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Autore: Astrid Romanova    17/06/2014    5 recensioni
Fin da bambino, Adrian aveva sempre sentito il desiderio di andarsene. L'andarsene nella sua forma più semplice ed immediata, come puro istinto alla fuga perenne e irrefrenabile. Né il mare né le navi che lo solcavano gli erano mai piaciuti, eppure a ventotto anni è ormai un marinaio esperto e straordinariamente scansafatiche.
Quando un giorno, sul ponte della Sposa Tradita, rivede Ravenna, non può immaginare che diciassette anni di vite diverse abbiano visto la bambina che conosceva diventare una ladra, ormai da due anni alla ricerca di un padre scomparso.
_________
«C'è un modo, sai?»
La spiazzò.
«Per cosa?»
«Per farmi smettere di lamentarmi.»
Ravenna assottigliò lo sguardo, scrutando il volto di Adrian in cerca di una risposta.
«Quale?»
[...]
«Lo stesso per farmi smettere di parlare del tutto» continuò, sperando di non essere costretto a dare spiegazioni dirette.
«Quale?» Insistette lei.
«Lo stesso per immobilizzarmi completamente.»
O per fermarmi il cuore. Potrebbe succedere se tu lo facessi come l'hai fatto stanotte.
«Quale?»
Adrian ebbe un moto di frustrazione.
«Darmi una botta in testa» borbottò sconfitto.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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#1. Sidro e melagrane



Ventuno anni prima

 

La bancarella era piena di oggetti in legno meravigliosamente intagliati, da semplici scatole vuote a deliziosi fermacapelli lucidati. Ravenna li osservava, curiosa; non si capacitava di come un tronco d'albero potesse trasformarsi in qualcosa di così diverso. A volte si era fermata di fronte alla bottega dell'artigiano, sbirciandolo mentre lavorava per cercare di capire a quali magie ricorresse, ma l'uomo era sempre e semplicemente attrezzato con un arnese o con l'altro, segando, levigando, montando e misurando. Forse le magie le eseguiva di notte, quando era certo che nessuno guardasse, ma suo padre non le avrebbe mai permesso di girare per il villaggio dopo il tramonto.

Un colpetto sulla schiena la sospinse in avanti, facendole perdere di vista il pettine dipinto che assomigliava tanto a quello che aveva rotto proprio la settimana precedente.

«Andiamo, Ravenna» la incitò suo padre.

La bambina gli saltellava appresso mentre attraversavano la via del mercato, guardandosi intorno in cerca di qualcosa di interessante. Le bancarelle erano disposte l'una di fianco all'altra su entrambi i lati, gestite la maggior parte da persone che provenivano da villaggi o città a lei sconosciuti, venuti fin lì per vendere la propria merce come ogni anno.

«Gren! Il miglior fabbro della Costa Settentrionale!»

Per poco Ravenna non andò a sbattere contro le gambe del padre quando questi si fermò all'improvviso.

«Merrytt!»

Gren si avvicinò alla bancarella dal quale era giunto il richiamo, seguito da una irritatissima Ravenna che proprio non sopportava quel genere di interruzioni.

«Amico mio! Come ti vanno gli affari?»

Ancora meno sopportava ascoltare due adulti che parlassero di lavoro.

Da che ricordava non c'era stato un solo anno che Merrytt non fosse stato presente al mercato di Cerys. Una settimana in primavera e una in autunno, erano le uniche occasioni in cui lui e suo padre si ritrovavano. Non sapeva quando si fossero conosciuti – sicuramente prima ancora della sua nascita – ma gli incontri abitudinari avevano fatto di loro due buoni amici, sentimento che lei non aveva mai davvero condiviso, né verso il mercante stesso né, tanto meno, verso suo figlio Rhonon.

«Ti ricordi di Rhonon, vero?»

Per un attimo Ravenna pensò che il mercante stesse parlando con lei, ma il suo sguardo era ancora puntato su Gren. Forse nemmeno l'aveva notata, nascosta com'era dietro le gambe di suo padre. Teneva le mani posate sulle spalle di un ragazzo bruno e allampanato, tutto serio e inflessibile, che tese la mano a Gran ed esordì con un dignitosissimo: «piacere di rivederla, signore.»

Una noia mortale.

Ravenna perse il filo del discorso quasi immediatamente, iniziando a dare un'occhiata alle pelli esposte sulla bancarella e, mentre la conversazione procedeva con quella monotonia tipica degli adulti, lei fu attratta da ben altro, qualcosa che a tutti sembrava essere sfuggito.

Un piccoletto coi capelli scuri e l'aria imbronciata se ne stava rannicchiato sotto il tavolo, silenzioso e inosservato. Ravenna piegò la testa di lato, incuriosita, e fece qualche passo avanti, abbassandosi per non picchiare la testa contro il bordo di legno. Notando il suo movimento il bambino alzò lo sguardo, rivelando due vispi occhi azzurri che la osservarono guardinghi.

«Ciao» lo salutò lei.

«Ciao» rispose lui cauto.

«Perché sei qui sotto?»

«Così. Mi andava.»

Il bambino fece spallucce, come se per lui fosse qualcosa di ordinario nascondersi sotto le bancarelle dei mercati. Quando Ravenna lo faceva veniva sempre sgridata da suo padre, che la ammoniva di non dare fastidio ai proprietari.

«Come ti chiami?» gli chiese ancora.

«Adrian.»

«Quanti anni hai, Adrian?» continuò.

«E tu?»

«Te l'ho chiesto prima io.»

La fronte di Adrian si corrugò all'istante, mostrando tutto il suo malcontento.

«Sei proprio una bambina» la rimbeccò cantilenando.

«Certo che sono una bambina, ho sette anni» replicò Ravenna sulla difensiva.

«Ah! Ecco, me lo hai detto.»

Il bambino assunse un'aria trionfante, come se avesse appena vinto ad un gioco, mentre Ravenna gonfiò le guance indispettita. Lei non aveva capito che stessero giocando, non le era sembrata affatto una sfida.

«Ravenna! Cosa stai facendo?»

La risposta della bambina fu interrotta sul nascere dal richiamo di suo padre. Tirandosi indietro di un passo e raddrizzando la schiena alzò gli occhi su di lui, chiedendosi se fosse sbagliato anche essere solo per metà nascosta sotto un tavolo.

«Adrian! Ecco dov'eri!»

Il signor Hill si abbassò, allungò il braccio e afferrò quello del bambino, aiutandolo a rimettersi in piedi.

«Ecco, questo è il mio secondo figlio, Adrian» informò il mercante, scompigliando i capelli del suo secondogenito con affetto.

«Finalmente lo conosco!» esclamò Gren. «Ha proprio gli occhi della madre. A proposito, dov'è Jolene?»

«Oh, qui in giro. Adora visitare i mercati dove ci fermiamo. Ma guarda qua Ravenna, cresce a vista d'occhio!»

A Ravenna non sembrava proprio di essere cresciuta negli ultimi sei mesi, ma funzionava sempre così quando il signor Hill e suo padre si rincontravano: 'come si è fatta grande Ravenna!' E poi: 'è diventata proprio una bella bimba!' E poi ancora: 'ma guardala, è tutta sua madre!'

«Assomiglia alla mamma ogni giorno di più!»

Appunto.

Gren si fece un po' più cupo, come sempre quando Saoirse veniva nominata. Erano passati solo due anni dalla morte di sua moglie, ma anche dopo l'eternità intera avrebbe visto il mondo farsi un po' più buio al suo ricordo. Tutto il contrario di Ravenna che, sebbene avesse sofferto più di chiunque altro nel perdere sua madre, era ancora capace di vedere la luce nelle sue memorie di lei.

Ma, d'altro canto, Ravenna non lo stava nemmeno ascoltando. Era ancora indispettita dal non aver ottenuto risposta sull'età di Adrian, che ogni tanto le lanciava delle occhiate di indifferenza davvero irritanti.

Capitava ogni volta. Suo padre la spronava a giocare con gli altri bambini del villaggio, ma quando lei provava a fare amicizia ogni dialogo non durava più di mezzo minuto. Tutti iniziavano a correre in lungo largo giocando ad acchiapparsi, o a chi arrivava primo da qualche parte. Lei ci provava, ma era la più lenta di tutti. Oppure giocavano a nascondino, ma quando toccava a lei stare sotto non ricordava i nomi degli altri, e se doveva nascondersi lo faceva troppo bene e nessuno la trovava mai. O forse non la cercavano proprio.

Adrian, dal canto suo, trovava fastidiose le domande. Nella sua città facevano sempre tutti troppe domande. A lui bastava giocare con chiunque fosse alto più o meno come lui. Quella Ravenna era un'impicciona, nulla di più, anche se la sua espressione spazientita con le guance gonfie era divertente.

Al contrario dei loro padri, nessuno dei due conosceva l'altro. Ma una cosa la sapevano entrambi: non c'era una sola ragione al mondo per cui avrebbero dovuto perdere tempo a sopportarsi a vicenda.

 

◄►

 

Ravenna era tutto fuorché paziente.

Adrian era tutto fuorché ragionevole.

Nessuno dei due si sforzava di andare d'accordo con l'altro, ma ignorarsi non era così semplice come avevano immaginato. Potevano tenere la faccia ostinatamente girata dall'altra parte ogni volta che si incontravano, ma allora a Ravenna scappava una linguaccia e Adrian, per ripicca, le tirava i capelli. Allora lei gli faceva gli sgambetti quando lo vedeva gironzolare per il mercato, che conosceva molto meglio di lui. Adrian la rincorreva e lei riusciva sempre a nascondersi, ma appena abbandonava il proprio nascondiglio lui era pronto a lanciarle una palla di fango in piena faccia.

Arrivava la sera e Gren riportava a casa la figlia tutta sporca, così come Merrytt tornava alla locanda dove alloggiavano con il piccolo Adrian ricoperto di terra.

«Sono solo caduta.»

«Sono solo caduto.»

Caddero ogni giorno per tutta la settimana.

L'ultimo giorno di mercato Ravenna uscì di casa sorridente. Il giorno dopo, ne era certa, la famiglia Hill sarebbe ripartita, e allora lei si sarebbe finalmente liberata di quel fastidioso bambino che aveva scoperto avere la sua stessa età.

Quel giorno fu Adrian a provocarla, colpendola sui vestiti con la solita palla di fango. Ma Ravenna era di troppo buon umore per preoccuparsene. Si fermò un momento, constatò l'entità del danno e riprese a camminare come se nulla fosse.

Adrian non ne fu per niente contento.

Non molto dopo, nascosto sotto la bancarella della frutta fresca, aspettò che Ravenna passasse, si facesse regalare una bella melagrana matura e, al momento giusto, allungò una gamba su cui lei inciampò, cadendo a terra. Il frutto rotolò più avanti, dove lui corse a raccoglierlo. Ma ancora non ottene reazione; la bambina si rialzò con tranquillità, si spazzolò i vestiti con le mani e si allontanò, senza degnare di uno sguardo il sorriso sornione di Adrian che presto si trasformò in pura irritazione.

Anche i tentativi seguenti non andarono a buon fine: improvvisamente era come se Adrian non esistesse. Colto dall'esasperazione marciò verso di lei e le si parò davanti, impedendole di proseguire.

«Ho sette anni, va bene?» borbottò, le mani ben piantate sui fianchi.

Ravenna sbatté le palpebre e inclinò la testa di lato.

«Lo so.»

Adrian aggrottò le sopracciglia e piegò il collo a sua volta, cercando di capire se in quella posizione cambiasse qualcosa, visto che lei lo faceva sempre.

«Lo sai?» domandò confuso.

E comunque non c'era niente di diverso in quella posa.

Ravenna piegò il collo ancora di più, sbilanciando anche le spalle.

«Sì, lo so. Me l'ha detto tuo padre.»

Adrian la imitò, sempre più sconcertato.

«Allora hai barato» si lamentò.

«Ma non è un gioco!» si difese lei, che mai aveva barato in vita sua né mai lo avrebbe fatto.

«Ah no?»

La cosa buffa, per Ravenna, era che Adrian sembrava sinceramente stupito.

«No!» confermò.

Lui strinse le labbra e corrugò la fronte, seriamente preso dalle sue riflessioni.

«E allora perché ci siamo fatti tutti quei dispetti?»

«Perché mi stai antipatico.»

Adrian si raddrizzò si scatto con un'espressione molto offesa sul viso.

«Tu sei più antipatica» la rimbeccò.

«E allora tu sei cattivo!» rispose lei raddrizzandosi a sua volta.

«Io non sono cattivo!»

«Se io sono antipatica tu sei cattivo!» insistette Ravenna. «Mi hai rubato il mio frutto!»

Adrian fu sul punto di replicare, ci andò tanto vicino che aprì addirittura la bocca.

Ma poi ripensò alla melagrana che si era mangiato in un angolo del mercato, solo per dispetto a lei. Forse un po' cattivo lo era stato.

«Sei proprio antipatica» disse infine, in tono notevolmente più basso di prima.

«Non importa» affermò Ravenna altezzosa. «Tanto domani partirai e non dovremo vederci più».

«Me lo auguro» ribatté Adrian piccato.

Entrambi incrociarono le braccia al petto e girarono la faccia dall'altra parte. Poi la voltarono lentamente incrociando di nuovo gli sguardi, ma non appena accadde si rigirarono di nuovo. Alla fine, sbuffando, stesero i pugni lungo i fianchi e marciarono in due direzioni opposte, allontanandosi.

Ma erano ben lontani dal non rivedersi mai più.

 

◄►

 

Oggi

 

Nonostante fosse solo metà pomeriggio, la taverna era già straripante di vecchi ubriachi e giovani che cercavano un passatempo, per lo più marinai che attendevano di partire con le navi della sera.

Adrian e Ravenna avevano trovato un tavolo libero solo in fondo alla stanza, vicino ad un gruppo di marinai appena tornati dalla Costa Meridionale che bevevano, ridevano, bevevano, ricordavano alcuni aneddoti di viaggio e bevevano ancora.

Anche loro due ridevano, ogni tanto, e di sicuro avevano molto da raccontarsi. Diciassette anni di vita non erano facili da esporre in una conversazione all'interno di una chiassosa taverna, ma la verità era che le loro vite non erano state così dense di eventi da dopo lo scoppio della Guerra del Ferro. Entrambi i loro padri erano stati chiamati al fronte, entrambi non avevano fatto ritorno. Ma se a casa di Adrian era arrivata la missiva di condoglianze per la caduta del soldato Hill, il padre di Ravenna era semplicemente sparito nel nulla.

Per questo lei si trovava a Port Gale, quel giorno, così come giorni prima era stata in un'altra città e in un'altra prima ancora. Una città dopo l'altra, un villaggio dopo l'altro. Per due anni. Due anni alla ricerca del proprio padre.

«Credi davvero che sia ancora vivo?» le domandò Adrian, grave.

«Non so cosa credo. Ma se fosse la fede ciò a cui mi ispiro, mi sarei fermata molto tempo fa.»

«E allora a cosa ti ispiri?» 

«Alla speranza. Fin tanto che non avrò la certezza che sia morto significa che potrebbe essere vivo, e questo mi basta.»

Ci fu un attimo di silenzio, come c'era stato appena Adrian aveva rivelato che il padre era morto durante la guerra. Un silenzio di solidarietà e rispetto, per Gran e per Merrytt, per la speranza che ovunque si trovassero in quel momento fosse meglio di un campo di battaglia.

«E dove sei stata prima? Voglio dire, prima di iniziare a cercare tuo padre. Io e Rhonon siamo tornati al villaggio per altri cinque stagioni a vendere le pelli, prima che anche lui venisse reclutato e io iniziassi a fare il marinaio. Mi era stato detto che tuo padre ti aveva mandata in una città non lontana a stare con dei suoi parenti. Ti ho raccontato la mia storia: raccontami la tua.»

Sì, Adrian le aveva raccontato la sua storia. Dopo il reclutamento di suo fratello aveva abbandonato la carriera di mercante di pelli, ansioso di andarsene dalla sua città. Aveva lasciato la madre insieme a sua zia e i suoi cugini, imbarcandosi sulla prima nave disponibile. Ogni tanto tornava indietro e le consegnava una buona parte dei suoi guadagni, ma ripartiva subito dopo con una nuova marea. Aveva viaggiato da costa a costa, sempre in movimento, finché la guerra finì, finché suo fratello tornò e di suo padre non rimase altro che una lettera di cordoglio. Ma anche allora, dopo averlo pianto, dopo aver riabbracciato Rhonon e consolato sua madre, aveva alzato un'altra vela. Aveva incontrato migliaia di persone senza conoscerne nemmeno una.

Almeno fino a quel momento.

«Ah» Ravenna raddrizzò la schiena e schioccò la lingua, sistemandosi meglio sullo sgabello. «Tocca a me, quindi.» Attese alcuni istanti prima di proseguire, facendo ruotare il boccale che teneva tra le mani. «Non c'è granché di interessante da dire. Sono rimasta con i parenti di mio padre fino a due anni fa, quando è arrivata la notizia che la guerra era finita e i soldati avevano iniziato a rientrare. Quando ho scoperto che mio padre non era tornato insieme agli altri ma non era ufficialmente morto, ho deciso di iniziare a cercarlo. Così eccomi qui.»

Adrian la guardò di traverso, sospettoso. I conti non tornavano.

«E quand'è che avresti imparato ad immobilizzare un uomo grosso il doppio di te?»

Lei sorrise con un tocco di malizia, il che poteva significare tanto che stava nascondendo qualcosa quanto che volesse solo risultare il più enfatica possibile.

«In due anni si imparano molte cose, se incontri le persone giuste.»

Un'improvviso scoppio di risate al tavolo vicino li fece voltare entrambi in quella direzione, distraendoli. Un uomo aveva appena appoggiato – con molta poca grazia – il boccale sul tavolo, col viso rosso e lo sguardo brillante di chi aveva davvero bevuto troppo.

Adrian tornò a guardare Ravenna, domandandosi quali e quante persone avesse incontrato durante il suo viaggio e per quanto tempo sarebbe andata avanti a cercare suo padre. Chiedendosi se, non trovandolo, prima o poi avrebbe rinunciato, o se avrebbe continuato la sua ricerca finché le forze glielo avrebbero concesso. Se si fosse rovinata la vita in cerca di quello che poteva essere solo un fantasma.

«E ora dove andrai?» le chiese solo.

«In effetti... stavo pensando di andare a Vessa» gli rivelò lei, causando l'istintiva tensione di tutti i muscoli di Adrian.

Non rispose.

«Vuoi... venire con me?» azzardò lei.

Lui rimane ancora immobile, senza accennare alcuna altra razione.

«Da quanto tempo non torni a casa, Adrian?»

Ravenna era sempre stata quella delle domande scomode.

Era da parecchio tempo che Adrian non si ritrovava più nelle condizioni di dover ripensare alla sua famiglia. Non li aveva dimenticati, non li aveva abbandonati, aveva solo deciso di allontanarsene. Aveva deciso di prendere la sua strada, di cavalcare le onde invece che trascinare un carretto di pelli. Col ritorno di suo fratello non aveva più nemmeno dovuto occuparsi della madre, così dall'ultima volta che era partito non aveva più fatto ritorno.

Ravenna cercava ciò che rimaneva della sua famiglia da due anni.

Lui scappava dalla propria da altrettanto tempo, sebbene senza avere un reale destinazione.

«Senti, puoi prendere una nave e partire alla volta della Costa Meridionale, nessuno te lo impedisce, ma prima o poi dovrai tornare. Prima o poi vorrai tornare, anche solo per un giorno. Sarebbe tanto sbagliato farlo in questo momento?»

Il suo tono era fermo, senza traccia d'incertezza o almeno un vago senso di colpa per l'essersi intromessa. Una cosa che Adrian ricordava bene di lei era che non aveva le mezze misure tipiche di una persona equilibrata: o ignorava ciò che non le piaceva o non le interessava, o insisteva fin quasi allo sfinimento per ottenere ciò che voleva o far valere la propria opinione. 

«Non lo so, Ravenna. Non lo so» rispose infine, sapendo di doverle dare una risposta. «Fino a poco fa avevo in programma di passare due settimane su una nave e di sbarcare dall'altra parte del mare, adesso sono seduto in una taverna con una persona che non credevo avrei mai più rivisto. È già abbastanza per un giorno solo» si giustificò, improvvisamente esausto.

La routine poteva essere letale. Più passava il tempo più ci si adagiava nella costante ripetizione delle stesse azioni, vivendo sempre gli stessi giorni finché persino i pensieri stessi diventavano sempre più uguali gli uni agli altri. Finché persino le belle sorprese diventavano quasi spaventose.

Ravenna non avrebbe insistito, non avrebbe spinto Adrian fuori dalla sua normalità. Aveva appena bucato la sua bolla, la cosa migliore da fare era lasciarle il tempo di sgonfiarsi. E forse, prima o poi, sarebbe diventata troppo stretta per lui.

«Prenditi del tempo per pensarci. Domattina, al primo quarto della meridiana, mi troverai alla porta nord della città. Se non verrai saprò cos'hai deciso.»

Adrian ci pensò su per diversi secondi, sorpreso di quella proposta che pareva essere davvero una mezza misura. Gli sembrava un buon compromesso, in fondo, ma la prospettiva di svegliarsi l'indomani mattina con quella questione in sospeso lo faceva sentire in colpa. Esisteva la concreta possibilità che mentre lei lo aspettava appena fuori dalla città lui si trovasse a tirare delle cime su una nuova nave. E mentre lui avrebbe fissato per l'ennesima volta una corda al suo sostegno, lei sarebbe stata in viaggio con un'ultimo ricordo di lui come un eterno fuggiasco o, peggio ancora, un codardo.

Ravenna udì la porta della taverna aprirsi e le diede una sbirciata furtiva, l'ennesima da quando si era seduta a quel tavolo. Controllò rapidamente i volti dei nuovi avventori e, quella volta, le parve di riconoscerne uno. Due. Tre. Era meglio andarsene.

«Al primo quarto» ripeté, cercando di nuovo lo sguardo di Adrian e posando una mano sulla sua. «Per me è ora di andare. Spero di rivederti, Adrian.»

Così dicendo si alzò, lasciandolo solo e confuso. Lui la osservò uscire dalla taverna con di nuovo il cappuccio in testa, confondendosi tra i clienti fino a raggiungere l'uscita. Appena la porta si chiuse alle sue spalle si prese la testa tra le mani e pensò, pensò, pensò fino a farsi venire l'emicrania. Di certo la taverna non era il posto più adatto per prendere quel genere di decisioni, ma c'era davvero un posto giusto che ispirasse la scelta giusta?

Se anche fosse esistito, si rese conto Adrian, non sarebbe altresì esistita una decisione corretta o una sbagliata, né una facile o una difficile. Perché la verità era che non aveva proprio nessuna decisione da prendere, eccetto su quale nave prestare servizio. 

 

Ringrazio nuovamente tutti coloro che si siano gettati nella lettura di questa storia, dandole la possibilità di attirare la vostra curiosità. Una menzione speciale va alle tre meravigliose ragazze che mi hanno scritto delle parole bellissime, che mi hanno riempita di entusiasmo. Aveno due storie in corso d'opera non è facile trovare il tempo per dedicarsi a questa in particolare, ma la loro fiducia mi ha (passatemi in francesismo) messo veramente il pepe nel culo. In un lampo ho scritto il secondo capitolo dopo essermi arenata per giorni. Meritano almeno un pubblico ringraziamento.
Vi aspetto al prossimo capitolo o, se vorrete lasciarmene una, alla casella delle recensioni. Intanto, spero vi siate godute il primo capitolo :)

Au revoir,
Astrid

   
 
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