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Autore: dream_more_sleep_less    10/06/2014    9 recensioni
A diciotto anni non si sa mai esattamente cosa si voglia dalla vita, né chi si voglia diventare. Si passa il tempo a porsi domande accompagnate da porte in faccia, e rimaniamo indecisi fino all'ultimo. Leeroy invece è cresciuto con la convinzione di poter diventare esattamente ciò che vuole: un calciatore. Non ha mai voluto altro e non ha mai sognato altro. Gli studi non fanno per lui. La sua presunzione lo porta a distruggere i sogni della squadra del suo liceo proprio alla finale di campionato. Ha deluso soprattutto i compagni che stanno ormai per diplomarsi. Per loro non ci sarà un'altra possibilità, sono arrivati all'ultimo giro di giostra. Alla fine scenderanno da vincitori o da perdenti. Dipenderà tutto da Leeroy, che dovrà riuscire a mettere le redini al suo ego per andare d'accordo con il portiere. Secondo lui, Lance è la vera causa della loro sconfitta.Troppo calmo, troppo sicuro di sé. Ma il loro rapporto dovrà cambiare per permettere ad entrambi e al resto della squadra di guadagnarsi il titolo di campioni. { In corso }
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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The last chance
VI


Le persone arrivavano e andavano via senza nemmeno pensare a chi fosse la persona che li stesse servendo. Lance Stark vedeva molte teste passare, nel suo turno dalle 4 alle 7 del mattino. Alcune di clienti fissi, altre di sconosciuti. La sua non era la solita vita rosa e fiori, ma a lui andava bene così. Non avendo affetti non avrebbe avuto rimpianti quando poi se ne sarebbe andato. Eppure non riusciva a non invidiare quei passanti. In loro vedeva la libertà che non avrebbe mai avuto fino al giorno del diploma. Per lui già uscire di casa e andare a prendere un caffé alle prime luci dell'alba senza preoccuparsi della madre voleva dire libertà. C'erano momenti, però in cui lo sconforto lo imprigionava, come durante la notte, quando aveva incubi orrendi e non riusciva a svegliarsi. Sognava di una vita all'eterna mercé della madre e ciò lo terrorizzava più di qualsiasi altra cosa, perfino più della morte stessa. Ma quella giornata per lui sarebbe dovuta essere diversa. Non aveva il tempo per quei brutti pensieri; in quel momento la testa era sul campo. Stando fermo riusciva a percepire i movimenti automatici del suo corpo durante le partite. La sua mente fabbricava immagini di possibili rigori parati, di calci d'angolo e altro ancora. La testa cercava di giungere alla soluzione come se si trovasse davanti ad un'equazione matematica. Quello era uno dei modi per evadere alla vita del bar mentre lavorava. Il cellulare gli vibrò in tasca ma non poteva rispondere, aveva ancora una coppia da servire. Prese caffé e muffin consegnandoli al signore augurando anche una buona giornata con un sorriso stampato in faccia. Si stupiva ogni volta di come gli riuscisse bene fingere un sorriso. Andò nel retro e solo allora lesse il messaggio.

Non so ancora quando tornerò a casa. Paga le bollette e l'affitto. Adam come sta?

Senza pensarci rispose subito.

Riesco a vive anche senza un adulto che mi dica cosa fare. Pensi che facendo così ti si allievi la coscienza? Chiamalo, non sono il tuo segretario.

Era soddisfatto di ciò che aveva scritto così premette invio senza pensarci due volte. Non si curò se la risposta sarebbe risultata acida, anzi, si sarebbe preoccupato se non lo fosse stata.

Alle sei e mezza precise, dalla porta del locale entrò Miles. Veniva a prenderlo ogni volta per accompagnarlo a scuola. Era riuscito a convincerlo una volta con la colazione gratis e da allora avevano un patto. In fondo sapeva che a Reginald piaceva alzarsi presto in modo da evitare tutti i suoi fratelli che litigavano per il bagno e il cibo.

Si tolse il grembiule e sfece la crocchia che si era fatto per tenere in ordine i capelli lunghi, poi lo raggiunse al tavolo. Notò subito che era di cattivo umore. "Che c'è?"

"Mio fratello Leonard aveva una gita oggi e si è alzato presto. Non capisco che debba fare un bambino di dodici anni per più di mezz'ora nel bagno.” brontolò con la testa poggiata sulle braccia conserte. Il suo corpo esigeva cibo e caffè. In particolar modo caffé; non aveva chiuso occhio durante la notte.

"Sei pronto per oggi pomeriggio?" chiese Lance cambiando discorso.

Il capitano tirò su la testa per guardare l'amico negli occhi. "Sì. Tu piuttosto, stai bene?" sbadigliò assonnato. Il portiere annuì ma la sua attenzione venne catturata dal “bip” del cellullare.

Sullo schermo lesse: Sei pronto per domani mattina?. Rispose con un semplice .

"Chi era?" chiese Miles incuriosito. Nemmeno lui sapeva con chi scambiasse tutti quei messaggi; per lo più credeva si trattasse di sua sorella, ma sapeva che doveva esserci qualcun'altro.

"Nessuno, mia sorella."

Reginald si chiedeva se lo tenesse all'oscuro di tutto per un valido motivo o solo per capriccio.

"Va bene, andiamo?” replicò il portiere dopo pochi secondi.

"E' ancora presto, e voglio mangiare qualcosa prima di andare."

Lance sperò vivamente di non incontrare la madre al suo arrivo a casa, doveva farsi una doccia prima di andare a scuolae non aveva intenzione di farla nello spogliatoio.

"Il solito?" chiese all'amico, prima di rimettersi il grembiule e legarsi nuovamente i capelli.

Miles annuì sbadigliando mentre Lance andava a prendere caffé e muffin al bancone del bar.

*

Dopo la scuola Stan convocó le matricole. Gli sembravano tutti molto nervosi. Gli dispiaceva non poterli prendere tutti ma, oltre al problema dei soldi, dopo sarebbe anche sorto quello del numero. Aveva già più di una dozzina di ragazzi da gestire e per lui erano anche troppi. Solo non gli piaceva leggere la delusione nei loro occhi. Li fece schierare di fronte a sé come dei bravi soldatini poi iniziò a fare i nomi dei prescelti. Sapeva di aver fatto delle decisioni giuste, aveva preso solo coloro che erano all'altezza e sarebbero stati utili alla squadra. Miles stava al suo fianco con in mano le cinque divise da assegnare ai nuovi membri. Lo vedeva nervoso. L' idea di dover giocare quel pomeriggio stesso doveva farlo impazzire e, come se non bastasse, lui era il perno che doveva tenere unita quell'accozzaglia di ragazzini esuberanti con gli ormoni a mille. Ogni tanto si chiedeva chi tra i due avesse il ruolo più ingrato.

"I ragazzi che chiamerò dovranno fare un passo avanti e farsi dare le divise da Miles. Mi dispiace per i ragazzi scartati ma come ho già detto quest'anno abbiamo problemi di budget. Purtroppo siamo limitati, ragazzi. Magari il prossimo anno andrà meglio." disse Stan. Prima di proseguire gettò lo sguardo un'ultima volta sulla schiera di ragazzi. "Andrew Cooper” chiamò.

Il ragazzino in questione si fece avanti sorridente, non sembrava molto sorpreso dal verdetto.

"Tieni”, gli fece Miles porgendogli maglia e calzoncini, anche secondo lui era un bravo giocatore. Sperò vivamente che le nuove reclute sarebbero servite a qualcosa.

"Viktor Schlegel."

Si fece avanti un ragazzo molto alto, sovrastava senza problemi tutti gli altri, che senza dire una parola prese le sue cose e tornò al suo posto.

Dopo di che vennerò chiamati altri due ragazzi che felici come non mai presero, increduli, le loro rispettive divise.

"Lawrence O' Toole"

Il ragazzo in questione era l'ultimo della lista ma non d'importanza, infatti Stan lo aveva ritenuto sin da subito un possibile giocatore da difesa. Ed era indispensabile, visto le crisi da prima donna che prendeva Leeroy ogni volta. Purtroppo per il difensore quella non sarebbe stata una bella giornata; l'uomo sperò vivamente di non dover assistere a scene imbarazzanti. Ormai aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornato indietro se non in caso di estrema necessità. Salutò gli esclusi e lasciò Miles a parlare con i nuovi giocatori, diretto in aula insegnanti per prendersi un caffé. Aveva bisogno di stare un po' da solo, senza quei ragazzini tra i piedi.

"Ci si vede alla partita." si limitò a dire, richiudendo la porta dello spogliatoio dietro di sé.

Miles ricambiò il saluto e iniziò a spiegare alle reclute.

"Io sono il capitano, chiamatemi Miles. Se farete tutto quello che vi diremo io e il coach andrà tutto bene. E ripeto: chiamatemi Miles se non volete finire in panchina." pronunciò con voce serafica. Dentro di sé stava sorridendo: nessuno poteva capire quanto gli piacesse fare il capitano e comandare gli altri.

Alcuni dei ragazzi infatti rimasero un po' intimoriti, come Andrew che ora lo guardava come un cane bastonato.

"Ci si vede qua alle tre e mezza. Non giocherete, ma almeno siete in squadra, complimenti." concluse poi, prima di andarsene, molto soddisfatto, e lasciare lì i ragazzi come nulla fosse.

*

Arrivarono al campo della scuola già stanchi a causa di compiti in classe o lezioni interminabili di algebra o chimica. Gli unici che sembravano di ottimo umore erano le nuove reclute. Gli altri, invece, che già conoscevano la squadra avversaria, erano molto tesi. Daniele stava mandando ogni sorta di accidenti agli avversari insieme ad Akel.

"Non siamo così caduti in basso da dover mandare maledizioni." sentenziò Drew, riprendendo i due più giovani. "Taci. Abbiamo bisogno di fortuna. Lo sai che hanno una difesa con i contro coglioni; non sei te che deve vedersela con quelle bestie." replicò Akel con tono alterato. Nessuno di loro stava vivendo bene la cosa; a parte Drew, che sembrava non curarsene molto.

"E' un'amichevole, fate meno le donnicciole."

"Me lo ridici durante la partita, ok?" rispose l'italiano con un sorriso decisamente nervoso e sarcastico.

Stan arrivò in quel momento e li mandò a cambiarsi nello spogliatoio. "Datevi una mossa e non perdetevi in chiacchiere."

I suoi ragazzi lo assecondarono facendosi comunque scappare qualche commento acido, come Nicholas: "Perché non la smette di dare ordini e non viene a giocare?"

"Guardate che non sono sordo." aggiunse l'allenatore con tono duro in modo da farli stare in riga e non permettere loro di fare i loro porci comodi.

"Entro domani, ragazze."

*

L'incontro si sarebbe svolto in casa per i giocatori della S. Collins. Speravano di avere la fortuna dalla loro una volta tanto.

Abigail trovò posto vicino a Katerina sulle gradinate per vedere bene il campo. Avevano comprato patatine e bibite al bar vicino alla scuola. Nonostante avesse mandato al diavolo qualche giorno prima Miles, non si sarebbe persa per nulla al mondo una delle sue partite. Si guardò intorno in cerca di altre facce conosciute, ma a parte a loro due non vi era nessun altro, nemmeno Rebecca. Non si stupì più di tanto: l'italiana non era mai stata una grande fan di quello sport. Però era un peccato, avrebbe potuto fare loro compagnia, in fondo erano compagne di classe. Si concentrò sul rettangolo verde: i ragazzi si stavano riscaldando. Miles era con Lance a fare gli esercizi di stretching. Il capitano era furbo. Aveva capito dove Abigail voleva andare a parare, il giorno della sfuriata, ma aveva fatto finta di nulla. Riusciva ad essere un completo stronzo durante la vita di tutti i giorni, ma quando si trattava di andare sul personale faceva sempre marcia indietro. Aprì il pacco di patatine e iniziò a mangiarle senza ritegno. Quando era nervosa mangiava. Avrebbe volentieri preso a pugni April. Aveva rovinato tutto. Dopo quella scenata con la coach, era stata sospesa dagli allenamenti per qualche giorno. Devi schiarirti le idee Abigail. Tornerai quando sarai tornata in te stessa. le aveva detto. Che palle! Che palle! Che palle!, pensava masticando voracemente. Come se non bastasse non aveva nemmeno capito il suo stato d'animo, nessuno l'aveva capita, nemmeno quell'idiota di Miles. Avrebbe voluto iniziare ad urlare, ma il cibo la stava aiutando a sfogarsi.

"Ma fra quanto iniziano questi?" chiese Katerina grattandosi la testa da un lato. Tutto ciò che non fossero pallavolo o cibo l'annoiavano. "Dammi delle patatine."

"Non lo so, basta che si sbrighino: non voglio passarci la giornata qua." asserì infastidita il libero.

Katerina inarcò un sopracciglio. "Datti una calmata, ci sei voluta venire tu qua."

Abigail sospirò. Che palle! Non contraddire la russa o ti spacca la faccia, pensò. Non voleva vedere Katerina arrabbiata, era uno spettacolo orribile. Se il libero sembrava una bulla, Katerina era anche peggio, proprio perché era sempre silenziosa e sulle sue. Accartocciò la carta delle patatine la lanciò nel cestino a fianco dei gradoni facendo canestro. Quando rialzò lo sguardo, la sua poca pazienza era andata a farsi benedire. April era venuta ad assistere alla partita, contro ogni sua aspettattiva. Abigail, conta fino a dieci!, pensò il libero cercando di stare calma.

"Oh! Ci sei anche tu." disse con sufficienza il capitano della squadra di pallavolo mentre scendeva i gradoni.

"Tsk! Tu, invece, perché non sei dal parrucchiere? Visto che stare zitta e ferma è il meglio che sai fare?" sbottò con tono acido la mora.

April ghignò. "Almeno io so fare un passaggio, tu invece sembri un po' impedita. Se non sai reggere la pressione è meglio che lasci perdere." rispose l'altra con tono superiore prima di andare a sedersi in una postazione libera con le sue amiche.

Abigail stava per andarle dietro e tirarle un pugno, ma venne afferrata per la maglia da Katerina. "Ma sei scema?" sbottò la sua migliore amica.

Il liberò roteò gli occhi per il disappunto. "Devo spaccarle la faccia." rispose con tranquillità.

"Non in pubblico, altrimenti addio pallavolo."

Sbuffò esasperata. L'amica aveva ragione. Posò lo sguardo sul campo; i ragazzi erano rientrati negli spogliatoi. "La partita sta per iniziare, andiamo a sederci."

"Quanti pacchetti ti sono rimasti?"

*

"Non giocherai."

Quelle parole dette da Stan con un tono strano, tra il dispiaciuto e il duro, lo sconvolsero. Non era ancora abbastanza maturo da poter dire: ok, è la decisione del coach. Nonostante i suoi diciotto anni, Leeroy era ancora infantile e permaloso come giocatore. Continuava a voler la fetta più grande del dolce e il suo posto in campo. Era egoista ed egocentrico con la vita totalmente dedicata al calcio, senza sarebbe morto.

"Come sarebbe? Che vuol dire?"

Il coach lo aveva preso da parte con la scusa di dovergli dire qualcosa di importante, sospettava che ci fosse qualcosa sotto, ma quello era troppo. Aveva pagato per tutti i danni che aveva causato, perché dovevano infierire ulteriormente?

"Vuol dire che stai in panchina, al tuo posto andrà Julio per oggi..." fece una pausa, "per adesso."

"Julio è un attaccante, la sua conoscenza di gioco si blocca nella metà campo avversaria." sbottò incredulo e avvilito.

"Rogers smettila, sono io a prendere le decisioni, non tu. Lo farai quando avrai una tua squadra, quindi per ora adeguati." lo rimproverò ancora l'uomo.

Il giovane trattenne a stento un'imprecazione tra i denti. Quella era l'occasione buona per mostrare ad Oliver e a Lance che le cose erano cambiate e invece si ritrovava seduto e impotente.

A che serviva andare d'accordo con il portiere se poi non poteva giocare? Fanculo, pensò. Stan lasciò il ragazzo solo nella sala adibita ad infermeria e tornò dagli altri. Non appena la porta si richiuse alle spalle dell'uomo il difensore prese una sedia che si trovava lì e la lanciò contro il muro urlando. Era un incubo!

*

Stan tornò nello spogliatoio assieme agli altri giocatori, non si aspettava di vedere Leeroy tornare subito dopo di lui. Sospirò rassegnato, era stata l'unica cosa da fare. Quel ragazzo doveva imparare a doversi sudare le cose perché nulla veniva regalato, soprattutto se non vi era della buona volontà da parte sua nel migliorare. Ora, almeno, non litigava più con il portiere; vedeva che si limitavano a sguardi o a brevi cenni con la testa. Era già un inizio, ma in una squadra serviva complicità e quei due per ora non l'avevano. Leeroy non aveva problemi con gli altri giocatori, specie con gli altri difensori; anzi, erano molto affiatati. Ma con Lance si capiva che era diverso; si odiavano dal profondo del cuore. Anche lui, da giovane, aveva avuto problemi del genere, ma non era mai stato una testa calda come il terzino. Prese un respiro profondo e diede la notizia. Sapeva che il malumore non avrebbe fatto che aumentare tra quelle fila. Perché nonostante Leeroy fosse un piantagrane era ben visto come giocatore e tassello della squadra.

"Rogers non giocherà oggi. Gomez, vai al suo posto. Per il resto non cedete alle loro provocazioni e tutto filerà liscio." disse frettolosamente come se stesse dicendo una cosa di poca importanza.

Lo spagnolo saltò in piedi stralunato. "Cheee?!"

"E' un attaccante, al massimo può andare al posto di Akel, a che serve in difesa?" domandò Miles. Non sopportava quando Stan faceva delle sceltr azzardate, e quella era semplicemente inaccettabile.

"Ehi!" brontolò Julio per il commento del capitano.

"Seriamente Julio, come difensore fai schifo. Metti un altro, o meglio lascia Leeroy, così è andare al macello." replicò più infuriato che mai Reginald.

"Basta con queste cavolate. Andate in campo a scaldarvi. Non voglio più sentire fiatare su questo argomento.”

I giocatori uscirono in silenzio dal locale con l'umore più nero di quando vi erano entrati. Daniele afferrò Akel per un braccio prendendolo in disparte. "Seriamente, a sto giro faremo la figura dei principianti. Come se non bastasse Leeroy sarà incazzato nero, spero solo che rimanga e che non faccia il matto."

Il turco sospirò. "Lo so. Ma non dobbiamo partire già con l'idea di non farcela, soprattutto te. Rilassati."

"Lo so, ma la vedo dura dopo questa trovata geniale." sbottò Daniele enfatizzando l'aggettivo.

*

Lance era rimasto immobile, quasi inespressivo, nel momento in cui Stan aveva annunciato la notizia. Da una parte si era sentito sollevato, dall'altra invece insoddisfatto. Non sapeva quale delle due sensazioni prevalesse. Aveva seguito gli altri fuori senza battere ciglio, si era sentito frastornato.

"Forse può tornare a nostro vantaggio." commentò Miles sovrappensiero.

Il portiere lo guardò senza sapere cosa rispondere; quella era una bella incognita.

"Non mi interessa." mentì in risposta, beccandosi un'occhiataccia dall'amico. "Ascolta, non è il momento di discutere." cercò di smorzare la questione il rosso. Si avviarono in testa alla squadra per fare qualche giro di riscaldamento. L'altra squadra stava facendo lo stesso ma nell'altra metà campo. Miles guardò verso gli avversari, gli sembravano molto tranquilli. "Che rabbia, la cosa non li tocca nemmeno."

Lance si girò a sua volta in ricognizione. Vide Sanders ricambiare lo sguardo e salutarlo con un cenno della mano accompagnato da un sorrisetto tutt'altro che di buono auspicio.

"Spero che si rompa una gamba." borbottò Miles.

"Ci pensano già Akel e Daniele a mandargli gli accidenti."

Al capitano scappò un riso isterico. "Che palle! Che palle!Alla fine della giornata avrò i nervi a pezzi!"

Poco più in là, un Leeroy a dir poco furente e funereo faceva la sua comparsa nel campetto e prendeva posto sulla panchina della squadra senza neanche guardare l'allenatore e gli altri. Non avrebbe accettato la cosa così facilemente, ma dal momento che non avrebbe giocato a cosa gli sarebbe servito il riscaldamento?

*

"E' strano, manca qualcuno.." disse ad un certo punto Katerina dopo aver dato un'occhiata veloce al campo. L'amica inarcò un sopracciglio, alzando poi lo sguardo dal cellulare per portarlo al rettangolo verde. La russa aveva ragione, erano rientrati con qualcuno di meno. Mancava Leeroy. Si chiese se avesse avuto qualche imprevisto, non potevano giocare senza di lui. Per il momento decise di non preoccuparsi molto, magari era solo in bagno. Ma quando vide tutti schierati nelle loro ostazioni per il calcio d'inizio e Julio al posto del difensore quasi non urlò all'allenatore per lo sgomento.

"E' scemo?! O inizia a sentire l'età che avanza?!" quasi urlò Abigail Twain a quella vista precipitandosi come una pazza alla ringhiera degli spalti. "Staaan! Che è sta roba? Ci vuoi morti?!" continuò ad urlare in direzione dell'allenatore attirando molte occhiatacce da parte degli altri spettatori. Katerina si coprì il volto con le mani per la disperazione.

Miles, che la sentiva urlare come una pazza, abbassò lo sguardo per l’imbarazzo. Fortunatamente per loro l’arbitro le fece segno di calmarsi.

“Che palle! Che palle!” sbraitò la ragazza tornando a sedere grattandosi le tempie infastidita. “Datti una calmata!”

l’apostrofò la russa.

“Non arriverò alla fine della giornata.” Sospirò mentre stropicciava i bordi della maglietta. Katerina sbuffò in tutta risposta lasciando perdere l’amica.

“Guarda!” disse quasi sbalordita la schiacciatrice. Abigail guardò verso la metà campo avversaria. Miles era riuscito subito a rubare la palla all’altro centrocampista e a passarla ad Akel che in quel momento avanzava verso la porta.

*

Le gambe gli tremavano come ogni volta prima di dover prendere posto sotto la rete. Conosceva bene l’importanza o meglio la responsabilità che richiedeva il suo ruolo. Lo sguardo gli scappò verso la panchina. Il difensore migliore della squadra stava seduto a gambe divaricate sostenendosi la testa con i palmi delle mani. Gli faceva una tristezza immensa. Leeroy non poteva lamentarsi alla fine della giornata, doveva prendersi le sue responsabilità, o almeno doveva iniziare a farlo, ma il solo pensiero di ritrovarsi al suo posto gli fece salire un conato di vomito. Istintivamente inghiottì a vuoto. Non doveva pensare a terzi ma solo al pallone e a Sanders.

Dopo il calcio d’inizio Akel e Daniele erano quasi riusciti a segnare. Gli avversari non erano certo rimasti con le mani in mano, stavano tutti dando del filo da torcere a Julio, che fino a quel momento non se l’era cavata male tutto sommato. Lo spagnolo purtroppo non era all’altezza dell’inglese in quel ruolo, e ogni membro della squadra lo sapeva, ma non lo aveva ancora realizzato fino a quel momento. A breve cederà, pensò Stark amareggiato. A breve sarebbe toccato solo a lui difendere la porta. Gli altri tre difensori erano marcati a uomo e gli avversari non avrebbero lasciato loro nemmeno il tempo di respirare. Come resistenza fisica siamo ancora inferiori, dannazione! Imprecò mentalmente Lance, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

*

Vedere i suoi compagni giocare senza di lui nel rettangolo verde era la peggiore delle torture a cui potesse essere mai sottoposto in vita sua. Non riusciva a pensare a nulla di peggio. I ragazzi che erano rimasti in panchina con lui non la smettevano di fare il tifo, mentre Leeroy se ne stava seduto immobile, quasi pietrificato. Dentro di lui un mare in tempesta si abbatteva impetuoso, provocandogli una specie di nausea. Lo sguardo assottigliato, attento, concentrato sulla partita, anche se apparentemente i suoi occhi sarebbero sembrati vitrei a quelli di un altro. La partita si trovava in stallo. Julio riusciva con estrema fatica a difendere il suo pezzo di terreno, e gli avversari si abbattevano su di lui senza alcuna pietà. Se ci fosse stato lui non si sarebbe mai fatto scartare a quel modo da quell'idiota di un americano. Sprofondò nella panchina massaggiandosi le tempie continuando a mantenere lo sguardo fisso sul campo.

*

Miles non se la passava meglio. Uno dei due gemelli, alias i due centrocampisti avversari, gli stava attaccato come una piattola, non lo lasciava nemmeno respirare. Quel ragazzino, nonostante fosse più giovane, non scherzava. Riusciva a malapena a tenere il pallone per qualche secondo prima che l’altro glielo rubasse. Samuel, così si chiamava, aveva una risata veramente fastidiosa e un ghigno di compiacimento stampato in faccia che non aiutava di certo a far stendere i nervi del capitano, già al limite.

La Collins riusciva a resistere agli attacchi dell’altra scuola ma solo per poco ancora. Bastava un passo falso, un movimento troppo veloce o troppo lento da parte dei bianco azzurri e si sarebbero giocati lo zero a zero.

Sanders arrivò di fronte a Julio con non troppa fatica, ma lo spagnolo non aveva intenzione di farsi fregare. Fu addosso all’americano cercando di sottrargli la sfera senza successo; corse in suo soccorso Nicholas, dopo aver compiuto un veloce scatto per liberarsi dal suo uomo. Riuscì a prendere possesso palla e con un lungo passaggio la diede a Miles. Oliver e Nicholas si scambiarono uno sguardo intenso.

“Avete avuto fortuna per ora. Ne riparleremo tra poco” disse l’americano dopo aver fatto l’occhiolino ai due difensori.

Julio lo guardò in cagnesco cercando di non mandarlo al diavolo. “Che cazzo ci faccio, io, in difesa? Voglio saperlo, porca puttana!” sbraitò Gomez. Non era bello sentirsi incapaci e con le aspettative di tutti che gravavano su di lui.

“Stai buono. Fai quello che puoi, è solo un’amichevole.” Nonostante Nicholas sapesse che tra il dire quelle parole e il metterle in pratica, ci fosse un abisso, doveva comunque cercare di tenere vivo lo spirito dell’amico.

*

Leeroy era ormai accartocciato su se stesso sulla panchina masticando senza tregua la parte interna delle guance quasi fossero gomme e strofinandosi la nuca nervosamente. Seguiva i movimenti dei giocatori e il pallone come farebbe un gatto con un raggio di sole sul pavimento. Gli occhi guizzavano da una parte all’altra del campo senza sosta. I muscoli del corpo si tesero tutti nello stesso istante, mancavano pochi secondi alla fine del primo tempo. Sanders si era liberato con una facilità incredibile di Miles e Drew puntando subito all’anello più debole della catena: Julio. Questa volta Nicholas non fu abbastanza veloce; Oliver scartò lo spagnolo e tirò dritto in porta. Per l’americano fu più facile di bere un bicchier d’acqua. Quei ragazzi non erano ancora al suo livello, o meglio l’unico in grado di fermarlo era in panchina a rodersi il fegato. Sorrise. La palla sarebbe entrata in porta senza che il portiere l'avesse potuta bloccare.

Lance aveva già intuito la mira dell’attaccante avversario, gli sarebbe bastato rimanere fermo ad aspettare, ma l’americano fu troppo veloce nel cambiare le carte in tavola. Il portiere si fece avanti troppo tardi riuscendo però a deviare la palla con il piede destro. Nell’azione improvvisata, però, perse l’equilibrio e cadde sull’erba con un’ imprecazione sulla punta della lingua. Appena la palla rimbalzò lontano dal piede di Lance, Oliver la colpì e fu goal.

“Che cazzo fai?” urlò Leeroy nello stesso istante in cui Lance uscì dalla porta per andare a bloccare la palla.

“Rogers, stai al tuo posto.” Lo riprese Stan con tono duro e arrabbiato, anche lui, come il difensore aveva capito lo sbaglio del portiere con quell’azione.

Lance si rialzò con l’aiuto di Julio e nello stesso istante in cui alzò lo sguardo. incontrò quello accusatore del difensore relegato in panchina. Rimase come spaesato per una frazione di secondo, riprendendosi però in pochi istanti. Quel contatto tra i due giocatori, anche se era durato un niente, aveva mandato forte e chiaro: Non fare altre cazzate!

Al portiere scappò un mezzo ghignò e si strofinò gli occhi chiedendosi se davvero avesse bisogno di quel cretino per rendere bene in partita. I suoi pensieri vennero però disturbati da un Julio esasperato. “Lance, è colpa mia, non riesco in questo ruolo!”

“Non mi interessa. Stai attaccato al culo di quello stronzo come se non dovessi arrivare alla fine di questa partita”, sentenziò. “E fammi il piacere di non fartela sotto quando lo vedi.”

*

“Roy! Roy!”

“Leeroy… Muoviti!”

Non sentiva nulla, la voce di Stan veniva risucchiata dalle voci dei giocatori in mezzo al campo che chiamavano la palla.

“Porca miseria, Rogers! Alza il culo da quella panchina e inizia a riscaldarti!” sbraitò l’allenatore. Era impossibile che quel ragazzo creasse agitazione anche stando fermo e zitto.

Il difensore scattò in piedi come una molla tutto d’un tratto, come risvegliato da un sonno profondo durato anni. Non riusciva ancora a credere alle parole dell’allenatore. Era stupito e confuso allo stesso tempo ma non gli importava più nulla ormai. Non appena il suo cervello aveva elaborato quell' alza il culo la sua testa era entrata automaticamente in campo. Poteva giocare finalmente, non gli interessava se mancavano dieci minuti alla fine della partita. Non gli interessava se avrebbero perso, voleva solo entrare in campo e misurarsi con Sanders.

*

Lance notò del movimento dalla loro panchina. Si chiese cosa stesse succedendo. Che Stan avesse qualche brillante idea? Oppure stava solo litigando con Leeroy? Fu distratto dalla voce di Julio che lo avvertiva di fare attenzione all’altro attaccante, un ragazzino che doveva essere uno dei nuovi giocatori della Ravensburg. Non solo Sanders era un osso duro, ma pure gli altri membri della squadra non erano da meno. Non sapeva cosa fare, si sentiva come nudo senza Leeroy in campo. Era una sensazione fastidiosa. In quel momento si sentiva vulnerabile più che mai come portiere. Maledì il numero tredici per i suoi modi di fare e l’allenatore per averlo tolto dalla squadra durante quella partita. L’ avversario gli si parò nuovamente davanti, con Julio che cercava di fermarlo senza riuscirci, e lui si sentì per un momento perso. L’attaccante calciò la palla nell’angolo in basso a sinistra. Il portiere si lanciò solo dopo un momento di esitazione. Arrivò per un soffio a bloccare la palla tra il petto e l’erba. Il cuore gli batteva all’impazzata sia per la fatica che per la pressione psicologica. Aveva bisogno di aiuto. Non poteva fare tutto da solo. Il fischio dell’albitro che chiamava il cambio lo fece sobbalzare. Alzò lo sguardo istintivamente verso la panchina. E lo vide. In piedi di fianco a Stan, che si contorceva le dita dalla gioia, gli occhi persi nel verde del campo. Lee!

Si tirò immediatamente in piedi con uno scatto improvviso, facendo quasi spaventare lo spagnolo che era andato per aiutarlo a rialzarsi. “Che ti prende?” domandò stupito.

“Ora sono cazzi per tutte e due le squadre!” quasi sghignazzò il rosso.

“Che?!” chiese ancora sbalordito Julio, non capendo a cosa si stesse riferendo l’amico fino a che l’arbitro non gli fece il segno di uscire.

Tutti in campo si girarono verso Leeroy, quasi fosse un fantasma.

“Finalmente iniziamo a fare sul serio.” disse tra se e se Sanders senza nascondere un sorrisetto compiaciuto.

Leeroy dal canto suo non percepiva neppure un solo sguardo se di se. Era troppo concentrato, troppo entusiasta. Stavolta sarebbe andata meglio.

*

Dagli spalti Abigail saltò in piedi eccitatissima urlando tutto il suo entusiasmo. “Staaaan! Ti amooo! Alla fine hai capito che senza quel cretino in difesa facciamo schifo!”

“E datti una calmata.” sbottò esasperata Katerina. Quanto mancava alla fine della partita?

“Daniele, Akel, non fate cazzate, voglio l’uno a uno!” continuò a sbraitare la ragazza.

I ragazzi dal canto loro trovavano tutto ciò imbarazzante, soprattutto Miles, che ostinava a nascondersi dietro i giocatori avversari per non farsi vedere dalla ragazza.

*

Diede il cinque a Julio e corse immediatamente nella sua posizione senza guardare nessuno, nemmeno il portiere. Non poteva pensare a quanto non sopportasse Lance in quel momento, doveva guardare avanti. Era calmo e pronto. Ripresero subito a giocare. Stark gli passò la palla senza nessuno dei suoi soliti commenti bastardi, se non con uno strano sguardo compiaciuto in viso, che Leeroy non notò in quel momento. Non fu Sanders a farsi avanti ma l’altro attaccante, Thorne, che gli si attaccò subito addosso peggio di una figurina. Con due finte però, Leeroy fu di nuovo libero; era troppo veloce per quel ragazzino. Arrivò a metà campo e vide Miles solo, ma l'altro dei due gemelli Grant, che se non ricordava male si chiamava Maximilian, andò subito a marcarlo. Alla sua destra Sanders arrivava per rubargli la palla e alla sinistra arrivava l’altro gemello. Non ci pensò troppo, andò avanti. Passò la palla a Daniele con un lancio lungo, che finì dolcemente tra i suoi piedi. All’italiano per poco non venne da piangere: quasi nessuno in squadra era dotato di una precisione simile. Appena si girò ebbe nuovamente a che fare con due dei difensori della Ravensburg. Akel era troppo lontano, non sarebbe riuscito a passargli il pallone senza farselo fregare.Dietro di se vide Bartosz correre come un pazzo seguito da Charles Laurent, uno dei centrocampisti avversari. Gli passò la palla senza nemmeno pensarci e questo con un tiro lungo provò a buttarla in porta.

“Dannazione!” berciò Miles. “Pensa prima di tirare, non fare come ti pare!” urlò in tono di rimprovero al giovane.

“Ehi! Chiudi il becco, ci ho provato! E' un’amichevole, non abbiamo nulla da perdere!” rispose tranquillamente il polacco. Sapeva che la palla non sarebbe mai entrata, ma tanto valeva fare pressing psicologico sull’avversario. I nervi prima o poi saltano a tutti!

La palla venne passata a Maximilian dal portiere e subito dopo a Sanders che si trovava già nella metà campo avversaria. Leeroy e Drew gli furono addosso senza pochi ripensamenti. “Principessa, hai bisogno di aiuto contro il cattivo di turno?” scherzò Oliver. “Evita certe puttanate ora!”, lo riprese Drew. Leeroy lo ignorò, aveva bisogno di silenzio nella sua testa. Bloccò ogni possibile via di fuga dell’avversario. Un sorrisetto infastidito si dipinse sul viso dell’americano. “Basta con queste cazzate!” sbottò il moro prima di scattare nuovamente verso la porta avversaria. Drew fu troppo lento e rimase indietro, ma Leeroy gli si parò nuovamente davanti dopo un millessimo di secondo . “Dove cazzo vai?” chiese divertito.

“Principessa, vedo che sei migliorata.”

Erano sempre più vicini alla porta, Rogers doveva fare subito qualcosa per evitare il due a zero. Drew arrivò in quel momento alle spalle dell’americano, che però lo scartò senza problemi. Oliver iniziò a farsi strada fino alla rete trascinandosi dietro il difensore. Leeroy non provò a trattenerlo per la maglietta ma aspettò il momento prima che tirasse e con un tocco di piede la palla finì a Drew, il quale corse subito nella parte opposta del campo senza pensarci due volte. Passò la palla a Bartosz, che a sua volta la passò a Miles che venne subito marcato dal gemello di turno. “Avete rotto le palle.” Sbottò prima di iniziare a correre come un disperato e lanciare la sfera ad Akel, che si trovava a una ventina scarsa di metri dalla porta della Ravensburg. Il turco si fece più indietro, stoppò il pallone e lo tirò in porta, dritto al sette. Il portiere avversario l'aveva vista troppo tardi, non si aspettava un tiro da quella distanza.

Il primo ad esultare fu Daniele che con un Ti amo! gridato a squarciagola, saltò addosso all’amico che a sua volta stava saltando di gioia.

*

“Akel, grazie a Dio hai mosso il culo!”, urlò dagli spalti Abigail. “Stan, che ti avevo detto? Visto che differenza con quel cretino di Leeroy in campo?!”

Il diretto interessato guardò verso i gradoni con sguardo truce. Vide la ragazza esultare come poche volte gli era capitato. Lui era indispensabile, lo aveva sempre saputo, e anche gli altri lo sapevano. Ma fino ad ora solo quella pazza della ragazza del capitano lo aveva ammesso liberamente. Questo gli dava da pensare quanto potesse essere stronzo ed egocentrico.

Lance non esultò, quella era solo un’amichevole, il bello doveva ancora iniziare. L’arbitro fece segno che avrebbe dato altri cinque minuti di gioco supplementari. Ciò che fece rabbrividire il portiere fu avere la prova autentica che senza Lee la squadra non avesse possibilità.

“Ehi, ehi! Non prendetevela con così tanta calma, ci sono ancora cinque minuti” ghignò Oliver in direzione del suo rivale.

*

Mancavano solo i cinque minuti di recupero alla fine della partita. Abigail osservava i giocatori stritolando la maglietta di Katerina e gridando accidenti ai ragazzi della S. Collins per gli errori che facevano.

"Ti vuoi dare una calmata!?" sbraitò la russa, ormai al limite. Sin dall'inizio il libero non aveva smesso di agitarsi o urlare frasi incomprensibili in direzione del campo da gioco. Sicuramente alla fine della giornata avrebbe avuto un gran mal di testa, e tutto grazie a quella fanatica.

"Taci, hanno la possibilità di vincere! Se magari Reginald facesse dei passaggi decenti!" urlò enfatizzando molto il nome del ragazzo.

Katerina si strofinò la testa per la disperazione, aveva bisogno di un po' di tranquillità.

"Ma non è ancora finita?"

L'unica a girarsi fu la russa mentre la ragazza inglese sembrava vivere su un altro pianeta.

"Ciao Rebecca." la salutò tranquilla.

"Sono venti minuti che aspetto nel parcheggio quel disgraziato di mio fratello. Quando esce dal campo, se non è morto per la fatica, lo ammazzo io." commentò accomodandosi vicino all'attacante della squadra di pallavolo. L'italiana era molto nervosa: doveva tornare a casa presto per studiare. Quell'idiota di suo fratello l'aveva praticamente pregata di passare a prenderlo per accompagnarlo a casa, ma si era visto bene dal darle l'orario giusto.

Rebecca notò il sacchetto pieno di cibarie ai piedi della ragazza bionda così domandò: "C'è qualcosa da mangiare?"

"Fame isterica?" chiese Katerina tirando fuori ciò che le era stato chiesto.

"Si," rispose artigliando il cibo.

Intanto Abigail continuava ad urlare ai ragazzi di non combinare pasticci proprio ora che le cose stavano andando nel verso giusto.

"Come può essere così esagerata?" chiese l'italiana.

"Perché non hai visto che ha combinato alla nostra amichevole."

Rebecca lasciò perdere l'amica e tirò fuori il cellulare per vedere l'ora; era davveri tardi, non avrebbe nemmeno lasciato il tempo a Daniele di farsi la doccia. Appena sarebbe finita la partita sarebbero andati a casa a costo di prenderlo per i capelli.

La sua attenzione venne catturata da dei risolini alla sua destra in lontananza. Quelle ragazze le conosceva. Una doveva essere il capitano della squadra di pallavolo, chissà che avevano così tanto da ridere? Odiava quel tipo di persone. Le vide girare la testa nella loro direzione e poi riprende a ridere come delle vecchiette ad un circolo di cucito.

"Ma che problema hanno quelle oche?" chiese a Katerina, infastidita.

"Diciamo che si divertono a rompere le palle ad Abigail."

"Che rottura, stanno venendo qua.” sospirò la russa, vedendo il gruppetto alzarsi ed avvicinarsi.

Rebecca alzò lo sguardo in direzione di quelle ospiti indesiderate, quella non era giornata. Si alzò in piedi a fronteggiarle con sguardo furente stupendosi che quelle non fossero già scappate.

“Ci chiedevamo…” iniziò April dopo un momento di silenzio, si era sorpresa di vedere la sorella di Daniele alla partita. “…verrai alla festa di sabato prossimo con tuo fratello?”

Rebecca sollevò un sopracciglio in segno di disappunto. “Ma anche no! Io non esco con mio fratello e i suoi amici.”

Al capitano sfuggì un risolino quasi isterico. “Se non esci con i suoi amici che ci fai con loro?”

“Ti sembrano maschi?” rispose l’italiana sempre più irritata. April lanciò una veloce occhiata di sufficienza in direzione di Abigail. “Beh, lei non sembra la femminilità fatta persona.”

A quella risposta il libero non ci vide più dalla rabbia e caricò un pugno nella direzione dello zigomo destro del capitano. Katerina però la bloccà in tempo. “Lasciami.”, soffiò Abigail.

Le altre ragazze iniziarono a ridere senza ritegno, beffandosi della compagna di squadra. “E poi dovrei aver torto? Non vedi che è una testa calda? Deve andarsene dalla squadra”, replicò April continuando a ridere facendo così aumentare la rabbia del libero che continuava a dimenarsi nella presa della schiacciatrice. “Hudson, vai a rompere da un’altra parte, su un’altra galassia magari. Non capisco ancora come una persona ispida come te possa essere capitano.” ribattè la russa.

“Ma tornatene in frigo, Polaretto.” sibilò April sentendosi punta sul vivo e, non sapendo cos'altro ribattere, fece per andarsene. Urtò volontariamente Rebecca per attraversare lo spazio che la separava dalle scale, e l’ italiana con molta disinvoltura portò leggermente in avanti il piede destro. La ragazza andò a sbattere come un peso morto sul cemento, di faccia, facendo riecheggiare un urletto stridulo per gli spalti che accompagnò il lungo fischio di fine partita.

Rebecca a quel punto si girò senza nemmeno curarsi dell’ accaduto verso il campo da calcio dicendo: “E’ finita, andiamo?”

   
 
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