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Autore: Lacus Clyne    15/06/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fui scaraventata in cella senza troppi complimenti, accolta dalle braccia protettive di mia madre e di mio padre e dalle voci di tutti i miei compagni. Incredula, li vidi uno ad uno. Amber, Shemar, Rose e Blaez, Ruben e Violet, Leandrus coi ragazzi di Ruben, Hiram e la dolce Milene, che non vedevo da quando ero arrivata a palazzo Trenchard. Livia e Jamie. Persino Lord Oliphant e Angus, insieme a Lady Octavia e a Lorraine. Evan aveva tenuto i migliori per assistere alla fine. E poi, Damien.

- Tesoro mio, stai bene?!

La voce della mamma, che avevo abbracciato forte, era così apprensiva che mi fece sentire ancora più in colpa. Annuii, sconfortata.

- Sono mortificata… non sono riuscita a fermare Evan…

Mi morsi le labbra, mentre mio padre mi accarezzava dolcemente i capelli e i miei occhi incontrarono quelli di Damien. Mi guardava, senza ombra di rimprovero né di soddisfazione. Semplicemente, sembrava sollevato del fatto che fossi lì.

Violet e Amber mi affiancarono. Chissà da quanto tempo erano lì. C’era un nuovo sentimento che ci legava, in quel momento. Loro erano le mie migliori amiche, così come Rose era stata un modello di riferimento, per me. Alla fine, avevo la consapevolezza che quantomeno, sarei stata al fianco delle persone che amavo di più e che grazie al cielo, erano ancora vive.

- Dov’è Micheu?

Domandai a Lord Oliphant, quando si avvicinò. Il vecchio Lord, che aveva amato mia nonna Annabelle, guardò verso l’esterno.

- Con la sua famiglia. Si sono messi in salvo grazie a questi due ragazzini.

Rispose, abbracciando affettuosamente Livia e Jamie come fossero due nipotini. Entrambi arrossirono, soprattutto Livia, che aveva sempre trattato la nobiltà dell’Underworld ad armi pari, incurante dell’età.

- Siete degli eroi, allora…

Sorrisi.

- Dillo con più convinzione, Aurore.

Mi riprese la Lady del lapislazzuli, borbottando.

Annuii.

- Hai ragione. Sono davvero contenta… che voi siate tutti qui… Lady Octavia, Angus…

Lasciai momentaneamente l’abbraccio di mia madre per raggiungerli. Erano seduti, stanchi, ormai. L’età aveva reso tutto ancora più difficile, ma nonostante tutto, non avevano rinunciato a combattere. Lorraine aiutò l’anziana a trovare le mie mani.

- Piccola Aurore… ora so perché non riuscivo a vedere oltre, quando ti sei presentata al santuario dell’ambra…

Mi confessò Lady Octavia, incantevole nonostante il suo chignon intrecciato non fosse perfetto, nello stringermi la mano. Incuriosita, così come gli altri, le domandai il motivo. Si abbandonò a una riflessione interiore, poi mi sorrise.

- Perché avevi qualcuno che cercava di proteggerti, da molto, molto tempo.

Quelle parole, dette con tanto affetto e con tanta dolcezza, mi commossero. Guardai la mamma e papà, che mi sorrisero.

- Arabella… è riuscita ad attingere a parte dei poteri della Croix du Lac per proteggerti da lei… e da chi voleva farti del male…

Disse la mamma, cercando sostegno dell’abbraccio di mio padre.

- E alla fine, sei riuscita a ritrovare la tua famiglia.

Aggiunse Angus, con un guizzo allegro negli occhi blu.

- Nonno, non ti stancare troppo.

Lo riprese Blaez, sedendosi accanto a lui e coprendolo col suo mantello rosso scuro. Quel colore mi fece tornare in mente gli occhi di Evan e assentii alle parole di Angus.

- Eravate voi a palazzo Valdes, vero?

Papà aggrottò le sopracciglia chiare, mentre Angus si limitò a un colpetto di tosse e a un sorrisetto compiaciuto. Adoravo quell’anziano. Anche Amber e Shemar si avvicinarono a lui e quando la mia amica sfiorò Lady Octavia, inavvertitamente, quest’ultima ebbe come un sussulto. Sul suo volto scavato dallo scorrere del tempo, comparve una ritrovata serenità. Sorrisi anch’io, nonostante sapessi che sarebbe stata l’ultima volta. Mi alzai e andai da Hiram e Milene. La ragazza, appena più piccola di me, si inchinò. Scossi la testa e l’abbracciai forte. Quel gesto stupì tutti, soprattutto lei.

- C-Che…

- Tieni sempre stretta la mano di tuo fratello, Milene… non lasciarlo andare, mai…

Hiram era incredulo, mentre Milene arrossì, balbettando incerta.

- I-Io… c-come dite?

Cercò la complicità del fratello, che le rivolse uno sguardo adorabile, dolce, tanto da rassicurarla. Ruben mi mise una mano sulla spalla, quando sciolsi l’abbraccio e lo guardai.

- Mi prometti che proteggerai Violet?

La mia migliore amica si avvicinò a noi, imbarazzata.

- Si può sapere perché parli così, Aurore?

La guardai. La prima persona che mi aveva accolto con un sorriso nella mia nuova classe. La mia prima, vera amica. La stessa pazzerella che aveva sfidato la sorte per venirmi a cercare. Lo specchio della mia anima.

- Perché voglio solo che chi amo sia felice…

Si soffermò sulle mie parole e io sperai di non averlo detto in modo troppo retorico. Ma era così che mi sentivo. Qualunque cosa sarebbe accaduta, se c’era un momento per aprire il proprio cuore, era quello. Non avremmo avuto altre occasioni. Era forse questo che cercava di dirmi Evan. Violet mi scoccò un bacio sulla guancia.

- Ti voglio bene, Aurore.

Mi morsi le labbra, annuendo commossa.

- Anch’io, Violet… per sempre.

- Ah beh… comunque, dal momento che siamo in vena di confessioni… se sopravviviamo a oggi, Violet Hammond, giuro solennemente che verrò in capo al mondo, con te. E ti prometto di vivere al tuo fianco i giorni che mi restano.

A quelle parole di Ruben, tutti ci voltammo a guardarlo. Rose, allibita, mise una mano in faccia.

- Numi, Ruben, ti sembra questo il momento di fare una dichiarazione?!

Ruben sbattè le palpebre, incerto.

- Beh, dopotutto, avevo già deciso.

Violet arrossì fino alla punta dei capelli, nascondendosi dietro di me. Quella reazione lo stupì non poco, ma fece sorridere me. Nonostante stessero insieme, la mia amica era fondamentalmente parecchio timida e queste cose la imbarazzavano non poco.

- Ho detto qualcosa di strano?

Chiese il Lord del rubino, cercando risposte nei suoi compagni che annuirono all’unisono. Blaez sospirò.

- Beh, non è certo in questo modo che si chiede la mano di una Lady, Lord Cartwright.

Rispose invece Shemar. Amber lo guardò incuriosita.

- Non mi dire, ti ci metti anche tu…

Fece eco Rose, scuotendo la testa.

- Sta’ zitto tu, che ci hai messo vent’anni per baciare Amber.

Gli rispose Ruben, infastidito, prima di cercare il perdono di Violet.

- E questo cosa c’entra ora?

Replicò stupito Shemar. Leandrus gli dette una pacca sulla spalla.

- Vedi, amico… quello che vuole dire il Lord rosso è che sei fortunato che Amber ricambiasse il tuo amore, o avrebbe scelto qualcun altro molto tempo fa. Vero, Amber?

Shemar sorrise, poi guardò Amber con quello sguardo colmo d’amore che avevo imparato a conoscere. Lei ricambiò silenziosamente, ma quel velo rosso sulle sue guance mi fece intendere, con un filo di imbarazzo, dovevo ammettere, che forse c’era stato qualcosa in più, oltre a quel bacio.

- No, Leandrus… non l’avrei mai fatto… Shemar è sempre stato la sola persona che ho amato…

Una lacrima scese a bagnare il cuore definitivamente infranto di Leandrus, strappandoci un sorriso.

- Ah, ragazzini…

Commentò sovrappensiero Lord Oliphant, trovando l’approvazione di mio padre. La mamma invece, afferrò la lunga treccia argentata che papà portava lungo la schiena e lo affiancò.

- Non dirmi che senti il peso dell’età, amore mio…

Disse, con quel tono adorabilmente minaccioso che amavo. Papà la guardò con la coda dell’occhio.

- A dire il vero sento solo che mi stai tirando la treccia.

- Dovresti tagliarla, sì. Non oso immaginarti coi capelli sciolti…

Papà sorrise.

- Di certo sarà affascinante ugualmente… non è vero, mamma?

Domandai, sentendo rinascere in me quel poco di entusiasmo. La mamma mi guardò stupita, poi sorrise e smise di importunare i capelli di papà, appoggiandosi al suo braccio, che ben presto, la cinse di nuovo, gentile e protettivo. Mi sentii incredibilmente felice, al pensiero di vederli insieme. Un sogno che avevo sempre desiderato si avverasse. E alla fine, in un modo o nell’altro, l’aveva fatto. Mi strinsi nelle braccia, preda di quel calore che solo poco prima avevo sentito nel Sancta Sanctorum. Amore. Tanto. E speranza. Chiusi gli occhi, quando mi sentii avvolgere a mia volta. La guancia di Damien si appoggiò alla mia, e serrata teneramente nel suo abbraccio, forte della sua ritrovata comprensione, mi sentii di nuovo forte.

- Scusami…

Mormorai, riaprendo gli occhi.

- Scuse accettate. E scusa anche me… per non essermi fidato. Avevo paura che se ti avessi lasciata fare, ti avrei persa davvero…

- Sono tornata da te… siamo di nuovo insieme, Damien…

Lui annuì, stringendomi con più forza, quasi a volersi sincerare che fosse davvero così. Posai le mani sulle sue.

- Solo, Damien… non lasciarmi più in quel modo… ho avuto paura… tanta… di perderti anch’io…

Damien assentì, poi lo vidi guardare fuori, attraverso la gabbia a larghe maglie. Feci lo stesso, così come tutti gli altri, nel vedere le guardie al comando di Evan distribuirsi come in un immenso cordone, molto più grande di quello che aveva cinto la piazza centrale di Chalange durante la sventata esecuzione di Amber. Stavolta non c’era molta gente intervenuta. Troppi avevano paura ed erano rimasti chiusi delle proprie abitazioni, dopo ciò che era accaduto quel giorno. I soli temerari, probabilmente, provenivano dalle terre confinanti. E poi, d’improvviso, sentimmo risuonare delle campane. Nel silenzio, il suono arrivò forte e rombante. Poco dopo, le guardie eseguirono una sorta di presentat-arm. Guardai papà e Shemar che studiavano la situazione, ma anche gli altri non erano da meno. Una schiera di dieci guardie, aperta e chiusa dalle due in uniforme bianca che avevo visto prima di entrare nel corridoio che portava al Sancta Sanctorum, scortò la Croix du Lac, che indossava una semplice veste bianca, fermata in vita da una cintura argentata, esattamente al centro dello spiazzo, dove un tempo doveva esserci una sorta di altare sacrificale, ora soppiantato da una costruzione più alta, con almeno una decina di scalini in pietra. Un pulpito, forse, circondato da un lieve avvallamento. Compresi che quel posto doveva essere una specie di tempio all’aperto, perché nell’osservare il resto del paesaggio, che prima non avevo fatto in tempo a notare, c’erano i resti di cinque colonne che facevano da punti focali. Per di più, da esse, delle stradine costellate da sassi, convergevano verso il punto preciso in cui era salita la Croix du Lac. Tutto intorno, delle grandi torce vennero accese man mano, conferendo nuova luce alla radura racchiusa dagli alberi frondosi.

- Che farà da lì?

Domandò Einer.

- Convoglierà l’energia delle Pièces.

Spiegò Lord Oliphant.

Livia strinse con forza le sbarre di ferro, contrariata. Anche se fosse, da lì, non potevamo far altro che assistere. Eravamo a diversi metri di distanza.

- Arabella…

Mi voltai verso la mamma, che aveva stretto la mano di papà per cercare coraggio.

- Lei è viva, mamma…

Dissi, suscitando la loro reazione.

- C-Cosa? Dici davvero, Aurore?

Annuii, sperando di rincuorarla. Evan l’avrebbe salvata, in qualche modo. Cercai sostegno in Damien, che si accorse di qualcosa di strano. Le sue palpebre si fecero più strette, quando vide il professor Warren affiancare la nostra gabbia, a meno di un metro da noi.

- Papà!

Esclamò Jamie.

Il professore ci guardò.

- Sta per iniziare.

- Allora apri, così ci godiamo meglio lo spettacolo.

Replicò acidamente Damien. A quanto pare non si erano affatto chiariti. Il professore gli rivolse uno sguardo apatico, poi guardò mio padre.

- Non posso farlo, è un ordine del Despota.

Papà ricambiò in silenzio, poi si limitò a ignorarlo e a guardare oltre.

Si udì il clangore delle spade che si incrociavano tra loro per creare degli archi, quando finalmente, apparve Evan. Non era accompagnato da nessuno. Né scorta, né appoggi d’alcun tipo. Sentii mancare un battito nel pensare alle sue parole, alle sue braccia che mi avevano stretta come in un triste congedo. Poggiai una mano sulla sbarra e cercai di farmi forza. Era calato silenzio, tutto intorno. Nessun commento, ma solo attesa e preoccupazione. Il Despota, mio fratello, ci rivolse uno sguardo. Non so cosa pensarono gli altri, ma a me parve di vederlo sorridere. Poi proseguì, percorrendo la strada principale, quella che conduceva al pulpito. L’aria era carica così come lo era nel Sancta Sanctorum. A ogni passo che Evan faceva verso quell’altare maledetto, avevo la sensazione che ciò a cui avremmo assistito avrebbe cambiato per sempre le nostre vite. E il mio cuore diventava sempre più pesante.

Evan salì il primo gradino. Inspirai, pensando a uno dei primi ricordi che avevo di lui.

- Mamma, mamma!! Aurore è caduta!!

La voce angosciata di Evan, mentre cercavo testardamente di compiere i miei primi passi. La mamma sorrideva. Incantevole, giovane, con i lunghi capelli raccolti in morbide trecce e il suo vestito di un leggero magnolia, seduta su un divano importante, mentre mi tendeva le mani. Ed Evan che protestava nel vederla così tranquilla. Ricordavo di esser caduta su qualcosa di soffice e subito dopo quel grido di protesta, mio fratello che mi soccorreva, mentre lo guardavo con un broncio riflesso nei suoi occhi preoccupati. La sua manina che prendeva la mia e mi aiutava a sollevarmi, trionfante, e a muovere di nuovo quei passi verso la mamma.

Aprii la mano, carezzando la sbarra gelida.

- Sono il Despota Supremo di questo mondo. L’ultimo discendente della famiglia Delacroix. Il mio nome è Evandrus Delacroix e oggi vengo a porgervi un dono, Vostra Grazia.

Proclamò, con voce determinata, mentre continuava a salire gli scalini che lo separavano dall’irreparabile.

- Mi chiamo Evan Kensington. E lei è mia sorella, Aurore. Lieto di conoscervi. Ah, nostra madre è quella squinternata che ha sintonizzato male l’antenna, per la cronaca. Se non vedete la tv, è per colpa sua.

Aveva detto, quando ci eravamo trasferiti a Darlington, alle famiglie del nostro complesso residenziale che si erano affacciate incuriosite dopo aver visto il camion traslochi. Quanto si divertiva a prendere in giro la mamma per la sua poca dimestichezza con la tecnologia… quel pensiero mi fece sorridere, nonostante le lacrime che avevano preso a scorrere.

- Ma prima ho un annuncio da fare.

Disse, quando la sua scalata ebbe termine. Si inchinò e la Croix du Lac assentì.

- Ehi, guardate!

Eyde ci fece notare come una moltitudine di persone, comprese quelle che avevo visto a palazzo, stava raggiungendo quel luogo. Erano venute ad assistere, infine. Damien sibilò qualcosa a suo padre, che rimase immobile, mentre io guardai impietrita verso Evan. Violet, che aveva stretto la mano di Ruben, fece lo stesso. Chissà se anche lei ricordava qualcosa.

- E così Violet ha vinto di nuovo! Sei grande, amica mia!! E con questa sono due a zero, Evan!!

Ricordai di averlo detto, abbracciandola forte, felice perché aveva battuto Evan a una partita di bolle di sapone per la Wii. Avevo riso come una matta, scattato foto e persino girato un video che li immortalava a cercare equilibrio mentre quasi sembravano sculettare da una parte e dall’altra, col controller in mano e le braccia tese. Violet rideva ed Evan bofonchiava ogni volta che la mia amica lo superava. Alla fine, però, erano stati concordi nel volermi vedere all’opera e mi avevano persino presa in giro, seduti sul divano a mangiare pop-corn e a ingozzarsi di aranciata, beandosi delle mie figuracce e sghignazzando.

Deglutii, quando Evan si voltò.

Il lungo mantello bianco si aprì, sventolando. Aveva indossato la stessa uniforme che aveva quando si fingeva Liger. Niente più niente meno, se non la spada, assente. Sollevò il braccio sinistro a mezz’aria e parlò, richiamando l’attenzione.

- Esperia. Eoni prima che la famiglia Delacroix varcasse la soglia di questo mondo, in fuga da un’epoca di guerre, di carestia e di morte, era questo il nome che gli antichi abitanti avevano dato a questa dimensione. Per molto, molto tempo, essi avevano vissuto prosperando al punto da influenzare lo sviluppo stesso delle realtà confinanti, tramite i varchi che essi stessi avevano creato. Possessori di una tecnologia molto più avanzata di quanto allo stato attuale, si possa anche soltanto immaginare, in perfetta armonia con la natura, ebbero a cuore la vita di ogni singolo essere per lungo tempo. Così accadde, fino al giorno in cui Adamantio, la stella che garantiva loro la sopravvivenza, finì col cessare il suo ciclo vitale, dando origine ai cataclismi che portarono i continenti che formavano Esperia a collidere tra loro, andando incontro alla distruzione assoluta. Fu allora che si decise di evitare la fine creando artificialmente un nuovo nucleo che fosse in grado di far rinascere quella stella. Quel nucleo è ciò che voi tutti  conoscete col nome di Croix du Lac.

La maggior parte di noi, come anche coloro che stavano continuando ad affluire ascoltava quelle parole che per tanti secoli erano state tenute nascoste. Nessuno sapeva cosa fosse esattamente la Croix du Lac, ed Evan era ben determinato a rivelare la verità. Eyde e Gourias, increduli, si ritrovarono a borbottare persino che si trattasse di una macchinazione. Ma prima che potessi rispondere che non lo era, Angus li rassicurò sul fatto che mio fratello diceva il vero. A quel punto, persino io mi stupii. Evidentemente l’anziano Vanbrugh non mi aveva detto tutta la verità. Lady Octavia, invece, strinse le mani in preghiera, mormorando il canto di Shelton, abbracciata da Amber e da Lorraine. Milene e Hiram si erano stretti la mano, la stessa espressione dubbiosa sul volto. Tutto intorno, le voci concitate della folla erano la dimostrazione che quelle parole avevano sollevato un vero e proprio dibattito. Avrebbero tuttavia creduto alle parole del Despota che aveva fatto sterminare così tante persone? E la Croix du Lac, che era ancora dietro a Evan, cosa avrebbe fatto?

- Capisco bene la vostra perplessità. Ebbene, lo ero anch’io, quando ne sono venuto a conoscenza. Ciò che invece la maggior parte di voi ignora, relativamente all’era moderna, eoni dopo la scomparsa dei primi abitanti di questo mondo, avvenuta a causa dell’instabilità del nuovo nucleo, e dopo la venuta dei Delacroix e delle famiglie dell’oligarchia, è che alcuni dei manoscritti messi in salvo da quell’antica e saggia gente, caddero in mano di persone senza scrupoli, determinate soltanto a distruggere la prima famiglia. Il germe dell’interesse, della venalità e del tradimento era stato instillato e ben presto, avrebbe portato alla situazione attuale. Alcuni membri dell’oligarchia, circa cinquecento anni fa, si riunirono per affermare il loro potere sull’Imperatore, arrivando a rapire la stessa erede al trono, che al tempo, aveva soltanto sedici anni.

Portai la mano al cuore, pensando al ritratto della Croix du Lac che avevo visto nei sotterranei del tempio in rovina a Chambord.

- Con un ignobile e vile stratagemma, quella fanciulla fu strappata ai propri affetti più cari, torturata e infine sacrificata a qualcosa che quella gente stessa aveva strumentalizzato per ottenere il potere. Credendo che la Croix du Lac fosse una divinità, essi cominciarono ad adorarla in quanto tale, accusando i Delacroix di aver rinnegato la fede dalla sola entità superiore che avrebbe governato quel mondo e riuscirono a estrometterli al termine di una lunga guerra. Fu così che nacque il sistema attuale, che vede l’elezione di un Despota legittimato dalla stessa Croix du Lac. Ma ora vi chiedo… avete idea di quante fanciulle sono state sacrificate nel corso del tempo per mandare avanti questa barbarie?

La mamma esitò, tremando, nel sentire quell’ultima constatazione. Chissà quante volte lei ed Evan ne avevano parlato. Papà e anche il professor Warren la guardarono. Loro e pochi altri avevano custodito il segreto su quell’ultimo sacrificio.

Evan si scostò, tendendo la mano alla Croix du Lac, mentre i presenti parlavano tra loro, incessantemente. Lei fece qualche passo in avanti, sollevando il braccio col diamante che continuava a risplendere.

- Il Despota dice il vero. Per secoli sono stata tenuta prigioniera nel Sancta Sanctorum, confinata in una bara dalla quale non avrei potuto scappare neanche se avessi voluto. L’energia delle Pièces teneva ben saldo il sigillo, che veniva allentato ogni cinquant’anni, quando un nuovo sacrificio mi veniva tributato. Il mio dolore è diventato il dolore delle mie figlie. La mia disperazione è cresciuta di pari passo. La mia coscienza è rimasta viva, anche quando il corpo si deteriorava. Il ricordo di una promessa mai mantenuta ha fatto sì che il mio sconforto si trasformasse in odio. Per chi mi aveva tradita, verso chi mi aveva uccisa. Quando l’ametista, che garantiva la stabilità del nucleo originale, assieme alle altre Pièces, fu sottratta, scomparendo da questo mondo, si rese necessario un nuovo sacrificio, l’ultimo, stavolta ancora più subdolo. Mi fu offerta una bambina di soli tre anni. Il suo nome era Arabella Valdes, figlia di Cerulea Rosenkrantz e di Greal Valdes, il Lord dell’ametista.

Quando la verità sulle origini di mia sorella fu rivelata, l’attenzione si focalizzò su di noi, sui miei genitori, che fissavano impietriti la Croix du Lac. Sorsero nuovi brusii, si alzarono urla di disapprovazione, ma la confusione che regnava fu ben presto stroncata da Evan.

- Ciò che è accaduto è di dominio pubblico. Quella bambina era la prima figlia di una coppia che si amava e a cui non fu concesso di stare insieme dalle convenzioni di questo mondo. Quella famiglia che mi ha dato una seconda possibilità salvandomi dalla morte. Quella famiglia che nonostante sia stata separata ha cresciuto me e l’altra bambina nata da quella relazione, Aurore, l’ultima Lady dell’ametista.

Lord Oliphant abbassò gli occhi, colpevole, così come Angus, che strinse con più forza la mano del nipote.

- Evan…

Mormorai, preoccupata che quelle rivelazioni potessero essere troppo per quella gente che aveva sempre creduto, alla fine, in una verità per troppo tempo manipolata.

- E ora il diamante che risplende sulla mano sinistra di Arabella Valdes, fa sì che la sua vita sia collegata a quella del nucleo della stella.

Quell’inattesa e sconvolgente rivelazione portò lo sconvolgimento sui volti di tutti noi. Trasalii.

- Q-Quindi non è possibile scindere Arabella dalla Croix du Lac?!

Urlò la mamma, quando lo sconforto raggiunse il culmine, accasciandosi tra le lacrime. Mi chinai e l’abbracciai forte, nonostante anch’io avessi pensato la stessa cosa.

- Oh mamma… fidati di Evan… lui ha detto che può salvarla…

Sussurrai, sebbene non riuscissi a immaginare il modo in cui ci sarebbe riuscito. Papà sbottò.

- Apri questa cella maledetta, Lionhart!

Ordinò, aggrappandosi alle sbarre.

- Non posso, Greal. Te l’ho detto, è un ordine del Despota.

- E’ l’ordine di un ragazzino che non sa quello che fa!

Protestò.

I ragazzi lo osservarono incerti. Il professore scosse la testa.

- Non lo farò. Non ora.

- Lionhart! Figlio di puttana, non capisci che in questo modo finirà col distruggere ogni cosa?! Numi, la profezia si sta avverando…

- Quella sull’ultimo discendente dei Delacroix?

Domandò Damien.

Angus sorrise, facendosi aiutare da Blaez per rialzarsi. Puntellandosi al braccio forte del giovane nipote, ci raggiunse.

- Ah. Lord Greal, Lady Cerulea. Non pensavo che sarei arrivato vivo per assistere a questo momento. Quelle parole furono pronunciate in punto di morte da un giovane uomo che desiderava salvare la propria amata e che in vita, non vi riuscì. In qualche modo, questo si sta ripetendo, a distanza di cinquecento anni. Quel ragazzino… è sì l’ultimo dei Delacroix, ma è anche il figlio che Lady Cerulea ha cresciuto nel mondo della luce. In sé non ha solo il dolore.

- Ha anche tanta speranza…

Aggiunse Lady Octavia, con le lacrime lucenti che le imperlarono gli occhi che vedevano oltre ciò che noi non potevamo vedere.

- C-Che significa?

Balbettai, preoccupata, prima di tornare a guardare il pulpito.

- E’ tempo di porre fine a tutto questo. D’ora in poi, non ci saranno più sacrifici. In quanto Despota Supremo, questo è il mio ultimo desiderio, per cui ne auspico la realizzazione immediata. Underworld, il regno dei morti, non sarà più questo il tuo nome. Con te cadrà il sistema nato nel sangue innocente cinquecento anni fa. Da oggi fino alla fine dei tempi, non vi saranno più Despoti. Con me si chiuderà il cerchio. Chiedo alla nuova generazione di guidare il tempo che verrà, con giustizia, con intelligenza e con parsimonia. Per troppi secoli, questo mondo è stavo governato dallo spettro della congiura e della morte. Mai più. Amber Trenchard, Lady dell’ambra, il tuo valore, la tua rettitudine e la tua onestà siano d’esempio per i posteri. Affido a te il nuovo corso, prima Imperatrice di Neo Esperia.

Tutto il vociare confuso si era fermato. Anche i nostri respiri, probabilmente, mentre Evan tendeva il braccio verso la cella che ci ospitava. Ci voltammo senza parole verso Amber, che aveva sgranato gli occhi. Il suo bel viso era contratto dall’incredulità.

- I-Io…

Balbettò appena, quando Lady Octavia ne raccolse le mani tremanti e le portò al viso.

- Bambina amata…

Sussurrò.

Mi voltai di nuovo verso Evan, sconvolta. Quante volte avevo pensato che Amber sarebbe stata una stupenda Imperatrice? E ora, era così. Evan stava demolendo del tutto le strutture obsolete di cui mi aveva parlato Rose, una volta. Ma a che prezzo? Perché aveva detto che si trattava del suo ultimo desiderio? Mio fratello sorrise compiaciuto, quando vide le guardie imperiali, compreso il professor Warren, inchinarsi in direzione di Amber.

- E ora, Croix du Lac, è tempo di pagare il conto. Per entrambi.

Disse, nel voltarsi verso di lei. Ce li avevamo di fronte, nonostante la distanza, e potevamo vederli chiaramente.

- Evan… che cosa…

Tremando, mi alzai, afferrando le sbarre ghiacciate.

All’esterno di quella cella, le persone si erano nuovamente rivolte titubanti verso il pulpito. La Croix du Lac sollevò appena il braccio sinistro, posando la mano sul petto di Evan. Lasciai scivolare la mia mano, portandola istintivamente sul mio cuore, che scandiva battiti accelerati. Il diamante splendette con più energia, liberando fasci di luce com’era accaduto già nella piazza centrale di Chalange, quando si era mostrata.

- C-Che sta facendo?!

Esclamò Damien, affiancandomi.

- Hai detto di avere un dono per me.

Disse la Croix du Lac, con voce tranquilla.

- Buuuuuuuh !!

Ricordai la volta in cui Evan mi fece praticamente calare in testa un piccolo peluche a forma di panda. Avevamo visto la Cina, pochi mesi prima e mi ero innamorata letteralmente di un cucciolo di panda dello zoo di Pechino. Sarebbe stato anche un bel pensiero se non fosse che ero nel bel mezzo di un sogno piacevole, una rarità. Mi svegliai di soprassalto vedendo in faccia un’ignota massa morbida bianca e nera e urlai, tirandomi su all’istante. Peccato solo che la faccia di mio fratello fosse altrettanto vicina e l’avessi presa in pieno con una testata. “E’ questo il modo di svegliarsi, testa dura?”, mi domandò, massaggiandosi il naso. Non che io non mi fossi fatta male, anzi, avevo preso una bella botta a mia volta. “Colpa tua, razza di scemo! Così impari a…”, mi interruppi, notando il peluche che era caduto a terra. Lo raccolsi incuriosita, poi guardai mio fratello. “E questo?”, domandai. Evan sorrise, senza togliere la mano dal naso dolorante. “Per te, un regalino”, rispose. Lo tenevo come un gioiello prezioso, sulla mia scrivania, da allora.

- Vi porto in dono ciò che più bramate. Il solo ricordo che avete perduto. Il più importante. Ciò che vi fu sottratto per impedirvi di avere il riposo che avete sempre agognato. Ciò che i Delacroix hanno sempre tramandato, voce a voce, di generazione in generazione, l’eredità del vostro amato.

Il ricordo che la Croix du Lac aveva perduto.

- Il suo nome…

Mormorai, suscitando la curiosità di Livia e di Rose.

- Tu lo conosci, Aurore?

Mi domandò Damien, perplesso.

Scossi la testa. La mamma intanto si era rialzata e mi aveva posato la mano sulla spalla. Mi girai appena per guardarla. Il suo viso era incrinato dal pianto, tanto era agitata. Così come non l’avevo mai vista.

Anche pochi metri più in là, la Croix du Lac pianse.

- Pronuncia quel nome… liberami… così che possa porre fine alla mia maledizione…

La folla si inchinò in preghiera, invocando la salvezza.

Amber, ancora accanto a Lady Octavia, si alzò, raggiungendo le sbarre.

- Lord Warrenheim.

Disse. Il professore fece un cenno con la testa.

- Dovete attendere ancora, prima di poter chiedere ufficialmente qualcosa.

Shemar storse la bocca, contrariato, ma Amber lo fermò prima che potesse dire qualcosa.

- Ah, numi… ci affidiamo a voi…

Disse, semplicemente.

Evan si avvicinò appena all’orecchio della Croix du Lac e mormorò qualcosa.

- Helise

Bisbigliò leggera e quasi impercettibile Lady Octavia, chinando il capo e congiungendo le mani, prima di profondersi in un nuovo sommesso canto di preghiera. Un canto di speranza.

La Croix du Lac sorrise, accarezzando la guancia di Evan con la mano libera. Trattenni il fiato, quando la vidi dirgli qualcosa che Lady Octavia aveva ignorato, persa nel suo canto, e nel sollevarsi appena, incontrando le sue labbra. Sotto gli occhi increduli di tutti noi, la Croix du Lac baciò Evan. La luce sprigionata dal diamante si fece più intensa. D’improvviso, non la vedemmo più, se non fosse per un piccolissimo bagliore che aleggiava tra loro. Evan sostenne quel corpo che pareva senza vita, mentre la mamma si ritrovò a gridare disperata il nome di mia sorella. Papà la strinse forte, così come fece Evan con Arabella, nel sedersi, dolcemente, tenendola tra le braccia. Le accarezzò delicatamente i capelli, poi ne sollevò il braccio, su cui non c’era più alcun segno né del tatuaggio né del diamante.

- Arabella… amore mio… a quanto pare, la Croix du Lac ha voluto concedermi un ultimo momento, prima di andare. Svegliati, angelo, svegliati e osserva coi tuoi occhi, di nuovo, questo mondo che ci ha visti nascere, che ci ha permesso di incontrarci e che ci ha separati per così tanto tempo. Ma ora, la vita che ti ho sottratto diciassette anni fa, te la restituisco, finalmente. C’è un futuro che ti attende, luminoso e stupendo come te. Arabella, il tuo coraggio è stato la mia forza. La tua compassione la mia speranza. Senza di te, la mia vita era incompleta. Ora posso andare, senza rimpianti, perché tu sei qui… accanto a me, accanto a coloro che amiamo… ancora una volta…

La piccola luce che aleggiava attorno a loro scese, ponendosi proprio davanti a Evan, che alzò lo sguardo. Poi sorrise. Quel sorriso che conoscevo meglio di chiunque. Quello che era scolpito nella mia anima come se fosse stato impresso a fuoco. Evan sollevò la mano, accogliendo quel caldo bagliore e guidandolo verso il suo cuore.

- Oh mio Dio… vuole diventare la Croix du Lac!

Gridò Damien, scrollandoci dalla magia ingannevole di quel momento. Mi voltai sconvolta verso di lui, così come fecero tutti gli altri. Era quello il piano di Evan? Per salvare Arabella doveva diventare lui la Croix du Lac?! Annichilita ormai, del tutto inerme davanti alla mia cecità, mi accasciai sulle sbarre, stringendole con forza fino a infilzarmi la carne con le unghie. Mentre il nucleo si instaurava nel cuore di mio fratello, nello shock generale, urlai il suo nome sentendomi scossa dal punto più profondo della mia anima. Durò un attimo. Rinvigorito da nuova energia, il nucleo sprigionò la sua forza, puntando alla lontana stella priva di forza che non riusciva a rischiarare il cielo. La gente urlò, terrorizzata, ma Amber ordinò di mantenere l’ordine. La terra intera tremò, per pochi istanti e la luce invase ogni singolo millimetro di quel mondo in rinascita, al punto da accecarci, persino. Non ricordo cos’accadde di preciso, nessuno di noi fu in grado di capirlo. Ricordo solo che a quella luce si unì un infinito calore che ben presto salì verso l’alto, come se fosse stato sprigionato dalle profondità stesse di quel mondo. E con esso, una miriade di sensazioni. Paura, angoscia, tormento, rimorso e poi nuova speranza, felicità, gioia… e pace. Era come se gli opposti fossero bilanciati, dopo aver ritrovato quell’equilibrio che era perduto da tanto tempo. Sentimmo la vita rinascere davvero, dentro di noi, come se le nostre stesse anime fossero state rinfrancate e all’esterno. Come un tempo era accaduto ai primi abitanti di Esperia, anche ora, sembrava quasi che la natura reagisse, scrollandosi di dosso quell’oscurità che era calata tanti anni prima, interagendo con gli esseri viventi che popolavano quel mondo. I messi, i grifoni, ogni singolo essere partecipò a una nuova, rinnovata sinfonia. Era quella la vera Renaissance. Solo dopo un tempo che sembrò infinito, la luce si dileguò. Impiegammo un po’ per recuperare il controllo, tanto eravamo shockati, tutti quanti. Papà fu il primo a rialzarsi, aiutando la mamma. Storditi, anche troppo, per ciò che era successo, ci guardammo gli uni gli altri, in reverenziale silenzio.

- G-Guardate…

Furono le prime parole che qualcuno, tra la folla, riuscì a pronunciare. Gli occhi feriti di quella gente, così come i nostri, puntarono al cielo, verso l’est. Una coltre di nuvole sembrava starsi aprendo. Il colore, che fino a quel momento era fermo su un plumbeo sanguigno, ora possedeva una sfumatura appena più chiara rispetto alla notte eterna. Poco a poco, mentre c’era chi si rialzava, mentre le guardie imperiali aiutavano chi aveva più bisogno, quella notte ebbe termine. Un timido, gentile e caldo primo raggio di luce fece breccia tra quelle nuvole e la sfumatura chiara si riempì di un azzurro luminoso e rassicurante, portando con sé la sua benedizione.

- E’… è l’aurora…

Mormorò la mamma, con la voce resa debole dalla commozione.

- L’aurora…

Feci eco, nel sentire a mia volta l’eco di quel nome, del mio nome, sprigionata dalle migliaia di voci che stavano assistendo a quello spettacolo. Il giorno stava rinascendo. E mai come in quel momento ringraziai il cielo per quello spettacolo meraviglioso di cui nel mio mondo, avevano dimenticato l’importanza. Abbracciai forte i miei genitori, piangendo, mentre il professor Warren apriva la porta della nostra cella. Non uscimmo subito. Il professore, comprendendo la nostra incredulità, si inchinò davanti a una sconvolta Amber.

- Neo Esperia vi rende omaggio, Imperatrice. E’ nostro desiderio eseguire gli ordini che Vostra Maestà ci impartirà.

- Papà…

Sussurrò Damien, stancamente. Ormai anche lui doveva aver capito che lottare senza remore era inutile, per tutti. E dopotutto, forse era proprio questa una delle cose che Evan voleva farci capire. Strinsi la mano della mamma, cercandone la forza, mentre Jamie affiancò il fratello, stringendo la sua casacca scura, la stessa che indossava quando eravamo stati catturati. Livia invece era sconvolta. Era la prima volta che vedeva la luce naturale di quel mondo. Incredula, cercò la presenza di Lord Oliphant, che la strinse con aria protettiva. La nostra forza era nell’essere uniti. E non era così solo per noi. Anche i ragazzi erano tutti insieme. Lo stesso Shemar, che aveva protetto Angus assieme a Blaez, raggiunse Amber e le sorrise dolcemente. Ora che entrambi finalmente si erano dichiarati, era molto più rilassato e meno formale.

- Pensi di farli aspettare ancora per molto?

Domandò, con voce gentile.

Amber sembrava ancora in difficoltà. Guardò persino me, che da parte mia, ebbi solo la forza di annuire e sorridere. Fu sopraffatta dall’emozione e i suoi begli occhi si riempirono di lacrime. Cercò di riprendere fiato, quando Rose e Blaez la rassicurarono sul fatto che poteva farcela. E alla fine, dopo un lungo e profondo sospiro, prese il braccio di Shemar e uscì dalla cella, salutando per la prima volta come la nuova Imperatrice, il suo popolo.

Poco a poco, anche gli altri uscirono. Violet e Damien rimasero con me e con i miei genitori, invece.

- D-Dovremmo andare, Aurore…

Annuii a mia madre, sciogliendo la presa e correndo ad abbracciare i miei amici. Violet scoppiò a piangere, abbracciandomi forte, così come me. Damien mi accarezzò dolcemente i capelli.

- Evan è…

- Ci siamo noi, Aurore. Ci siamo noi. E ora, tua sorella ha bisogno anche di te.

Disse Damien, quando smisi di singhiozzare. Guardai entrambi i miei amici, facendomi forza e annuii.

- Andiamo…

Mormorai.

Furono i passi più difficili della mia vita. Camminavamo tra gente ancora sconvolta, che piangeva, che urlava, che benediva quel giorno rinato, finalmente riunita dopo anni e anni di interminabile sofferenza, mentre la luce del giorno, portando nuova linfa vitale con sé, ci mostrava un mondo meraviglioso, in risveglio, dopo essere stato addormentato per così tanto tempo. Proseguimmo lungo la strada costellata dai sassi che mi ricordava tanto la strada di diamanti del mio sogno ricorrente. A metà, però, non riuscii a sopportare più quell’agonia e percorsi correndo l’ultimo tratto che ci separava dalla scalinata che portava al pulpito. Cercai di farmi animo, nonostante temessi ciò che avrei visto, una volta salita. Non avevo voluto farlo, fino a che si poteva vedere, dalla cella. Strinsi il braccialetto di Evan, sentendolo pesare più del solito.

- Fratello mio…

Ripensai alle sue ultime parole. “Ti voglio bene”, mi aveva detto. Alla fine, ancora una volta, non mi aveva tradita. Nonostante mi avesse mentito, l’avesse fatto con tutti, per poter andare avanti nel suo proposito di salvare Arabella. Aveva ucciso delle persone, finendo col tingere di sangue, completamente, le sue mani così come il titolo di Despota. Mai nessuno avrebbe nominato quell’appellativo vedendone le caratteristiche positive. Evan aveva posto fine a un’era. Ma aveva anche dato vita al futuro. Rincuorata dal pensiero che nonostante tutto, mio fratello era rimasto la persona che amavo fino alla fine, salii i venti gradini di pietre sconnesse che portavano al pulpito. E quando vi giunsi, seguita dai miei genitori, da Violet e Damien, vidi Evan e Arabella, l’uno accanto all’altra, con le mani intrecciate. Sembravano dormire entrambi. La luce li aveva investiti, rendendo il pallore di mia sorella ancora più evidente, nonostante la dolcezza della sua espressione. Anche Evan aveva un’espressione rilassata, felice, come non la vedevo da tanto tempo. E mi avvicinai a loro, titubante, mentre la mamma ricordò di averli visti in quel modo da bambini, la notte che scoprì chi era il piccolo Evandrus Delacroix. Facendo attenzione, mi chinai al loro fianco, accarezzando i capelli di Evan. Al centro del petto, una bruciatura evidente testimoniava cos’era accaduto. Chissà quanto dolore aveva provato. Eppure, aveva sorriso anche in quel momento.

- Ti voglio bene anch’io, Evan…

Sussurrai, accasciandomi sul suo petto. Il suo cuore non batteva più, ormai. Il cuore che tante volte mi aveva rassicurata col suo battito, sin da quand’ero bambina. Strinsi forte la giacca bianca, lasciandomi andare a uno sfogo che mai, dopo quella volta, mi capitò di avere. Anche la mamma si era chinata accanto a noi. Aveva poggiato la mano su quelle congiunte dei miei fratelli.  

- I miei bambini… non vi ho saputo proteggere…

- Non è colpa tua, mamma… Evan… aveva già deciso… da molto tempo…

Le confessai. La mamma mi guardò, sforzandosi di provare anche solo a realizzarlo. Credo che in cuor suo, già lo sapesse. Una mamma conosce bene il cuore dei propri figli. Ed Evan lo era sempre stato, forse già da quando aveva accarezzato la sua guanciotta piena resa rossa dal sonno per la prima volta. Intanto, sentii altri passi raggiungerci. Ma non ebbi la forza di voltarmi. Non riuscivo a farlo. Volevo avere ancora un po’ di tempo con Evan. E poi, un sussulto, appena percettibile, ci fece rivolgere la nostra attenzione ad Arabella. Poco a poco, la vita tornò a fluire anche in lei. O forse, era più corretto dire che la sua anima tornò a prender possesso del suo corpo.

- Arabella!

Esclamò la mamma, scostandosi per aiutarla. Le sollevò appena il capo e Arabella tornò a respirare. Com’era accaduto nel Sancta Sanctorum, quando ancora la Croix du Lac, Helise Delacroix, aveva il controllo del suo corpo, riaprì gli occhi, che alla luce del nuovo giorno mi apparvero davvero di pochissimo più scuri dei miei. Ne sembrò ferita, tanto che ebbe qualche problema nel mettere a fuoco.

- M-Mamma…

Mormorò, confusa, come se avesse la gola secca.

- Sono qui, tesoro, sono qui! Oh mio Dio, Greal, Aurore!

Pianse ancora, abbracciandola forte, mentre io, che ero ancora accanto al corpo esanime di Evan, avevo appena avuto la prova che mio fratello ce l’aveva fatta, del tutto. Arabella era viva. Sentii le voci dei miei compagni, commosse per la riuscita dell’impresa. Damien si sedette accanto a me. Lo guardai. Dovevo avere una faccia impossibile, ma anche lui, a dire la verità, non era da meno. Scarmigliato, in disordine, avrebbe fatto rabbrividire persino i membri del suo fanclub, a scuola. Eppure, nonostante quella mise terribile, era il mio Damien, il ragazzo che amavo… il solo che secondo Evan, avrebbe avuto il coraggio di sopportarmi. Sorrisi, a quel pensiero.

- Mi ha detto che non gli andavi a genio… anche se già lo sapevi, in fondo…

Dissi. Damien convenne.

- Lo so. L’ha ribadito anche a me, il bastardo. E poi mi ha chiesto di prendermi cura di te, se gli fosse accaduto qualcosa.

Sgranai gli occhi, annaspando.

- C-Cosa? Quando?

Damien alzò gli occhi di quel verde meraviglioso al cielo.

- Beh… quando siamo stati portati a palazzo, a te ha riservato la suite, a me una cella buia. E la cosa mi ha dato alquanto fastidio. Per questo, dopo aver insistito per spaccargli la faccia di persona… me lo sono ritrovato davanti. E ho avuto modo di parlarci.

Rimasi senza parole e quella reazione non passò inosservata. Il suo sguardo tornò a posarsi su di me.

- Penso ancora che il suo comportamento sia stato sopra le righe, ma dopotutto, affinché le cose cambiassero, qualcuno sarebbe dovuto esser pronto a premere il grilletto. Evan ha scelto di essere lui quella persona, a costo di correre il rischio d’essere odiato, di fallire, persino… e tutto per salvare Arabella… e dare a lei e a te la possibilità di vivere in un mondo libero dall’oppressione.

- Damien…

- Credo che ciò che Damien vuole dirti, Aurore… è che non dimenticheremo ciò che ha fatto Evan.

Aggiunse Amber, chinandosi accanto a me. La guardai. Era stanca anche lei, pallida e sembrava più giovane di quanto fosse.

- Oh, Amber…

Ero sul punto di piangere di nuovo, commossa a quelle parole, quando Arabella finalmente, fu in grado di controllarsi. La guardammo mentre, trascinandosi a fatica, si sedette sulle ginocchia, mentre la mamma, alle sue spalle, la sosteneva. Il suo viso era rigato dalle lacrime. Strinse la mano di Evan, tremante.

- E-Evandrus?

Chiamò. Il nome completo di mio fratello risuonò incerto.

- Arabella, lui è…

- No!

Contestò, mentre la mamma cercava di dirle qualcosa che a giudicare dalla sua reazione, già sapeva.

- No! No… non può… non puoi farlo, Evandrus… no…

Arabella si morse le labbra, scuotendo la testa. I lunghi capelli biondi le ricaddero sul viso, scompigliati.

- Non puoi averlo fatto davvero! Ridarmi la vita… in cambio della tua… rinunciare così… no… non è giusto… non dovevi… p-per tutto questo tempo, i-io… oh numi, amore mio, torna indietro… non lasciarmi ora… Evandrus!!

Urlò il suo nome e fu straziante, per lei come per tutti noi. Evan aveva dato la sua vita perché Arabella tornasse a vivere e questo era innegabile. Ma per tutti quegli anni, Arabella aveva sempre e solo desiderato che lui fosse salvo. Voleva proteggerlo, in qualche modo, da quell’oscurità che l’aveva ingoiato. Eppure, non c’era mai stata tanta luce in lui come in quel momento. Arabella continuava a piangere, disperata, accasciata accanto al viso di Evan. Lo accarezzò, lo baciò, ma nulla l’avrebbe riportato indietro. E fu allora che lo realizzai anch’io. Evan non sarebbe mai più tornato. Fino al momento in cui la maschera di Liger era caduta, dentro di me, mi ero fatta forte del ricordo, animandomi al pensiero che mio fratello avrebbe continuato a vivere dentro di me, nonostante non avessi mai avuto una lapide su cui piangerlo. Ma in quel momento, il suo corpo era lì. Non avrei mai più visto il suo sorriso. Né i suoi occhi amaranto che mi guardavano con le loro sfumature. Non avrei mai più sentito la sua voce assonnata quando mi diceva di dormire, o mi augurava il buongiorno arrochita, dopo una notte passata a vegliarmi. Non l’avrei mai più visto con indosso la sua uniforme carminio con la cravatta allentata. Né mettere il broncio perché costretto a fare qualcosa controvoglia. Non avrei mai più fatto niente con lui. E quel pensiero mi turbò. Perché era stato più semplice vivere con la speranza, seppure vana, che forse, potesse essere ancora vivo. Quel pensiero rendeva meno penoso lo strazio che invece, in quel momento, aveva attanagliato il mio cuore. Mentre tutto intorno, la vita era tornata a splendere, nel mio cuore e in quello di Arabella, si agitava una tempesta che mai avrebbe avuto fine. Tremando, poggiai la mano su quella di mia sorella, che sollevò il viso arrossato dalle lacrime, fissandomi in tralice.

- A-Aurore…

Ci guardammo, poi Arabella mi strinse la mano, mentre in noi nasceva, per la prima volta, quel sodalizio che aveva atteso ben sedici anni per manifestarsi. Eravamo sorelle. Una amava Evandrus Delacroix, l’altra amava Evan Kensington. Entrambe, condividevamo l’amore per quel ragazzo che aveva cambiato il destino di un mondo.

- Aurore, Arabella.

La voce di papà, dietro di noi. Era rimasto in silenzio, fino a quel momento. Richiamate, ci voltammo insieme. Papà, con a seguito tutti i nostri compagni, aveva il pugno stretto davanti a noi. La mamma lo guardò incerta. Sospirò, nel guardare Evan. C’era qualcosa nel suo sguardo incorniciato dalle piccole rughe appena accennate, in quegli occhi ametista che erano lo specchio esatto dei miei, che sembrava perdersi in un lontano passato. Forse, stava ripensando al giorno in cui lui e Gregor Lambert trovarono il piccolo Evan… chissà se si era mai pentito della decisione di portarlo in salvo…

- Papà…

Pronunciammo all’unisono mia sorella ed io.

Papà annuì, poi aprì la mano. Il Thurs stava pulsando.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OK, so che avevo detto che avrei aggiornato una volta a settimana, ma visto che da domani dovrò eclissarmi causa full immersion pre-esame rognoso, non ci vedremo... ergo, ne approfitto oggi! ç_ç Ebbene, sappiate che questa è la parte di capitolo che ho amato di più, per i motivi che avete letto. Scriverla è stata una sfida e credetemi se vi dico che non sono mai stata così indecisa come nel momento in cui Evan è morto... in realtà sapevo che sarebbe accaduto e a dire il vero, in originale, assieme a lui sarebbe dovuta morire anche Arabella. ç_ç<3 Avevo in mente qualcosa di molto struggente, credetemi, ma poi ho pensato ad Aurore, che ha fatto tanto per riavere i suoi fratelli... e poi, scrivendo è andata così. Grazie a Evan, le due sorelle si sono ritrovate, ma senza la persona che più amano al mondo... è triste, vero? Però, con l'apice della convergenza, finalmente la luce del giorno è tornata a brillare e con essa, la speranza per il futuro. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo sull'Underworld, pardon, Neo Esperia! :) Vi aspettavate tutto questo? Continuate a seguirmi, vi prego!! E grazie pr il sostegno, sia chi mi lascia sempre qualcosa da dire, sia chi legge e basta e chi mi dice qualcosa in privato! <3 Alla prossima!!

  
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