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Autore: LunaMoony92    13/06/2014    5 recensioni
E' passato più di un anno dalla morte di Fred. George è distrutto e, per l'ennesima volta, decide di affogare il suo dolore nell'alcool. Ma qualcosa succede quella sera. Per uno strano scherzo del destino o per chissà cosa, George si ritrova a casa di Hermione. Questo è l'inizio della nostra storia...
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Weasley, Fred Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger | Coppie: Fred Weasley/Hermione Granger
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Il tempo sembra scorrere diversamente quando stai male. I minuti passano lenti, scanditi dal ritmo dei tuoi pensieri e dal fluire del tuo dolore.
Alcune giornate sono peggio di altre. Ti svegli e fino a quando non ti addormenti di nuovo, riesci a pensare soltanto a quello. Il tuo dolore è lì, non ti abbandona. Diventa quasi una compagnia, dopo un po’. Senza ti sentiresti strano, incompleto, non saresti più tu o almeno quello che sei diventato.
George si sentiva così ogni giorno dal giorno in cui Fred era morto.
Nel periodo passato con Hermione, aveva sentito più leggero il peso della sua tristezza. Qualche volta aveva persino creduto di poter essere di nuovo felice come prima. Erano attimi.
Lei rideva e lui rideva di riflesso. Lei prendeva il pane e gli sfiorava la mano. Erano attimi.
Poi tutto tornava come prima. Il dolore tornava a schiacciarlo  e lui ricadeva impotente sotto quel peso.
Poi era arrivata quella sera, quella sera in cui i ricordi erano troppi e il dolore troppo grande per poterlo sopportare. Era andato da lei, l’unica da cui si sentiva capito e l’aveva vista piangere.
Avevano fatto l’amore e per una notte, una sola notte, aveva creduto che quella sensazione di benessere sarebbe potuta durare per sempre.
L’aveva creduto. Si era illuso. Forse aveva illuso anche lei.
E poi era scappato, incapace di reagire, spaventato e distrutto.


Niente nella sua vita era andato come aveva immaginato da piccolo.
Con Fred passavano ore a fantasticare sul futuro e a fare progetti. Erano riusciti a realizzare il loro sogno di aprire il negozio di scherzi e era andato piuttosto bene. Poi c’era stata la guerra, ma loro avevano continuato a fantasticare sull’apertura di un nuovo punto vendita ad Hogsmeade, su nuovi prodotti, su un futuro insomma. Un futuro che a Fred era stato negato e che con lui era stato poco gentile, un futuro che lui continuava a vedere nero e vuoto.
La lontananza da casa gli faceva bene e si sentiva un po’ egoista per questo. Stare insieme a Charlie, in mezzo al nulla con la sola compagnia dei draghi lo faceva stare meglio.
Charlie era molto simile a Fred: simpatico, la battuta sempre pronta e una buona dose di strafottenza che George non poteva che apprezzare.
Era facile stare con lui, ma non era Fred. Nessuno sarebbe stato più Fred e questa era una cosa che doveva iniziare ad accettare.
Ginny si era presa una settimana per rispondere alla sua lettera di confessioni.
Non l’aveva rimproverato, né giudicato. Aveva capito e gli aveva detto che gli voleva bene.
Lei, la più piccola della casa, era la più saggia di tutti i fratelli. Forse era quella che di amore ne sapeva di più, avendolo aspettato a lungo e avendo rischiato più volte di perderlo.
Ma per George, era amore quello? Non lo sapeva.
Di certo sapeva che quando aveva letto della reazione di Hermione, si era sentito morire.
Ginny gli aveva raccontato tutto e solo dopo averlo saputo, si era reso conto del peso delle sue azioni.
Aveva creduto di poter avere una chance  con Hermione e l’aveva fatto credere anche lei. Poi era sparito e così le aveva lasciato una cicatrice sul cuore, che non faceva altro che ricordarle il suo dolore.
Era quello l’amore? George non era mai stato innamorato, non poteva saperlo. Forse Ginny aveva la risposta, ma non gli andava di chiederlo.
Charlie entrò in cucina, la maglia bruciata e i capelli fumanti.
“Quel grugnocorto è proprio un monellaccio!” disse ridendo al fratello.
“Charlie, continuo a pensare che tu sia seriamente figlio di Hagrid” rispose George, accennando un sorriso.
“E’ arrivata posta stamattina, è di mamma. La leggi tu mentre vado a cambiarmi?”
“Ok…”
George aprì la lettera e lesse:


“Amori di mamma, come state? La prossima settimana ci sarà il battesimo di Victorie e vorrei tanto che voi veniste. Fatemi sapere al più presto. Accetto solo un si come risposta.
Un bacio, mamma.
PS: Mangiate abbastanza? George, come stai? Charlie, ti sei trovato una ragazza?”


George sorrise. Aveva poche certezze nella vita e una di quelle era che sua madre non sarebbe mai cambiata.
“Allora, cosa dice la mamma?” disse Charlie rientrando in cucina.
“Vuole sapere se ti sei fidanzato.”
“Ma non mi dire! Strano, non me lo chiede praticamente mai!” rispose ridendo Charlie. “Niente accenni alle terribili conseguenze di una vita in mezzo ai draghi?”
“No, stavolta deve averlo dimenticato . Comunque ci ha scritto che la settimana prossima c’è il battesimo di Victorie e ha detto che aspetta la conferma della nostra presenza.”
“Sei pronto a tornare?” disse Charlie serio.
George sospirò e annuì.
“Allora mando un gufo ad Holly e le chiedo se può badare ai draghi per qualche giorno.” disse uscendo dalla stanza.
“Sono pronto a tornare?” si chiese George. Non aveva una risposta.
 
 
 
 
Charlie e George erano riusciti ad organizzare una passaporta solo per il giorno prima del battesimo.
Molly era molto agitata dal loro ritardo, ma grata che riuscissero comunque a venire entrambi.
Quando apparirono nel cortile della Tana, gli corse incontro, abbracciandoli come solo lei sapeva fare, prima a turno e poi tutti e due insieme.
“Sei così sciupato Georgie! E tu, Charlie, non hai portato nessuna con te?”
“Ti ho portato George, mamma!” le rispose ridendo e scansando uno scappellotto di pochi centimetri.
“Metterai mai la testa posto?”
“Mai, mamma! Sei tu l’unica donna della mia vita!” le rispose da lontano, mandandole un bacio volante.
Molly rise e scosse la testa. Poi  si voltò verso George.
“Come stai, amore di mamma?”
“Sto bene. E’ bello vivere con Charlie. Neanche i draghi sono male.” disse George. Era sincero, dopotutto.
“Sono molto felice che tu sia qui.”
Entrarono nella cucina della Tana, dove trovarono Percy intento a leggere il Profeta e Ginny a piegare dei vestiti.
“Sei tornato!” disse la ragazza quando lo vide e corse ad abbracciarlo.
“Sarei tornato anche io, se te ne sei accorta sorellina.” disse Charlie, sorridendo.
“Speravo tanto che tornassi George, mi sei mancato.”
“Anche tu, Ginny. Anche tu.” le rispose George lisciandole i capelli con una mano.
Avrebbero parlato, prima o poi, ma non adesso.
“Vado al negozio a vedere come se la cava Lee, ci vediamo stasera, ok?”
“Va bene, lo dico io a mamma.” rispose la sorella, che lo salutò con un bacio sulla guancia.
 
 
 
 
Diagon Alley era gremita di gente, come sempre. Da lontano poteva vedere la gente che faceva la fila nel negozio di scherzi. Si guardò attorno per un attimo e iniziò a camminare in direzione del negozio.
Quando Lee lo vide, non riuscì a trattenersi.
“Oh, chi si vede! Ti sei degnato a tornare, finalmente!”
“Sono felice di vederti anche io, Lee.” gli rispose lui, accennando un sorriso.
“Sei tornato per restare o hai intenzione di lasciarmi nella merda un’altra volta?”
“Non lo so ancora. Salgo un attimo nell’appartamento a prendere una cosa e poi torno ad aiutarti.”
“Lo spero per te.” fu la risposta di Lee.
Tornare nel suo appartamento lo fece sentire strano. Tutto era rimasto esattamente come l’aveva lasciato il giorno in cui era partito, come se in quella casa fosse passato un tornado particolarmente violento.
In quell’appartamento, aveva visto per l’ultima volta Hermione. Lì, dietro quella porta, l’aveva sentita singhiozzare e poi sparire e insieme a lei era sparito un pezzo del suo cuore.
Ripensava a quello che le aveva detto, anzi sussurrato: non è tempo per noi.
Chissà se lei aveva sentito.
Lo pensava ancora, non era tempo per loro due e forse quel tempo non sarebbe mai arrivato.
Lui era soltanto il fantasma del ragazzo che un tempo era stato, lei meritava qualcuno tutto intero.
Fece una doccia e scese al negozio, come aveva promesso. Il pomeriggio passò velocemente e così arrivò l’orario di chiusura. Stava per chiudere, ma Lee lo bloccò sulla porta.
“Ci sono milioni di documenti da firmare, di ordini da convalidare e, soprattutto, di spiegazioni da dare. Come cazzo ti è saltato in mente di lasciarmi qui da solo?” Lee era scoppiato.
“Mi fido di te, non sei contento?”
Lee scosse la testa.
“Non ti permetterò di farlo di nuovo. E’ stato un mese tremendo. Se non fosse stato per Ginny, avrei chiuso tutto e buonanotte. Non farlo mai più, mi hai sentito?”
George non rispose, Lee alzò il tono di voce.
“MAI. PIU’. INTESI?”
“Ok, Lee. Ho capito. Grazie di tutto e scusami. Hai la settimana libera.”
“E’ il minimo” rispose Lee, più rilassato.
“Chiudo io, rimango a sistemare i casini in cui ti ho lasciato.”
“Questo è lo spirito giusto, amico!” gli urlò Lee mentre usciva.
Passò due ore chiuso in magazzino a firmare una pila di documenti che gli sembrò infinita. Quando aveva finito, erano già le otto.
Non appena fu fuori dal negozio, si ricordò all’improvviso di una cosa.
“Cavolo! Il regalo per Victoire!”
Aprì di nuovo la porta e andò a prendere un pelouche gigante a forma di puffola pigmea.
“Questo dovrebbe piacerle, ma forse non basta.”
Uscì e iniziò a risalire la stradina, con la mega puffola pigmea sulle spalle. Le poche persone che erano rimaste nella strada non si  davano nemmeno la briga di nascondere le loro espressioni sconvolte.
“E’ per mia nipote!” urlò George ad un vecchio mago che mormorava qualcosa come: “Questi giovani, non sanno più cosa inventarsi.”
Tutti i negozi erano ormai chiusi, tranne Madama Mc Clan. Si avvicinò un attimo alla vetrina, per guardare un abito da cerimonia da uomo. Aveva appena deciso di non averne bisogno, quando una voce familiare lo fece trasalire. Si scostò per nascondersi in un angolo e la vide.
Hermione stava uscendo dal negozio con in mano due enormi buste.
“E anche questa è fatta! Sarà meglio che corra da Ginny o potrebbe uccidermi!” stava dicendo a se stessa.
Girò sul posto e sparì.
Era bella.
Era sempre stata bella, ma vederla all’improvviso, dopo più di un mese, per George era stata quasi un’apparizione.
Cosa si era lasciato sfuggire? Perché l’aveva fatto?
Rimpicciolì il mega pelouche che teneva sulle spalle e si smaterializzò.
Aveva promesso alla madre di tornare per cena, ma dopo aver visto Hermione, aveva il vago sospetto che sarebbe rimasta anche lei alla Tana.
Scrisse un breve messaggio a Ginny e inviò suo gufo ad Ottery St. Catchpole. Ginny avrebbe capito.
 
 
 
Io ti sento passarmi nella schiena. La vita non è in rima per quello che ne so.


 
 
Vedere Hermione l’aveva sconvolto. Aveva sentito un brivido percorrergli la schiena e invaderlo per tutto il corpo.
Era quello l’amore? Ancora una volta, George non ne aveva idea. Forse era davvero il caso di chiederlo a Ginny.
Continuava a fare su e giù nel suo appartamento.
Perché era tornato?  Per sua madre, per Victorie. Solo per loro?
Forse, segretamente, nutriva la speranza di vederla alla cerimonia, di poterla guardare da lontano. Si, da lontano, perché era certo che dopo il loro addio non avrebbe avuto il coraggio di avvicinarla, né che lei gli avrebbe più parlato.
Quello che c’era tra loro, qualunque cosa fosse, George l’aveva fatto morire prima che nascesse cacciandola da casa sua.
Con un calcio, spedì un cumolo di cocci dall’altra parte della stanza.
“Demolire tutto non farà cambiare le cose” pensò e si guardò intorno, come si aspettasse di vederla spuntare sulla porta.
Ma stanza non c’era nessuno, solo lui e il disastro che aveva creato.
Si tolse la camicia e iniziò a sistemare la cucina.
Dopo qualche ora di lavoro, le scuse per non pensare erano finite. Era riuscito a tenere la mente occupata rimettendo in ordine l’appartamento, ma adesso avrebbe dovuto mettere ordine dentro se stesso.
 
 
 
Io ti sento, lo stomaco si chiude, il resto se la ride appena ridi tu.
 
 
 
“Era proprio bella. Forse un po’ più magra, ma bella.”
Ripensare a lei, gli fece provare una stretta allo stomaco. Il sorriso che aveva accennato parlando di Ginny, le aveva illuminato il viso.
Più pensava a lei, più George sentiva di volerla vedere, di volersi scusare con lei.
“Andrò da lei, si. Le dirò che ho sbagliato, che sono solo uno stupido. Chissà se mi perdonerà mai…”
Il momento dell’ottimismo fu subito rimpiazzato da quello del pessimismo cosmico.
“No,  non mi perdonerà mai. E poi, io non la merito. Lei merita qualcuno che la ami e che le stia accanto, non uno come me.”
Un incontro di qualche secondo, era riuscito a fare crollare quell’aura di finto benessere che George aveva faticosamente costruito attorno a sé nel periodo passato in Romania. Quell’incontro aveva rimesso in discussione ogni cosa.
 
 
 
Qui con la vita non si può mai dire, arrivi quando sembri andata via.
Ti sento e parlo di profumo, t'infili in un pensiero e non lo molli mai.
Io ti sento, al punto che disturbi.
 
Proprio quando aveva creduto di poter andare avanti, lasciandosi Hermione alle spalle, si era reso conto di quanto questo fosse impossibile.
Aveva continuato a pensare a lei tutta la notte. “Chissà come sta” “Chissà cosa pensa”.
Nella sua mente, le immagini degli attimi passati con lei scorrevano senza sosta, lasciandosi dietro tristezza e un senso di vuoto.
Gli sembravano lontani, ormai irraggiungibili quei giorni passati a studiare gli effetti delle Caramelle della Verità, i pranzi a casa di lei, il loro primo bacio e quella notte passata insieme.
George scosse la testa, come se quel gesto potesse bastare per liberare la sua mente da tutti quei ricordi.
Erano oramai le tre di notte e non riusciva a prendere sonno.
“Ci vorrebbe proprio la pozione di Hermione” disse sorridendo amaramente.
“Mi toccherà fare a modo mio”
Attraversò il corridoio e raggiunse la cucina. La bottiglia di Fire Whisky sarebbe stata la sua pozione per dimenticare.
 



Io ti sento e sotto la mia buccia che cosa mi farai?
 
Dopo aver preso la bottiglia, George era uscito fuori nel piccolo balcone. Da lì poteva ammirare Diagon Alley in tutta la sua lunghezza. Quella strada, così piena di vita, la notte era silenziosa e piena di luci. Gli unici rumori provenivano dai Tre Manici di Scopa, qualcuno stava festeggiando una festa inesistente, cercando soltanto un nuovo alibi per ubriacarsi.
George alzò gli occhi al cielo. Era una notte limpida, il cielo era pieno di stelle. Bevve un sorso abbondante di liquore e si appoggiò alla finestra, continuando a guardare le stelle.
Forse la colpa era proprio nelle stelle, quelle stesse stelle che la notte di più di un mese fa si era trovato a guardare, cercando Fred. Era stato sotto quelle stelle che aveva deciso di non meritare Hermione e di lasciarla libera. Ma le stelle stavano zitte, si facevano guardare. Brillavano lontane e irraggiungibili, colpevoli soltanto della loro bellezza.
“Mi domando se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la sua
Gli aveva detto una sera Hermione, mentre George stava andando via. George si era voltato a guardarla.
“Cosa hai detto?”
“E’ una frase di un libro babbano che mi regalarono i miei quando ero piccola. E’ molto bello. Dovresti leggerlo, prima o poi.”
“Forse lo farò.” aveva risposto George.
Lei aveva preso la sua copia del libro e gliel’aveva dato.
George non l’aveva mai aperto.
Ripensando a quel giorno, George tornò nel salotto. Il libro era ancora lì, nella libreria, dove l’aveva poggiato mesi prima.
“Ma tu guarda cosa sto facendo!” disse a nessuno, prendendo il libro.
“Ma tu guarda come mi hai ridotto, Hermione.”
 
  
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