Avvertenza: per capire meglio
gli avvenimenti della fanfiction si consiglia la
lettura di “Forsaken”.
It’s time to change the world
Capitolo
1
Stranamente ero riuscito a
convincere Connor a collaborare con me, dopo aver
scoperto del tradimento di Church preferii concentrarmi su Benjamin, piuttosto
che perder tempo con il ragazzo e le sue rivoluzioni infantili.
Assurdo, ancora non mi
capacitavo del fatto che avesse tradito l’Ordine. Come aveva potuto? Era per
gente come lui se i Templari venivano definiti malvagi. Gliel'avrei fatta
pagare, poteva giurarci. Nessuno poteva permettersi di fottere così Haytham Kenway. Gli avevo salvato
la vita, bastardo, e lui mi ripagava così.
Saltai da un tetto all'altro
con disinvoltura nonostante l'età, davanti a me vidi il porto di New York con
qualche nave attraccata. Era notte, il mio mantello si muoveva leggermente per
la brezza.
«Perché non mi hai ucciso al
nostro primo incontro? Cosa ti ha fermato?» la voce di mio figlio, dietro di me
di qualche passo, mi giunse alle orecchie come una pugnalata improvvisa alla
schiena. Non lo sapevo nemmeno io ad essere sincero. Non avevo avuto motivo di
saltargli addosso nel deposito, avrei potuto aspettare che se ne andasse e
allontanarmi a mia volta, invece no. Volli metterlo alla prova, vedere che uomo
era diventato, volevo vederlo con i miei occhi.
«Curiosità» tentai di
cavarmela così «Altre domande?»
«Cosa vogliono i Templari? »
fu prevedibile, mi aspettavo una domanda del genere.
Mi voltai verso di lui e
avanzai di qualche passo.
«Ordine. Giustizia. Libertà.
Indipendenza. Non è anche quello che cerchi tu, Connor?»
Scosse leggermente la testa.
«Come puoi parlare di
giustizia tu, che vuoi uccidere Washington? Il popolo ha scelto lui.» alzò di
poco il tono della voce ed io indurii lo sguardo.
«Io ero presente al
Congresso Continentale e ti assicuro che è stata una decisione fatta a
tavolino. Tu sei davvero convinto che ogni cosa che succede sia a favore del
popolo?» schioccai la lingua contro il palato «No, Connor,
ci sarà sempre qualcuno che si riempirà le tasche. Sto cercando di aprirti gli
occhi.»
Lo vidi aggrottare le
sopracciglia.
«Mettere al comando
dell'esercito Charles Lee non porterà nulla di buono! Tu stai facendo i tuoi
interessi senza pensare alla povera gente!» mi aveva puntato un dito contro.
«Ed è qui che sbagli.
Mettere al comando Charles significa dare una svolta alla guerra. Il nostro
esercito inizierebbe a vincere e, sconfitti gli Inglesi, le tasse che spremono
i coloni spariranno. Possibile che tu non capisca?» rimase in silenzio, quindi
continuai. «Con Charles al comando saremo presto in pace.» tentai ancora.
«No, state seguendo i vostri
scopi personali spacciandoli per buone azioni.» sospirai e portai le mani
dietro la schiena, provando sollievo nel ripararle dall'aria pungente.
«Tu parli a vanvera. Una
volta gli Assassini avevano un obiettivo assai più nobile, cioè la pace.»
«Libertà è pace.» disse d'impulso. Scossi il
capo. Quanto era ingenuo su una scala da zero
a Mr. Idiota?
«Se solo non fossi così
chiuso capiresti che abbiamo lo stesso scopo! Se solo ci unissimo potremmo
raggiungere il nostro obiettivo. Invece no, perdiamo tempo ad ammazzarci tra di
noi piuttosto che cambiare il mondo.»
«Abbiamo modi d'agire
diversi, non andremmo mai d'accordo.» buon Dio, che testone!
Sbuffai per l'ennesima
volta.
«È per questo che rimango
fedele all'Ordine nonostante i nostri Credo siano molto simili: perché siete
ottusi e ignoranti.» dissi senza timore a pochi centimetri dal suo viso.
«Hai detto tante belle
parole, ma non hai mai mostrato i fatti. Getti fumo negli occhi con i tuoi
discorsi, ma a me non basta. E le tue parole non mi toccano, perché anche
queste non sono motivate.» concluse fissandomi con astio. I fatti li avrebbe
avuti presto, parola mia. Indietreggiai di un passo e sospirai.
«Vuoi che le motivi?
Benissimo. Ammetto di non aver mai avuto a che fare con un Assassino per così
tanto tempo –mio padre non contava-, e se erano tutti come te, Connor, ringrazio di esserne stato nemico! Parlo per me, io
sono cresciuto imparando a ragionare sugli eventi, pensando con la mia testa e
senza lasciarmi influenzare da fattori esterni. Voi Assassini, invece, avete la
mente offuscata dalle vostre belle parole, "agite
nell'ombra per servire la luce", dite voi, ma io non vedo niente, dove
sono i risultati delle vostre azioni?» mi interruppi per prendere fiato e notai
che l'avevo spiazzato citando una loro frase.
«Siete ignoranti perché non
imparate dall'esperienza. Siete fissati con questa libertà=pace. Mai sentita un'affermazione più errata, Connor! Immagina un esercito senza generale, al completo
sbaraglio, senza piani, tattiche o altro. Questa è la libertà che tanto
predichi, e adesso immagina di mettere al comando di questo esercito un capo,
una guida sicura e capace, che sproni i deboli a dare il massimo e che freni le
teste calde. Applica questo semplice principio ad una città, ad uno Stato e poi
ad un Continente. Questo è ciò che vogliamo raggiungere, nient'altro.» riportai
le braccia, che avevo allargato, dietro la schiena, mentre attendevo una
qualsiasi risposta da Connor che, immobile, mi
fissava.
Spostò lo sguardo sulle
tegole del tetto su cui sostavamo, lasciando che il cappuccio gli coprisse gli
occhi, forse per impedirmi di vedere il dubbio che si insinuava nella sua
mente.
«Non sto cercando di
portarti dalla mia parte, ragazzo, voglio farti capire che l'intelligenza
dell'uomo sta nell'abbattere le barriere che lui stesso costruisce. Se due
persone hanno lo stesso obiettivo, ma sono di fazioni diverse e quindi si
combattono, si dimostrano stupide. Spero che almeno questo tu riesca a
comprenderlo.» detto ciò mi voltai dandogli le spalle e saltai giù dal tetto.
Lui mi imitò e poco dopo raggiungemmo il birrificio in cui si rifugiava
Church.... o almeno dove lo credevo. Il cancello e la porta erano spalancati,
nessuna guardia controllava l'ingresso, sembrava fossero fuggiti da poco.
Afferrai per un braccio Connor che, non essendosi accorto dell'insolito silenzio,
stava uscendo dal vicolo in cui eravamo.
«Che succede?» domandò
perplesso
«Church non c'è. Temo sia
scappato con i suoi da non molto.»
«E ora che si fa?» tempo di
chiederlo si sentì un tuono e, un attimo dopo, eravamo entrambi zuppi d'acqua.
Un improvviso acquazzone ci aveva letteralmente spiazzato.
«Magnifico, peggio di così
non poteva andare!» borbottò Connor, io sogghignai.
«Oh, sì invece, visto che i
miei alloggi sono dall'altra parte della città.» lo vidi roteare gli occhi
«Seguimi.» mi voltai dirigendomi verso Fort George.
M’incamminai verso il forte
a passo spedito, in pochi minuti si erano già formate pozze d’acqua ai lati
delle strade.
Quando raggiungemmo le
guardie ai lati del portone, non riuscii ad ignorare l’espressione confusa e
scioccata dei due uomini in divisa. Le oltrepassai seguito da Connor senza riuscire a trattenere un sorriso, poi estrassi
la chiave dalla redingote e aprii la porta. Entrammo in una stanza di media
grandezza; sulla sinistra, attaccato al muro per un lato, c'era un letto a una
piazza e mezza, mentre di fronte, esattamente sotto la finestra, c'era una
scrivania, con sopra una piccola candela, calamaio e piuma d'oca. Adiacente
c'era uno stanzino vuoto con dentro solo un recipiente con acqua per lavarsi.
Avanzai, estraendo da una tasca interna della veste il mio diario
–fortunatamente non si era bagnato-, appoggiandolo sul ripiano. Poi tornai
indietro togliendomi il tricorno -ormai zuppo- e appendendolo ad un gancio alla
parete, sulla destra. Stessa cosa feci con il mantello e la redingote, poi mi
sfilai gli stivali, restando con camicia e pantaloni. Mi sedetti sul letto
sbottonandomi la camicia, notando solo ora che Connor
era rimasto sulla porta, immobile.
«Hai intenzione di restare
lì ancora per molto o magari ti togli i vestiti? Sono fradici. Non dirmi che ti
vergogni, siamo fra uomini!» arrossì e con stizza si avvicinò alla sedia della
scrivania, appoggiando allo schienale la tunica da Assassino. Io mi alzai e,
con addosso solo i pantaloni, entrai nella stanza affianco, uscendone poi con
un panno pulito che stavo usando per asciugarmi. Vedendomi rientrare in stanza
si girò istintivamente nella mia direzione e mi accorsi che gli occhi gli
caddero sulla cicatrice che avevo sul fianco destro. Quella maledetta ferita,
lasciatami dal giovane Lucio, per poco non mi aveva ucciso e, anche ora, di
tanto in tanto, mi ricordava la sua presenza con dolorose e lancinanti fitte.
«Cos'è quello?» mi chiese Connor, che intanto si era seduto ai piedi del letto,
mentre premevo il panno sui capelli.
«Cosa?» indicò il diario con
il mento.
«Appunti, nulla che ti possa
interessare, suppongo. » gli lanciai la pezza dopo essermi asciugato petto e
schiena, poi mi sedetti sul letto pensieroso. Dovevamo trovare Benjamin Church,
dovevamo uccidere Washington e, soprattutto, dovevo riuscire a collaborare con Connor e Charles senza che uno sapesse dell’altro. Lee di
certo non avrebbe apprezzato e Connor… Beh, avrebbe
cercato di farlo fuori. No. Dovevo riuscire a lavorare parallelamente con
entrambi.
«Dove dormiamo?» mi domandò
posando il panno sulla scrivania. Alzai un sopracciglio.
«Questo letto non è qui per
bellezza.» mi sembrava piuttosto evidente.
«È singolo e noi siamo in
due.» sbuffai.
«Quando sono in dolce
compagnia non le porto di certo qui, le mie ospiti.» restò impassibile, non so
se perché non capì la battuta o per gelosia verso Tiio.
Sbuffai di nuovo «Adattamento, figliolo, ti ci vuole adattamento.» mi sdraiai e
lui ritornò a sedersi ai piedi del letto, mentre fuori continuava a diluviare.
Ci furono una decina di
minuti di silenzio. Connor se ne stava ad occhi
chiusi, seduto e con la schiena appoggiata al muro; io sdraiato, con gli occhi
socchiusi quanto bastava da guardarlo senza essere scoperto.
Era uguale a lei, diavolo.
Gli occhi, le labbra, le espressioni. Di colpo aprì gli occhi e, temendo che mi
avesse scoperto, chiusi rapidamente i miei.
«Dev’essere stato strano per
te scoprire della mia esistenza.» in effetti aveva ragione. Quando venni a
sapere che un ragazzino indiano con le vesti di un Assassino aveva iniziato a
seminare piccole rivoluzioni in città, ebbi subito il presentimento che
c’entrasse Tiio, o peggio ancora, io. Tiio… chissà cosa pensava di me.
L’ultima volta che l’avevo
vista, mi aveva minacciato di non farmi più vedere o mi avrebbe ucciso.
Ovviamente non ci sarebbe mai riuscita, ma che senso aveva restare se mi
odiava? Il tutto perché Braddock non era morto subito
sotto la mia lama, bensì qualche giorno dopo. Cos’altro avrei potuto fare?
Mentre stavo per finirlo mi ero accorto che stavano arrivando Washington e
altri soldati, quindi lasciai Braddock morente al
suolo e mi nascosi. Questo piccolo dettaglio non andò a genio a Tiio, che una volta scoperta la verità aveva deciso di
troncare i rapporti con me.
«Sono sempre stato curioso
di sapere cosa può aver detto tua madre di me. A proposito, come sta?» in cuor
mio speravo stesse bene, nonostante tutto.
«È morta. Uccisa.» mi lanciò
un’occhiata carica d’odio con la coda dell’occhio e, per un attimo, smisi di
respirare. Morta? Quando? Perché?!
«….. Mi dispiace molto.» per
una volta in vita mia ero serio e sincero.
«Ah, ti dispiace? Charles
Lee è colpevole del suo omicidio su tuo ordine! E ti dispiace?» era ufficiale.
Mio figlio era impazzito. Scattai seduto.
«Impossibile! Non ho dato
quell’ordine, avevo chiesto il contrario! Dissi di non cercare più il sito dei
precursori, dovevamo concentrarci su altre faccende!» alzò una mano per
interrompermi.
«É passato, ma non riesco a
perdonare.» chiuse di nuovo gli occhi e compresi, anzi, confermai, l'ipotesi
che avevo formulato quando scoprii che il ragazzino che Charles aveva
maltrattato anni fa era proprio Connor. Mentre ero in
Europa, Charles e gli altri avevano continuato le ricerche sul medaglione, ma
non riuscendo a capire altro, lui, Johnson e Church avevano deciso di recarsi
al villaggio di Tiio per costringere i vecchi a
parlare. Tuttavia non vi riuscirono poiché la locazione esatta la sapevo solo
io, in più Connor si rifiutò di parlare e, da quel
che seppi dopo, Johnson l'aveva colpito con il calcio del fucile, facendolo
svenire. Al suo risveglio il villaggio era in fiamme e per un ragazzino non fu
difficile capire che gli autori di quel massacro fossero i miei uomini.
Sbagliato.
Furono i soldati di
Washington, ma questo lo scoprii più avanti. Se solo sapesse. Se solo sapesse
che sua madre è morta per ordine dell'uomo che vuole aiutare. Non tentai
neanche di dirglielo, non mi avrebbe mai creduto.
«Che motivo avrei avuto per
dare un simile ordine? Avanti, dimmelo, sono curioso.» lo stuzzicai. Lo sopportavo
da un paio d’ore e già avevo esaurito la pazienza. Era decisamente troppo,
avevo rischiato il culo per entrare a Southgate e
salvare la sua gente da Silas, stessa cosa quando uccisi Braddock,
visto che Washington avrebbe potuto uccidermi senza problemi se Tiio l’avesse tirato giù da cavallo.
«Dovresti dirmelo tu!
Charles Lee agisce solo su tua richiesta, quindi è partito da te!» stavolta il
suo tono era acido.
«Insisti, eh? Scommetterei
ciò che vuoi sul fatto che Charles non avrebbe mai osato infrangere un mio
ordine, quindi non è stata una sua iniziativa.» ci avrei messo la testa sul
fuoco, nessuno di loro avrebbe avuto il coraggio di disobbedire a ciò che
dicevo e, beh, non li biasimavo.
Charles era però colpevole
di essere stato troppo avventato, si era guadagnato l'odio di Connor e questo era un problema per me.
Passai la notte a pensare;
come potevo risolvere la situazione? Dovevo fornirgli le prove che non era
opera mia la distruzione del suo villaggio. Accidenti a lui e a me quando
accettai l’incarico di Reginald. Avevo rischiato che
Charles e gli altri si accorgessero del mio spropositato interesse nel
preservare Tiio e i suoi simili, pena l’accusa di
tradimento all’Ordine Templare, e adesso questo ragazzino veniva ad accusarmi
su ciò che avevo voluto evitare? No. Anche a costo di farmi odiare gli avrei
dimostrato la verità. Se doveva detestarmi, che fosse almeno su qualcosa di cui
ero veramente colpevole.
Sospirai con Connor sdraiato alla mia sinistra, tra me e il muro,
beatamente addormentato. Ero supino da circa due ore e iniziavo a non poterne
più, quindi mi alzai dato che, nonostante la stanchezza, non riuscivo a
dormire. Sentii il ragazzo rigirarsi nel letto, notando che, accortosi della
mia assenza, aveva pensato bene di mettersi più comodo.
Accesi la candela sulla
scrivania e presi posto, ne avrei approfittato per aggiornare il mio diario.
Salve a tutti!
Sì, finalmente mi sono decisa a pubblicare la long su Assassin’s Creed a cui sto
lavorando da un po’ di mesi, quindi spero sia stato di vostro gradimento.
Grazie di cuore a chi è arrivato a leggere fin qui, sono ben
accette –ovviamente- critiche, pareri e consigli.
A presto ewe