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Autore: Daphne_Descends    17/06/2014    10 recensioni
Per colpa di quella traditrice della sua migliore amica, Giulia si ritrova chiusa in uno stupido sgabuzzino con la persona che meno sopporta al mondo. E l'unico modo per uscirne senza strangolarlo con uno straccio sporco è lottare per la sopravvivenza. O per un cellulare.
"«Hai il cellulare?» strillò Giulia con la bocca spalancata. Quel cretino aveva il cellulare e non aveva pensato per un istante ad usarlo per chiedere aiuto a qualcuno di più intelligente di Marta e Lorenzo.
Lui inarcò un sopracciglio «Certo che ho il cellulare».
«E perché non hai chiesto a nessuno di tirarci fuori da qui?» berciò lei, balzando in piedi e allungandosi per prenderglielo di mano. Crestaldi la imitò e alzò il braccio tenendolo fuori dalla sua portata, per quanto il soffitto basso glielo permettesse.
«Dammelo, idiota!»
«Col cazzo, gallina isterica!»"

[Torre dei cliché: #41, Dei ripostigli e degli anfratti]
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Titolo: Non capisci proprio niente
Cliché: #41. Dei ripostigli e degli anfratti (Casual cliché)
Fandom: Originali
Rating: G
 
 
 
 
 
Marta Lombardi sarebbe vissuta ancora per poco, di questo Giulia ne era sicura.
Non importava che Marta Lombardi fosse la sua migliore amica, che fosse gentile e sempre pronta ad aiutare il prossimo e nemmeno che l’omicidio fosse un reato che l’avrebbe portata all’ergastolo, perché Giulia era sempre più convinta che l’avrebbe uccisa, non appena fosse riuscita a mettere piede fuori da lì.
L’avrebbe uccisa ridendo e non sarebbe nemmeno andata al suo funerale. Perché Marta Lombardi in realtà era una stronza. Una stronza che non sapeva farsi gli affari suoi.
E per colpa sua si trovava chiusa in quel lurido sgabuzzino del secondo piano, dove il bidello teneva le scope in più e le scorte di detersivo.
Ed era proprio un cartone di fusti di disinfettante per pavimenti quello su cui era seduta, mentre cercava di ignorare le imprecazioni di Tommaso Crestaldi, impegnato a bussare con violenza sulla porta di legno, un metro più in là. Considerato lo stato in cui quella porta si trovava, era stupita del fatto che non fosse ancora crollata in pezzi.
Ma di certo Marta, la dolce e tenera Marta, non l’avrebbe mai rinchiusa in uno sgabuzzino dalla porta mezza rotta insieme a Crestaldi. Anzi, se fosse stata una vera amica, non l’avrebbe mai rinchiusa in uno sgabuzzino, punto. E soprattutto non insieme a Crestaldi.
Perché Giulia odiava Crestaldi e Crestaldi odiava Giulia. L’unico motivo per cui si sopportavano era perché la sua migliore amica usciva con il suo migliore amico. E Marta e Lorenzo si erano dimostrati pronti a tutto pur di farli andare d’accordo, anche a chiuderli a chiave in uno sgabuzzino.
«Quando esco lo uccido, quel coglione!» berciò Crestaldi, dando un pugno più forte alla porta.
Giulia distolse lo sguardo dalla luce fioca della lampadina appesa in mezzo al soffitto, per posarlo con una smorfia su di lui «E’ inutile che ti agiti tanto, Crestaldi. Tanto non passa mai nessuno qua davanti».
Lui le lanciò un’occhiata contrariata, ma si sedette su un secchio, che aveva rovesciato qualche minuto prima per la rabbia. «Vuoi stare qui dentro all’infinito?» l’accusò sarcastico, incrociando le braccia al petto e facendo inavvertitamente toccare le loro ginocchia, cosa che spinse Giulia a soffiare come un gatto irritato.
«Vuoi stare fermo? Se non l’hai ancora notato, questo posto è già piccolo e se ti agiti qua e là sembra ancora più piccolo!»
«Difficile, dato che più piccolo di così non potrebbe mai essere!»
Giulia gli avrebbe volentieri spaccato uno spazzolone sulla testa, ma si trattenne, perché poi si sarebbe trovata a condividere lo sgabuzzino con un cadavere. Ma ciò non toglieva che odiasse Crestaldi, da morire.
«Come sei finita qui dentro?»
Il tono incuriosito la obbligò a voltarsi e prestargli attenzione e, dato che per una volta aveva un’espressione neutra e non infastidita, decise di rispondergli.
«Come ci sei finito tu».
«Con la forza?»
«No, con l’inganno».
Vai a fidarti degli amici.
Certo, da parte sua era stata ingenua a lasciarsi convincere ad accompagnare Marta a prendere lo straccio per pulire il succo che, distrattamente, aveva fatto rovesciare. Ma chi mai sarebbe andato a pensare che Marta, la dolce e tenera Marta, l’avrebbe spinta con forza dentro lo sgabuzzino e avrebbe chiuso la porta a chiave? Giulia no di certo. Per quello, troppo stupita per fare qualcosa, non era riuscita a sfruttare il lasso di tempo in cui la porta si era riaperta e Tommaso Crestaldi era stato buttato dentro, piombandole addosso e facendola inciampare su una scopa, per poi cominciare a battere i pugni sulla porta, senza nemmeno chiederle scusa.
Ed ora si trovavano in quell’assurda situazione, uscita direttamente da uno stupido filmetto sentimentale di quarta categoria. Avrebbe voluto urlare e, quando si rese conto che nessuno glielo impediva, lo fece.
«Ma sei scema?!» strillò Crestaldi, tappandosi le orecchie con le mani.
«Avevo bisogno di sfogarmi».
«Sfondando i timpani alla gente come una gallina impazzita?»
Giulia lo fulminò con lo sguardo, ma non disse niente, preferendo evitare di cominciare l’ennesima discussione che non li avrebbe portati a niente, se non mandarsi al diavolo a vicenda.
La campanella dell’intervallo era suonata da almeno dieci minuti e Giulia si chiese cosa avrebbe detto la prof della sua improvvisa assenza. Forse si sarebbe decisa a mandare qualcuno a cercarla e sarebbe riuscita ad uscire da lì.
Però, d’altro canto, cosa avrebbero detto trovandola chiusa in un piccolo sgabuzzino semibuio con Tommaso Crestaldi? Non voleva nemmeno pensare a quell’eventualità. Primo, perché non voleva essere considerata l’ennesima conquista di quel maiale senza cervello; secondo, perché avrebbe preferito baciare uno straccio sporco piuttosto che Tommaso Crestaldi.
«Non ti sopporto» disse di punto in bianco.
«E perché mai?» ribatté lui bruscamente, con la voce venata di ironia.
«Credi di essere migliore degli altri».
«Da che pulpito…».
«Almeno io non me ne vanto».
Crestaldi aprì la bocca per ribattere, ma la richiuse senza dire niente e si limitò a lanciarle un occhiata di compatimento, prima di voltarsi di nuovo a fissare la parete.
Contenta di averlo zittito, Giulia diede un’occhiata all’orologio da polso: erano le undici e mezza e lei era nella merda fino al collo. La prof di matematica le avrebbe dato così tanti compiti che non sarebbe riuscita a finirli nemmeno il mese prossimo. Ed era tutta colpa di Marta.
Con la coda dell’occhio, vide un bagliore soffuso e si voltò verso Crestaldi che stava controllando il cellulare.
«Hai il cellulare?» strillò Giulia con la bocca spalancata. Quel cretino aveva il cellulare e non aveva pensato per un istante ad usarlo per chiedere aiuto a qualcuno di più intelligente di Marta e Lorenzo.
Lui inarcò un sopracciglio «Certo che ho il cellulare».
«E perché non hai chiesto a nessuno di tirarci fuori da qui?» berciò lei, balzando in piedi e allungandosi per prenderglielo di mano. Crestaldi la imitò e alzò il braccio tenendolo fuori dalla sua portata, per quanto il soffitto basso glielo permettesse.
«Dammelo, idiota!»
«Col cazzo, gallina isterica!»
Giulia fremette di irritazione e gli tirò un calcio nello stinco, facendogli scappare un’imprecazione. Quando lui si abbassò per massaggiarsi la gamba, lei gli strappò il cellulare di mano, sicura che la via d’uscita fosse vicina. Ma lo schermo era bloccato da una password che non sapeva e la cosa non le piaceva per niente.
«Qual è la password?» gli chiese velocemente, appoggiandosi di schiena alla porta per tenere più distanza possibile.
«Vaffanculo stronza» rispose lui con una smorfia «Se mi hai lasciato un livido giuro che ti strappo tutti i capelli. E ridammi il cellulare». Allungò un braccio e fece un passo avanti, trovandosi subito davanti a Giulia, che tentò di difendere il suo bottino con tutta la testardaggine che aveva.
«Dimmi la password».
«Dammi il cellulare».
«Mi serve».
«Non ti serve a niente se non sai la password».
Si fissarono negli occhi in silenzio, senza muoversi di un centimetro. Poi Giulia aggrottò le sopracciglia e piegò le labbra in un ghigno.
«Posso sempre scoprirla».
«Auguri» le disse irritato, cercando di riprendersi il cellulare; ma lei non mollò la presa e gli si avvicinò. Crestaldi si bloccò e gli bastò un’occhiata per capire cosa le passava per la testa «Puoi anche torturarmi, ma non te la dirò mai».
«Questo è da vedere».
Lui sbuffò divertito «E come pensi di fare, sentiamo».
Giulia non ne aveva idea, in realtà, sapeva solo che avrebbe fatto di tutto per uscire di lì. E sinceramente non capiva perché lui no.
«Perché non vuoi chiedere aiuto?» gli chiese curiosa.
Crestaldi fece un passo indietro e si passò una mano sulla nuca «Non voglio che mi trovino con te» disse con tono acido.
Giulia odiava Crestaldi, era un dato di fatto. Come era un dato di fatto che non volesse avere niente a che fare con lui, esattamente come lui la odiava e non voleva avere niente a che fare con lei. E su quel punto poteva capirlo, perché nemmeno lei voleva essere trovata lì con lui, ma in quella situazione preferiva essere trovata da qualche loro amico, piuttosto che dal bidello.
«Che scusa del cazzo!» esclamò irritata.
«Non rompere» ribatté lui, mettendosi a sedere su una scatola e incrociando le braccia «Non ho intenzione di dirti la password, tanto Lorenzo e Marta verranno a tirarci fuori al cambio dell’ora».
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Lo so e basta».
Giulia si sedette su un secchio rovesciato e mezzo rotto, sperando che reggesse il suo peso, perché non aveva alcuna intenzione di avvicinarsi ancora di più a Crestaldi.
«Dimmi la password» ripeté con decisione.
Crestaldi sospirò «Scordatelo. Possiamo anche passare ore qua dentro, ma non te la dirò mai. E non riuscirai nemmeno a convincermi».
Giulia lo avrebbe volentieri strangolato con uno dei tanti stracci per i pavimenti buttati lì dentro e torturato fino alla morte, se avesse potuto, ma non aveva proprio idea di come convincerlo a fare quello che- «Aspetta!» esclamò, spalancando gli occhi e sorridendo esaltata «Lo so! So il tuo punto debole, me l’ha detto Lorenzo! Soffri il sol-».
Prima che potesse terminare la frase, Crestaldi era balzato in piedi e le si era avvicinato infuriato. Giulia lo imitò e fece un passo indietro, schiacciandosi contro la porta e cercando di trattenere le risate.
«Se ti avvicini ancora, giuro che ti faccio il solletico» lo minacciò.
Crestaldi si fermò dopo un attimo di esitazione e imprecò contro l’amico «Quel coglione non sa tenere la bocca chiusa» borbottò a bassa voce, prima di espirare irritato e allungare il braccio «Dammi quel cazzo di cellulare».
«Dimmi la password» ribatté Giulia, portando davanti a sé la mano libera, pronta ad attaccare.
Crestaldi si passò le mani tra i capelli, esasperato «Va bene, ok. Dammi il cellulare e lo sblocco».
Giulia aggrottò la fronte sospettosa «Non mi fido, chi mi dice che non te lo riprendi senza farmelo usare?»
Lui alzò gli occhi al cielo «Anche se volessi, tu riusciresti a rubarmelo di nuovo».
Ma lei non era ancora convinta «Hai una password così imbarazzante che non vuoi dirla a nessuno? Sono solo numeri, cosa ci può essere di così- no. Sei arrossito!».
«Non dire cazzate!» esclamò lui, ma la luce fioca della lampadina non riusciva a nascondere il rossore comparso sulle sue guance e, purtroppo, Giulia l’aveva visto.
Infatti allargò un sorriso da iena e fece un passo avanti, costringendolo a farne uno indietro «Non ci credo. Allora è imbarazzante sul serio. Cos’è, il nome di una ragazza?»
«Sono numeri, idiota» rispose lui con stizza, cercando di prendersi il cellulare, giusto per distrarla da quella scomoda conversazione, ma lei non ci cascò e nascose il braccio dietro la schiena, osservando divertita le sue guance farsi ancora più rosse. Non aveva mai pensato che Crestaldi fosse uno che si imbarazzava per così poco, anzi, tutto il contrario. L’aveva sempre visto circondato da ragazze che era lui stesso a rimorchiare, era sempre sicuro di sé e non si vergognava praticamente di nulla, neppure trovarsi in mutande davanti alla prof di religione nel corridoio di un albergo durante una gita. Eppure ora era lì di fronte a lei, con le guance e le orecchie in fiamme e l’aria quasi disperata.
«E’ davvero una ragazza! Oddio, ti piace così tanto da mettere il suo numero come blocco?»
«Non è il suo numero!» ormai era talmente imbarazzato che non provava neppure a negare.
E Giulia si stava divertendo come una matta «Non dirmi che è il suo compleanno o la sua data di nascita. Non ti facevo così mieloso».
«Taci!»
«Oppure sono le sue misure. Pervertito!»
«Sono solo quattro numeri, deficiente! Perché devi sempre pensare male?»
«Se non me lo dici sarà qualcosa di brutto, altrimenti perché nasconderlo?» gli chiese con finta aria innocente.
Se le occhiate avessero potuto uccidere, Giulia sarebbe già stata sotto tre metri di terra, con una bella lapide con scritto: “Qui giace un’insopportabile impicciona”. E lui ci avrebbe di sicuro sputato sopra.
«Va bene, te la dico! Basta che la smetti!»
Giulia non si premurò di nascondere il sorriso vittorioso che le spuntò sulle labbra e, tenendo il cellulare tra le mani, aspetto l’agognata risposta «Sono tutta orecchi».
Crestaldi strinse le labbra e dopo un attimo di silenzio borbottò «1906».
«Un po’ vecchia per te, non trovi?» commentò Giulia divertita, inserendo i numeri velocemente e trovandosi nella schermata del menù.
Lui non le rispose, troppo esausto per fare qualcosa che non fosse sedersi su uno scatolone e prendersi la testa fra le mani.
Giulia compose un messaggio e decise di mandarlo a Lorenzo, perché era sicura che lui si sentiva decisamente più in colpa di Marta. Una volta inviato, ridiede il cellulare a Crestaldi, che lo prese senza una parola. Lei lo osservò per un po’, mentre uno strano senso di colpa si faceva largo nel suo stomaco. Certo, odiava Crestaldi, ma si era comportata proprio male a colpirlo per ben due volte nei suoi punti deboli. Se fosse capitato a lei si sarebbe messa a piangere. Per la rabbia, ovviamente.
Così si schiarì la gola e tentò di farlo riprendere «Dai, tanto non conosco nessuno del 1906».
Lui si limitò ad alzare lo sguardo su di lei, senza dire una parola. Giulia non sopportava di essere fissata in quel modo, così continuò a dar fiato alla bocca «Non c’è niente di male se ti piace qualcuna. Non lo dico a nessuno, tranquillo».
Crestaldi sospirò e appoggiò il mento sul palmo della mano libera «Non capisci proprio niente» mormorò a bassa voce.
Giulia si accigliò e incrociò le braccia stizzita. Lei cercava di consolarlo e lui la insultava. Che si impiccasse pure, quell’idiota.
Per fortuna, dopo pochi minuti di completo silenzio, si sentì un rumore nella serratura e la porta si aprì piano, facendo intravedere il volto ansioso di Lorenzo.
Giulia non aspettò un secondo di più e spalancò la porta, facendogliela sbattere contro.
«Oh scusa, traditore che non sei altro!» disse ironica.
Lorenzo alzò le mani davanti a sé «Mi dispiace!» si scusò con foga «Marta ha insistito e-»
«E tu ovviamente non sai dirle di no! Chi porta i pantaloni nella vostra relazione?» lo interruppe irritata.
Crestaldi uscì in quel momento dallo sgabuzzino, chiudendosi la porta alle spalle, e Giulia decise che quello era il momento buono per andarsene.
«Andate a cagare tutti quanti!» esclamò, prima di voltarsi e dirigersi verso il bagno più vicino. Tanto valeva spendere lì il resto dell’ora.
«E’ così tanto arrabbiata?» sentì Lorenzo chiedere, ma non si girò per degnarlo di una risposta.
«Avrà le sue cose» commentò Crestaldi. E se non avesse voluto mettere più distanza possibile tra di loro, sarebbe tornata indietro a dirgliene quattro. Per di più era stata tutto sommato gentile con lui, dopo che l’aveva imbarazzato così vergognosamente, era stata comprensiva, e quello era il ringraziamento? Che se ne andasse al diavolo, lui e la sua stupida password. Era lui che non capiva niente, era lui ad essere un insopportabile idiota.
Come si poteva mettere 1906 per ricordarsi di una ragazza? Era forse la sua bisnonna? Che cazzata. Mettere il compleanno di una ragazza come blocco. Il compleanno di una ragazza! Il compleanno…
Giulia si fermò in mezzo al corridoio, a pochi metri dal bagno delle ragazze. Se era davvero un compleanno, allora non era millenovecentosei, ma diciannove sei. Diciannove giugno. Chi faceva gli anni il diciannove giu-
Spalancò gli occhi, mentre sentiva le guance riscaldarsi e lo stomaco stringersi in una morsa.
Non era possibile, era solo una coincidenza, nient’altro.
“Non capisci proprio niente”.
Si accovacciò a terra, coprendosi il volto in fiamme con le mani e tentando di calmare i battiti del proprio cuore.
Davvero non capiva proprio niente.
 
 
 
 
 
 
 
N/A: Forse la parte finale è un po’ affrettata rispetto all’inizio della storia, ma mi piaceva l’idea di finirla così e spero si capisca come sia questo “così”.
Non è niente di speciale, ma spero vi sia piaciuta. Se volete lasciare un commento, sappiate che non potete altro che farmi un grande piacere. Ciao!
   
 
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