela tacere.- sbottò Tommen. -Non ne posso più dei suoi balbettii senza senso. Andiamo, prima che ci trovino.-
Brienne non incontrò alcuna resistenza quando prese Myrcella fra le braccia; la ragazza era ormai troppo debilitata per difendersi. Se prima scalciava e graffiava alla rinfusa, selvaggiamente, ora il dolore l'aveva stremata ed aveva preso il sopravvento su una mente suggestionabile ed un corpo già debole. La sua fronte, rossa e palpitante, era bagnata di febbre. Le labbra parevano d'un tratto inaridite, così come gli occhi erano liquidi d'incoscienza. Brienne ricordò l'estrema espressione sul volto di Rickon Stark, quello strano, incredulo stupore per la fine, quasi che mai avesse immaginato che potesse toccare anche a lui. Come hai potuto essere così ingenuo, proprio tu? si chiese la donna. Come hai potuto ignorare l'evidenza che il male che hai fatto ti si sarebbe ritorto contro? Era solo un bambino, fu la risposta che si diede. Ma non contribuì a farla sentire meglio. Forse, salvare Bran Stark avrebbe potuto minimamente assolverla dal suo delitto?
Rickon Stark se lo meritava, si ripetè. Ma dovette smettere subito: ogni volta che lo faceva, nella sua mente lampeggiavano i fieri occhi azzurri di Catelyn Stark.
Myrcella gemeva a lutto. Tyrion meditava in silenzio. Tommen, il cuore in gola, sperava. Jaime correva a cercare l'elsa della spada con la mano sinistra.
***
Arya sapeva che avrebbe ricordato per tutti i giorni a venire, fino all'estrema vecchiaia, il momento in cui lei e Gendry avevano fatto irruzione nella sala del trono -come il più glorioso della sua vita. Sembravano i protagonisti di un'epica leggenda, di una vecchia fiaba capace per l'eternità di ammaliare i bambini, mentre spalancavano le porte e si facevano largo fino ai famigerati gradini sferrando fendenti a destra e a manca; l'attonita euforia sui volti dei soldati diede loro ad intendere che quella storia avrebbe vissuto per secoli di bocca in bocca. Era stato come riconquistare il posto che le spettava nella sua vita, come effigiarsi nuovamente del nome di Stark. Di più: era stata la sua vendetta contro quella fortezza tanto detestata, teatro di sciagure aspre oltre ogni immaginazione, fossa di vaghe fantasie che, delineandosi sempre più distintamente, si erano rivelate mostri.
Annaspando nel sangue fino alle ginocchia, amputando teste, trafiggendo scudi e gridando affannosamente parole di una lingua che non conoscevano, Arya e Gendry erano giunti ai piedi del Trono di Spade. L'avevano guardato dal basso verso l'alto, come i bambini fanno alle pendici delle montagne. All'improvviso, proprio quando i pericoli erano scomparsi all'orizzonte e il traguardo era così vicino, era quasi sorto il dubbio se non fosse meglio scappare via. Perchè Arya lo sapeva, in fondo, che i pericoli non erano affatto scomparsi, bensì cominciavano in quel preciso istante. Gendry piangeva, senza schiudere la bocca nè liberare un singhiozzo, lasciando soltanto che le lacrime disegnassero sfregi bianchi sulle sue guance annerite di cenere, salando il sangue secco sulle sue labbra e sul collo. Arya non l'aveva fatto, però riusciva a capire come egli si sentisse, e non aveva commentato. Alle loro spalle, la battaglia che infuriava era soltanto un brusio indistinto. Il cuore nei loro polsi era un tamburo di guerra. D'un tratto tutto il sangue che avevano versato ritornava sangue, tutte le vite che avevano strappato ritornavano vite, paradossalmente nel momento in cui non lo erano più.
Era costata cara l'ambizione, prima di scoprirla come un desiderio nel proprio cuore si aveva dovuto perdere molto, quasi tutto. Era costato caro il tragitto, dall'intenzione di percorrerlo alla determinazione nel perseverare, e denti e artigli di molte fiere avevano lasciato il segno su quella pelle che ormai recava incisa la loro storia. Era costato caro il trionfo, solo allora se n'erano accorti. Ma non importava. All'improvviso, non importava. Andava bene così.
Un principe più avido -un ragazzo più stupido- si sarebbe precipitato a sedersi su quello scranno, come se mille nemici invisibili potessero minacciarlo, se non avesse fatto presto. Ma Gendry non era un principe, non era avido, non era più un ragazzo e non era stupido, perchè sapeva che per regnare sui Sette Regni non era mai bastato sedersi sul Trono di Spade -per regnare su qualsiasi regno non sarebbe mai bastato sedersi su un trono.
Gendry aveva voltato il viso verso Arya, senza nemmeno cercarla: la sapeva lì. Arya aveva fatto lo stesso. Per qualche istante, la consapevolezza non aveva necessitato di parole.
A quel punto, forse lei aveva sorriso -i ricordi cominciavano già a diluirsi.
-Ci sei arrivato, alla fine.- Le era quasi parso di prenderlo in giro. Le era quasi parso sciocco cercare di palesare qualcosa che nessun idioma avrebbe mai potuto esprimere.
-Ci siamo arrivati. Ti sbagli sempre.- Gli occhi di Gendry, in mezzo al fumo e alla polvere e al sangue, sembravano folgori. Per un istante -uno solo- Arya aveva percepito un brivido di reverenza percorrerle la spina dorsale. -Diventa la mia regina, Arya Stark.-
Era stato difficile sottrarsi a quello sguardo -a quell'ordine, decisamente il primo vero ordine del Lord dei Sette Regni. Un po' maleaugurante. Il primo ordine impartito era anche il primo disatteso. Arya aveva deciso di rivelare la verità.
-Il potere rovina le persone, Vostra Grazia.-
Gendry aveva piegato le labbra in un sorriso triste, nell'udire quell'appellativo. -Significa che vuoi rovinarmi?-
-Significa che sono sicura che non ti lascerai rovinare.- La ragazza cercò le tracce del sangue di tutti i re che erano stati trafitti dal loro stesso scranno. Vide quello di Aerys Targaryen, quello di Robert Baratheon, quello di Joffrey Lannister. -Per quanto riguarda me, non posso affermarlo con la stessa sicurezza.-
Gendry studiò la sua espressione assorta, le sopracciglia scure ed aggrottate sopra gli occhi amari, le cicatrici ramificate come vene sul suo collo.
-Ti amo anche per questo, milady.-
-Se mi chiami di nuovo così, fra poco non avrai più un cuore per farlo.-
Nel bel mezzo dell'inferno, nel bel mezzo del fuoco e del sangue, l'aveva baciata. Arya aveva pensato che Sansa l'avrebbe trovato romantico, e che a lei sembrava solo rivoltante. Aveva pensato pure di insultarlo e tirargli un cazzotto, ma poi si era dimenticata di farlo. Le piaceva, Gendry, in fondo. Le piaceva quasi tutto, di Gendry. Le piaceva pure il suo odore, anche se non avrebbe saputo spiegare esattamente quale fosse. Si trattava di un connubio particolare, che innescava una sensazione di benessere e rievocava ricordi remoti; qualcosa che le rammentava il muschio balsamico, le rocce scaldate al sole, e... e altre cose che non è necessario specificare. E quando lui l'aveva baciata, si era sentita come in cima al mondo.
Prima di abbandonare la sala, a battaglia terminata, mentre i cadaveri venivano raccolti e le armature depredate, Arya aveva lanciato un'ultima occhiata fiduciosa al Trono di Spade. Il sangue di Gendry non avrebbe mai bagnato quelle lame. Come certezza era sufficiente, anche per una vita intera.
In quel momento, Arya e Gendry sedevano alle sponde del letto dove Rickon Stark era stato coricato. Gli avevano levato farsetto e camicia, lasciandolo a torso nudo; in questo modo la ferita alla gola era ben esposta e risaltava in una maniera quasi disturbante. Tutti gli anelli della catena avevano calcato impronte di sangue sulla sua pelle, incidendola fino alle vene. Lì la carne era particolarmente delicata, e di sicuro Brienne di Tarth lo sapeva, quando gli era saltata addosso. Al solo pensiero che qualcuno avesse aggredito suo fratello per ucciderlo intenzionalmente, Arya sentiva il cuore ardere di sdegno e i pugni tremare, come le era accaduto molti anni prima, alle Torri Gemelle, il giorno della morte di Robb e sua madre. Un suo caro in pericolo e lei che non era riuscita a proteggerlo... una storia già sentita. Da quel poco tempo che Arya si era ricongiunta con Rickon, l'aveva visto sempre forte, spudorato, arrogante, quasi intoccabile: di certo non bisognoso di protezione. E per questo aveva dimenticato di essere la sua sorella maggiore, di avere il dovere di stargli sempre accanto e di non fargli correre rischi... era stata così stupida, a permettergli di attuare quel piano così pericoloso. E adesso, per colpa della sua leggerezza, era così. Con lividi lì dove le dita del ferro l'avevano strangolato, orribili chiazze rosse prossime a diventare viola e nere... con quell'espressione assopita di bambino intento ad un lungo sogno.
Non poteva fare niente. Non aveva mai potuto fare niente. Inutile viaggiare tutto intorno al mondo, e non si trova davvero ciò che si sta cercando. Arya credeva di avere raggiunto il suo obiettivo ma, non appena aveva visto il corpo martoriato di Rickon, ogni altra cosa s'era ridotta in cenere. L'umana debolezza di un'identità di cui non si sarebbe liberata mai la esasperò di nuovo. Invidiò Jaquen H'gar, capace di assumere mille visi, mille nomi, mille passati; invidiò il suo antico maestro Syrio e sua madre e suo padre e suo fratello maggiore, finalmente in pace, esonerati dal tramestio di quel gioco senza regole. Perdere coscienza del proprio cuore l'avrebbe aiutata a ritrovare se stessa, a ritrovare la propria forza? Avrebbe raccolto abbastanza coraggio per la vendetta? Si sentiva stanca di tutto, nauseata dal sangue, disgustata dalla morte. La crudeltà d'un silenzio privo d'aiuto e conforto la circondava come una crisalide di solitudine.
Gendry, di fronte a lei, capiva di essere escluso da quella sofferenza e non osava proferire parola. Era tentato di carezzarle il viso, di baciarla e sussurrarle che tutto sarebbe andato per il meglio, che erano insieme adesso e per tutta la vita, e che lui avrebbe fatto andare tutto come lei voleva, che si sarebbe adoperato per risolvere ogni suo desiderio: però Arya era Arya, e sicuramente avrebbe frainteso quel tentativo di conforto come un'accusa di fragilità femminile e si sarebbe offesa. Quando si parlava di sentimenti, la ragazza che amava non era capace di quella cruda franchezza che adoperava per qualsiasi altra cosa. Così il nuovo re dei Sette Regni si limitava a starle vicino con la propria concreta presenza. Di tanto in tanto, un attendente o un messaggero accorreva riferirgli qualche novità di poco conto, che lui accoglieva con un cenno del capo. Aveva davvero molto da fare -era o non era il re, adesso?- però di lasciare la giovane Stark da sola, in un momento simile, non se ne parlava. Di notizie riguardo i Lannister, poi, ancora non ne erano arrivate: eppure, non potevano essere andati troppo lontano.
Nymeria urtava la mano di Arya con il proprio muso umido e la leccava con la lingua rasposa, tentando di distrarla ed attirare la sua attenzione, ma la ragazza la ignorava. Cagnaccio era sdraiato ai piedi del letto e vegliava il suo padrone con i grandi occhi verdi, lanciando a volte sguardi foschi ad Arya, quasi a dirle: se mi avessi lasciato andare con lui, niente di tutto questo sarebbe successo.
Come accadeva puntualmente allo scadere di ogni mezz'ora, un Maestro gli s'accostò e verificò rapidamente le sue condizioni. Posò il palmo sul petto del ragazzo, esaminò le ferite sul collo e gli sollevò una palpebra con due dita. Arya, quando era entrato, l'aveva a malapena notato; ma ad un certo punto dovette insospettirsi, perchè l'uomo, nonostante i minuti passassero, era ancora lì.
-Ci sono progressi?- domandò allora, mentre il calore della speranza le gonfiava il petto. Ma quando l'uomo si voltò, vedendo la sua espressione impietosita, Arya percepì soltanto qualcosa di nero ed indistinto farsi largo nel torace, come il fumo caliginoso d'un incendio devastatore.
-Ormai è incosciente da molto tempo. Le funzioni vitali stanno rallentando. La catena potrebbe avergli causato un'emorragia interna. Signora, non sono affatto sicuro che si riprenderà.-
Arya tacque. Gendry e il vecchio si scambiarono una breve occhiata.
-Non c'è proprio nulla che possiamo fare per lui?- domandò il re, lentamente. Il Maestro si strinse nelle spalle.
-Pregare i Sette, suppongo. Ad ogni modo, se fossi in voi, mi preparerei a lasciarlo... sì, insomma, a lasciarlo...-
-... morire?- La voce di Arya cadde rapida e tagliente come una ghigliottina. Gendry sospirò. Fece il giro del letto e le si avvicinò.
-Arya, ascolta-
-Ho ascoltato abbastanza.- La ragazza fissava il collo di Rickon come se volesse affondare un coltello nelle pieghe della sua carne. -Ho ascoltato tutto quello che mi importava ascoltare.-
-Arya.-
-È finita. Non mi interessa. Non mi deve interessare.-
Gendry le girò la faccia con uno schiaffo, che avrebbe rotto senza problemi lo zigomo d'un viso più delicato. Arya rispose ferocemente con una sberla, che il ragazzo incassò ed a cui replicò con un pugno. Lei, gli occhi accesi come braci incandescenti, gli allungò di rimando un altro pugno, che però Gendry schivò. Ed Arya ci provò ancora, ed ancora, ed ancora, finchè lui non avvolse la mano serrata di lei nel proprio palmo striato da vecchie cicatrici -tanto grande da far scomparire completamente il pugno della ragazza. I loro sguardi s'incontrarono e rimasero così, fissi l'uno nell'altro come una freccia in un bersaglio, e tanto fremente era quello di Arya quanto severamente fermo e saldo quello di Gendry. Fu un confronto lungo e necessario.
La giovane Stark non sapeva esattamente quanto tempo dopo era ricaduta sul petto di Gendry, senza forza, senza dolore, senza rabbia, non sapeva quanto tempo dopo la sua anima aveva trovato la dolcezza del riposo; il Maestro se n'era andato, lasciandoli soli, e Gendry le stava accarezzando ritmicamente la nuca, bisbigliando parole di cui nessuno dei due conosceva il significato, ma che li faceva sentire parte della stessa anima.
Arya non pianse fra le sue braccia. Rimase inerte, ignorante, cieca, finalmente distante da tutto quell'ammasso di cadaveri e macerie. Si permise la stanchezza e il perdono, ma si risparmiò l'arsura dolorosa ed inutile del pianto. Avrebbe solo consumato la sua resistenza. Gendry era ancora lì, e tutto andò a posto per un po'.
Quando si risollevò, Arya lo fece solo perchè il richiamo alla vita era ormai imprescindibile. Le sue ossa erano vuote, le sue labbra asciutte. Il corpo di Rickon era ancora lì, come un peso da riaddossarsi alla coscienza, un pensiero da riaccogliere nella propria mente. Ma adesso Arya sapeva che avrebbe potuto farcela. Non sapeva cosa fosse cambiato, ma il buio non c'era più -quell'istinto di sopravvivenza che le aveva insegnato ad avanzare sotto qualsiasi intemperia le aveva impartito una nuova lezione. Senza comprendere bene il suo stesso gesto, allungò il braccio e toccò la mano di Rickon, carezzandone il dorso con i palpastrelli, disegnando piccoli cerchi attorno alle nocche. Era impregnata di sudore, gelido come le lacrime della Barriera.
-Uccideremo tutti i Lannister. Te lo prometto. Dal primo all'ultimo.- borbottò. Dopo qualche lungo istante, si voltò verso Gendry.
-Sansa era andata a cercare i gemelli, ma mi sembra di capire che non li ha trovati.-
-No. Adesso non è più qui. Quando ho ordinato di andare ad avvertirla... di Rickon, mi è stato riferito che era già partita per tornare all'accampamento di re Brandon. Immagino che volesse informarlo di com'è andata.-
-Dovremo subito mandare un messaggero lì.-
Gendry scrollò le spalle. -Non è facile. C'è una confusione infernale là fuori, e gli ultimi focolai della battaglia devono ancora essere soppressi. Le comunicazioni sono tutte intralciate, sia da qua a là sia viceversa. C'era da aspettarselo.-
-Significa che-
Prima che potesse alzarsi dalla sua posizione, con le ginocchia a terra, un gemito di dolore le strappò la voce. Solo dopo un istante di assoluto smarrimento, si accorse che delle lunghe unghie affilate si erano conficcate nel suo polso.
***
Il dolore al basso ventre inghiottì il respiro di Meera e la lasciò soffocare, a labbra socchiuse. Era come se il suo centro gravitazionale fosse cambiato, abbassandosi, degradandosi, e d'un tratto fosse quel nucleo di sofferenza, e null'altro. Aveva anche un colore, Meera lo scorgeva distintamente: era nero, un piccolo buco nero, che divorava progressivamente tutto quel che c'era di fronte a lei, come una goccia d'inchiostro, come un parassita. Pulsava orribilmente, insistentemente, come un organo marcio, scandiva un dolore regolare e per questo insopportabile. Si portò le mani al ventre, mentre le sue dita premevano cercando disperatamente di sanare tutto ciò, ma quel che riuscì a fare fu attenuare la sofferenza per la finzione di pochi istanti.
Osha la soccorse precipitosamente, mettendole un braccio attorno alle spalle. -Meera, mi senti? Non svenire, sai, non provarci neppure...-
Cercava di nasconderlo malamente, ma era terrorizzata a morte. Yara le lanciò un'occhiata torva.
-Cosa le prende?- sbottò, conficcando la scure nelle budella dell'uomo che le stava di fronte.
Osha parlò con voce secca, quasi scorbutica. -È incinta.-
Udendola, Meera mugolò; la consapevolezza della propria responsabilità la travolse. Ecco cosa stava accadendo: suo figlio la stava rimproverando aspramente. Quello era il dolore che anche lui provava. Era il dolore di entrambi -ma la colpa era solo di Meera. Quello era il dolore che lei aveva imposto, inferto a suo figlio.
Intanto, Yara imprecava.
-Porca troia, non potevate dirmelo prima?- esclamò rabbiosamente, mozzando la testa di un soldato che si stava avvicinando.
Meera riuscì a trovare fiato a sufficienza per domandare, a voce stentata: -E che differenza avrebbe fatto?!-
-Ti avrei impedito di andare a fare la spaccona in giro con la tua spada da reginetta guerriera, sciocca!- replicò Yara, furente.
La regina del Nord, ancora aggrappata ad Osha e Shireen, sbuffò forte dalle narici. Il dolore scavava sapientemente dentro di lei, lento e curioso ed insaziabile, fino a che Meera non si ritrovò a mordere i gemiti pur di non lasciarli sfuggire dalle labbra, che li articolava sconcertata; sembrava intenzionato a farsi largo fra le sue viscere con una daga, fino a squarciare il suo ventre stesso. Com'era possibile che la ragazza Greyjoy s'infervorasse tanto per questa storia?
-E da quando ti importa della mia incolumità?- mugugnò Meera.
Yara fece una pausa e non parlò per un po', fingendosi troppo impegnata a respingere i soldati con la scure, menando fendenti a destra e a manca. Rivelare la verità risultò faticoso, ma sentì quasi il dovere di liberarsi di quel peso scomodo.
-Da quando hai accettato di accogliermi nella tua casa e di fidarti di me, anche se nessun altro l'avrebbe fatto.- ammise, chinandosi sulle ginocchia per recuperare il respiro, e quando si rialzò la fissò negli occhi con gravosa intensità. Infine esibì un sogghigno. -E perchè mi hai offerto quel vino celestiale.-
-Ah, ecco.- Ritrovato il sorriso, Meera percepì una forza nuova affluirle nelle vene. Il dolore non s'era affievolito, però non sembrava ingestibile come un istante prima.
D'un tratto, seppe cosa doveva fare. Si raddrizzò, respirò a pieni polmoni per qualche istante e sentì di aver recuperato il controllo delle proprie emozioni.
-Osha,- esalò piano, -prendi Kenned e vattene via.-
La bruta trasalì, come se le fosse appena stato sferrato un pugno. -Come?-
-Ascoltami attentamente. Quando ricostruì Grande Inverno, in previsione di calamità analoghe a quella già accaduta, Bran aggiunse un... passaggio segreto, dietro l'arazzo di Eddard Stark. Ci sono delle lastre di pietra che possono essere spostate: da lì si scende delle scale e si accede ad una galleria che conduce fuori di qui, dietro il Parco degli Dèi. Visto che risale alla riedificazione della fortezza Theon non può essere al corrente della sua esistenza, quindi non troverai nessuno a sbarrarti la strada. Conosci bene i territori circostanti. Saprai dove trovare rifugio.-
Osha la ascoltò sbalordita. -Mi stai liquidando in questo modo perchè tu, nel frattempo, cosa avresti intenzione di fare?!-
-Andare a riprendermi ciò che è mio.- concluse Meera, andando a sfiorare di nuovo l'elsa della spada.
La donna la squadrò. -Non ti reggi nemmeno in piedi. Come accidenti speri di fermare Ramsay Snow?-
-Non sono da sola. Ho un sostegno armato,- ed indicò Yara con un gesto, -e un sostegno morale.- Indicò Shireen. -Perciò, cosa mi manca?-
-Perchè devo essere io a portare Kenned in salvo, e non puoi farlo tu?- replicò Osha, indignata. -Io combatterei molto-
Meera spazzò via le sue proteste con il solo suono della propria voce. -Perchè mi fido di te più che di me stessa.-
Lo sapeva, non poteva arrogarsi l'onere della vita di suo figlio, in quel momento. Nemmeno della propria, in verità. Tutto era tremendamente rosso e confuso... e lei, in mezzo a quel putiferio, voleva solo librarsi nella consolatoria certezza che Kenned sarebbe stato bene, che -qualsiasi cosa fosse successa- avrebbe continuato a dormire indisturbato fra le sue pelliccie marroni, senza che nessuno turbasse i suoi sogni. Non avrebbe saputo perdonarselo, altrimenti. Non avrebbe tollerato da se stessa altri errori. Confidare negli altri era tutto ciò che le rimaneva da fare.
Osha era dilaniata dai dubbi. La voce di Bran le risuonava ancora nella mente, limpida e forte: non perderla mai di vista.
-Non posso abbandonarti qui!- tentò ancora, combattuta.
-Devi abbandonarmi qui.- ringhiò Meera. Non c'era più tempo per rimanere a discutere. -E non perchè te lo sto ordinando, ma perchè ti sto supplicando.-
E Osha la vide, quella supplica, nei suoi occhi, così come si scorgono i lampi nel cielo notturno: inestinguibile, fredda e straziante.
-Odio recitare la parte della bambinaia numero due, però ci sono pur sempre io con lei.- aggiunse Yara, con una smorfia. -Perciò, suppongo che se si trovasse nei guai potrebbe venirmi voglia di darle una mano.-
La bruta sospirò. -Hai vinto, contenta? Saluta tuo figlio. Tornerò soltanto quando capirò che è tutto finito.-
Meera avanzò, fino ad affondare il naso nei riccioli di Kenned e schioccare un bacio sulla sua fronte. Inspirò la sua innocenza con voluttà. La invidiava, ma per nulla al mondo avrebbe desiderato attingerla dagli occhi del bambino. Aveva ancora bisogno di tutta la sua ingenuità, lui.
-Scappate.- sussurrò. -Scappate via di qui.-
-E tu vedi di sopravvivere, Reed.-
Dopo averle rivolto un ultimo sguardo scontroso, Osha le voltò le spalle rapidamente, impedendole di intravedere gli occhi arrossati, e si avviò spedita verso l'Ala Ovest del castello.
Yara si rivolse a Meera con tono perentorio. -Sei sicura di sentirti meglio?-
-Ha importanza?- ribattè lei, con fermezza. -Ti prego, ammazziamo quel fottuto bastardo adesso.-
-Certo che ha importanza!- esclamò Shireen, d'un tratto. Aveva udito la notizia della gravidanza di Meera con lo stesso sconcerto di Yara, e riteneva intollerabile che lei si sentisse in dovere di combattere persino in quella situazione. Se ne intendeva molto poco di queste cose, però era piuttosto ovvio che se una donna incinta avverte crampi alla pancia non è proprio un buon segno. -Meera, tu non vorrai-
-Sei quella che aveva promesso di non dare fastidio, o sbaglio?!-
Meera e Yara scesero una rampa di scale a passo rapido; seppur inquieta, Shireen non potè fare altro che seguirle, le sopracciglia aggrottate.
Dopo aver trovato l'uscita dal labirintico intreccio dei corridoi, che conducevano da una torre all'altra e da un piano all'altro, il cortile di Grande Inverno comparve ai loro occhi, sbiancato solo da una luce lunare che appariva particolarmente sinistra, come ossa di scheletro. Lì, gli uomini del Nord si predisponevano ad utilizzare tutte le armi antiassedio di cui erano provvisti, dalle pentole d'olio bollente alle seghe per rompere le scale; non rimanevano molti uomini, in verità, e Meera immaginò che la maggior parte fosse caduta all'esterno delle fortificazioni, cercando di respingere gli invasori. Provò un moto di pena per tutta quella povera gente. Le sue disgrazie non le facevano scordare che quelle del popolo, sebbene meno note, non per questo erano meno drammatiche e degne di commiserazione e riconoscimento. Io mi lamento perchè la vita dei miei figli è in pericolo e perchè mio fratello è morto, ma chissà quanto spesso capita, ai poveri, di perdere figli e fratelli. Loro quasi riderebbero di tutta l'importanza che i nobili danno a questi lutti. Meera però non riuscì a spingersi ulteriormente con il pensiero e giungere a Jojen: non era decisamente il momento adatto. Il dolore è sempre diverso, eppure uno soltanto. È da quando esiste il mondo che gli uomini soffrono per le stesse cose. Nessuno farà un'eccezione per me. Si riscosse e si concentrò sul da farsi.
-La Torre Spezzata è dall'altra parte.- Meera avvertì Yara, indicando il retro del maniero. -Sicuramente Bolton non è solo. Come speriamo di attaccarlo? Le guardie basteranno?-
Yara annuì. -La mia scure basterà. Non perdiamo altro tempo. Per arrestare un'alluvione, bisogna sempre risalire alla sorgente. Se gli uomini di Bolton si ritroveranno senza generale, scioglieranno i ranghi e non sapranno più che fare.-
Procedettero, percorrendo l'esterno del maniero per tutta la sua circonferenza.
-Questa.- Meera fece un cenno col mento, quando la vide. -Da lassù si sta godendo lo spettacolo, il Bastardo.-
A Yara prudettero subito le mani dal desiderio di spiccargli la testa dal collo. Prima che potesse proporre di andare a spaccargli il culo, si udì un terribile boato, che parve scuotere le fortificazioni della fortezza. Una fiumana di soldati dagli elmi calati sul volto, armati fino ai denti, si riversarono all'interno delle mura: grazie a delle macchine d'assedio, gli uomini dei Bolton erano riusciti ad abbattere un portone secondario. Tutto ciò che i guerrieri di casa Stark avevano cercato di fare per difendere l'ingresso, si vanificò in sangue e schegge di legno.
Inorridita, Meera fece un rapido calcolo. Le guardie che la circondavano non erano più di quindici uomini, più lei e Yara faceva diciassette: gli invasori erano ad occhio e croce una sessantina, anzi, ne entravano sempre di più, e di più... ed ormai era troppo tardi persino per pentirsi di non essere fuggiti dal passaggio segreto insieme ad Osha.
Tutto inutile, è stato tutto inutile, pensò con orribile, insospettato raziocinio. Se fossi scappata, il castello sarebbe perduto e noi saremmo vive. Ma sono rimasta, e così il castello sarà perduto e noi saremmo morte. Io, Yara, Shireen. Shireen che doveva sposarsi con il nuovo re. Tutti i piani di Bran in fumo. Difendi Grande Inverno, mi aveva detto mio marito. Prenditi cura di te, mi aveva detto mio fratello. Non ho fatto nessuna delle due cose. Il regno, in fumo. Il Nord, di nuovo piegato. Colpa mia.
La delusione nei propri confronti fu così torbida e pungente da procurarle l'ennesimo spasmo allo stomaco, ma non ci fece più nemmeno caso. Bolton si prenderà il maniero, si prenderà il Nord, e Kenned?... almeno Kenned starà bene... lui e Osha si salveranno... possono farcela...
-Dobbiamo filare via da qui!- Yara la scrollò impaziente per un braccio. -Non possiamo restare un minuto di più! Meera? Mi senti? Meera...-
-Preferisco morire adesso che essere scorticata viva con il rasoio da Ramsay Bolton.- sibilò la regina del Nord. -Lasciami qui.-
Yara Greyjoy strinse i denti. -Se sento un'altra cazzata del genere, ti uccido io e la facciamo finita subito. Se non scappiamo-
-Non capite?! Scappare, scappare... è tutto inutile. Inutile...- Meera sentì le ginocchia cedere ed urtare contro il pavimento di granito. Non percepì alcuna sofferenza, solo la gelida landa dell'inverno che la circondava.
Yara stava riprendendo fiato per urlare, urlare che cazzo non potevano dargliela vinta così, dovevano salire ed ucciderlo e poi scappare, scappare via, non costringermi a lasciarti qui, vieni con me e non parliamone più, tanto non è mica una tragedia, li stermineremo, li stermineremo tutti, ce le faremo, in qualche modo ce la faremo, non sono poi così tanti, e-
Un sorriso incredulo curvò le labbra di Shireen. Il suo sguardo, che saettava rapido per il cortile di Grande Inverno, rimirava esterrefatto ed estasiato qualcosa che Yara non riusciva a vedere.
Subito la principessa dei Sette Regni scosse le spalle della regina, tentando di farla rinsavire, ridendo.
-Sono qui! Loro sono qui! Lady Meera, non stiamo affatto per morire! Siamo salve!-
La principessa Greyjoy le rivolse un'occhiata scettica e si girò a sua volta. -Cosa diavolo stai dicendo?!-
Shireen tese il braccio ed indicò qualcuno. -Sono arrivati i nostri!-
Tanto in fretta come erano entrati gli uomini dei Bolton, altri invasori stavano irrompendo dall'ingresso, forti e rapidi come un fiume in piena, tanto numerosi da parere inarrestabili. Estratta la spada dal cadavere di un soldato dei Bolton, un uomo in nero ne impalò subito un altro, voltandosi con uno scatto fulmineo. Attorno a lui, anche tutti gli altri uomini vestivano di nero, e stavano ugualmente combattendo contro le truppe dei Bolton. La verità, nonostante fosse evidente, era così meravigliosamente piacevole da parere inaccessibile.
Meera, ancora a terra, faticava a credere ai suoi occhi. I Guardiani della Notte? I Guardiani della Notte?! Potevano davvero essere loro?! Dovevano esserlo per forza.
Erano giunti in loro soccorso... ed era davvero un avvenimento eccezionale, perchè mai era capitato prima che le sentinelle della Barriera abbandonassero la loro postazione per interferire con le faccende di Westeros. Non erano stati nemmeno contattati...
Non riuscì nemmeno a muoversi, tale fu la sorpresa. Prima che potesse decidersi ad intervenire, in qualche modo, un ragazzo si avvicinò loro rapidamente, rinfoderando la propria spada; portava un pesante mantello nero puntellato di fiocchi bianchi, aveva grandi occhi castani e neri ricci lunghi fino alle spalle.
-Maestà? Siete ferita?-
Con riguardo, offrì la mano a Meera per aiutarla a riassestarsi in piedi, esaminandola preoccupato. Lei lo riconobbe immediatamente, con sollevato entusiasmo. 
-Lord comandante Snow! Lei qui?! È... è... un tempismo perfetto.- balbettò.
Jon sorrise del suo stupore. -Siamo partiti non appena siamo stati informati delle intenzioni dell'esercito di Bolton. Chiedo venia per il ritardo: era mia intenzione giungere qui prima che Grande Inverno venisse attaccata. Maestà, voi avete una benda insanguinata al braccio.- insistette, facendo cenno a qualcuno dei suoi di avvicinarsi.
-Una ferita superficiale, niente di grave...- tagliò corto Meera, imbarazzata, minimizzando sebbene il taglio le procurasse ancora un dolore lancinante. Non voleva fare una figura così magra, da vera nobile viziata. Si sentiva ancora molto frastornata, sia a causa dello stordimento per i crampi sia per l'irrealtà della situazione. -Come avete fatto... come...?-
-Non credevo che ti avrei rivisto così presto, Jon.- intervenne Shireen, rivolgendogli un saluto caloroso. Egli s'inchinò appena.
-Principessa. È sempre un onore.-
Una freccia sfiorò la guancia della regina del Nord: andò a conficcarsi nel petto di un soldato dei Bolton che si avvicinava dietro di lei. Meera prima si girò a guardare il cadavere crollare a terra, poi cercò l'arciere; si trattava di un'arciera, una ragazza dai capelli fulvi e scompigliati, vestita di un mucchio di pellicce.
-Bel colpo.- si complimentò la regina del Nord, ringraziando con un sorriso titubante. La rossa si limitò ad annuire placida.
Jon si affrettò a presentarla, avvampando e rimproverando la ragazza per le sue maniere con un'occhiata: -Lei è Ygritte. La mia luogotenente.-
La fanciulla di nome Ygritte inarcò le sopracciglia, spavalda. -Avevamo stabilito che eri tu, il mio luogotenente.-
-Certo, come vuoi.- Egli alzò gli occhi al cielo, esasperato, fino a che non lo raggiunse proprio chi attendeva. -Eccoti, Sam: Maestà, lui è un Maestro.- Jon circondò con un braccio il busto d'un ragazzo corpulento, dallo sguardo vivace, le guance paffute e l'espressione timida. -Potrà prestarvi un primo soccorso, intanto che finiamo il lavoro qui. Direi di portarvi in un luogo dove possiate stare più tranquilla...-
-Non serve. Non serve. Posso cambattere di nuovo.- borbottò Meera, malcerta, cercando di drizzarsi in piedi troppo in fretta e ripiegandosi a metà con un gemito soffocato.
Shireen la sorresse, allarmata. -Spero che tu stia scherzando, lady Meera. Nelle tue condizioni... Sam, devi subito occuparti di lei. Non solo è ferita, ma aspetta anche un bimbo. Non può assolutamente compiere altri sforzi.-
-Non li compirà, principessa.- assicurò Sam, inchinandosi anch'egli goffamente. Fece un segno ad un confratello. -Brytes, mi aiuteresti a prenderla in braccio? Se permettete, Maestà, vi condurremo nelle scuderie laggiù. Mi rendo conto che non è il massimo della comodità, però è il posto più vicino e più tranquillo che mi viene in mente...-
Meera assunse un'espressione combattuta. -Non... prima, dovrei uccidere Bolton. Lui è in cima alla Torre Spezzata, e... pensavo di dovermene occupare io...-
-Risolveremo io e Ygritte la situazione in nome tuo e del re tuo marito, se me lo concedete. - propose Jon, con fermezza. -Avete detto che il Bastardo è sulla torre?-
-Sì, e Yara probabilmente vorrà accompagnarti per recuperare suo fratello Theon...- Meera si guardò intorno, confusa. -Dov'è finita Yara? Era qui fino a un attimo fa...-
Shireen la cercò con lo sguardo nel cortile, fino a che i suoi occhi non si spostarono lentamente.
-Credo che abbia avuto la tua stessa idea, Jon.- sussurrò, indicando le scale a chiocciola che s'inerpicavano fino a condurre all'ultimo piano della Torre Spezzata. Ygritte sbuffò.
-Ci conviene muoverci, Jon Snow, se non vogliamo perderci tutto il divertimento. A squartamenti conclusi, qualsiasi assedio diventa una noia.-
Nel frattempo, Yara non era certo rimasta lì ferma a guardare. Non appena si era accorta che Meera e Shireen erano al sicuro, se l'era svignata di nascosto ed era sgattaiolata su per le scale: non aveva bisogno dell'aiuto di nessuno, e nessuno avrebbe potuto comunque aiutarla. L'avrebbe fatto anche per Meera, in fondo, e per il bene del Nord, ma innanzitutto l'avrebbe fatto per recuperare Theon. E ucciderlo con le mie stesse mani, pensò, mentre l'ira le pulsava nelle palme. Il tradimento del fratello, così terribilmente ingrato ed ingiustificato, la faceva fremere di dispetto. Dopo tutto quello che aveva fatto per salvarlo, per tenerlo al sicuro, quel piccolo irriconoscente si era gettato ai piedi di Bolton, alla prima occasione... quel verme vile ed ignobile. Gli Stark avevano ragione. Era solo un codardo. Non meritava una sorella come lei, nè tantomeno la sua clemenza.
Poco prima di raggiungere l'ultimo piano, Yara esitò e si chiese quale potesse essere la tattica più prudente. Con le spalle al muro, lanciò una fugace occhiata al pianerottolo: due piantoni armati la difendevano. Prese un bel respiro, il petto che si sollevava e riabbassava lentamente sotto la casacca di iuta, socchiudendo gli occhi solo per qualche istante. Quando risollevò le palpebre, vi regnava una determinazione di ferro. Con una rapidità di cui non sapeva d'essere capace, balzò superando tre gradini e, con uno slancio che le costò tutta la forza delle braccia, tranciò la testa del primo uomo, che non ebbe nemmeno il tempo di gridare; all'altro aprì la gola, senza però poter impedire che cacciasse un grido. Yara pregò soltanto che nessuno ci avesse prestato attenzione; visto che nel cortile sotto v'era in corso una battaglia, udire lo strepito di un uomo morente non sarebbe parso così strano, o almeno questo la ragazza sperava. Rimase in ascolto per qualche momento: dall'interno della stanza proveniva un gran fragore di ferro -spade ed armature. Ciò significava che, con un po' di fortuna, lì v'erano moltissimi soldati, facendo di essa il luogo ideale per passare inosservati. Yara strappò ad un cadavere il mantello e se lo drappeggiò sulle spalle, assestando il cappuccio sulla testa, di modo che le celasse parzialmente il viso; se avesse tenuto il mento chino, nessuno l'avrebbe riconosciuta. Appurato questo, spinse la porta con una mano, aprendo un solo spiraglio; s'insinuò all'interno, silenziosa come un'ombra e quatta come un ratto.
Si confuse subito in una massa di soldati dal mantello identico al suo, che recava lo stemma dell'uomo scuoiato. Presso la finestra -quella attraverso la quale, a quanto si diceva, Brandon Stark era precipitato di sotto a causa di Jaime Lannister- Ramsay Bolton sogguardava la battaglia distrattamente, le dita intinte di sangue. I suoi strani occhi di inusitato chiarore -tanto inumano da poter essere paragonato soltanto a quello che, nelle tenebre della notte, animava lo sguardo dei predatori silvestri- si soffermavano serafici prima su una porta delle fortificazioni, poi sull'altra. Al suo fianco, Theon s'ergeva mesto, pallido e sbiadito come l'umile fantasma d'uno scudiero. Portava docilmente tutte le armi del padrone, la spada macchiata di sangue alla cintura, l'arco alla spalla e varie daghe e coltelli appesi ad una cinghia, e persino quel peso sembrava troppo per lui.
Ramsay non sembrava preoccupato per le sorti della battaglia: evidentemente, ancora non s'era accorto, nel viavai, dell'arrivo dei Guardiani delle Notte, disseminati per tutta la circonferenza della fortificazione.
-C'è ancora moltissimo da fare.- stava commentando in quel momento, tamburellando le dita sul davanzale della finestra. -Appendere la pelle di Meera Stark come stendardo in cima a questa torre, per esempio. Sciagurata ragazza, cosa sperava di fare? Credeva veramente di essere al sicuro? Durante una guerra, non esiste un posto sicuro: soltanto luoghi dove ci sono meno probabilità di morire. E Grande Inverno non è decisamente fra questi. Ma per avere la sua pelle, bisogna prima toglierla. Dov'è, adesso? Avevo ordinato di portarmela subito qui.- sbuffò imperiosamente.
Theon strinse le labbra. -E i tuoi uomini hanno tentato di fare ciò che hai ordinato, mio lord. Ma è stato più difficile del previsto. La ragazza è circondata di guardie e sa usare la spada...-
-La ragazza è una ragazza.- dichiarò Ramsay, accigliato. -Non posso tollerare che le forze armate di Forte Terrore vengano messe in crisi da una donna. Ma a quanto pare, visto che sono così brave a combattere, dovrò reclutarmi una guardia tutta in gonnella. Non credi anche tu, Reek?- Non gli diede il tempo di rispondere. -Ah, e la giovane Baratheon sarà un ostaggio perfetto. Così quel matusalemme di Stannis ci penserà due volte prima di rimanere fedele al suo giuramento di alleanza, dico bene? Ovvio che dico bene.- concluse, inarcando le sopracciglia e facendo un gesto ampio con la mano, che andò vagamente ad indicare le terre del Nord, che si stagliavano bianche ed immobili fuori dalla finestra. Per qualche secondo, rimase in silente contemplazione.
-E adesso sarò il padrone di tutto questo... Mio padre lo riterrebbe paradossale, immagino. Io, il figlio malvoluto. Il figlio Snow.- Fece una smorfia disgustata, quasi che quel nome avesse un sapore asprigno sul suo palato. -Snow, diceva il caro vecchio Roose... Sono una miriade di volte più Bolton di lui. Non mi sono fatto uccidere dagli occhietti magici di uno storpio, io.-
Yara si vide costretta ad ammettere con se stessa che Ramsay aveva quasi uno strano fascino, in quell'atmosfera lugubre, con il vischioso liquido rossastro ad imbrattargli le mani e ciocche di ricci capelli bruniti ad arricciarglisi sulla fronte. La linea rigida della mascella si tendeva e rilassava, a seconda dei dardeggianti pensieri che gli affollavano la mente. Seppur così pallidi, i suoi occhi erano indecrittabili. Un rufolo di vento faceva tremare il suo vasto mantello rosso, adorno di granati, e lo strusciava contro il pavimento di pietra.
-Sarai il re del Nord migliore che ci sia mai stato, mio lord.- balbettò Theon, abbassando lo sguardo. Ramsay gli rivolse un ghigno un po' storto.
-Non m'interessa per niente essere il migliore. Mi basta essere quello che vivrà più a lungo.- Però era evidentemente compiaciuto. -Adesso io e te dobbiamo occuparci di colui a cui davvero volevo fare visita, Reek. Come, non sai a chi mi sto riferendo? Kenned Stark, naturalmente, il principe ereditario. Insomma, ereditario... almeno finchè non gli staccherò la piccola testa dal collo e non la manderò in dono a Brandon lo Storpio. Una bella riunione di famiglia. Commovente, vero? Su, muoviti, non posso aspettare i tuoi comodi.-
-Sì, mio lord.-
Fu a quel punto che Yara si rese conto ch'era il momento d'agire. Facendosi largo un po' più avanti, aquattata fra i soldati, rivolta con il viso al muro, attese che Ramsay Bolton passasse dietro di lei, con quel dannato mantello ricamato di pietre rosse. Molte immagini sfilarono davanti ai suoi occhi in quel momento: le guardie di Pyke che morivano una dietro l'altra, il terrore, le notti in bianco, la ferita sanguinante ed incisa a pelle sulla carne viva, e Tristifer, il suo povero sventurato marito. Senza dare nell'occhio, lo seguì dietro a Theon mentre uscivano dalla stanza. Prima che il fratello potesse chiudere la porta alle loro spalle, scattò.
Ramsay si ritrovò con l'ascia di Yara sul collo; Yara si ritrovò con il coltello di Ramsay sulla giugulare. Lei ansimò, colta di sorpresa; non immaginava che avesse un'arma nascosta da qualche parte, ma che fosse solo Theon a portarle. Il giovane Bolton sorrise in risposta.
-Non è buona educazione origliare le conversazioni altrui.- sibilò, sferrando un nuovo affondo e mirando allo stomaco di Yara, che lo parò abilmente con la lama della scure.
-Non è buona educazione introdursi senza invito in casa degli altri.- ribattè la ragazza, scagliando un fendente dal basso verso l'altro, con l'intento di fargli perdere la presa sul coltello, invano. Theon mise mano alla spada, con l'intento di portare aiuto al proprio padrone, ma Ramsay gli fece un cenno.
-Fermo là.- ringhiò. -Credi che non sappia tenere testa da solo alla tua sorellina? Le uniche spade di cui dovrebbero occuparsi le femmine non sono fatte di metallo.-
Yara fece per colpirlo alle ginocchia ma, visto ch'egli scartò, fu obbligata a balzare pericolosamente sul gradito inferiore per scampare all'arma di Ramsay, che per un pelo non la decapitò.
-Sai com'è, tu ti occupi dei cazzi così bene che non vorrei sfigurare al confronto.- ironizzò, fulminando Theon con lo sguardo. Il fratello non battè ciglio.
Il giovane Bolton esibì un ghigno sardonico. -Cosa vuoi da me, Yara Greyjoy? Il mio Reek? Ebbene, lui non vuole tornare con te.-
-Tientelo pure e, per quanto mi frega, fottitelo e scorticatelo come ti pare, il tuo Reek.- sputò Yara a stento, congestionata in volto. -Alla malora tu, Reek e tutti i tuoi cazzo di amichetti.-
-Tutto bene con quell'affare? Sei sicura che riuscirai reggerti in piedi per un tempo sufficiente a mandarmi all'altro mondo?- la sbeffeggiò Ramsay, scoccando un fendente dal quale ella si difese a fatica. Yara non era un'idiota: sapeva benissimo di essere svantaggiata. La sua scure, benchè fosse assai utile ed efficace nel campo di battaglia, era d'ostacolo lì, dove c'era così poco spazio per muoversi, e dove anzi c'era il rischio di precipitare già dalle scale; tentò diverse volte di far scivolare giù Ramsay, costringendolo fra la sua ascia e l'orlo di un gradino, ma il ragazzo non si lasciava imbrogliare e manteneva un equilibrio più che straordinario. Inoltre l'arma di Yara era pesante, al punto di farle indolenzire le braccia, dopo un po' di tempo; era difficile calibrare la precisione dei fendenti. Con un coltello, sarebbe stato molto più facile. Proprio mentre stava cogitando fra sè di rubarne uno dalla cintura di Theon, si distrasse quel poco che bastò a Ramsay per approfittarne indegnamente. Infatti, dopo un'accanita lotta all'ultimo sangue, l'erede dei Bolton aprì un taglio profondo al fianco della sua avversaria.
Yara affondò i denti nel labbro inferiore per non gridare e cercò di respirare, mentre iniziava a vedere doppio. Il dolore velò il suo sguardo di una patina rossa ed opprimente.
-Cosa c'è, lady Yara?- Alla vista del sangue, lo sguardo di Ramsay baluginò sotto la luce d'una torcia, affissa alla parete, come quello di una pantera-ombra. -Qualcosa non va? Ohh, è questa, vero? Ti fa male, vero? Ti fa male?-Con la punta del robusto stivale, inflisse un calcio poderoso alla ferita sul suo fianco. Yara grugnì e, con tutta la rabbia frustrata che le rimaneva in corpo, alzò per l'ultima volta la scure e tentò un colpo alla gamba di lui. Ramsay non dovette far altro che spostarsi, per evitarlo; poi afferrò la lama con una mano, e la mantenne così, ferma, sospesa. Sorrise ancora, lentamente, guardandola fissa negli occhi. Nelle sue iridi trasparenti, Yara vide chiaramente la propria fine, quasi fosse riflessa in uno specchio d'acqua.
-Cerchi di uccidermi, Yara Greyjoy? Attenti alla mia vita facendo appello al tuo ultimo soffio vitale? Sono così importante per te, da valere una morte indegna in una torre disgraziata, una traversata dalle Isole di Ferro a Grande Inverno, una sottomissione ai tuoi peggiori nemici? Mi sento onorato.-
Un altro taglio di lama, esattamente lì sopra il ginocchio dove un attimo prima Yara aveva puntato con l'ascia, si spalancò facendo fiorire un'ampia macchia di sangue scuro sulla stoffa dei pantaloni di lei.
-Vaffanculo.- imprecò Yara, farneticante dal dolore. -Vaffanculo, bastardo.-
Il suo tentativo di recuperare la scure fu stroncato sul nascere. Ramsay ridacchiò. Con un calcio, la spinse più giù sulle scale, facendole sbattere la nuca sullo spigolo acuminato di un gradino inferiore.
-Credevi davvero di farcela, vero? Ci hai sperato. Eri molto sicura di te stessa. Eri convinta di potermi fare la pelle... Chissà che delusione dev'essere, per te, la sconfitta. Perchè ti renderai conto che è questo che sei, giusto? Sconfitta. Hai perso.-
Si inginocchiò su uno scalino sopra di lei, avvicinando il suo volto estasiato a quello sudato e paonazzo di Yara. -È una brutta sensazione, vero? La delusione, la vergogna, l'umiliazione... La consapevolezza di stare per morire in modo atrocemente lento e atrocemente miserevole?-
Yara ansimò, colta da un furore terribile. Allungò le mani con un movimento inconsulto, come se volesse cavargli gli occhi. -Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!-
La lama le trafisse le mani da parte a parte, tante volte quante si protesero verso Ramsay, facendole grondare di sangue.
-La figlia di Balon Greyjoy, la valorosa pirata spadaccina, la regina delle Isole di Ferro, in cui s'erano riposte tutte le speranze per la continuità del vostro nome... un fallimento. Non riesco nemmeno ad immaginare quanta sofferenza tu stia provando, in questo momento. Si dice che tuo padre ti amasse quanto un figlio maschio. Sarebbe orgoglioso di te, adesso? Dimmelo. Dimmelo.-
Yara urlò straziata. Ricadde a terra, contro i gradini, ma poi si rialzò ancora e provò a sferrargli un pugno. Ormai, le sue forze erano ridotte agli sgoccioli. Tutto quel che ottenne fu crollare addosso a Ramsay, come una marionetta senza fili.
Cadde il silenzio e l'immobilità. La ragazza giacque inerme in grembo all'aguzzino, incapace di risollevarsi. Il suo respiro era incontrollabile e difficoltoso. Le mani di Ramsay scivolarono fra i suoi capelli, intrisi di sangue e sudore: per un unico, delirante secondo, a Yara parve quasi ch'egli la stesse cullando.
-Sei stanca, Yara Greyjoy? Vorresti che ti permettessi subito di dormire per l'eternità? Oh, no, abbiamo appena cominciato a giocare.- Chinò il volto fino sfiorare il padiglione del suo orecchio con le labbra, e sussurrò in un soffio: -Che ne dici di cominciare a correre?-
Lo sguardo di Theon era vitreo, implacabile, come se stesse assistendo al martirio della sorella di qualcun altro. La mano di Yara, trafitta e dilaniata, corse alla cintura di Ramsay e cercò a tentoni, tastando faticosamente, il manico del coltello.
-Crepa, figlio di cagna!- mugugnò, la voce stridente fra le labbra spaccate. Non si sarebbe mai degradata in quel modo. Non si sarebbe mai abbassata a diventare il suo diletto, il suo gingillo. Se doveva morire, l'avrebbe fatto nel tentativo di ammazzarlo, non di scappare vilmente, per poi farsi acchiappare e finire. Non sarebbe morta facendolo divertire.
Il giovane non la prese molto bene. Le afferrò i capelli con violenza e la strattonò senza clemenza, veemente, digrignando i denti. Sbattè la faccia della ragazza tre volte contro l'orlo aguzzo di un gradino, con rabbia.
-Reek, la tua stupida sorella non vuole proprio morire. Significa che farò un'eccezione per lei e salterò i preamboli... Reek, il mio rasoio, quello speciale.-
Dalla gola straziata, Yara emise una risata ruvida e gutturale. -Rasoio?! Vuoi scuoiarmi, maledetto bastardo? Non pensare... non pensare che te lo permetterò... Provaci e-
-Farò molto di più che provarci, te lo garantisco. Quasi mi dispiace mettere fine a tutto ciò, sai? Iniziavo a spassarmela davvero.- Ramsay si voltò verso Theon, irritato. -Reek, il rasoio, ho detto.-
Il volto del ragazzo era duro come la roccia. Una strana espressione aveva preso il posto dell'apatia e dell'indifferenza.
-Il mio nome- scandì con rancore, -è Theon Greyjoy.-
Prima che Ramsay potesse reagire, estrasse una lunga lancia e la frantumò con una potenza decisamente inaspettata sulla sua testa; lo afferrò per il mantello e lo sorresse in piedi ancora per qualche istante, il tempo di mormorargli: -Cosa provi in questo momento, Ramsay?-
L'erede di Forte Terrore sbiancò e cadde a terra, privo di sensi, liberando dalla presa il corpo martoriato di Yara. Theon soccorse immediatamente la sorella.
-Yara? Dobbiamo andarcene di qui. Devo trovarti un Maestro, subito...-
Le labbra di lei si smossero in un sorriso insanguinato, ma appagato. -Era ora, che ti decidessi.-
Egli si stupì. -Come l'hai capito?-
-Nemmeno tu potevi essere così vile ed iniquo da commettere una carognata del genere. Non l'ho proprio capito... diciamo che l'ho sperato.-
Yara gemette. Theon alzò la spada di nuovo, ed i suoi occhi s'infiammarono. -Gli taglio la testa e poi ce ne andiamo.-
-Non ucciderlo.- lo fermò la sorella, biascicando.
-Cosa?-
-Non qui. Noi... dobbiamo portarlo... a Pyke. Tutti vedranno in faccia chi è l'assassino che ha sterminato... le loro famiglie.-
La ragazza cominciò a tossire convulsamente, così Theon si limitò a legare le mani di Ramsay, per poi prestarle immediato soccorso.
Quando Jon Snow giunse in cima alla Torre Spezzata, trovò l'uomo ch'era venuto ad uccidere esanime ed immobilizzato, e la ragazza che era venuto a soccorrere moribonda.
-Che diamine è successo qui?- esclamò, stupefatto.
Theon fece una smorfia. -Sempre un piacere vederti, Snow. È lunga da spiegare, e non credo che Yara farebbe in tempo ad ascoltare il riassunto di nove anni di vita.-
Jon, sconcertato, scosse la testa. Con un lieve moto di sorpresa, capì che l'assedio di Grande Inverno poteva considerarsi sedato.
-Te l'avevo detto, che saremmo arrivati in ritardo.- brontolò Ygritte. -Non sai proprio niente, Jon Snow.-
***
-La donna rossa di Stannis.- Quando Jaime riuscì a carpire quel vago ricordo dalla propria memoria, non seppe se rallegrarsene o meno.
-Cosa?- domandò Brienne a voce bassa.
Si trovavano all'ala estremamente ovest di Approdo del Re, dove la cinta di mura presentava grosse fenditure sbarrate che permettevano tranquillamente di scivolare all'esterno; all'esterno, sì, però soltanto su una sottile striscia di spiaggia chiara, affacciata sul mare aperto. L'unica ipotetica via di fuga sarebbe stata quella, ma solo nell'eventualità d'avere una barca a disposizione -e lì non c'era nessuna barca. Jaime e Brienne non erano così sprovveduti da non essersene resi conto: infatti erano lì non per fuggire, bensì per salvare Bran Stark.
Una scura chiazza di vegetazione nascondeva delle ampie tende cremisi, i cui lembi oscillavano leggiadri al soffio dell'alito del mare, odoroso di salsedine. Jaime, che valutava la situazione da dietro degli arbusti, ipotizzò che si trattasse degli accampamenti degli sconosciuti rapitori. Dopo qualche istante d'appostamento, a sostegno della sua teoria, un paio di ancelle dalle tuniche vermiglie uscirono, reggendo grandi ampolle dai colori sgargianti e coppe di smalto ricolme di sabbie aromatiche, e le portavano... dove? Vicino al bagnasciuga, dove però c'era un trambusto tale da rendere impossibile scorgere che uso ne venisse fatto.
-C'è decisamente troppo rosso qui intorno, non credi?- aveva chiesto Jaime, giusto qualche minuto prima. Brienne non aveva risposto. Solo adesso l'uomo aveva capito cose fosse quel vago presentimento che continuava a ronzargli in mente.
-Avevo sentito dire che Stannis Baratheon si portasse ovunque una sacerdotessa rossa di Asshai. Potrebbe avere qualcosa a che fare?-
-Che motivo avrebbe Stannis di far rapire Brandon Stark? È suo alleato.- gli fece notare Brienne, torva. Non presentiva nulla di buono.
Jaime scosse il capo, arreso. -Non ne ho la minima idea. Ho solo detto la prima cosa che mi è passata per la testa.-
-Dovremmo avvicinarci.- affermò la donna, indicandogli la spiaggia con il mento. -Se vogliamo salvare il ragazzo, almeno. Stanno già portando la legna.-
Era vero. Uomini vestiti di lunghi abiti legati in vita da una corda -frati?- stringevano fra le braccia cataste di ramoscelli e cioppi, procurati nel bosco, e si dirigevano tutti in silenzio verso la spiaggia. Nel frattempo, la foschia bluastra della notte era stata lacerata come stoffa vecchia e lasciava trasparire chiazze di calda luce mattutina, che si diffondevano rapide come sangue.
Jaime e Brienne, cercando di muoversi fra gli sterpi nel modo più silenzioso possibile, avanzarono di albero in albero, finchè la scena non si presentò di fronte a loro. Su un'impalcatura di legno, un nugulo di sacerdoti rossi s'affannava, simile ad uno stuolo di formiche; gli uomini sistemavano la legna, le donne spargevano polveri bisbigliando parole incomprensibili e accendevano bacchette d'incenso dal profumo pungente. Jaime si sentì attraversare da un brivido d'inquietudine. Ma in che razza di casino l'aveva trascinato, Tyrion? In una dannato, ambiguo sacrificio mistico di una banda di eretici.
-Lo vedi?- chiese Brienne, rammentandogli il motivo per cui erano lì. Jaime cercò il giovane Stark con lo sguardo: non lo vide. Certo, aveva un ricordo appena abbozzato del suo aspetto, però era sicuro che un ventenne storpio dalle gambe rotte non sarebbe passato inosservato. Eppure, lì non c'era nessuno che non vestisse quello stramaledetto colore.
-No.- ammise sbuffando. -Cosa facciamo?-
-Aspettiamo.-
-Quanto dovremmo aspettare?! Questa situazione non mi piace per nulla.-
Brienne lo rimproverò con lo sguardo. -Perchè, a me sì, forse? Lo stiamo facendo per Tommen e Tyrion e i gemelli.-
L'uomo, dopo qualche istante, annuì. -Per Tommen, Tyrion e i gemelli.- ripetè meditabondo.
-Allora abbi pazienza.- ribadì Brienne, appoggiandosi con il braccio ad un masso. Per diversi minuti, non spiccicarono parola. Jaime era troppo intento a pensare alla fiducia negli occhi del Folletto, mentre gli affidava la sorte della famiglia, e Brienne sentiva all'orecchio le parole di Cersei, so che tu proteggerai i suoi figli -i nostri figli- i miei figli, e che sarà necessario che tu lo faccia... se mi dovesse accadere qualcosa.
La loro attesa non fu vana. Il sole cominciava già a farsi largo fra le azzurre cortine dell'alba, macchiandole ormai d'un rosa slavato, quando uno dei preti rossi si voltò verso la fitta vegetazione ed esclamò: -È ora. Stai aspettando forse che Stannis Baratheon ci trovi?!-
Una donna avanzò fra gli alberi, con movimenti leggiadri e morbidi come acqua corrente, maestosa al pari di una regina fra i suoi sudditi; ed infatti tutti i presenti parvero segretamente in soggezione. Portava una veste di velluto, tempestata di granati, che le fasciava il busto e aderiva perfettamente ai fianchi ed alle gambe, delineandone ogni curva, e le scopriva le braccia diafane. Al lungo collo aveva appeso un rubino ottagonale, grosso come un uovo, ma di certo molto più pesante; era scuro come il sangue essiccato, ma quando la luce lo trafiggeva svelava la vivacità delle fiamme. Una cascata di guizzanti e tempestosi capelli cremisi le lambivano le cosce. Il suo grande potere vibrava in un'aura quasi palpabile. Jaime pensò che non poteva essere la donna rossa di Stannis: di quella aveva sentito parlare molti anni prima, ai tempi della Guerra dei Cinque Re, mentre quella era troppo giovane per essere effettivamente la stessa persona.
-Possiamo procedere.- confermò graziosamente la donna, rivolgendo lo sguardo dietro di sè. Due fanciulle, novizie rosse, reggevano una persona priva di sensi.
-È lui.- confermò rapidamente Jaime. Brienne corrugò la fronte, ma non proferì parola. Dietro quelle due ragazze, ne venivano altre: e lo Sterminatore di Re sussultò di stupore, costatando ch'era il suo lupo. Dovevano portarlo in tre, perchè le sue dimensioni erano davvero impressionanti. Morto? Impossibile affermarlo con certezza, tanto più che non sembrava presentare ferite. Forse solo addormentato, come il giovane Stark. Perchè Jaime aveva capito subito che lui non era morto. Il respiro gli sollevava ed abbassava il petto, e le sue guance erano appena colorite dal vento.
Lo sguardo di tutti i frati era puntato sul prigioniero. La donna vestita di rosso indicò la pira con un distratto gesto della mano, e le ancelle obbedirono. Poggiarono Brandon Stark fra i pezzi di legno, e il metalupo vicino a lui. Poi la donna cominciò a spargere sopra entrambe le vittime delle strane gocce, che Jaime immaginò fossero un liquido infiammabile. Lo stesso fece su tutta la legna.
-Bisogna sbrigarsi.- intimò un frate, nervosamente. La donna sorrise languida.
-Affatto. Un sacrificio che non sia consacrato a R'hllor è solo un crimine. Dobbiamo richiedere che quest'anima sia liberata da tutto il male che ha commesso e possa ottenere la redenzione. Solo allora la minaccia costituita dai poteri conferiti dal Dio Estraneo sarà scongiurata. Altrimenti, il suo spirito contaminato dal Male continuerà a perseguitare i deboli di questo mondo. Vogliamo permettere una cosa del genere?-
-Melisandre, la cerimonia-
-Cercherò di fare più in fretta che potrò.-
La donna di nome Melisandre, dopo aver esalato un profondo respiro, cominciò a pronunciare parole in una lingua a Jaime sconosciuta, composta di suoni melodiosi ma straordinariamente sciolti l'uno nell'altro, fino a apparire impronunciabili. Brienne, nel frattempo, aveva dato segno ai loro uomini, rimasti nel folto della boscaglia, di avanzare, tenendosi nascosti dietro delle rocce.
-Attacchiamo?-
Jaime annuì con il capo. -Non possiamo attendere ancora.-
Nel frattempo, un frate aveva acceso una lunga torcia e l'aveva consegnata a Melisandre. La donna sciorinò ancora quelle parole incomprensibili, e così facendo strinse le dita attorno al legno ed ammirò il fuoco, che baluginò feroce nelle sue iridi chiare.
-Signore della luce, perdonalo e salva la sua anima, nella tua infinita misericordia.- pronunciò, nella lingua comune. Fece un passo in avanti.
Prima che potesse accostare la fiamma alla catasta, lucente di alcol, Jaime Lannister le aveva fatto cadere la fiaccola di mano e le aveva puntato la spada alla gola. Inaspettatamente, la donna non reagì con violenza: quando lo Sterminatore di Re la pungolò con la lama, si limitò a rimanere immobile. Che si fosse accorta della spoporzione fra la loro forza fisica?
Con un gesto celere, Jaime si scrollò il mantello sulle spalle e lo calpestò sulla fiamma. Alle sue spalle, sentiva Brienne e i soldati minacciare i frati affinchè non intervenissero.
-Mi dispiace, ma temo di dover interrompere la festa.- dichiarò Jaime. -E sì che i falò in spiaggia mi sono sempre piaciuti... ma quando li facevo io non arrostivo le persone, effettivamente.-
Con suo grande stupore, sentì Melisandre ridere.
-La volontà di R'hllor si compie sempre, ser Jaime,- mormorò, quasi beffarda, -e chi gioca con il fuoco finisce per scottarsi.-
Jaime non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi perchè diavolo quella donna sapesse il suo nome: l'unica cosa su cui la sua attenzione fu calamitata fu la fiamma che aveva improvvisamente preso vita sulla catasta. Come aveva fatto?! Quella donna rossa era una specie di strega? Aveva acceso il fuoco solo con l'ausilio della propria volontà... Sulla catasta coperta di liquido infiammabile, cazzo! Jaime spintonò Melisandre di lato e calcolò rapidamente quanta legna avrebbe dovuto scostare, per liberare il ragazzo. Troppa. Ad ogni buon conto, senza ormai ragionare più, si lanciò sulla pira. Brienne urlò qualcosa alle sue spalle, ma lui non l'udì. L'unica speranza per salvare la famiglia... Tyrion si fida di te... La vita di Tommen e dei suoi bambini dipende da questo... Con le braccia scagliò via pezzi di legno alla rinfusa, senza badare alle cortecce ruvide, alle lunghe schegge, ai cioppi che rovinavano sopra la sua testa. La pira era alta, la vittima all'improvviso pareva irraggiungibile, e le narici di Jaime colsero un presentimento. Fuoco. Odore di fuoco. Di legna bruciata. Ancora, ancora scostare, ancora farsi largo. I suoi movimenti erano goffi, troppo lenti seppur frenetici: colpa dell'agitazione, della fretta, del panico, di quella maledetta mano mancante. Un altro odore, ancora più molesto. Il fumo cominciava a levarsi, come il pennacchio impolverato d'un elmo, e Jaime poteva scorgerlo, perchè sentiva gli occhi lacrimare dall'irritazione... Odore di carne bruciata. No. No.
Poi, l'insperato: afferrò il braccio di Brandon Stark. Lo percepì sotto il palmo. Il suo cuore esultò per meno di un istante. Arrivò il fuoco, Jaime lo vide. Fece solo quello che l'istinto lo portava a fare, lo stesso che avrebbe fatto se fosse stato in bilico su una scogliera. Si aggrappò a ciò che stringeva e si lasciò precipitare -anche se non sapeva di preciso dove. Non ce l'avrebbe mai fatta, quello fu l'ultimo, sconsolato pensiero che gli esplose nella testa... e poi tutto attorno a lui scoppiò.
***
-Dov'è?! La voglio uccidere!- Arya Stark strappò con la spada un ramo che, pendendo, si frapponeva fra lei ed il suo obettivo. Le mani tremavano dalla furia. Lo stava facendo di nuovo, quella.. -La ucciderò! Giuro che la ucciderò!-
Quel che vide non era esattamente ciò che si aspettava. Brienne di Tarth stava domando un incendio, aiutata da alcuni uomini che recavano lo stemma dei Lannister sul petto; ai piedi di una mastodontica pira avvolta dal fumo, giaceva il corpo di suo fratello, inerme -morto o ferito?- e, al suo fianco, un uomo che stentò a riconoscere come Jaime Lannister. In effetti entrambi erano neri di cenere, dagli abiti sbrindellati al volto. Ma Arya non si preoccupò di nessuno di loro -non adesso, non era importante.
-Dov'è? Voglio farla annegare nel suo sangue. Dov'è Melisandre di Asshai?!- La sua arma luccicò al sole dell'alba, eloquente.
Incrociò lo sguardo azzurro e freddo di Brienne. La donna strinse le labbra. -Scomparsa. Volatilizzata, sotto i miei stessi occhi. La stavo tenendo bloccata per i polsi... e un secondo dopo non più. Sparita.- ribadì con durezza.
Le braccia di Arya ricaddero lungo i suoi fianchi, mentre lo smarrimento prendeva forma sul suo viso.
Dopo tutto questo, Jaime Lannister tossì sonoramente.
 ***
Manca qualcuno, pensò Tommen. E non intendeva qualcuno della propria famiglia -Margaery era al suo fianco, ostentando una stoica impassibilità, e suo zio Tyrion fischiettava guardandosi intorno con sincera curiosità- bensì qualcuno della loro famiglia. Bran Stark, sul suo scranno in alto, era solo. Non sembrava affatto reduce dal rogo di una setta di preti rossi fanatici, ed era spaventoso quasi come Tommen se lo era sempre immaginato. Proprio come gli era stato raccontato, aveva incolti capelli castani sulle spalle ed il viso ostentava il pallore della morte -però nessuna descrizione avrebbe mai potuto rendere i suoi occhi, come varchi spalancati sull'oblio, pronti ad abbrancare chiunque vi si fosse sporto troppo. Eppure, sebbene intimamente intimorito, Tommen aveva realizzato di saper sostenere quello sguardo -forse perchè era un pericolo che lo affascinava in un modo misterioso, forse perchè durante quei mesi era molto cambiato.
Accanto al trono di Brandon il Metamorfo, c'era quello di Gendry il Bastardo. Più precisamente, il Trono di Spade. Il mio trono, non potè fare a meno di pensare Tommen, con un pizzico di stizza, sebbene avesse ormai capito che era meglio perderlo che trovarlo. Doveva ammettere che quel Gendry aveva la carisma di un vero re -così imponente e fiero e massiccio, però anche Robert Baratheon da giovane era tale e quale, e si sapeva com'era andata a finire. Non bastava affatto assomigliare ad un sovrano, per esserlo davvero.
C'erano tutti, insomma, o quasi tutti. Dov'erano finite le sorelle Stark? Tommen Lannister, Margaery Tyrell, ser Loras, Tyrion, Brandon Stark, Gendry Baratheon. Nella sala del trono, dove fino a pochi giorni prima s'era scatenata una furibonda battaglia, non c'era nessun altro. A ricordare il macello che era stato consumato, solo ferite di spada sui muri ed un odore di sangue rivoltante.
Ad un certo punto, le alte porte si spalancarono. Jaime Lannister entrò. Sulle sue labbra aleggiava un sorriso distratto, quasi si compiacesse d'un segreto; i capelli erano più corti di prima, in quanto le serve, lì dove i grumi di cenere erano più ardui da rimuovere o dove il fuoco aveva bruciacchiato ciocche asimmetriche, li avevano tagliati. Le superficiali ustioni del fuoco, sulle braccia e su un fianco, erano celate dalla stoffa di un camicia bianca. Tommen fu incredibilmente orgoglioso di lui: in quanto a fierezza, non era certo da meno rispetto ai presenti. Seppe che la riunione avrebbe finalmente avuto inizio. Tutta la tensione che aveva accumulato si librò nell'aria in un sospiro pesante.
Jaime Lannister procedeva scandendo i secondi con i propri passi, sul marmo. Bran Stark lo seguiva attentamente, senza mai distogliere da lui gli abissali occhi di pietra. Tommen notò, quasi sovrappensiero, che non sbatteva mai le palpebre. Il re del Nord pareva star silenziosamente ragionando su qualcosa di inindovinabile, senza fretta, esaminando Jaime con tutta la calma del mondo, quasi provasse il vivo desiderio di studiarlo. Infine, l'uomo si fermò ai piedi dei loro troni. Ancora silenzio. Le labbra di Gendry Waters erano serrate.
Quando ormai Tommen cominciava a chiedersi, con un certo smarrimento, cosa diamine sarebbe successo -la sua mente intanto elaborava fantasie farneticanti, secondo le quali un manipolo di soldati del Nord sarebbero entrati all'improvviso compiendo un massacro- allora Brandon il Metamorfo parlò.
-Ci rincontriamo di nuovo, ser Jaime. Quasi dieci anni fa hai cercato di togliermi la vita, adesso me la salvi. Da cosa deriva tutta questa indecisione?-
Il sarcasmo nella sua voce -leggera, appena un po' arida, ma sorprendentemente giovane, più di quanto Tommen avrebbe creduto- era così lieve da permettere a Jaime Lannister di occultarlo con abilità, rivolgendogli un sorriso storto.
-Non saprei. Magari mi sono redento. Le persone cambiano, in fondo.-
-Le persone cambiano.- confermò il ragazzo. -E tu, precisamente... come saresti cambiato?-
Jaime sorrise. -La domanda mi mette in difficoltà. Forse ho soltanto cambiato opinione a proposito della tua sopravvivenza. Non è più tanto scomoda.-
Bran Stark lo fissò e basta per ancora qualche secondo. -Temo che dovrai ricrederti, perchè io, al contrario, non ho affatto cambiato l'opinione che avevo di te.-
-Un po' irriconoscente da parte tua, non credi?- Jaime inclinò la testa di lato. -Detto da uno che ho appena trascinato giù da una pira, e che se avesse aspettato i suoi fratelli a quest'ora sarebbe ridotto in cenere, intendo.-
Tommen vide le guance di Bran Stark prendero fuoco dalla rabbia. Per trattenere il proprio potere, dovette chiudere gli occhi e massaggiarsi le tempie per qualche secondo.
-Stai osando più di quanto tu possa permetterti, Sterminatore di Re. Se continuerai a parlare in questo modo, la mia riconoscenza ti arriverà dritta dritta nel cuore, così come la spada di Roose Bolton è arrivata in quello di mio fratello. A proposito di fratelli,-
Tommen udì uno schiocco: voltandosi, si accorse che Arya Stark era entrata nella sala.
-quale pensi che sia stato l'ultimo pensiero di Robb, sorella?- concluse Bran, senza distogliere lo sguardo da Jaime Lannister.
Arya indossava ancora la parte superiore dell'armatura. I capelli scuri e scompigliati, così come l'espressione ostilmente selvatica, la facevano assomigliare alla sua metalupa -che la fiancheggiava silenziosa come un'ombra- in maniera stupefacente.
-Un pensiero d'odio.- La ragazza salì i gradini che la distanziavano dal fratello, e si pose al fianco del suo trono, inchiodando anche lei i propri occhi a quelli di Jaime. -Di vendetta.-
E una è arrivata, riflettè Tommen.
A quel punto, Tyrion Lannister si rese conto che la situazione stava precipitando in una maniera a loro sfavorevole, così intervenne.
-Posso disturbare per un attimo il vostro colloquio?- domandò a Bran, con un gesto d'ossequio più condiscendente che rispettoso. Lui inarcò le sopracciglia.
-È una questione fra me e Jaime Lannister, Folletto. Che cosa vuoi?-
-Ti sbagli a parlare con lui, invece.- lo avvertì Tyrion. -Certo, l'errore è comprensibile, visto che finora non sono mai stato io a condannare la famiglia alla rovina. Però, questa volta... volevo scoprire come ci si sente, e così...-
Bran era confuso. -Spiegati.-
Il Folletto frugò in una tasca del farsetto rosso, fino a che non estrasse un foglio ripiegato molte volte, che lui lisciò con le mani, prima di salire i gradini ed allungarlo a Bran.
-Tieni questa. Io non la voglio, rievoca tristi ricordi.- svelò, facendo una smorfia. -Non vedevo l'ora di liberarmene.-
Brandon Stark riconobbe la grafia al primo sguardo: Tyrion se ne accorse, dallo spasmo di dolore che storse il labbro inferiore del ragazzo. Il re del Nord lesse la prima riga, poi alzò lo sguardo, perplesso ed accigliato.
-Il destinatario sono io?-
-Niente affatto. Sono io.- Tyrion sospirò seccamente. -Se avessi lasciato che giungesse nelle tue mani prima, quando Jojen Reed la stava legando alla zampa di un corvo, probabilmente in questo momento tu saresti crollato in disgrazia, il tuo esercito sarebbe disperso e decimato nelle Terre dei Fiumi e sarei io a dover concedere la grazia a te, non il contrario.-
Bran gli rivolse un lungo sguardo velato di minacce, prima di riconcentrarsi sul foglio che aveva fra le mani. Lentamente, turbato, lesse riga per riga. Le staffilate di sofferenza che lo coglievano ad ognuna di esse erano lasciate presagire dalla tensione fremente dei suoi lineamenti irrigiditi. La fatica con cui portò a compimento la lettura era evidente. I suoi occhi parevano addirittura più scuri di prima, come baratri spalancati sull'oblio dell'eternità.
Appena terminato, il ragazzo guardò il nano, pieno di dubbi, e sventolò il foglio, scettico. -Perchè mai Jojen avrebbe scritto tutte queste cose? Non si sono avverate sul serio...-
-Per manovrarmi ed indurmi a fare tutto quello che gli andava comodo.- rispose Tyrion. -Gli andava comodo che io credessi che tu saresti morto ad Approdo del Re, proprio perchè così mi sarei diretto ad Approdo del Re... dove poi c'è stato tutto questo. Gli andava comodo che io credessi che Rickon sarebbe stato ucciso da Myrcella, perchè così ci saremmo fidati di lei. Fortunatamente, mi sono accorto della verità prima che potessi cadere in un simile errore. Ma non abbastanza presto, a quanto vedi.-
Bran Stark tacque. Ciò che finora lo aveva assillato, abbandono, si sostituì a qualcos'altro, sacrificio: sacrificio, che forse era ancora peggio -ma almeno adesso aveva la certezza che Jojen non aveva mai smesso di servirlo, e non aveva mai smesso di amarlo, nemmeno durante la morte -tantomeno durante la morte. Morto per determinare le sorti di questa guerra. Morto per lui. Nessuno dimenticherà questo, pensò, non permetterò che alcuno lo dimentichi. E poi: lui ha fatto qualsiasi cosa per me, ma non mi ha concesso l'occasione di fare mai nulla per lui. 
-Involontariamente, mi hai dato una grande gioia, lord Tyrion.- dichiarò, mantenendo compostezza per quanto gli fu possibile.
-Magari non così involontariamente, ragazzo.-
Dopo avergli rivolto un'ultima, obliqua occhiata sarcastica da sotto in su, il Folletto accennò un mezzo inchino ed arretrò, fino a tornare al fianco di Tommen.
-Sei stato fantastico.- gli sussurrò lui, entusiasta.
-Oh, stai un po' zitto.- lo redarguì lo zio, sebbene sul suo viso vi fosse un sorriso compiaciuto.
-Possiamo continuare.- Gendry Waters riportò il silenzio. -Dovete ancora decidere che cosa ne sarà dei Lannister.-
La porta si aprì di nuovo, e adesso Tommen sapeva già chi fosse entrato: non ebbe bisogno di girarsi. Sansa Stark avanzava con molta più sinuosa eleganza della sorella, però con non meno maestà. Il manto dei suoi capelli ricordò al giovane Lannister la coda della cometa di sangue, che aveva visto viaggiare nel cielo molti anni addietro, quand'era ancora bambino. Sansa portava un vestito di velluto celeste chiaro, con inserti di candida pelliccia d'ermellino, nelle maniche come lungo gli orli delle ampie gonne; reggendole con la punta delle dita, giunse fino al trono, ponendosi alla sinistra del trono di Bran Stark.
E due
, pensò Tommen. Con un brivido, si accorse che non sfigurava affatto. L'intransigenza sul suo volto non era differente rispetto a quella di Arya e della sua furia a stento contenuta, a quella del re del Nord: era stata la stessa lama a sfregiarli, in fondo. I due metalupi erano ai loro piedi, vigili, le orecchie ritte, le loro pupille bestiali come coltelli nella carne. E i ragazzi sembravano personificazioni dell'inverno, con il freddo negli occhi e il supplizio sulle labbra. E stavano guardando Jaime, tutti e tre.
-Non meritano un processo. Nemmeno uno informale come questo.- Sansa fissò lo Sterminatore di Re e vide Cersei, Cersei e il suo sorriso bugiardo, Cersei e tutte le umiliazioni a cui aveva sempre tramato di sottoporla, anche quando fingeva di esserle amica. Cersei e il suo sangue dannato. -Non meritano la speranza di salvarsi.-
Jaime la ignorò. Per alcuni istanti di silenzio, attese che il re del Nord gli facesse un cenno e gli permettesse finalmente di parlare.
-Io e te abbiamo molto in comune, hai notato? Entrambi storpi. Entrambi ugualmente affermatisi, nonostante i pregiudizi della gente. Entrambi provenienti da famiglie che si sono fatte molto male a vicenda, che hanno sterminato donne e disseminato lutti...- Esitò, chiedendosi se proseguire fosse un azzardo, ma concluse ugualmente, sondando la reazione del ragazzo con lo sguardo. -... entrambi privi della persona che abbiamo amato. Ed entrambi, come mi sembra di desumere, stanchi di questa guerra.-
-Sono molte più cose in comune di quante mi piacerebbe avere con un Lannister.- commentò Bran, acidamente, con spiccato sarcasmo. Jaime interpretò il fatto di non essere stato smentito come una conferma, e continuò con più fermezza.
-Stanchi di questa rivalità continua che si sta nutrendo con il nostro sangue e le nostre carni, e che stiamo fomentando senza tregua.- rincarò. -Sai quando la faida avrà fine? Quando saremo tutti morti, quando ci saremo ammazzati a vicenda fino all'ultimo. È questo che vuoi? È questa la scelta migliore, il destino che vuoi per tua moglie, per i tuoi figli? Omicidio dopo omicidio, l'odio reciproco sarà un serpente che si morde la coda, un circolo vizioso che non finirà finchè non saremo noi stessi a finire.-
Bran Stark rimaneva in silenzio, osservandolo con quel suo sguardo buio di riprovazione. Impossibile decifrare i suoi pensieri.
-Anzichè vendicare morti che sono i nostri medesimi torti a condannare, possiamo impedire piuttosto che i membri delle nostre famiglie continuino a morire, e mettere fine ad un eterno ciclo di vendette. Non ci deve essere per forza bisogno di guerra e sangue... Però dobbiamo essere noi a decretarlo, e dobbiamo farlo adesso.- Jaime guardò anche Arya Stark, il suo disprezzo così terribilmente ostentato, e l'infrangibile scudo ch'era il viso d'avorio di Sansa. -Per quanto difficile, giriamo pagina. Lasciamo riposare in pace i nostri morti, da entrambe le parti, e non permettiamo che altri cari perdano la vita a causa di questo odio. La casa Lannister perdonerà la casa Stark, e la casa Stark perdonerà la casa Lannister. Nessuno dimentica, ma nessuno impugna più le armi.- Jaime Lannister tornò a rivolgersi a Bran. -Questa vendetta non ci sta portando da nessuna parte. Te ne sei reso conto anche tu, vero?-
Il re del Nord scosse il capo. -Perchè mai dovrei temervi ancora? Voi siete tutti qui, in nostro potere. Basterebbe impartire un ordine per farvi sgozzare senza troppe cerimonie, così come basterebbe mettere in palio un titolo di lord per scoprire dove si trovano i gemelli. Potreste benissimo smettere di esserci soltanto voi, e risolvere il problema. Quindi perchè dovrei prendermi il disturbo di risparmiarvi?-
-Ti ho salvato la vita.- argomentò Jaime.
Bran si concesse una breve risata amara. -Su, andiamo, non prendiamoci in giro. L'hai fatto solo ed unicamente per rinfacciarmelo, come stai facendo proprio ora. L'hai fatto per ottenere la grazia. Se fosse stato per te, avresti acceso a quella donna la torcia per bruciarmi.-
-I Lannister hanno pagato i loro debiti. Avevano ucciso Eddard Stark, Catelyn Stark e Robb Stark.- Mentre li nominava, lo Sterminatore di Re sollevava un dito della mano sinistra. -Sono morti Tywin Lannister, Cersei Lannister... e la terza vita che ti ho restituito io oggi, Brandon Stark, è la tua.-
Quando sollevò anche il medio, fissando Bran con eloquenza, il ragazzo sospirò pesantemente. Si voltò verso le sorelle, che incrociarono il suo sguardo quasi con tristezza.
-I Lannister sono una famiglia grande, e ricca. Se uccidessi i qui presenti, i parenti di Lannisport sarebbero praticamente costretti a dichiararmi guerra. Guerra... ancora guerra, ancora morte, ancora denaro. Invece di difendere il Nord, oltre che averlo abbandonato, non farei altro che impoverirlo fino a sfinire i suoi abitanti con tasse troppo ingenti. Saremmo daccapo, come ai tempi di Robb. Quindi, quanto ci conviene inimicarci metà del Sud? Quanto ci conviene rimanere ancora qui?-
Fu Sansa a parlare, dopo aver scambiato una breve occhiata con la sorella minore. -Sei tu il re. La decisione sta a te.-
-So che farai una scelta per il bene del tuo regno... ma soprattutto per il bene della tua famiglia.- ammise Arya, infine, con un sorriso flebile che per Bran rappresentò la prima, vera presa di coscienza: aveva sul serio ritrovato le sue sorelle. Erano sul serio insieme, dopo tanto, dopo tutto. Le ringraziò sommessamente per la loro fiducia.
-Prometto che prenderò la decisione che mi sembra migliore, adesso. Certo, non posso pretendere di trovare la soluzione giusta in assoluto...-
-... certo, non senza di me.-
Quando Tommen udì quella voce, fu come se tutti gli inferni si fossero congelati; come se tutti i paradisi andassero in fiamme. Fu come se il mondo di fosse rotto e ricomposto in modo bizzarro e grottesco. Fu come se lui si fosse accorto di essere dentro un'enorme clessidra, nel momento in cui era stata rovesciata.
Rickon Stark spalancò le porte con l'irruenza di un ariete da guerra. La sua voce era ancora più gutturale rispetto a quella che Tommen conservava nei propri ricordi, anche se era infraintendibilmente la stessa; colpa del tentato strangolamento, di cui rimanevano ancora segni incisi sulla pelle, lasciati ben scoperti -come se il giovane Stark stesse esibendo un trofeo. Il lungo mantello accompagnava i suoi movimenti, che tutti seguivano con lo sguardo. Il silenzio nella sala era sconcertato. Margaery aveva gli occhi strabuzzati, Loras Tyrell imprecava fra sè.
Come aveva fatto? Come poteva essere ancora così... vivo?! Tommen sentì il cuore precipitare fin nei meandri dello sconforto più irrimediabile. Niente vendetta per sua madre. Niente vendetta per suo nonno. Niente punizione per il tradimento di Myrcella. Niente di niente.
-Tu eri morto!- Non realizzò di aver parlato ad alta voce, finchè non sentì l'eco delle sue stesse parole. -Tu eri... morto. Era accaduto davvero!-
Rickon Stark conficcò i suoi maledetti occhi azzurri in quelli verdi e sgomenti di Tommen. -Non mi piace che le cose accadano. Preferisco farle accadere.-
Bran rimproverò il fratello, interrompendo il loro scambio. -Ti stavo aspettando. Ce ne hai messo di tempo.-
-Non è la puntualità, la peculiarità per cui mi celebreranno in eterno.- ribattè Rickon, asciutto. Per un attimo, cercò Myrcella fra i presenti; non vedendola, si affrettò ad ostentare indifferenza.
-A meno che non incappi in qualche altra fanciulla armata di spada, s'intende.- bisbigliò Margaery. Tommen però non era dell'umore giusto per farsi una risata.
Bran attese che il fratello salisse i gradini e affiancasse Arya, prima di proseguire. Quando parlò, la sua voce colmò la sala.
-Voglio un giuramento.-
A quelle parole, Rickon inorridì.
-Bran!- sbottò, indispettito. Il fratello non diede segno d'averlo udito.
-Un giuramento solenne, che vincoli noi e i nostri successori fino alla fine dei tempi.- aggiunse, guardando solo Jaime. -Ci stai, Sterminatore di re?-
-Ho scelta?- domandò l'altro, ghignando.
Bran valutò la sua figura per qualche istante, chinando il capo. -A meno che non sia già successo, non è mai troppo tardi per morire.-
Jaime sorrise affabilmente. -Poco male. Un patto è esattamente quello che mi auguravo.-
Rickon guardò prima l'uno, poi l'altro, incredulo.
-Ma si può sapere quale fottuta miseria state fottutamente progettando?!- sbraitò.
Tyrion intervenne, ruotando gli occhi al soffitto. -Ah, questi giovani, non si capisce mai quel che dicono. Vediamo se parlare la tua lingua servirà. Visto che voi volete fottutamente ucciderci ed appenderci ad una fottuta forca, noi fottutissimi Lannister stiamo cercando di salvarci il fottuto culo e non fare una fottuta brutta fine. Afferrato il fottuto concetto?-
-Mi prendi per il culo, nano?- Rickon strinse gli occhi e lo guardò con sospetto.
-E come potrei?- ghignò Tyrion. -Mi smaschereresti subito, se lo facessi.-
-Dev'essere un giuramento fra i più sacri ed inviolabili che esistano.- stava intanto dicendo Bran, rivolto a Jaime. -Dev'essere un giuramento irreversibile.-
-Un giuramento di sangue.- concluse l'altro.
-Cosa stai facendo, Bran?!- protestò Rickon, a gran voce. -Perchè?! Non lo fare. Voglio che loro muoiano, che muoiano tutti. E poi che risorgano, soltanto per morire di nuovo. E poi che-
-Sì, abbiamo capito. Adesso chiudi la bocca.- borbottò Tyrion.
Brandon Stark, senza distogliere lo sguardo da quello di Jaime, estrasse con un rapido gesto una daga dalla cintura, sollevò la manica e lasciò scorrere la lama lungo l'avambraccio, disegnando un lungo squarcio dal gomito al polso. La sua espressione rimase imperturbabile.
Jaime Lannister salì i gradini. Appena allungò il braccio per ricevere la daga a sua volta, Rickon -al fianco del fratello maggiore- sfoderò la spada. Tommen trasalì. Tyrion per un attimo strizzò le palpebre.
-Rickon.- lo riprese Bran, atono, come se si rivolgesse ad un cucciolo troppo vivace. Lui scrollò le spalle, con un ghigno leggero.
-La prudenza non è mai troppa.-
Tommen pensò che, casomai, per lui le occasioni buone per cercare di trafiggere un Lannister non sono mai troppo poche, ma tacque. La loro vita era salva; avrebbe dovuto rallegrarsene.
Brandon Stark accostò il braccio a quello di Jaime Lannister, mentre re Gendry mormorava qualche parola per siglare il giuramento.
-Se mai un membro della nobile casa Stark toglierà mai la vita ad un membro della nobile casa Lannister,- proclamava, -allora io dichiaro che sia condannato a morte. Che lo stesso accada nella situazione opposta. Brandon Stark, lo giuri, in nome degli dèi antichi e nuovi, in nome del re Gendry Baratheon, primo del suo nome?-
Bran socchiuse gli occhi. -Lo giuro.-
-Jaime Lannister, lo giuri?-
-Lo giuro.- replicò lo Sterminatore di Re, sottovoce.
Gendry annuì. -Che dunque il giuramento venga rispettato, finchè le vostre nobili case avranno vita.-
Rickon Stark chinò il capo. Suo fratello gli aveva appena legato le mani, e in quel momento era troppo offuscato da quella ustionante consapevolezza: non aveva nessuna intenzione di rendersi conto che Bran l'aveva fatto per lui, per loro. E poi la porta si aprì, per l'ennesima volta.
-Lasciami andare... Lasciami, dannazione!-
Myrcella Lannister si divincolava con foga, sgomitando con stizza contro il petto di Brienne -Rickon avvertì un gemito imperioso premergli le labbra, e le lacrime che gli pizzicarono astiose gli occhi non erano di dolore, eccezionalmente. Si colmò gli occhi della sua immagine, ricavandone un sollievo fisico ed escluso da qualsiasi paragone. Credeva che non l'avrebbe mai più vista.
I lunghi capelli, ridotti ad un groviglio di nodi neri, erano stati selvaggiamente strappati a ciocche senza il minimo criterio; Rickon si chiese indignato chi potesse averlo fatto, prima di indovinare che non non c'era altro colpevole, fuor che lei stessa. Sul viso sporco di cenere, il sangue dei capillari rotti nei suoi occhi risaltava come in un campo di battaglia. Lunghi graffi rossi -graffi che non era stato Rickon ad incidere- si allungavano sulle sue braccia come crepe.
Brienne di Tarth varcò la soglia, mantenendo saldamente la presa sulla principessa, ed incrociò lo sguardo di Jaime. Quando l'uomo le fece segno di sì, sciolse la presa.
-Lasciami!- ribadì Myrcella, rifilandole una gomitata furibonda nello sterno e svincolando dalle sue braccia. Alzò la testa. Appena vide Rickon, la speranza sbocciò trionfante. Un chiarore radioso ravvivò presso gli zigomi.
Null'altro si mosse: soltanto Myrcella, che si slanciava da un estremo all'altro della sala, inseguita dal rumore affrettato e disperato dei suoi passi sul marmo. Silenzio.
Si accasciò contro il petto di lui, vi affondò il viso, singhiozzando a gran voce. Il sapore salato delle sue lacrime punzecchiò l'olfatto fino di Rickon. A malapena si accorse che era la prima volta. Percepiva solo Myrcella piangere con passione, fremente, piegata fra le sue braccia -di nuovo al sicuro. Quegli alti gemiti, che scuotevano il suo fragile corpo, li ascoltarono anche gli dèi. Bran e Jaime assistettero senza guardarli, impassibili. Rickon nascose il volto fra i capelli di lei, muto e straziato da una felicità senza parole. 
La guerra era finita.
***
Meera Stark contemplava con una nuova gioia il cortile di Grande Inverno, quel mattino. La neve aveva già ripreso la sua danza, instancabile, ed assolveva con lenta grazia il peccato di tutto il sangue scuro degli invasori, versato appena otto giorni prima; quel mattino, quando s'era affacciata alla finestra di camera sua ed aveva appurato ciò, se n'era vivamente rallegrata. Le porte sfondate di Grande Inverno, che all'inizio la spaventavano così tanto, adesso le parevano soltanto l'ennesima prova di quanto fosse potente la loro casa: aveva resistito a questo, ed avrebbe resistito a qualsiasi altro attacco. Lì tutti erano al sicuro.
Il sole dipanava pallide trame di luce nebbiosa, offuscata di bianco, e si rifletteva sulle colline purificate ed adamantine, colorando mille schegge opalescenti. Il vento era dolcemente fresco ma non tagliente, e Meera lo trovava bizzarramente concorde al proprio umore. Stava a viso scoperto, lasciando che il Nord soffiasse il suo fiato sulle sue guance, arruffandole i capelli. Sopra ad un abito di broccato scomodissimo ma d'estrema eleganza, verde muschio, indossava spesse pellicce marroni. Era il primo giorno che usciva all'aperto, e il caso aveva voluto che fosse proprio quello ideale. Osha gironzolava nelle vicinanze, stringendo le manine del principe Kenned nelle sue e sostenendolo nel compiere piccoli, incerti passi nella neve. Le sue, di guance, più tenere e delicate, erano punte furiosamente dal gelo, eppure il piccolo non si lagnava. Era sangue del Nord quello che gli scorreva nelle vene, dopotutto. La madre sorrise a quella scena. Vedere i soffici riccioli inanellati del suo bambino vorticare nella brezza della sua terra, sentire la voce di Osha che borbottava burbere esortazioni e le risatine deliziate di lui, le spalancava il cuore a metà come un frutto maturo. Le ricordava che, fino a poco prima, non era più riuscita a sperare in tutto questo; l'aveva considerato già perduto. E invece era lì, c'era ancora. Era vero. Era suo. Le spettava. Le spettava, un po' di felicità.
-Una splendida giornata per la partenza.- esclamò una voce alle sue spalle. Meera si voltò con un sorriso.
-Mi avete letto nel pensiero, lord Snow... Vi stavo aspettando.- 
-Presto saranno tutti pronti a partire.- annunciò il ragazzo; poi assunse un'espressione solerte. -Voi e il bambino come state?-
-Molto meglio. E tutto grazie al tuo amico Maestro.- rispose lei, con gratitudine, sfiorandosi appena il ventre protetto dal mantello. L'avevano rischiata grossa, lei e suo figlio, però sorprendentemente tutto era andato per il meglio. Passato il panico e l'offuscamento dovuto all'attacco dell'esercito di Bolton, una volta coricata sulla paglia nelle stalle, Meera era stata assalita da un nuovo timore, che soltanto in quel momento riusciva a valutare in tutto il suo peso e gravità: di avere ucciso il bambino con la propria temerarietà. Quella povera creatura innocente, sacrificata a causa del suo stupido orgoglio... Non avrebbe saputo perdonarselo. Molti decotti e un'infinità di ore di sonno dopo, quando le sue membra contratte avevano smesso d'essere torturate da stillate prepotenti, si era sentita sollevata fino alle lacrime.
Jon attirò la sua attenzione, facendole notare che gli altri ospiti in partenza stavano varcando l'arco d'ingresso: Theon e Yara.
-Ecco la sopravvissuta.- ghignò Meera. Yara fece una smorfia, aggiungendoci un'occhiata salace nella sua direzione. In effetti, Ramsay Bolton non era stato esattamente delicato con lei: impossibile indovinare cosa le facesse più male, se le costole incrinate, le mani fasciate in bendaggi dal polso alla punta delle dita o la gamba che la costringeva a zoppicare. Era ridotta peggio di qualsiasi persona che Meera avesse mai visto, però un sorriso trionfante le incurvava le labbra.
-Hai poco da prendere per il culo, reginetta delle paludi. Se non fosse arrivato mister corvo, a quest'ora Ramsay Bolton ti starebbe scuoiando le cosce, come fai tu con le ranocchie.-
-Delle rane non si butta via niente.- ribattè Meera, divertita. Al fianco della sorella, Theon taceva. La sua espressione era atrocemente seria ed il suo pallore quasi grigiastro, ma non aveva più l'aspetto miserabile di pochi giorni prima. Dire definitivamente addio al fantasma del suo passato pareva avergli messo l'anima in pace. Non c'era più tormento nei suoi occhi, solo una vaga tristezza.
-Non vedo l'ora di tornare a casa.- dichiarò Yara, lanciando un'occhiata quasi stizzita al profilo di Grande Inverno, che pareva acciaio opaco contro il cielo evanescente. -Partirei anche a costo di nuotare fino a Pyke.-
-Sei certa che portare Bolton con voi sia una buona idea?- obiettò Meera, che, a dire la verità, si sentiva molto inquieta da questo punto di vista. Temeva che il bastardo ne avrebbe approfittato per scappare, in qualche modo. -Cosa succederà, se riuscirà a liberarsi?-
Yara tagliò corto, sbrigativa. -Non ci riuscirà, fidati. E non voglio aspettare che tuo marito faccia il suo bel lavoretto veloce con la spada, no. Ramsay Bolton dev'essere sottoposto alla giustizia del Dio Abissale.-  E poi esibì quel suo sorriso obliquo, che sarebbe riuscito a mettere a disagio chiunque.
Meera si strinse nelle spalle. -Come preferite. In questo modo, assumendovi la responsabilità della sua morte, vi assumete anche quella della sua custodia. A parte questo...- Le sorrise, e cercò di conferire solennità alle proprie parole. -Hai salvato la vita di mio figlio, Yara Greyjoy. Non lo dimenticherò.-
-Spero che, in futuro, i monarchi del Nord saranno informati del fatto che mi devono un favore.- si limitò a dire la ragazza.
-Senz'altro.-
Dopo qualche istante di esitazione, Yara le tese la mano, così come aveva fatto per suggellare la loro alleanza. Meera la strinse con vigore.
Intanto, tutti i Guardiani dell Notte erano pronti per la partenza. Maestro Sam, al momento di salutarla, snocciolò le ultime indicazioni alla regina.
-Mi raccomando, Maestà. Niente sforzi, niente duelli, niente armi... e tanto riposo. Sì, tanto riposo.- ripetè puntigliosamente.
Meera chinò il capo in un gesto di assenso, sentendosi una bambina rimproverata per una marachella. -Prometto.-
-In ogni caso, ci sarò io a tenerla d'occhio.- bofonchiò Osha, vicino a lei, che aveva preso in braccio Kenned, così che Jon potesse salutarlo. Intanto, Meera gli rivolgeva un'ultima osservazione.
-Mi spiace che voi non possiate trattenervi di più, fino a che mio marito non tornerà al Nord. Ci terrebbe con tutto il cuore, a ringraziarvi di persona.-
-Ci vorrebbero giorni, e non mi è possibile lasciare ulteriormente la Barriera incustodita.- spiegò Jon. -I ringraziamenti personali del re non sono assolutamente necessari. Proteggere la sua persona, e la vostra, è un dovere per me e i confratelli. Sappiate che, qualsiasi cosa accada, troverete sempre in noi dei fidatissimi alleati.-
-Oh, lo so perfettamente, lord Snow.- mormorò Meera. Non osava nemmeno immaginare cosa ne sarebbe stato di lei, se Bolton avesse preso il castello. A quel punto, la ragazza dai capelli rossi che aveva combattuto al fianco dei Guardiani della Notte affiancò Jon.
-Smettila di flirtare con le donne impegnate, Jon Snow, altrimenti vado a dire in giro che mi porti a letto, capito?-
Lui sospirò, esasperato: però sorrideva. -Sì, Ygritte, certo.-
-Certo, certo...- Ygritte puntò lo sguardo sospettoso su Meera; uno sguardo tutt'altro che deferente, eppure questo rese la regina del Nord ancora più di buonumore. -Non sai niente, Jon Snow.-
Yara scoppiò in una risata fragorosa e lanciò un'occhiata maliziosa a Meera, che arrossì.
-Sai che ti dico? A volte è meglio non sapere.-
***
Myrcella Lannister si disse che a volte la vita era proprio strana. Attorno a lei, i preparativi della partenza da Approdo del Re erano in fermento: gli uomini del Nord erano intenti a caricare sui carri le provviste, le tende, le armi, e la voce autorevole di Bran sovrintendeva all'operazione. I Lannister ancora non s'erano visti, perciò c'era da supporre che non si sarebbero presentati, ma che invece fossero a loro volta impegnati in un'altra partenza: quella alla volta di Castel Granito, di cui Tommen sarebbe diventato il signore.
Myrcella non era riuscita a rimanere là, in mezzo alla confusione ed al disordine: aveva bisogno di pensare. Non si trattava di un nodo problematico da sbrogliare, o di un germe d'idea, d'un focolaio da sviluppare per bene, ma solo di una serie di parole, suoni, colori, immagini e ricordi che si sovrapponevano fino a figurare una storia che Myrcella non era più così sicura essere fedele alla realtà dei fatti. La vita era proprio strana. Fino al giorno prima, scottava di febbre in un sudario di lenzuola intrise di sudore acre, biascicando la lingua dei moribondi, mentre già sulle palpebre si marchiavano a fuoco le visioni del mondo dei morti -e lei tossiva l'ultimo respiro che le era rimasto, cercava di scavarsi il petto per estrarne il cuore, gemeva il proprio delirio, arresa di fronte all'evidenza che non esistevano note per riprodurlo, e il suo corpo s'essiccava d'ogni liquido come un fiore dimenticato fra le pagine d'un libro. Di lei non era rimasto che uno spettro rosso di sete ed inedia, che s'agitava sotto gli artigli della Morte. Tremava, percependo il suo alito freddo sul collo, eppure si sentiva così stanca di urlare, così stanca di sudare, così stanca di avere caldo e soffrire. Di vivere quegli istanti così... grotteschi, innaturali, abnormi e mostruosi. Sbagliati. Vivere così, che le pareva assurdo quanto vivere senza testa. Qualcosa di incomprensibile, disgustoso ed irrazionale. Respirare nella piena, sferzante, netta coscienza che Rickon non lo stava più facendo. Sbagliato. Doveva essere morta anche lei. Voleva essere morta. Voleva morire dimenticando che lui era morto. Voleva morire, per annullare la propria perdita nell'annullamento di se stessa. Far calare il silenzio. Spegnere quell'orrore di pensieri. Strappare le pagine di quella storia così ignobile. Le ballate tristi l'avevano sempre commossa, quando aveva sedici anni -ed adesso si accorgeva che potevano aveva qualche fascino solo per chi non ne fosse protagonista.
E poi quella voce. Myrcella, svegliati, Myrcella, lui è vivo. Vivo. Lui è vivo. Lui è vivo? Ad un certo punto, non sapeva esattamente quando, aveva smesso di precipitare. Perchè quel filo di voce era più saldo di una catena di ferro, perchè lui è vivo. L'equilibrio si era ristabilito, e lei aveva ritrovato il senso, il proprio senso. Era proprio strana, la vita.
Udì i suoi passi, l'udito raffinato da quell'esperienza passata -eredità dei suoi mesi nelle segrete, aveva imparato quel ritmo a memoria.
-Ho perso.- osservò fra sè, mentre il vento faceva oscillare i suoi capelli, di nuovo biondi e splendenti, dietro le orecchie. -Mi hai vista piangere.-
Rickon ridacchiò, un suono che scaldò il cuore di Myrcella come facevano un tempo le carezze di Cersei, i sorrisi di Arianne, e ancora di più.
-Abbiamo vinto,- la corresse, -entrambi.-
La fanciulla si permise di sorridere, si voltò. Si alzò sulle punte a baciargli le labbra.
-Siamo insieme.- bisbigliò contro la sua bocca.
-Siamo vivi.- precisò Rickon, alzando un sopracciglio. 
-E questo significa vincere?-
-Sempre.- Il ragazzo fece una smorfia, come se si fosse punto con una spina. -O quasi.-
Myrcella sapeva a cosa si stesse riferendo. Dopotutto, la vendetta contro i Lannister era stato l'unico pensiero capace di tenerlo in vita per anni, nelle più improbabili situazioni... l'unico pensiero che gli aveva impedito di impazzire, che gli aveva permesso di sopportare il dolore. E lo avevano appena privato di questo. Myrcella sapeva com'era fatto Rickon, e temeva gesti avventati da parte sua, sollecitati proprio dal divieto -che per lui non era altro che una provocazione. Così, con voce morbida, parlò.
-Tu un giorno pretendesti da me una prova d'amore. Mi chiedesti di rinnegare apertamente la mia famiglia. Di scegliere te a loro.- Myrcella carezzò la guancia di Rickon con l'indice. -Lo feci. Non mi costò dolore: mi sembrava la cosa più giusta. Tu eri, tu sei più importante di tutto il resto.- A questo punto lo fissò negli occhi, con intensità. Rickon la stava ascoltando attentamente, ma era evidente che ciò che sentiva non gli piaceva troppo.
-Adesso sono io che ti chiedo una prova d'amore.- proseguì Myrcella, con risoluzione. -Risparmia la mia famiglia. Non spero in una riconciliazione, non spero che il tuo odio per loro si plachi. Nemmeno io so più cosa provo per i Lannister, se devo essere sincera. Quello che volevo dire, è... tu continua pure a maledirli, ma lasciali in vita. Non li rivedremo mai più, non sentiremo mai più parlare di loro. Partiremo. Andremo lontano, ovunque tu voglia.- si affrettò a precisare, gli occhi che brillavano. -Ti stringerò la mano e mi affiderò a te. Portami in qualsiasi posto, purchè possiamo essere io e te e basta, in un luogo dove nessuno voglia dividerci, dove nessuno voglia giudicarci o ostacolarci.- Riprese il respiro, fremente d'emozione. -So che ti sto chiedendo molto, ma ti assicuro che lo faccio perchè ti amo. Non voglio più guerra nella tua, nella nostra vita. Non voglio più rischiare di perderti. Ti prometto che sarai felice, Rickon.- I suoi occhi erano di nuovo umidi. -Ma tu... dimostrami che mi ami. Dimostrami che vuoi mettere noi davanti a qualsiasi altra cosa. Dimostrami che rinunceresti a tutto per me. Dimostrami che mi ami più di quanto ami la tua guerra.-
E lì, Myrcella ebbe paura di avere esagerato, di sentirsi opporre un rifiuto, di avere chiesto qualcosa di inconcepibile. Ebbe paura anche che si arrabbiasse. Rickon infatti era piombato in un silenzio terrificante, indissolubile, insondabile. Chissà perchè, pensò a Osha: forse perchè era a lei che di solito si rivolgeva, quando si trovava di fronte ad un dilemma, quando trovava un bivio sul suo cammino. Era sempre stata lei a mettere ordine nella sua vita disastrata. Imamginò di esporre ad Osha la situazione, e la scelta. Era una donna molto pragmatica, che non si perdeva troppo in ciance e seghe mentali, che andava subito al punto. Immaginò cosa gli avrebbe detto, se fosse stata lì.
Poche storie, ragazzo. Che cosa volevi, quando sei tornato a Grande Inverno?
Vendetta,
si rispose Rickon.
E cosa vuoi, adesso?
Di nuovo, egli non ebbe dubbi. Myrcella, pensò, voglio Myrcella.
Osha l'avrebbe mandato a quel paese. E allora, che domande fai...
Rickon richiamò alla memoria le notti insonni che avevano trascorso nell'accampamento, prima dell'inizio dell'assedio di Approdo del Re, con Myrcella che gli prendeva il capo nel grembo e gli carezzava i capelli. Se ogni sera fosse stata così, lui sarebbe stato felice. Felice. Gli sarebbe bastato questo. Gli sarebbe bastato fino alla fine dei suoi giorni.
-Ti ho vista piangere, Myrcella Lannister,- disse a quel punto, -e ti giuro che sarà la prima e l'ultima volta. Non permetterò che il mondo ti faccia mai più piangere. Non permetterò che io ti faccia mai più piangere.-
Arrotolò su un indice la curva elastica d'uno dei suoi riccioli. Myrcella aveva socchiuso le labbra di pesca, schiuse di fanciullesco stupore.
-Significa che...-
-Andremo lontano. Lontano. Via di qui. Dove nessuno potrà più mettersi in mezzo. Dove nessuno potrà farti del male.- La baciò con furia, con impeto. Quando si staccò dalla sua bocca, era senza fiato. -Myrcella, noi torneremo a casa.- sbottò.
-Casa? A Grande Inverno?-
E Rickon sorrise. -No, non a Grande Inverno. Nella mia vera casa.-
Myrcella si sentì attraversare da un brivido.
***
Nonostante tutto, proprio quando il convoglio stava per avviarsi, la folla si spaccò in due, permettendo a qualcuno di passare e giungere fino alla testa dell'esercito: i Lannister erano venuti a dire addio a Myrcella. Jaime era stato il primo. Aveva baciato le guance di sua figlia.
-Posso capirlo.- le aveva bisbigliato. -Posso accettarlo.-
-Non ho bisogno del tuo consenso.- fu la gelida risposta; ma Myrcella, dopo qualche istante d'indecisione, gli baciò una guancia con riluttanza.
Margaery fece per farsi avanti, ma lo sguardo omicida che la ragazza le riservò la indusse a tenersi da parte. Fu il turno di Tyrion. Lui rivolse qualche parola gentile alla nipote, che nessuno udì, poi inaspettatamente si rivolse a Rickon.
-Una domanda che mi perseguita di notte. Perchè diamine hai chiamato il tuo lupo Cagnaccio?-
La bestia rivolse al suo volto quei grossi, famelici occhi giallo zolfo, denudando le zanne, quasi stesse ringhiando che cosa avesse contro il suo nome.
Rickon sorrise. -Avevo sei anni. Ero incazzato con il mondo.-
-Da quella volta non hai fatto molti progressi, a quanto vedo... comunque. Sposerai questa figliola?- domandò.
-No.- rispose lui, tagliente. -Odio i matrimoni.-
Il Folletto aveva sorriso, ironico. -Vedi, che almeno una cosa in comune l'abbiamo? Addio, Rickon Stark. Il nostro incontro è stato... breve ma intenso, come si suol dire.-
Lui replicò imprecando.
Per il ultimo, avanzò Tommen, che parlò a Rickon con freddezza e cortesia.
-In occasione di un addio, propongo di sospendere le nostre reciproche avversioni. Myrcella è una traditrice, ma è mia sorella. Non riesco ad augurarmi il male per te, adesso che so che sarete una famiglia.-
Rickon, dopo avergli rivolto uno sguardo truce, sputò per terra. -Fottesega.-
Tommen ignorò la sua totale mancanza di civiltà e si girò verso Myrcella.
-Io e te condividiamo lo stesso sangue, che ti piaccia o no. Spero che un giorno tu potrai conoscere i miei figli, e io i tuoi. Nostra madre avrebbe voluto così.-
Silenzio. Myrcella fissò suo fratello negli occhi. Trascorsero infiniti secondi.
Infine, lasciando tutti i presenti sgomentati, sputò per terra.
-Fottesega.- sentenziò. Rickon espresse la sua approvazione ridendo.
-Ben detto.-
Alla risata s'unì Tyrion, poi Jaime, infine anche Tommen ne fu trascinato.
-Chi l'avrebbe mai detto...? Una principessa reale come lei... Si comporta come una traditrice, parla come una bruta... Ohh, se ci fosse nostra madre a vederla.-
L'ultima cosa che Myrcella scambiò con suo fratello, infine, quasi con timidezza, fu un sorriso -che non era esattamente un accordo, un perdono. Era... un armistizio.
***
-Sono una Stark.- sussurrò Arya. -Il Nord ha bisogno di me, ma mai quanto io ho bisogno del Nord.-
Gendry annuì rigidamente con il capo.
-Tornerai?-
Arya aggrottò la fronte. -Naturalmente.-
Il ragazzo chinò lo sguardo. Quando lo sollevò, sorrideva piano.
-Ti aspetterò, milady.-
-Cretino.-
-Hai ragione, solo un cretino come me può trascinarsi dietro una cretina come te.-
-Ti amo.-
-E io di più, Arya. Disgraziatamente, io di più.-
**
-Alayne!- Robin balzò in piedi, quando la vide. I suoi occhi baluginarono d'una luce quasi esaltata. -Alayne! Lord Baelish, è tornata Alayne!-
Sansa abbracciò il suo giovane sposo con trasporto -casa sua.
Mentre ancora stringeva Robin a sè, aprì gli occhi. Petyr era in piedi poco distante, e le stava sorridendo. Avevano vinto, in fondo. Casa sua.
-Bentornata, Alayne.-
***
Ogni lega verso Grande Inverno, per Bran, fu una sofferenza interna paragonabile ad un'emorragia. Ogni lega verso Grande Inverno era una lega verso una fortezza senza Jojen -una vita senza Jojen. Quando ci pensava, uno spasmo di panico gli contraeva la bocca dello stomaco, ed era tentato di fermare il dannato cavallo e gridare con tutte le forze che gli erano rimaste.
Quando vide Meera, però, qualcosa cambiò. All'improvviso, una strana gioia lo pervase. Credeva che sarebbe stata arrabbiata, che lo avrebbe tempestato di rimproveri, che lo avrebbe accusato della morte di suo fratello. Gli venne incontro correndo; lo abbracciò, forte come mai aveva fatto.
Bran sentì il suo respiro sulla nuca, il suo profumo nelle narici.
-Mi sei mancata.- E si era accorto di quant'era vero solo ritrovandola.
-Anche tu, Bran. Anche tu.-
La comprensione li rese, dopo anni di silenzio, di nuovo complici. Quando si sciolse dal suo abbraccio, Bran scosse il capo.
-Cosa diavolo è successo qui, mentre non c'ero?-
Osha incrociò le braccia. -Mentre tua moglie sperimentava qualche modo fantasioso per abortire, dici?-
Teneva Kenned per mano: suo figlio camminava già. Gli rivolse un timido sguardo da sotto le lunghe ciglia setose. Bran, guardando quella minuscola creatura, vide il suo futuro. Da re e da marito, ma anche da padre -non ci aveva mai pensato troppo, impedito da quella sensazione d'estraneità che provava sempre in sua presenza. Kenned era solo un bambino, e i bambini non hanno mai colpa di niente. Suo figlio. Si era mai davvero reso conto di cosa significasse? Poi guardò Meera. 
Bran capì che la vita non sarebbe stata quella che l'avrebbe reso felice, nemmeno per sogno -ma sarebbe stata. Sarebbe dovuta essere. Tu sei vivo... e puoi ancora fare pace con il tuo presente. Puoi ancora perdonargli di non essere il futuro che volevi. E se sarebbe stata, quella vita sarebbe stata solo grazie a loro.
Se il fato ti vuole vivo... allora tu devi vivere, Brandon. E Bran accettò che avrebbe vissuto.
Poche ore dopo, un giovane dai capelli rossi e una fanciulla dai capelli biondi partirono. Avevano una barca da prendere.
La destinazione era Skagos.






























Note dell'Autrice: Pufff, che fatica! Mamma mia, ma davvero ho letto e revisionato questo mostruoso capitolo??? Abbiate pietà, lettori.
Che ne dite? Sono veramente esausta. Spero che come finale vi abbia soddisfatto. Mi sembra che tutti se la siano passati decisamente bene.
Per precisare: nella visione del torrente, per chi se lo chiedesse, la presenza di Talisa è inspiegabile (se non ci fosse stata la guerra, come avrebbe fatto Robb a conoscerla??) però pazienza. La ragazza con le trecce verdi è Wylla Manderly. Il secondo personaggio con cui shippo Rickon dopo Myrcella. <3
Che dire? Attendo impaziente i vostri parere. Il prossimo capitolo sarà l'epilogo finale! Grazie per avere letto tutto questo.
Lucy


  
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