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Autore: _HalWill_    18/08/2008    1 recensioni
Lo scenario di un' imminente guerra interplanetaria. Due mondi opposti ma incredibilmente simili. Un ragazzo piombato dal nulla in una base militare, senza alcuna certezza, senza alcuna sicurezza, ma con la consapevolezza di fare la differenza nelle sorti della specie umana. Un giovane irriverente e spregiudicato, che lotta per una guerra in cui si è ritrovato, ancora inconsapevole del futuro e del proprio ruolo nella battaglia. L'incontro fra due anime sole e complementari, destinate ad un comune destino. Il sogno di una terra lontana dove poter vivere assieme, senza la guerra, senza a morte. L'amore, l'arma perfetta.
Genere: Romantico, Science-fiction, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chapter 15

Qualcosa gli stringeva la testa. Gli premeva e gli bruciava.
Eppure non c’era nulla. Era lì, in mezzo ad un vuoto d’acqua, leggero, inconsistente, ma presente. Aveva coscienza del proprio corpo, lo sentiva, lo vedeva persino. Lo sguardo gli cadde sulla propria mano che penzolava contro il fianco. Si voltò.
Il viso del giovane, appena distinguibile in quella figura esile ed evanescente che aveva di fianco, gli sorrise rassicurante. Gli occhi splendidi lo osservavano sorridenti, dolci, come solo lui sapeva fare. Qualcosa gli sfiorò la mano. Fresche e morbide, lisce come la seta, le dita del giovane gli strinsero il palmo dolcemente.
Le sentiva, erano reali.
- Ancora non ti sembra naturale, vero? E’ normale, sta tranquillo.
Si ripeteva di concentrarsi. Ma non ci riusciva.
In quegli ultimi giorni quei sogni non l’avevano fatto dormire. Gli avevano ossessionato le notti. E poi la stessa presenza del ragazzo lo stava cambiando. Tutto era cambiato, ormai lo sapeva bene. Nonostante non avessero una vera e propria relazione, come se fosse qualcosa di sottointeso, stavano assieme, si scambiavano baci nascosti, silenziosi. Non serviva neppure parlarsi.
Ma era questo che gli faceva male. Il biondo non gli parlava. Non parlava di se, non diceva nulla. Si limitava a farsi abbracciare, baciare, e stringere. Si, perché lo sentiva ogni volta che si abbracciavano, che stavano vicini. Le sue mani si aggrappavano come per sopravvivere, come per resistere a qualcosa.  
Non gli aveva mai detto nulla su questo. Non gli aveva mai chiesto il motivo di quella timidezza celata, di quei silenzi ai quali ormai era abituato, di quei sorrisi dolci e malinconici, di quella intimità segreta e lontana.
Lontano. Era così che lo sentiva ogni giorno di più. Nonostante si avvicinassero, si baciassero, la vicinanza dei loro corpi pareva allontanar i loro cuori le loro menti.
Voleva sapere cosa pensava. Si era sempre chiesto cosa ci fosse dietro quegli sguardi vuoti, persi nel nulla, dietro quegli occhi immensi e irraggiungibili.
Lo guardava, guardava quella figura eterea al suo fianco che tentava di concentrarsi. Osservò la propria mano stretta nella sua. Lo osservava così intensamente senza accorgersi che l’ambiente, il nulla che gli stava attorno iniziò a cambiare.
Alex perse fisicità. Il suo corpo diveniva sempre meno visibile, ma lui non parve accorgersi. Continuava a prestare attenzione all’allenamento.
Ma ora dove era? Tentò di afferrarlo, ma non lo sfiorò neanche.  Intorno a se era tutto buio, confuso.
Delle voci, dei sussurri. La voce di un uomo, che aveva già sentito. Non capiva bene cosa stesse dicendo. Un fruscio indistinto lo disturbava.
Poi in sottofondo la voce cristallina del ragazzo. Era tenue e intimidita.
… non riesco a stare così. E’ difficile concentrarsi con lui vicino. Vorrei che mi parlasse. Sta sempre zitto. Non mi stringe neanche la mano adesso. Forse si sta concentrando. Forse è stanco. Dovrei chiederglielo. Aspetto. No, meglio di No. Me lo direbbe. Non voglio essere ossessivo. …
Pensieri. Uno dietro l’altro, come se stesse leggendo ciò che adesso lo attraversava.
Che potesse leggere i suoi pensieri? Ma dove si trovava e dov’era finito Alex? Perché sentiva solo la sua voce?
Non vedeva neanche il proprio corpo adesso. Era come se stesse ad occhi chiusi. Forse stava dormendo adesso. Forse era un sogno. Quella mattina non si era ancora svegliato e non era andato agli allenamenti. Non capiva cosa stesse succedendo.
Immagini a strani colori, confuse e prive di dettagli. Vide il proprio viso malizioso, come se si stese guardando allo specchio. O meglio come se si guardasse con gli occhi di qualcun altro. Vedeva se stesso muoversi autonomamente. Era come guardarsi attraverso una telecamera. Beveva una birra. Di nuovo la voce.
Magari potremmo fare un’altra passeggiata. Sto così bene. Ma meglio non farci vedere. Se scoprisse. Chissà cosa penserebbe. Non glielo dico. No. Non posso.
Altre voci. Aveva male, ma ormai non sapeva neanche più dove.
Vedeva immagini susseguirsi, voci sovrapposte, tutto ruotava vorticosamente, sempre più veloce, sempre più confusamente.
Fu un istante. Qualcosa che aveva già visto.
Il viso del giovane che si gettava indietro. L’espressione vuota. Poi sparì di nuovo.
Riavvertì il proprio corpo. Qualcosa gli straziava il petto.
Come se lo stessero pugnalando.
Un dolore atroce. Gridava.
Non sapeva se con la voce e con la mente.
Un grido assordante.
Gli esplodeva la testa.
Ancora.
Ad un tratto non sentì più nulla.

Quando si risvegliò si trovava su un letto morbido e bianco. Tutta la stanza attorno a lui era bianca.
Alla sua destra c’era un separè dello stesso colore di tutto il resto.
Mise i piedi a terra e si alzò a fatica. Sentiva dolore da ogni parte. Si aggrappò alla tendina ed aggirò il separè.
Si trovava nell’infermeria. Non c’era nessuno, neanche l’infermiera.
Si guardò attorno. Solo le tendine di un altro letto erano tirate.
Si avvicinò e le scostò.
Il giovane era sdraiato, pallido quasi da avere lo stesso colore delle lenzuola. Il capo era abbandonato sul cuscino, gli occhi chiusi. Aveva un piccolo aghetto infilato nel braccio ed, anche se coperto dal lenzuolo, indossava lo stesso camicione che si era ritrovato addosso lui al suo risveglio. Non si muoveva, era immobile.
Inorridito si accostò rapidamente alle sue labbra. Respirava talmente piano che sarebbe facilmente stato scambiato per morto.
Si rialzò. Si accorse di essere sudato.  
La visione del ragazzo in quelle condizioni lo aveva scombussolato parecchio.
Afferrò la sedia vicino al letto e vi si sedette. Osservava il braccio esile di lui. Ogni volta gli sembrava più piccolo, più indifeso.
Eppure quel viso dall’espressione fiera e austera non accennava a cambiare. In quella delicata creatura si nascondeva in realtà una personalità impenetrabile ed assolutamente forte. A volte però si perdeva. Diveniva timido e dolce. Quel temperamento imperioso e consapevole si scioglieva e si trasformava come se egli stesso le stesse plasmando. Quelle rare volte che erano soli era dolce, indifeso, timido e comprensivo. Era incredibile come mutasse in sua presenza.
Lo sguardo si spostò sul volto atono. Le ciglia lunghe e scure lasciavano intravedere un pallida ombra sulla pelle chiara. Gli sfiorò una guancia col dorso della mano. Era fredda e levigata.
Non riusciva tuttora a capire cosa fosse accaduto.  Tutta quella confusione, le voci. E quelle immagini che non erano sue.
Le palpebre del biondo tremarono. Si mossero spalancandosi su quelle splendide iridi marine. Lo sguardo andò subito verso di se.
-  Will…
Sorrise appena. Puntellò i gomiti sul materasso cercando di mettersi a sedere. L’uomo lo bloccò, spingendolo a sdraiarsi nuovamente.
- No, sta fermo. Resta giù. Sono qui, non c’è bisogno di alzarti.
Alex seguì il consiglio, rimettendosi sotto le lenzuola.
- Come ti senti? Sei così pallido…
- Sto bene, non preoccuparti.
Sorrise di nuovo.  Tese la mano verso il proprio viso. Gli carezzò una guancia.
- Tu stai bene invece? Mi sono preoccupato.
Annui. Gli afferrò la mano e la sfiorò con dolcezza. Il rumore di voci sommesse, la porta che si apriva. L’infermiera entrò seguita da dottori dell’equipe che si occupava di loro due. William lasciò andare la mano del giovane.
- Come vi sentite?
Due di loro si avvicinarono mentre un altro si diresse a sistemare l’ago sul braccio di Alex.
- E’ stato molto rischioso. Dovete cercare di non farlo mai più!
Il moro si alzò innervosito.
- Come facciamo se non sappiamo neanche che diavolo è successo?!
Il più alto dei due gli trattenne un braccio. Si rimise a sedere.
- Difatti siamo qui per spiegare quello che pensiamo sia successo. Molto probabilmente uno di voi due è entrato nelle mente dell’altro forzandola.
- Ma non è quello che facciamo ogni volta?
- No! Di solito entrate entrambi in una zone della vostra attività cerebrale che solo voi in quanto Ev avete sviluppato. Stavolta le tue onde cerebrali si sono amplificate e sono riuscite a penetrare nella mente di Alex; ma non solo in quella parte che cerebralmente è separata dal resto del pensiero, ma anche nel pensiero stesso. Tu hai invaso la sua testa, sei entrato nei suoi pensieri, nel suo cervello.
Le parole dell’uomo andavano a colmare quel vuoto incomprensibile che aveva visto negli ultimi minuti.
Ora capiva cosa fossero quelle immagini che non gli appartenevano, quelle voci sconosciute, quei pensieri sussurrati. Mentre l’altro continuava a parlare, lui tornò ad osservare il giovane. Era stato lui a ferirlo. Lui gli aveva fatto del male, e non poteva perdonarselo.

P.S. Grazie mille per i commenti^^ Al mio ritorno li ho trovati ed ora sono super felice! Grazie ancora!
  
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