Ventuno giugno: potenziale margine.
Non so bene che cosa dovrei scrivere qui e là;
so solo – e bada bene, tu che leggi - che qualcosa
dovrei pur scrivere perché, sai, c’è ancora quel formicolio
alle tempie, sempre il labbro inferiore tormentato dagli incisivi
profumati di caffè, le dita che fremono e l’anima che pulsa dolorosamente.
E quindi che cosa dovrei scrivere oggi?
Potrei descrivere come il sole splenda baciando le nuvole
o di come le risate dei bambini mi accarezzino il cuore
o, ancora, di come i miei occhi cerchino rifugio
ed asilo in vecchi tomi dimenticati dal Tempo e dalle Ore.
Credo, invece, vi scriverò qualcosa sulla parola margine;
ci avete mai pensato alla parola margine?
Sicuramente.
Margine come margine di un libro;
margine come il margine tra il dire e il fare;
margine come margine e fine del mondo.
Ma se vi chiedessi di disegnare un “margine”?
Io ho disegnato un grande baratro vuoto;
sopra al baratro c’è una persona
- io, tu, noi, voi, loro –
che si ancora ad una nuvola;
è il sogno, quella nube, un desiderio e una speranza.
Un margine è pericolo, è azzardo,
è una nuova opportunità potenzialmente realizzabile.
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